B&W 802 Serie 80

Con l’801 ebbe inizio quella che potrebbe essere definita l’era moderna di B&W, allora già noto per i suoi diversi modelli  ben accolti dal pubblico, in funzione delle loro doti di rilievo.

Rispetto ad essi l’801 costituì una svolta epocale, causa a sua volta di un successo planetario che inserì di diritto e in via definitiva B&W tra i dominanti assoluti del settore.

L’801 inaugurava un filone allora inedito e sostanzialmente irripetuto, quello del diffusore indicato tanto per l’utilizzo negli studi di registrazione quanto per l’impiego domestico. Tale ambivalenza aveva un precedente nella produzione JBL di maggiore impegno, per la quale tuttavia l’impiego domestico costituiva una sorta di forzatura, da parte di un’utenza specifica, e in ogni caso il marchio californiano continuava a realizzare modelli di alto livello specifici e ben distinti per i due impieghi.

L’integrazione totale e definitiva era invece appannaggio degli 801, secondo il concetto per cui desiderando andare oltre certi livelli qualitativi, anche nell’ambito della riproduzione domestica, era giocoforza passare direttamente al diffusore da studio.

Sulla falsariga di quella filosofia il marchio inglese avrebbe centrato la sua produzione per almeno un paio di decenni, prima di affidarsi a suggestioni che col tempo l’avrebbero portato a vanificare in buona parte il suo patrimonio di tradizione, con i risultati che stiamo per vedere.

L’inclusione dell’altoparlante atto a riprodurre la gamma di frequenze assegnata a ciascuna via in un contenitore separato dal resto è stata un’altra prima assoluta degli 801, che in breve ebbero vari imitatori. Il midrange era alloggiato infatti in un contenitore specifico, tra l’altro molto pesante al fine di evitare risonanze dannose, che poteva essere orientato a piacimento dell’utilizzatore. Era inoltre sormontato da un contenitore più piccolo, ad esso solidale, destinato al tweeter.

Il midrange aveva la membrana in kevlar, materiale allora quasi inedito quanto avanzato, secondo un’altra scelta particolarmente indovinata, che avrebbe rappresentato un vero e proprio marchio di fabbrica per i decenni a venire. Le sue doti di leggerezza, rigidità e refrattarietà alla risonanza si rivelarono infatti quanto di meglio per una sonorità equilibrata e neutrale, tale da attribuire ai diffusori B&W caratteristiche divenute proverbiali.

Non solo, quel materiale permetteva di realizzare altoparlanti dotati intrinsecamente di un ottimo decadimento di risposta alle frequenze superiori, tali da permettere l’impiego di reti di filtraggio semplificate, estremamente vantaggiose nell’economia di un qualsiasi diffusore, in particolare per l’ottenimento di qualità sonore superiori.

Poche cose sono distruttive come il crossover per la sonorità di un altoparlante, malgrado resti necessario ai fini della corretta operatività di qualsiasi esemplare non a larga banda. Di conseguenza utilizzarne uno che abbia già per suo conto caratteristiche di linearità e di attenuazione uniforme al di fuori dell’intervallo di frequenze assegnatogli permette di ottenere risultati estremamente difficili altrimenti.

I limiti maggiori dell’801 risiedevano nella difficoltà di pilotaggio e nell’aspetto non particolarmente aggraziato, specialmente quando si lasciava montata la copertura di protezione di midrange e tweeter, mentre le proporzioni del volume di carico della via inferiore erano tali da produrre l’impressione di una sorta di bassotto.

La sua prima derivazione, appunto il modello 802, migliorò sensibilmente le cose, quantomeno riguardo all’estetica: la sostituzione del woofer da 30 cm con una coppia di altoparlanti da 20 permise di realizzare un sistema a torre dall’aspetto ben più slanciato e convincente, inseribile in un normale ambiente domestico.

Per il resto l’802 restava del tutto invariato, a partire dalla “testa” in cui alloggiavano midrange e tweeter. Anche il sistema APOC continuava a far parte dell’equipaggiamento del diffusore: si trattava di un sistema di protezione elettronico, che in presenza di tensioni troppo elevate in ingresso provvedeva a staccare gli altoparlanti per mezzo di un relé.

Proprio tale componente, ora che sono passati alcuni decenni, potrebbe creare fastidi, al di là delle limitazioni soniche derivanti dall’apporre un’ interruzione sul percorso del segnale. In sé e per sé il sistema APOC certifica la destinazione dei due modelli agli utilizzi di tipo professionale, con particolare riguardo agli studi di registrazione, nei quali spesso e volentieri i diffusori sono sollecitati oltremodo poiché chiamati a sopportare potenze rilevanti e ad emettere pressioni sonore di pari entità.

La coppia di diffusori descritta in questa sede appartiene alla cosiddetta Serie 80, quasi del tutto simile alla primissima versione degli 802. Ad essa è accomunata dall’impiego di un volume di carico per i woofer in sospensione pneumatica, mentre a partire dalle versioni successive si sarebbe passati al bass reflex, mantenuto nelle varie edizioni del diffusore succedutesi fino ai giorni nostri.

La pubblicazione dell’articolo dedicato a uno dei diffusori di successo e prestigio maggiori, realizzato da B&W cade in un momento particolare, in cui per la prima volta il marchio inglese sta conoscendo vicissitudini tali da porre in discussione il proseguimento della sua attività.

Non riguardano l’aspetto tecnico e prestazionale dei suoi diffusori, sui quali ci sarebbe comunque da discutere, data la piega che hanno preso dall’esordio della serie Nautilus in poi: i problemi sono di ordine economico o meglio ancora finanziario, secondo quella che è divenuta ormai una prassi del mondo moderno per come lo conosciamo.

In pratica accade questo: il gruppo Sound United, del quale il marchio inglese fa parte insieme a Marantz, Denon, Polk Audio, Boston Acoustics e altri minori, da qualche tempo è stato acquisito da un gruppo ancora più grande, Masimo. I suoi azionisti sono in allarme perché nel corso dell’ultimo esercizio finanziario Sound United ha perso valore per ben 5 miliardi di dollari.

Al di là dei metodi coi quali si definisce il valore di un’azienda, in buona parte fittizi e centrati non di rado sulla capacità di mettere in mezzo alla strada il maggior numero di lavoratori in un sol colpo, aumentando la redditività per mezzo della riduzione draconiana delle spese, gli azionisti di Masimo si sono rivoltati contro l’amministratore delegato, Joe Kiani, accusandolo di gestione personalistica. Dettata non dalle opportunità di mercato ma dalle sue inclinazioni personali, che lo avrebbero spinto ad acquisire Sound United qualche tempo fa. Per questo è stato richiesto di revocare la carica attribuitagli o in alternativa di affiancarlo con altri rappresentanti per meglio controllare il suo operato.

Il gruppo Masimo è attivo in particolare nel settore sanitario, il quale sembra garantire profitti ben più significativi rispetto a quelli usuali nell’ambito della riproduzione sonora, anche per marchi di simile rinomanza, oltretutto  a fronte di investimenti rilevanti per la ricerca necessaria per tenersi al passo dell’evoluzione tecnica e per la realizzazione di nuovi prodotti.

Kiani ha risposto alle accuse con la proposta di separare le controllate in due divisioni distinte e separate: da una parte i marchi operanti nel settore audio e dall’altra le aziende che si dedicano al settore sanitario, ben più redditizio. La prassi tipica del mondo finanziario rende pertanto probabile che a breve la divisione audio di Masimo debba cercare quella che si definisce joint venture con nuovi investitori, se non addirittura essere ceduta tout court, il che rende incerto il futuro dei marchi coinvolti nell’operazione.

In buona sostanza l’accusa nei suoi confronti è di essere un appassionato, e per questo con modalità del tutto umane ha ritenuto forse d’impulso di acquisire un contenitore azionario composto dai titoli di alcuni tra i marchi oggetto della sua passione. Dimostrando così che nella società capitalista e negli affari che la riguardano il primo comandamento da osservare scrupolosamente è la disumanità.

Da rilevare inoltre che già nel 2022, all’annuncio dell’acquisizione di Sound United da parte di Masimo, il valore delle azioni della società compratrice era caduto del 18%, per il solo effetto delle previsioni infauste cui l’operazione diede luogo. Questo tanto per capire come funziona il mondo della borsa.

Fin qui la cronaca spicciola, rispetto alla quale le fonti più o meno specializzate si limitano alla mera descrizione dei fatti, trascurando scrupolosamente di trarne le dovute conclusioni.

Per prime quelle legate alla specialità di nostro interesse: un tempo, quando marchi come B&W o Marantz sono riusciti ad issarsi ai vertici della riproduzione sonora amatoriale, era sufficiente realizzare un prodotto sonicamente valido e redditizio abbastanza da far guadagnare quel tanto che bastava alla prosecuzione dell’attività e possibilmente a far si che diventasse sempre più prospera. Migliorava così la posizione economica di chi quei marchi li aveva prima messi in piedi e poi resi popolari, quantomeno nell’ambito merceologico di cui facevano parte.

Oggi questo non basta più. dato che le conseguenze tipiche della prassi inerente la produzione di denaro dal denaro, con la relativa ricerca febbrile di realtà imprenditoriali redditizie abbastanza da indurre l’onestissima speculazione a scommettere su di esse le somme dalle quali si prefigge di ricavare a getto continuo ulteriore liquidità, pretendendo che il denaro così immobilizzato renda in percentuali sempre più cospicue.

In caso contrario lascia andare l’azienda al suo destino, segnato già in partenza per il solo fatto di essere entrato sotto le mire della speculazione, al primo accenno di rallentamento dei profitti o persino alla diminuzione del suo valore, calcolato secondo parametri effimeri e del tutto arbitrari, inerenti in ogni caso quanto di peggio possa esistere per quella che si definisce società civile. Come appunto il licenziamento in tronco di masse ingenti di lavoratori, quasi sempre specializzati.

Parolina che si usa quasi sempre a sproposito e mai per significare quel che vuol dire realmente, ossia che la specializzazione è roba che costa. Soldi ma soprattutto tempo, pertanto chi ha utilizzato gran parte del suo a specializzarsi in un settore qualsiasi, ma poi si ritrova in mezzo a una strada per questioni riguardo alle quali non ha il benché minimo controllo, difficilmente potrà riciclarsi in qualcos’altro per avere una nuova occupazione. Anche perché i livelli di specializzazione richiesti al giorno d’oggi sono sempre più spinti e come tali richiedono sempre più denaro e tempo per poter essere conseguiti.

Dunque l’iper-specializzazione fa di chiunque possa vantarla un individuo sempre più a rischio per la sua stessa sopravvivenza e quella della sua famiglia, proprio perché nel momento in cui viene licenziato, il che con le dinamiche attuali del mondo finanziario che predomina in maniera tanto priva di scrupoli su quello del lavoro è pressoché inevitabile, difficilmente potrà trovare un’occupazione al livello del suo grado di preparazione. Nemmeno potrà rassegnarsi a occupazioni e qualifiche di rango inferiore, dato che i selezionatori del personale sono particolarmente attenti ad evitarne di “troppo qualificato” per le occupazioni da coprire, in quanto ritenuto causa certa di beghe e di disturbo.

Questo a livello sociale, dimostrazione ennesima che il capitalismo divora tutto quanto trova sul suo cammino, senza distinzione alcuna, e come tale è destinato fatalmente a fagocitare anche sé stesso. Non prima ovviamente di averlo fatto con tutti noi.

“In virtù del modo in cui è organizzata la propria base tecnologica, la società industriale contemporanea tende ad essere totalitaria. Non soltanto una forma di governo e di dominio politico producono totalitarismi, ma pure un sistema specifico di produzione e distribuzione, sistema che può benissimo essere compatibile con un pluralismo di partiti, di giornali, di poteri controbilanciantisi eccetera”.

Herbert Marcuse

Quanto detto fin qui comporta che la somma spesa dal singolo appassionato per un qualsiasi componente del suo impianto sia destinata innanzitutto e per una quota rilevante ai dividendi destinati a chi controlla il pacchetto azionario del fabbricante. E se non sia mai sono minori delle previsioni, non ci mette nulla a liberarsi di quelle azioni per prenderne altre potenzialmente più redditizie.

Questo gioco al massacro fa si che di un’attività in partenza florida si estragga la polpa fin quando è conveniente farlo, per poi buttare via la buccia e passare allo sfruttamento di una nuova realtà imprenditoriale sufficientemente profittevole da attirare le mire dei cacciatori di aziende.

Inevitabile pertanto che l’appassionato-tipo, per il soddisfacimento delle sue velleità sia chiamato a spendere somme sempre più importanti, per avere in cambio un prodotto sempre più svuotato tecnicamente e sempre meno in grado di produrre sonorità all’altezza della situazione.

Tutto questo mentre coi prezzi al pubblico di prodotti e derrate è divenuto semplicemente impossibile restare al passo, ossia proprio quello che è stato promesso non sarebbe mai potuto accadere con la moneta unica. Il che era senz’altro giustificativo dei sacrifici enormi che è stato necessario accettare in suo nome. Tacciando per maggior sicurezza di essere un complottista fascistoide chiunque azzardasse una posizione contraria nei suoi confronti, questo si molto democratico.

Tale contrarietà derivava dalla consapevolezza per la valenza della moneta unica quale strumento e per le finalità che ci si prefiggeva di ottenere per il suo tramite: un impoverimento di massa di proporzioni mai viste prima, a favore di una minoranza infinitesimale di individui da arricchire a dismisura, con l’accrescimento altrettanto sproporzionato del potere messo nelle loro mani da quello stesso meccanismo.

Ne è derivato, a livello di riproduzione sonora, l’obbligo di rassegnarsi a un’ulteriore spinta alla regressione che sulle prime può sembrare impercettibile, e viene comunque negata instancabilmente dalla propaganda di regim… oops di settore, ma che nel medio-lungo termine non potrà che rendere palesi tutte le sue conseguenze. Quantomeno nei confronti di chi sia provvisto di organi uditivi funzionanti almeno in maniera decente.

La realtà osservabile giorno per giorno nelle discussioni che hanno luogo nei social di settore certifica questa tendenza in maniera tanto inoppugnabile quanto drammatica.

Ecco perché i media specializzati  insistono a tal punto con la loro propaganda assordante: la loro funzione non è più pubblicizzare un prodotto che può essere più o meno valido, ma produrre una platea di acquirenti incapace di comprendere la realtà dei suoni riprodotti, in quanto impossibilitati materialmente a percepirli per quelli che sono in effetti e quindi a comprenderne realtà, valenza e potenzialità.

I soli in grado di scampare a questa tendenza dilagante sono gli oligarchi. Non a caso la classe di prodotti appositamente realizzata per loro è l’unica risparmiata dal regresso divenuto ormai legge ed è il solo settore in crescita, quantomeno a livello di offerta, della riproduzione sonora. Ormai i singoli componenti, non gli impianti completi, si badi bene, che costano più di un appartamento nel centro delle grandi città non si contano più, come innumerevoli sono le persone che sbavano di fronte ad essi in un vorrei ma non posso che è diventata attività preminente nell’ambito della riproduzione sonora.

Come tutte le cose di questo mondo, anche questa tendenza ha i suoi costi. Il primo risiede nell’impossibilità concreta di attribuire ai prodotti che fanno parte dell’hi-fi per oligarchi un livello prestazionale proporzionato ai prezzi che li caratterizzano. Del resto anche se ciò fosse possibile non avrebbe significato alcuno, per il semplice motivo che chi ha passato la vita nelle attività oltremodo commendevoli che permettono di assurgere a un determinato status, difficilmente ha avuto il tempo o solo l’inclinazione di dedicarsi allo sviluppo della sua sensibilità in maniera adeguata a comprendere le eventuali finezze di certi prodotti. Chi invece si è trovato a ereditare detto status ha ottime probabilità di essere già tarato per conto proprio, quindi nei suoi confronti il problema non si pone neppure.

Per tutti quanti non fanno parte di quella ristretta cerchia di ottimati c’è solo da leccarsi le ferite, nella consapevolezza che le somme che si vedono richiedere per oggetti sempre più inadeguati vanno a coprire i loro costi tecnici e di distribuzione solo in parte minore. Il resto serve a soddisfare la sete di profitto di una classe parassitaria il cui unico interesse risiede nella maturazione di cedole azionarie le più grasse possibile.

Con presupposti del genere è inevitabile che, come spiegano le fonti, il settore della riproduzione sonora stia finendo sempre più nelle mani di piccoli marchi cinesi, a loro volta riforniti da un sistema produttivo a monte basato su serializzazione e massificazione portate all’estremo, nei confronti dei quali non è materialmente possibile competere, da parte di tutto quanto abbia origine nel cosiddetto mondo occidentale.

Ci troviamo di fronte agli esiti di una guerra, di ordine commerciale, dalle conseguenze di proporzioni non dissimili da quelle tradizionali combattute a suon di missili e armi da fuoco.

Anche il suo svolgimento ha un curioso parallelo con quel che avviene sui campi  di battaglia attivi nella fase storica attuale. Con l’impiego di droni da qualche centinaio di dollari l’uno si mettono fuori uso senza difficoltà armamenti sofisticatissimi dal costo di milioni di dollari per esemplare, spacciati per strumenti invincibili atti a produrre una supremazia bellica definitiva dalla propaganda dell’industria degli armamenti, che curiosamente ha operato con argomenti identici argomenti a quelli utilizzati per il settore della riproduzione sonora. Gli Stati e i loro ministeri della guerra li si è così convinti a includere quelle armi costosissime e inefficienti nei loro arsenali, spendendo a tal fine somme enormi, sottratte a quanto necessario ai loro popoli, di conseguenza impoveriti come mai in passato. Nello stesso identico modo in cui chi spende in apparecchiature dai costi inverosimili si vede dare in cambio roba a essere buoni inadeguata e ne sottrae i costi al benessere, allo svago e allo sviluppo armonico dei componenti della propria famiglia.

Mettersi a elencare i propri “io l’avevo detto” è cosa sempre antipatica. Tuttavia, di fronte a una condizione come quella attuale è inevitabile riandare al primissimo oggetto di fabbricazione cinese che arrivò sul nostro mercato una trentina di anni fa. Si trattava di un amplificatore, di marchio NAD, nel commento del quale rilevai che se in quel momento poteva apparire oltremodo conveniente affidare a terzisti in grado di fabbricare a costo prossimo allo zero un prodotto da rivendersi sui mercati occidentali ai prezzi che li caratterizzano, con un profitto inimmaginabile altrimenti, si trattava di una pratica allettante ma ancor più votata al suicidio.

Cosa avrebbe trattenuto infatti l’industria cinese, una volta acquisite le conoscenze che lo stesso mondo occidentale le ha fornito per sete di profitto, a realizzare il proprio prodotto ai costi che le sono abituali e rivenderlo per conto proprio sui mercati di tutto il mondo, estromettendo in via definitiva una committenza mai tanto ingorda e sciagurata?

Questo si è verificato puntualmente anche se chi di dovere, con la consueta faccia di bronzo e la sua indole reazionaria accuratamente mascherata dietro la pubblica proclamazione di fede progressista e libertaria inattaccabile, sul momento ha pensato bene di censurare quel discorso, ritenendolo per nulla confacente alle finalità meramente propagandistiche della pubblicazione di cui era stato messo a fare il cane da guardia.

In merito all’argomento in questione rimane un ultimo aspetto, trascurabilissimo. Quello evidenziato dalle cronache inerenti le attività del gruppo Masimo, come abbiamo visto specializzato nel settore sanitario. Il quale sembrerebbe caratterizzato da un livello di redditività impossibile da ottenere per qualsiasi azienda attiva nell’ambito della riproduzione sonora, sia pure del calibro di Marantz, Denon, B&W e simili.

Inevitabile chiedersi allora come si possa contemperare un aspetto della massima criticità come la salute dell’individuo e quindi dei popoli di cui fa parte con un livello tanto rilevante di redditività. Non è che per caso la ricerca di essa, a tal punto esasperata, potrebbe indurre tendenze, prassi  e prospettive volte a privilegiarla nei confronti di qualsiasi altro aspetto?

Quali costi è necessario affrontare, a livello di Stato e oramai sempre più di privato e del singolo cittadino, per mantenere un livello di salute almeno decente, se la produzione di tutto quanto è ad essa necessario deve soddisfare simili livelli di profittabilità?

Inoltre, se l’obiettivo primario è il reddito, un’azienda attiva nel settore sanitario cos’è chiamata a perseguire in primo luogo, la produzione di un farmaco o prodotto medicale massimamente efficace per la salute o per i propri bilanci? Cosa sarebbe portata a fare e su quali leve potrebbe agire, quell’azienda, nel momento in cui per le cause più disparate il suo azionariato le richiedesse di migliorare la propria redditività con la minaccia di dirottare altrove le masse di denaro sempre più ingenti che controlla?

Quale compatibilità hanno le pratiche tipiche del capitalismo finanziario e della speculazione a tal punto esasperata con aspetti di tali delicatezza ed essenzialità come la salute dell’individuo e più in generale quella pubblica? Quale opportunità vi è nel subordinarla alle questioni inerenti il profitto?

Cosa accadrebbe qualora detto profitto, per effetto stesso del suo moltiplicarsi all’infinito, prendesse definitivamente il sopravvento nei confronti di ogni altro aspetto, segnatamente di quanto rimane indispensabile per la salvaguardia della salute e quindi della sopravvivenza della stessa razza umana e per conseguenza inevitabile lo sacrificasse per i suoi fini?

In condizioni del genere il mondo finanziario, giunto a un livello di strapotere mai conosciuto in passato, non potrebbe decidere che l’intera popolazione del mondo occidentale debba sottoporsi a terapie sperimentali fatte passare per vaccini e rese obbligatorie con una scusa o con l’altra?

Non si potrebbe giungere in un lasso dei tempo ragionevolmente breve alla decimazione delle popolazioni stesse, traguardo agognato proprio dalle oligarchie e mille volte da esse dichiarato, a voce e sulla carta stampata di libri e giornali? Altrettanto pubblicamente si propone già da tempo di sostituirle nelle mansioni rispetto alle quali sono indispensabili per il loro svolgimento mediante dispositivi meccanizzati, settore che negli ultimi anni sta conoscendo i progressi maggiori nell’ambito tecnologico. Già, ma a quel punto a cosa servirebbero più le società di capitali e i prodotti ricompresi nel settore della sanità? A nulla, tranne quella ristrettissima élite che ha deciso di salvaguardare sé stessa dal destino che ha deciso per tutti gli altri, in maniera mai così arbitraria.

Nuova e ulteriore dimostrazione che la sola attitudine del capitalismo è distruggere tutto quanto incontra lungo il suo cammino. In funzione della sua finalità concreta, produrre masse sempre più ingenti di carta straccia.

Un’ulteriore riflessione al riguardo: se come dicono le fonti summenzionate il settore della riproduzione sonora sarebbe caratterizzato da investimenti così rilevanti per la prosecuzione dell’attività da spaventare gli onestissimi speculatori abituati a soddisfare la loro sete di guadagno attraverso il settore sanitario, ciò non sottintende che quest’ultimo presupponga investimenti sensibilmente meno rilevanti? Dunque con quale esiguità di mezzi si procede al mantenimento della salute pubblica a tutto vantaggio dei meccanismi speculativi?

Ora l’appassionato medio che ha avuto la forza, o forse lo stoicismo, di arrivare fin qui potrebbe pensare: si, tutto bello tutto giusto, ma come evitare di contribuire a quel meccanismo dovendo comunque soddisfare in qualche modo la necessità di ascoltare musica a un livello qualitativo rilevante?

 

O’ miracolo, parte seconda

La risposta è semplice: andando sull’usato, riportandolo in condizioni simili se non addirittura superiori a quelle di un nuovo del quale la propaganda di regime si sgola recitando a oltranza i suoi mantra miracolistici, per convincerci che le sue doti sono impareggiabili da parte di tutto quanto realizzato fino al millisecondo precedente, Quando invece mai prima d’ora il prodotto in commercio è stato così tecnicamente e qualitativamente svuotato, proprio per effetto dei meccanismi analizzati fin qui.

Gli 802 descritti in questa sede sono un esempio di grande efficacia per quel che è possibile ottenere così facendo. Si tratta di un diffusore tecnicamente inappuntabile, prodotto oltretutto in una fase storica in cui la finalità primaria non era il soddisfare le velleità insaziabili di profitto di una classe parassitaria, ma realizzare innanzitutto qualcosa che suonasse non solo bene ma possibilmente meglio di tutto quanto lo avesse preceduto.

Ossia in maniera innanzitutto equilibrata e naturale, cose ormai perdute per il semplice motivo che le dinamiche di mercato attuali impongono innanzitutto una velocità di rotazione del prodotto, quindi di vendita e sostituzione, nei confronti delle quali prerogative del genere non sono inadeguate ma del tutto inconciliabili. Quel che deve predominare è l’effetto speciale che nel combinato disposto tra effetto visivo e uditivo convinca all’istante il malcapitato che proprio quello è ciò che fa per lui.

Equilibrio e naturalezza del resto sono cose che abbisognano di tempo per essere comprese e prima ancora per maturare l’esperienza necessaria a comprenderne il valore effettivo, impareggiabile da parte dell’effimero con cui li si vorrebbe sostituire.

Effimero che oltretutto è per forza di cose malsuonante, come tutto quanto si affidi all’effetto speciale per accalappiare al volo il compratore dal portafogli troppo pieno e come tale spesso convinto che col solo potere del denaro sia possibile acquistare qualsiasi cosa, senza sforzo o impegno alcuno.

Certo, stiamo parlando di un oggetto caratterizzato dalle sue limitazioni, dovute alle concezioni e alle stesse disponibilità di materiali della sua epoca. Ma cosa accadrebbe se si rivedessero quegli aspetti alla luce delle concezioni e delle disponibilità attuali? Si otterrebbe un diffusore all’altezza di qualsiasi confronto e per qualsiasi intendo proprio quella robaccia modernissima ma irrimediabilmente brutta venduta a prezzi da manicomio criminale, di cui la propaganda di settore fa di tutto per convincere i non iniziati (cit.), ossia chiunque non possa contare sul livello di esperienza necessario a comprendere di cosa si tratta realmente. che null’altro vi si possa confrontare.

 

Non sono proprio tale insistenza e tanta urgenza nel voler convincere a qualsiasi costo tutto e tutti, dando luogo in concreto a quel che diventa un bombardamento mediatico indiscriminato e senza requie, a rendere già di per sé evidente che le cose non stanno assolutamente come si vorrebbe far credere, ma proprio al suo contrario?

Il combinato disposto tra le affermazioni miracolistiche delle fonti di settore, la valenza delle quali abbiamo già analizzato a suo tempo, e l’assalto alle facoltà cognitive del pubblico compiuto per mezzo dei social, i quali rivelano ogni istante di più le loro vere finalità di mezzi di persuasione occulta mascherati da aree di discussione libera hanno proprio il compito, con le loro asserzioni prive di senso e fondamento, d’indurre a credere che per effetto di un progresso inesistente nulla possa confrontarsi con il prodotto attuale. E ancor meno con quello prossimo venturo.

Per questo sono affidate a una serie di figure prive di qualsiasi credibilità per chiunque abbia ancora occhi per vedere, giunte a un livello di autoreferenzialità che solo qualche tempo fa sarebbe stato difficile già da immaginare, figuriamoci credere alle loro asserzioni roboanti e grondanti retorica da due soldi al miriagramma, palesemente prive di qualsiasi fondamento per impossibilità storica, prima ancora che anagrafica.

Ma d’altronde come ha ben spiegato un certo Giuseppe Goebbels ormai quasi un secolo fa, fare della menzogna più spudorata una verità inattaccabile è solo questione di quante volte e con quanta frequenza e da quali fonti la si ripete. Non è un caso allora che proprio le prese di posizione e le asserzioni più regressive riguardanti il settore di nostro interesse si stiano moltiplicando a dismisura, tacitando per effetto della loro stessa sproporzione qualsiasi ipotesi fondata sul minimo residuale di ragionevolezza e frutto di una concreta esperienza.

Parte sempre maggiore del pubblico, proprio per mancanza di essa e in funzione del progressivo ricambio generazionale che sta avendo luogo giorno dopo giorno, a quel cumulo inverosimile di corbellerie è portato per forza di cose a credere, non avendo d’altronde alcun riferimento o quasi portatore d’idee meno irragionevoli.

Lo scopo è esattamente quello: sbarazzarsi di elementi di confronto scomodi, tanto a livello di prodotto quanto di pubblico. I figli del cosiddetto rinascimento, quello che ebbe luogo quando si chiuse, allora si credette in via definitiva con l’epoca precedente, quella delle lucine, dei tastini, e dell’autismo misurista basato sul numero di zeri pari a infinito prima della prima cifra significativa per i valori di distorsione armonica, per mezzo dei quali si credeva d’imporre l’eccellenza di un prodotto che invece ne veniva penalizzato, lo sono altrettanto. Proprio perché hanno potuto maturare un’esperienza tale da far comprendere loro che l’essenzialità è la vera eccellenza delle soluzioni, quelle nascoste e non quelle messe lì apposta insieme a dosi di orpello inverosimili per fare da richiamo ai non iniziati, dietro cui c’è il nulla mascherato da chissaché, sono la strada per arrivare alla soddisfazione delle proprie ambizioni, sonicamente parlando.

Per fortuna della restaurazione l’anagrafe non conosce soste e, complici alcune manovre sanitarie, settore di cui abbiamo toccato con mano l’enorme profittabilità, che quasi sempre va a braccetto con la mancanza di scrupoli più assoluta, questa classe di appassionati scomodi sta togliendosi di mezzo. Definitivamente e con grande sollievo dei mercati e dei loro meccanismi devastanti

Anzi per molti versi lo ha già fatto. Anch’io del resto, che a suo tempo sono stato piuttosto precoce nel dedicarmi alla riproduzione sonora ed ai suoi annessi e connessi mi sto avvicinado rapidamente a un’età in cui la maggioranza delle persone diventa per così dire inoffensiva.

Difficilmente quelli che li e ci stanno sostituendo avranno modo di costruirsi un’esperienza paragonabile: per mancanza di esempi innanzitutto e anche per l’interessato contributo di quanti tra i “vecchi” sono pronti a vendersi al miglior offerente, tipologia umana di cui non vi è mai penuria, al fine di passare sopra a tutto e sotto a tutto.

A personaggi simili industria e mercati fanno ovviamente ponti d’oro. Speriamo di trovare il tempo, nell’immediato futuro, di occuparci di qualche esempio di quella fauna tanto particolare eppure diffusa.

Tornando agli 802, analizzandone gli aspetti realizzativi si nota fino a che punto siano legati alla loro epoca, inevitabilmente. A un’equipaggiamento di altoparlanti e a una realizzazione del mobile di prim’ordine si contrappongono soluzioni prossime all’inverosimile. Prima fra tutte quella inerente il cablaggio interno, realizzato come nella convinzione che il trasferimento del segnale avvenga per opera di qualche entità sovrannaturale.

Proprio come la maggioranza ritiene oggidì, in cui si stanno riportando in auge tutte le convinzioni più deteriori di un passato che fino a poco tempo si sarebbe ritenuto sepolto per sempre.

Degrado e restaurazione sono le direttrici primarie lungo le quali la riproduzione sonora sonora amatoriale sembra avviarsi irrimediabilmente, con la rivincita della grande industria e degl’interessi dei quali è portatrice, che non a caso sta tornando ad affacciarsi nel settore, dopo i decenni nei quali si era ritirata, proprio in funzione degli effetti causati dal cosiddetto rinascimento. Stiamo quindi rientrando in una nuova fase di medioevo: prima ne prendiamo atto e prima riusciremo ancora una volta a liberarcene. Almeno si spera.

Quel cablaggio interno, visto con gli occhi di oggi rasenta il paradosso. Prima si realizza un diffusore prevedendo sia sottoposto a potenze in ingresso spropositate, così da rendere indispensabile la realizzazione di un sistema che ne protegga gli altoparlanti, sia pure caratterizzati da capacità di sopportare potenza tutt’altro che deficitarie.

Poi però per trasferire quelle potenze, e inevitabilmente il segnale di cui costituiscono una peculiarità, dai morsetti d’ingresso al crossover e da questo agli altoparlanti dei cavettini insignificanti, probabilmente caratterizzati anche da buona qualità del materiale conduttore, ma di sezione davvero troppo risicata.

Come se non fosse già più che abbastanza, i woofer, ossia gli altoparlanti cui di tutta quella potenza verrà indirizzata la massima parte, non sono collegati alle uscite del crossover in maniera indipendente, ma per mezzo di un singolo cavo che da questo va al primo di essi, da cui parte un ulteriore spezzone che collega anche il secondo. Per conseguenza, un solo cavo deve sopportare il flusso di segnale destinato a entrambi gli altoparlanti della via inferiore.

Poi però ti vengono a raccontare che i bassi dei diffusori B&W sono tradizionalmente inadeguati. Ci credo, se le soluzioni al riguardo sono queste, cos’altro ci si può aspettare?

Forse allora non è un caso che un appassionato di grande esperienza, coinvolto a vario titolo anche con le funzioni che si svolgono dall’altra parte della barricata, di fronte ai miei diffusori, degli 803 Serie 2 Matrix ovviamente modificati, a suo tempo ha esclamato “E’ la prima volta che sento uscire bassi convincenti da dei B&W”.

Il crossover non è solo parecchio complesso, a prescindere dalla presenza sullo stesso stampato dei componenti utilizzati per il dispositivo di protezione APOC, caratterizzato oltretutto da valori dei componenti generalmente elevati, come spesso avviene nei sistemi a tre e più vie di classe elevata, in funzione dei punti d’incrocio prescelti per i rami di filtraggio da cui è composto.

Questo comporta un aumento dei costi necessari al suo rifacimento, dato che a parità di tipologia il costo dei componenti è proporzionale al loro valore elettrico. Nonostante ciò, l’acquisto e la revisione di una coppia di 802 risulta oltremodo conveniente nei confronti di qualsiasi prodotto attuale di classe e prestazioni confrontabili.

Conveniente anzi è ancora poco, dato che con i prezzi oggi abituali per diffusori di rilievo simile, acquistare una coppia di 802 e metterli a punto comporta una spesa pari a una frazione di quella necessaria per un diffusore moderno. Rispetto al quale peraltro è tutto da vedere se sia in grado di esprimere doti di musicalità altrettanto spiccate.

Certo, per ottenere determinati risultati è necessario fare le cose in un certo modo, ma una volta soddisfatti determinati punti fermi, non so davvero quale diffusore possa impensierire gli 802 se di costo inferiore a 15-20 mila euro. Ecco perché la propaganda insiste tanto sul progresso, inesistente e la modernità, proprio perché la sproporzione è tale, non solo a livello di rapporto spesa/qualità ma proprio in termini assoluti, da risultate semplicemente distruttiva per il prodotto attuale.

Diffusori come gli 802 possono essere inadeguati solo in un aspetto: quello inerente la pacchianeria e la bruttezza plateale che caratterizzano il prodotto attuale, cosa che francamente non mi dispiace.

Inoltre non vedo perché dovrei comperare un prodotto di cui la maggior parte del costo va a ingrassare una manica di parassiti che pretendono di fare la vita dei nababbi alle spalle della collettività. Sia pure, in questo caso, quella alquanto ristretta composta dagli appassionati in grado di affrontare un certo livello di spese per i loro diffusori.

Piuttosto, porto la famiglia a fare una vacanza memorabile per il resto della vita di ciascuno dei suoi componenti.

Poi con quel che avanza mi compro gli 802 o qualsiasi diffusore consimile, lo metto a posto e ottengo oltretutto un risultato di gran lunga migliore.

E alla speculazione, insieme ai suoi maggiordomi, faccio il gesto dell’ombrello.

In origine il crossover degli 802 trovava posto in una nicchia posta alla base del diffusore, il cui spazio è occupato per intero dallo stampato su cui trova posto, anche con una certa difficolta, la relativa componentistica.

E’ composta, per quel che riguarda i condensatori, da tutti elettrolitici o quasi. Solo la rete del tweeter si salva da essi, utilizzando dei componenti a film che con ogni probabilità sono anch’essi a fine vita.

La loro sostituzione integrale con componenti a film e di qualità elevata, dati i valori in gioco comporta ingombri tali da non rendere più sufficienti gli spazi previsti all’origine, obbligando a spostare il tutto all’interno del cabinet vero e proprio.

A questo proposito rileviamo che il crossover è stato suddiviso al fine di permettere il pilotaggio in biwiring del diffusore, per mezzo di morsetti appositamente sostituiti.

Qualcuno potrebbe obiettare che la soluzione a crossover esterno sarebbe stato meglio indicata. Non sono assolutamente d’accordo, poiché comporta un allungamento del cablaggio e l’obbligo di ricorrere a ulteriori interruzioni della continuità di conduzione del segnale, tale da vanificare e peggio causare degrado in proporzioni significativamente maggiori rispetto ai vantaggi che può apportare. Se si adottano le scelte opportune, infatti, il crossover esterno è vantaggioso solo quando si prevede di dover rimettere le mani su di esso, per modificarne la composizione. Nel momento in cui si è sicuri di quel che si deve fare, e si sa come alloggiarlo, il crossover interno è senz’altro più indicato.  

Osservando il retro dello stampato su cui è posizionato il crossover previsto in origine, se ne notano le piste di stampato dallo sviluppo decisamente considerevole, per la sua lunghezza complessiva.

Sarei disposto a scommettere qualsiasi cifra che già eliminando quelle, insieme al cablaggio interno eseguito dal costruttore, si otterrebbero miglioramenti parecchio significativi, in termini di qualità sonora, anche senza toccare alcun componente del crossover.

Nel momento in cui anche per questi ultimi si adotta materiale all’altezza della situazione, possibilmente senza star li a lesinare sul centesimo, i risultati ottenibili hanno davvero dell’inverosimile. Anche per me, che ormai sono abituato da diversi anni a compiere operazioni del genere e quindi so perfettamente che genere di risultati sia possibile ottenere facendo le cose in un certo modo.

Eppure ogni volta mi stupisco, dato che i risultati vanno regolarmente oltre le attese. Questa volta poi lo hanno fatto con un margine davvero imprevedibile, a dimostrazione che quando l’ossatura è di valore, leggi altoparlanti e realizzazione del cabinet, se gli si mette vicino tutto il necessario affinché possano esprimere il loro vero potenziale, solo nel momento in cui si ascolta si può capire quale margine di miglioramento sia possibile ottenere.

In questo caso anzi parlare di miglioramento è persino riduttivo, dato che ci troviamo di fronte proprio a un altro diffusore. Caratterizzato da un equilibrio e un allineamento tra le diverse gamme di frequenza allo stesso livello se non superiore rispetto a quello previsto all’origine dal costruttore. Quindi la personalità timbrica rimane del tutto invariata, espressa però a un livello di qualità sonora, intesa nella sua vera essenza ossia in termini di pulizia, trasparenza, fluidità, nitidezza, estensione, precisione, dinamica, capacità di affrontare senza fare una piega i passaggi più irti di difficoltà, prima catalogabili nel novero delle pie illusioni, seppure.

La gamma bassa poi non ha proprio più alcun riferimento con quella di prima, che per conto suo sembrava già non dico eccellente ma senz’altro più che sufficiente. In realtà, dopo l’ascolto del diffusore aggiornato si comprende che  gridava semplicemente vendetta, tanto era compressa, slabbrata, gommosa e priva di articolazione rispetto alla condizione attuale, in cui comunque l’elemento che si issa sopra ogni altro è la sua apparente assenza di qualsivoglia limitazione a livello di tenuta ed estensione.

E’ qualcosa che è particolarmente difficile rendere a parole e del tutto fuori da ogni comprensione se non la si è ascoltata di persona, ovviamente in presenza di un impianto all’altezza della situazione. Spesso infatti sfugge che il comportamento di un diffusore è dato per una parte rilevante proprio dal segnale che si presenta ai suoi morsetti d’ingresso. In caso di una sua pur parziale inadeguatezza, mai e poi mai il diffusore sarà in grado di esibire le sue vere doti.

Parecchio migliorata inoltre è la sua coesione con il resto dell’emissione, elemento tipicamente manchevole nei diffusori che frazionano maggiormente la gamma audio. Si tratta dell’esempio tipico di come un difetto, oltretutto marchiano, sia interpretato come un pregio, da parte degli estimatori della particolare tipologia di diffusori, i quali imputano a quelli meno complessi la colpa di possedere una coerenza di emissione di ben altro rilievo.

In realtà i multi-via hanno il solo vantaggio, teorico, di sopportare meglio potenze rilevanti, in quanto ripartite su un numero maggiore di altoparlanti. Ulteriore dimostrazione di un elemento che negli ultimi decenni  si finge di dimenticare, sempre per la sacra causa del profitto: l’impiego di potenze elevate comporta sacrifici rilevanti in termini qualitativi, sia a livello di erogazione, da parte dell’amplificatore, che di utilizzazione, da parte del diffusore.

Un ultimo appunto, riguardante la questione sempre alquanto dibattuta relativa al rodaggio dei componenti. Per esperienza so perfettamente che quando si riattacca un qualsiasi diffusore dopo l’intervento di ottimizzazione, si percepisce una determinata sonorità. Basta ascoltare fino all’ultimo il primo CD e già nel momento in cui appena è terminato si ricomincia con la prima traccia per ascoltare una sonorità completamente diversa, di ben altra compiutezza che in seguito andrà ad acquisire la sua forma definitiva. Forse perché qui i componenti del crossover sono in numero sensibilmente superiore al normale, il loro progressivo maturare si è reso ben percettibile. Ma attenzione, non solo con l’accumularsi delle ore delle di ascolto, anche di quelle di riposo. Per i primi tre o quattro giorni di utilizzo infatti, prima che il possessore dei diffusore venisse a ritirarli, si è potuta percepire una differenziazione netta anche al momento della riaccensione dell’impianto rispetto a quel che si era potuto ascoltare il giorno prima.

Non mi sembra il caso di dilungarmi oltre, lascio quindi la parola al fortunato possessore di questa coppia di diffusori, che ora si ritrova per le mani qualcosa di semplicemente unico. Ottenuto peraltro a fronte di una spesa irrisoria rispetto a quel che oggi ci si sente chiedere per roba non solo brutta e pretenziosa, ma assolutamente non in grado di pervenire a livelli di musicalità non dico simili ma neppure confrontabili.

Non solo perché inferiore a causa di quanto abbiamo analizzato in precedenza, ma proprio perché manca la materia prima, quella più essenziale. Gli stampi per determinato materiale umano, infatti, sono da decenni non più disponibili. Prima ne prendiamo atto e meglio sarà: per tutti noi e per il denaro che andiamo a spendere, comunque a fronte di piccoli o grandi sacrifici.

Egr Sig. Checchi,

qui per ringraziarLa con… stupore dopo aver ritirato dopo Suo intervento le mie B&W 802 series 80 che possedevo da tempo. Sempre valide, ma ho accolto i Suoi preziosi suggerimenti essendo ormai tutti i componenti un po’ “vecchiotti”…
Ebbene, essendo stati sostituiti e modificati per biamplificazione (in realtà bi-wiring n.d.C.C.) con crossovers totalmente da Lei studiati ed approntati appositamente e ricablati con ben sette cavi interni per ciascuna cassa, come mi ha riferito, finalmente ieri sera ho provato la qualità del suono.
Un suono veramente mai ascoltato prima per ampiezza, profondità, dettagli, da rendermi stupefatto.
Con una spesa relativamente modesta se paragonata al miglioramento, credo che per un nuovo acquisto avrei dovuto investire somme di gran lunga superiori a quanto da Lei richiestomi.
Ho capito che in molti siamo succubi ed in ricerca delle ultime novità nel campo dell’ hifi, grazie ad una pubblicità (costosa, che paghiamo noi clienti) che ci porta a credere che sia tutto migliore dei prodotti che seppur datati primeggiano tutt’ora e che con qualche intervento di qualità, rimangono unici anche oggi. Basta pensare alla storia delle B&W 801, di cui le 802 sono eredi per un ascolto domestico e non da studiò di registrazione come quello dei Beatles ad Abbey Road.
Con gratitudine.

Gaetano Selandari

Grazie a te, Gaetano.

 

 

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6 thoughts on “B&W 802 Serie 80

  1. Buongiorno Claudio,
    che dire, ho venduto con le lacrime agli occhi le stesse identiche casse un paio di mesi fa. Erano meravigliose e non erano mai state aperte; posso solo immaginare come avrebbero suonato con le modifiche da lei proposte. Purtroppo per necessità e mio malgrado ho venduto e sto ancora vendendo il mio impianto e quelli ereditati da mio padre, tutto di altissimo livello e funzionante, per lo più degli anni ’80. Per ora va così, ma un giorno se potrò, ricostruirò il mio impianto, proprio con prodotti simili e di quel periodo, forse il migliore e più autentico, senza troppi fronzoli e concessioni estetiche.
    Cordiali saluti, Mario

    1. Buongiorno Mario,
      che peccato. Sono diffusori eccellenti già in origine, anche se ti assicuro che è praticamente impossibile immaginare cosa si va a ottenere, tale e tanto è il salto, enorme, che gli si riesce a far fare.
      Malgrado esegua questo tipo di lavori da diversi anni, ogni volta mi trovo a sorprendermi per i risultati che si hanno nel momento in cui si permette a un buon diffusore di esprimere una parte ragionevolmente vicina alla totalità del suo potenziale. Stavolta però è andata diversamente: per quanto fossi convinto della possibilità di ottenere un miglioramento parecchio importante, quel che ho potuto ascoltare a lavoro eseguito mi ha lasciato semplicemente basito.
      Il commento del fortunato possessore dei diffusori, del resto, mi sembra ben descrittivo di ciò cui ci siamo trovati di fronte.
      In sostanza del diffusore originario è rimasto soltanto l’allineamento timbrico, peraltro eccellente. Tutto il resto è stato trasposto su un piano qualitativo tale da non avere praticamente più punto di contatto alcuno con quel che eravamo abituati a conoscere. Mantenendo oltretutto una coesione tra i diversi aspetti che definiscono l’emissione sonora di un diffusore, dall’efficacia tale che è difficile persino inventarsi un paragone atto a descriverla.
      L’idea che mi sono fatto è che ciò si debba a due motivazioni in particolare. La prima è la qualità estrema degli altoparlanti e più in genere del progetto, per quel che riguarda l’interazione con il volume di carico e più in genere con quel che costituisce il mobile. Il secondo è il grado di penalizzazione, estremo, causato da un crossover particolarmente complicato e da un cablaggio interno tanto inadatto, non solo per il conduttore utilizzato, ma proprio per il modo con cui è stato pensato ed eseguito.
      L’aspetto più significativo tuttavia sta nel fatto che con una somma con cui oggi si combina ben poco, se si hanno delle ambizioni, si riesce a mettere insieme un diffusore da assoluto. Date poi le notizie che arrivano dalle ultime edizioni delle mostre di settore, dove bestioni da centomila e più euro, fino a sfiorare il milione, stentano persino a esprimere quel che ci si dovrebbe aspettare da oggetti di prezzo pari a una frazione irrisoria del loro.
      Esprimere una sonorità non dico proporzionale al loro costo ma solo degna di essere definita come tale è come noto fuori da loro scopi, essendo stati realizzati per motivi che con essa non hanno più nulla a che vedere. Un tempo invece sorgenti, diffusori ed elettroniche si cercava di farli suonare al meglio che fosse possibile, sia pure con tutti i loro limiti. Una volta che si rimuovono quelli più marchiani, i risultati sono appunto quelli descritti, in particolare se la base di partenza è di questo livello e si opera nel modo dovuto.
      Concordo anche in merito al resto, ossia alla realtà degli anni ’80, la più felice in assoluto per la riproduzione sonora. Non a caso è coincisa con il cosiddetto rinascimento, cui ho fatto più volte riferimento nei miei articoli. Allora si realizzavano apparecchiature senza fronzoli, nelle quali pertanto la massima parte dei costi di produzione era rivolta all’ottenimento delle doti sonore migliori possibili. Niente di difficile quindi, eppure oggi certi concetti sono arrivati fuori dall’umana comprensione, sicché è praticamente impossibile trovare roba del genere e se pure la si trovasse verrebbe probabilmente rifiutata a prescindere dalla massima parte degli acquirenti potenziali.
      Nel mio piccolo, che in pratica è infinitesimale, mi rifaccio proprio a questo concetto per le apparecchiature che realizzo, l’unico che a mio modo di vedere abbia un senso. Non solo a livello di riproduzione sonora ma anche per la realtà venuta a delinearsi nell’ambito della società civile. In particolare quella del nostro Paese, che sta conoscendo un impoverimento di massa mai visto prima. Le ultime statistiche, risalenti a qualche giorno fa, parlano di un 57,4% della popolazione che ha difficoltà ad arrivare a fine mese (fonte Eurispes). Dato semplicemente inaccettabile ma che pure viene subito passivamente, mentre un branco di manigoldi non ha remora alcuna nel venire a chiedere per l’ennesima volta il nostro voto. Pronti a ritorcerlo contro di noi che colpevolmente glielo avremo accordato, in obbedienza ai poteri e agli ordini cui rispondono, la cui origine prima resta fuori dai nostri confini geografici.
      Ti ringrazio quindi del messaggio, che mi ha permesso di puntualizzare meglio alcuni aspetti della questione, col sincero augurio di poter rientrare quantoprima in possesso di un buon impianto che ti permetta di ascoltare musica nel modo più congeniale.
      Un caro saluto.

  2. Saluti Sig.Checchi,ottimo articolo.
    Sintetizzando con un brano,mi vengono alla memoria i CCCP-Fedeli alla linea
    con il brano “Morire”
    Produci consuma crepa produci consuma crepa produci consuma crepa.
    Buon lavoro.

  3. Ciao Claudio, complimenti per l’ottimo intervento. Meglio ottimizzare un componente con delle potenzialità inespresse piuttosto che fare il solito “cambia cambia”. Cordiali saluti. Gianluca.

    1. Ciao Gianluca, grazie per l’apprezzamento.
      Gli oggetti caratterizzati da potenzialità inespresse sono numerosi. Si può dire persino che non esista in pratica apparecchiatura di origine industriale tale da non trovare miglioramento, per mezzo di un intervento ben eseguito.
      La sostituzione continua dei componenti dell’impianto ha una sua componente ludica, di autogratificazione ed esplorativa che resta innegabile. D’altra parte ha una componente d’incertezza a seguito delle quale avviene spesso di migliorare per un verso ma di restare insoddisfatti per altri, trovandosi di fatto punto e daccapo.
      La propaganda a questo riguardo fa di tutto per spingere a un rinnovamento continuo e sempre più serrato, facendo leva sul solito discorso del progresso, che dipinge come inarrestabile, volendo far credere che un oggetto con qualche anno sulle spalle sia irrimediabilmente superato. Così non è e non di rado le cose vanno proprio all’inverso, proprio perché un tempo si realizzavano oggetti con l’intento di farli suonare il meglio che fosse possibile, sia pure con le limitazioni di allora, in particolar modo di ordine concettuale. Oggi invece, come dimostrano le vicende recenti di B&W e dei marchi che fanno parte dello stesso gruppo, il traguardo primario da raggiungere non riguarda più la sonorità ma i margini di guadagno, con tutto quel che ne consegue.

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