La valanga, che tutto distrugge e trascina con sé.
Con una certa frequenza ricevo le richieste di appassionati riguardanti l’opportunità di acquistare la tale apparecchiatura o la talaltra. In casi del genere la prima cosa che faccio, ovviamente, è una ricerca per vedere innanzitutto che la sigla corrisponda davvero al prodotto che ritengo oggetto della richiesta, accorgendomi talvolta che si tratta di altro. D’altronde la quantità di apparecchiature avvicendatesi nel corso degli ultimi 30-40 anni, già perché non di rado le richieste riguardano cose ancora più in età, è enorme, quindi capire all’istante di cosa si tratta, senza un aiuto esterno è praticamente impossibile.
Il compiere con una certa frequenza azioni del genere non permette soltanto di dare una risposta più appropriata a chi invia una richiesta d’informazioni e magari desidera un consiglio, ma ha anche dei collaterali. Uno di quelli che dal mio punto di vista ha interesse maggiore è osservare l’evoluzione del linguaggio impiegato per la comunicazione dedicata alle apparecchiature audio.
Se fino a un certo punto è stato mantenuto un minimo di equilibrio tra la necessità di porre in evidenza le caratteristiche di un prodotto, invogliando se possibile al suo acquisto e il senso della misura da ritenersi necessario per la credibilità stessa del messaggio, in seguito è andato via via crollando. O meglio, si sono deliberatamente abbattute tutte le precauzioni e le certezze al riguardo.
Si è arrivati così al punto in cui la comunicazione, residuato di quella che un tempo è stata l’infomazione, non è neppure più definibile come tale, ma si è trasformata in mera farneticazione, della più plateale.
Per quanto nella mia forma mentale, costruita del resto troppi anni fa, faccia fatica a comprendere la plausibilità di un degrado simile, mi rendo conto anche come il fenomeno descritto sia funzione della realtà attuale, che purtroppo è quella che è: costi folli a cui corrispondono prodotti ridicoli, generando per conseguenza una critica di settore completamente asservita che va all’assalto dei suoi destinatari mitragliandoli con valutazioni tali da non aver solo oltrepassato il limiti del surreale, ma che sembra non rendersi più conto del significato e peggio della stessa esistenza di questa parola.
Come disse qualcuno, a furia d’inseguire un determinato traguardo si finisce per superarlo, e quel che è peggio senza rendersene conto. Dev’essere andata così anche per la critica di settore, ormai arrivata al punto di diffondere valutazioni che vanno al di là, e di gran lunga, di quel che ci si attenderebbe da una pagina di pubblicità conclamata.
Un esempio, dal quale ho ripreso il titolo di questo articolo, è dato proprio da uno dei primi link che ho trovato a suo tempo a seguito della ricerca per un finale Musical Fidelity:
“Musical Fidelity M6s PRX, il finale di potenza che eclissa i rivali“.
Come ogni cosa di questo mondo, anche lo sparare corbellerie a ripetizione, e oltretutto sempre più grosse, genera assuefazione. Quando se ne diventa preda si perde la percezione della demenzialità di quel che si scrive.
Se inizialmente la cosa poteva far ridere e poi arrabbiare, col tempo è diventata preoccupante. Ora sembra si sia ancor più innalzato il livello dell’assurdo insito in certe affermazioni. A mio modo di vedere s’inseriscono nel modo migliore sulla scia di quelle altrettanto farneticanti che si succedono da poco più di due anni a questa parte, riguardo alla salute pubblica, che del resto è un affare di proporzioni incalcolabili.
Il tutto dà l’idea di essere tenuto insieme, e per conseguenza riassunto nella maniera più efficace, dal suffisso PRX, presente nella sigla di quel finale. Il PR in tutta evidenza fa da onomatopeico dello sberleffo, seguito dalla X che sta come noto per sperimentale. Si genera così il significato di azione finalizzata a valutare fino a qual punto si possano spernacchiare gli appassionati, senza che si rendano conto del trattamento di cui sono fatti oggetto.
Sempre a pagamento ovviamente, oltretutto esoso, dato che il finale in questione va oltre i 7000 euro.
Del resto molti degli accadimenti succedutisi durante il corso degli ultimi anni danno l’idea di essere soprattutto quello: un esperimento. Volto da un lato a verificare dove sia il punto di sopportazione massima dell’inganno, da parte di una popolazione resa ormai inerme, innanzitutto a livello cognitivo e di reattività, dall’altro a scoprire fin dove si può spingere l’incapacità di cogliere le contraddizioni più marchiane inserite in un qualsiasi concetto, con la conseguente abdicazione più o meno consapevole all’utilizzo della logica. Non solo nell’ambito relativamente complesso delle implicazioni indirette, quelle per cui è necessario unire i puntini, come nei giochi della Settimana Enigmistica risolvibili anche dai più piccoli, ma persino nelle parole che in una stessa frase fanno seguito le une alle altre.
Anche in questo caso sembra non esista più alcun limite di sorta, a patto che si esegua prima un addestramento dei destinatari dell’inganno, appunto finalizzato a impedire loro l’utilizzo degli elementi cognitivi essenziali allo scopo.
A dire il vero, talvolta ho l’impressione che più che d’impedimento si tratti di asportazione dei centri neurali adibiti a tale funzione. Forse non è eseguita chirurgicamente, secondo i canoni di tale definizione, ma i risultati sono proprio gli stessi, se non ancora più invasivi.
Aprendo delle pagine internet a caso troviamo poi lo streamer-dac-preamp che non teme nulla. Di certo non il rischio di rendersi ridicoli. Ancor meno d’inviare in discarica l’enunciato dei principi basilari della riproduzione sonora di qualità elevata, notoriamente fondata sulla massima specializzazione delle apparecchiature da cui è composto l’impianto.
In sostanza, ti vendono una specie di compattone rimodernato e ti fanno credere che si tratti del non plus ultra.
Non male come trovata, quantomeno sotto l’aspetto commerciale. Non temendo nulla, d’altronde, è inevitabile che te lo facciano pagare un botto.
Un altro esempio è il “lettore verticale di vinili” con display personalizzabile, dato che dire giradischi parrebbe brutto. Fare riferimento agli LP, poi, manco a parlarne..
Insidie della neolingua, la cui conseguenza prima è appunto la dissociazione. Più che dominato, chi scrive certa roba dà l’impressione di esserne travolto. Come dalla valanga raffigurata nell’immagine d’apertura. La sua forza distruttiva è così micidiale da non lasciare in piedi più nulla, lungo il suo percorso.
A partire da ogni elemento di ragionevolezza, anche il più remoto.
Per forza poi si arriva al punto di non capire più nemmeno il significato di quel che si sta scrivendo, dato che altrimenti, almeno la parola giradischi dovrebbe affiorare nella mente e far si che ci si ponga qualche domanda al riguardo.
Obiettivo raggiunto, penserà qualcuno, proprio in quanto la neolingua altro non è che uno strumento per modificare la percezione della realtà, e di conseguenza la realtà stessa, per mezzo del lessico e delle raffigurazioni che produce nella mente delle sue vittime.
Ecco perché oggi più che mai la prima battaglia è quella di continuare a chiamare le cose con il loro nome. Quantomeno se si ha a cuore il mantenimento di un qualche addentellato con il mondo concreto.
Oltre i confini della realtà
Se possibile si riesce persino ad andare oltre gli esempi illustrati sopra, a dimostrazione che la mente umana, quando decide di inoltrarsi in una certa direzione, è in grado di oltrepassare qualsiasi limite. In particolare quello dettato dal buon senso.
A questo proposito mi sembra calzante quanto è stato scritto a proposito dei Dynaudio Contour 30 i:
In ambienti di medie dimensioni la nuova Contour 30i rende oggi un vero e proprio omaggio ad ogni registrazione audio, con un balzo prestazionale a dir poco inaspettato.
Ma ancora non basta, perché la vera chicca deve ancora arrivare:
Uno speaker High End (con tanto di doverose maiuscole) al costo di uno speaker HiFi.
Qui veramente si rasenta la follia: definire costo di uno “speaker” hi-fi, nell’accezione riduttiva del termine resa evidente dal messaggio in questione, quello che va dai 6.500 agli 8.500 euro, a seconda della versione e del rivenditore, è semplicemente oltraggioso.
Prima ancora che per il concetto stesso di salute mentale del lettore di un simile coacervo di assurdità, per il valore del suo lavoro, ammesso si sia così fortunati da averne ancora uno. Evidentemente lo si assimila alla carta straccia, perché se per quasi diecimila euro, somma che taluni riescono a mettere insieme, uno stipendio sopra all’altro, non prima di un anno, non si riesce neppure ad acquistare un diffusore “high end” ma ci si deve accontentare della comune hi-fi, evidentemente c’è ben più di qualcosa che non torna.
In primo luogo a livello del potere d’acquisto delle retribuzioni medie nei confronti del costo dei prodotti riguardanti il settore di nostro interesse. D’altronde a null’altro poteva portare la decisione presa a suo termpo dal sindacato, di sedersi ai tavoli della concertazione, assai redditizi ma solo per lui. Ne è uscito ricoperto totalmente di giallo e chi sa appena il minimo di relazioni industriali conosce perfettamente il significato di quel colore, sinonimo di vendita a un tanto al chilo.
“Selling England by the pound”, dissero i Genesis con grande preveggenza, inconsapevoli di essere destinati anche loro a quella fine. In Italia non è andata molto meglio.
Del resto che il settore di nostro interesse abbia ormai del tutto capitolato alla non-logica dei prezzi folli, privi di ogni addentellato con i contenuti tecnici del prodotto e ancor più con il controvalore restituito dalla fruizione della musica riprodotta per il suo tramite, non è un mistero per nessuno.
Di qui il passaggio al predominio assoluto dello status symbol, ormai criterio unico alla base del prodotto destinato alla riproduzione sonora, dato che non c’è rinnovamento tecnico che possa star dietro a una crescita a tal punto verticalizzata dei prezzi di listino.
Se un paio di casse (da morto? Ovviamente per tutto il settore) da più di 8.000 euro non è ancora high end, mettendo per un istante da parte quanto sia detestabile quel termine, secondo soltanto a esoterico, e ad esse si attribuisce un valore pari a circa il 30% dell’intero impianto, quanto dovrebbe costare uno che possa ambire a tale definizione?
Quanti decenni dovrà trascorrere a pane e acqua il lavoratore medio per poter ambire ad acquistarne uno?
Siamo sicuri che rendere la riproduzione sonora di qualità un traguardo alla portata di pochissimi sia la scelta migliore per i suoi destini e quelli di tutto il comparto produttivo che vi ruota intorno?
Sarà mai possibile spremere il limone così a fondo e prolungare quest’azione all’infinito?
O forse è solo una questione di “Prendi i soldi e scappa”, come ha spiegato Woody Allen quasi mezzo secolo fa?
Siamo poi così sicuri che i rampanti di oggi, quelli che “per una cassa high end un diecimila non basta”, sappiano di chi stiamo parlando?
In presenza di un simile azzeramento dei principi fondamentali di misura e proporzionalità, che in un’era meno disgraziata della nostra si ritenevano alla portata di un infante dell’asilo, ma oggi sembrerebbero preclusi a professionisti plurilaureati che hanno superato ormai da tempo il limite dell’età matura, i soli oggi in grado di reggere ancora questo gioco al massacro, non c’è da stupirsi più di nulla.
Succede così che nemmeno l’apoteosi di quella che sembra una comunicazione per alienati, c’è da chiedersi allora a qual punto occorra trovarsi per concepire i concetti che diffonde, riesce a smuoverci più di tanto. Per dovere di cronaca vi facciamo riferimento lo stesso, a titolo esemplificativo. Chissà che qualcuno possa trovarne un giovamento.
Hegel p30: in combinazione con H30 (sotto, in silver) è l’arma letale degli appassionati di musica.
Non si capisce: saranno appassionati di musica, i potenziali acquirenti di quei prodotti o dei guerrafondai psicopatici alla dottor Stranamore?
Cos’è diventata, la riproduzione sonora, un evento bellico da combattersi a suon di armi atomiche?
Il suo nemico per antonomasia, in tutta evidenza, non può che essere il mantenimento del minimo addentallato con la realtà per la clientela potenziale delle apparecchiature che ne sono il tramite.
A quel punto il definire silver la finitura chiara o argento che dir si voglia, cosa che non sia mai in quanto ci è stato insegnato a provare disgusto per la nostra lingua madre, diventa un mero dettaglio. Del resto siamo o no cosmopoliti cittadini del mondo, e come tali debitamente atomizzati ed estirpati con cura anche dall’ultimo rimasuglio dalle nostre radici?
Condizione essenziale, peraltro, per arrivare a mettere nero su bianco bestialità a tal punto paradossali.
E peggio ancora avallarle, in un modo o nell’altro.
Non a caso, è proprio nel momento in cui è divenuto comune il ricorso a parole in lingua straniera, spesso storpiate non solo nell’ortografia ma anche nel significato malcompreso, che si è dato il via al dilagare delle astrusità più inverosimili. Punto di svolta per la trasformazione dei media da strumenti d’informazione a latori di mera comunicazione, che col tempo si è resa sempre più simile all’impulso emesso per mezzo di un telecomando, proprio secondo i criteri con cui se n’è fatto uno strumento di manipolazione.
I motivi dell’impazzimento
Negli ultimi anni questa tendenza è andata vieppiù imponendosi, per un motivo di fondo, stante nel venire meno di un elemento primario del modello commerciale proprio della riproduzione sonora amatoriale, il rivenditore fisico. Ossia il negozio presso il quale si comperava, ma prima ancora si aveva la possibilità di ascoltare in condizioni non del tutto aleatorie, elemento fondamentale ai fini di un qualsiasi giudizio che abbia il minimo di probabilità di non essere campato in aria. Basato a sua volta su una verifica concreta dei valori in campo, anche se con tutti i limiti del caso.
Avendo l’opportunità di ricavarsi in proprio un’idea al suo riguardo, non era granché importante come si chiamasse il prodotto. Si, il marchio contribuiva alla sua riconoscibilità e in certi casi persino al suo blasone, oggi si dice brand e fa molto più figo, ma non c’era questa necessità impellente di suggerire per quel tramite il dischiudersi di destini magnifici e progressivi. Proprio in quanto il sistema metteva a disposizione metodi di verifica che permettevano di smascherare senza troppe difficoltà il tentativo di far credere ciò che non è, almeno da parte di un pubblico sufficientemente smaliziato. Tale proprio in funzione della frequentazione un minimo assidua di quei luoghi che oggi non esistono più.
I pochi che sono rimasti, nella stragrande maggioranza non riescono più ad assolvere a tale funzione, non potendo quasi mai offrire un assortimento di prodotti adeguato e neppure gli spazi necessari allo scopo, data l’esplosione dei loro costi.
Anche il mettere a disposizione le apparecchiature necessarie ne aveva uno, non indifferente, colmato dai margini di vendita che però con l’andare del tempo sono diventati insostenibili.
Di fatto quindi, comperando l’amplificatore, la coppia di diffusori o la sorgente non si pagava solo per essi ma anche per il sistema che permetteva all’acquirente di operare la sua scelta secondo quel metodo.
Col passare del tempo quei margini sono andati sempre più riducendosi, ma essendo in realtà incomprimibili li si è dovuti scaricare altrove. Come sempre sul pubblico pagante, appunto sottraendogli quelle modalità di scelta che storicamente si erano dimostrate funzionali. In particolar modo alla crescita del settore, che non può avvenire altrimenti dall’aumentare dell’esperienza e delle capacità di discernimento del pubblico che vi si rivolge, così da produrre una domanda più qualificata e per conseguenza la necessità di offrire un prodotto ad essa allineato, da cui ricava giovamento e progresso concreto l’intero comparto.
Per fare in modo che il pubblico accettasse un modello commerciale improvvisamente privato del suo punto nodale, ovvero la possibilità di eseguire una scelta ponderata e basata almeno in parte su dati di fatto, e che soprattutto era fondamentale ai fini della formazione del bagaglio di esperienza di ciascun appassonato, l’unica era lusingarlo con prezzi di maggior convenienza. Ovviamente lo sconto offerto non è mai stato tale da compensare quanto è stato tolto alla platea degli appassionati, ma in questo modo si sarebbe eseguito e velocizzato il trapasso dal metodo di vendita tradizionale, basato sul negozio fisico, a quello virtuale.
Con l’imporsi del nuovo modello commerciale la politica dei prezzi sarebbe andata normalizzandosi, ripristinando di fatto la realtà della fase precedente e peggiorandola persino, smembrata però del necessario ai fini delle possibilità di selta e di crescita del pubblico, quelle che di fatto hanno pagato tutto il prezzo del cambiamento.
Non poteva essere diversamente: i punti vendita distribuiti sul terriorio erano per di più uno strumento di richiamo, oltretutto di grande fascino, anche per chi sapeva poco o nulla di riproduzione sonora. Oggi invece ai siti specializzati ci si deve cascare dentro, altrimenti da questo mondo si resta fuori. Non è un caso che il 90% dei non appassionati, e in particolare quelli appartenenti alle fasce giovanili, non sappiano neppure dell’esistenza del nostro settore e la cuffia attaccata al telefonino sia tutto l’universo da loro conosciuto.
Per il resto della filiera, e in particolare per il sistema di comunicazione ad essa collegato, le cose invece sono andate benissimo, dato che essendo venuta meno la possibilità di verifica diretta, a livello personale, le argomentazioni veicolate per il suo tramite hanno recuperato importanza, visibilità ma soprattutto richiesta.
Di pari passo pertanto è andato il degradarsi dei contenuti da esso diffusi e quindi l’innalzarsi del tasso di pretestuosità che ne è divenuto componente inscindibile.
Per conseguenza la voce del Coro Degli Entusiasti A Prescindere è andata rimbombando in maniera più assordante che mai, nel senso più stretto del termine. Le conseguenze a carico delle sue vittime sono state inevitabili. Anche in virtù dei nuovi mezzi di comunicazione che gli stessi eventi all’origine del cambio di modello commerciale hanno messo a sua disposizione.
Dunque tutto il peso inerente l’orientamento delle scelte del pubblico è stato acquisito dal sistema di comunicazione e dal suo carico fittizio fatto di tabelle, misure e caratteristiche tecniche che per conseguenza hanno recuperato importanza, talvolta in proporzioni imprevedibili. Con il tripudio dei falsari inveterati che su quei metodi hanno costruito la loro esistenza e notorietà nonché il loro privatissimo benessere. Per non parlare dello scialo di comandi inutili messi a bella posta sui frontali, tornato ovviamente di moda come vuole la legge dei corsi e ricorsi storici.
D’altronde chi non vuol tenere conto del proprio passato, e quindi ne rifiuta l’insegnamento, è condannato a ripetere ciclicamente, e in eterno, sempre gli stessi errori.
Dal canto suo il settore della fabbricazione non poteva trascurare un’opportunità come quella che gli si è presentata, ritenendo necessario influenzare la realtà delle cose coi metodi a sua disposizione. Lo ha fatto con il conio di nuovi marchi, studiati proprio per suggerire i significati ritenuti meglio confacenti a massimizzare i volumi di vendita, appunto mediante l’insinuare nella mente degli appassionati elementi neolinguistici atti a guidarne l’immaginario, e dunque la percezione e i comportamenti che ne conseguono.
Oggi non a caso ci troviamo nella fase in cui il pubblico attratto dalla riproduzione sonora non è mai stato così a corto di conoscenza persino per i fondamentali, per l’ABC della materia, e per forza di cose di consapevolezza. Nello stesso tempo si ritrova imbottito di pregiudizi come mai prima, regolarmente falsi. Delle capacità di giudizio autonomo manco a parlarne, represse d’altronde fin dalla più tenera età da un sistema didattico devastato proprio in funzione di metterlo al servizio delle esigenze del sistema consumistico, vero e proprio braccio armato del capitalismo, il quale pretende una collettività gestibile per mezzo dei criteri di più facile esecuzione, quelli zootecnici. In particolare i più indicati per gli ovini.
Di qui la cancellazione delle capacità di giudizio autonomo, di scelta, d’individuazione della modalità di emissione corrette, e più che mai dell’attitudine a scinderle da quelle basate invece sull’effettismo più deteriore. Ammesso e non concesso si sia in grado di immaginare una differenza tra le due cose.
Tutto ciò è stato sostituito dalla qualunque, e per conseguenza dal predominio di chi riesce a far sentire più forte la sua voce e quindi predisposto ai toni urlati, all’innalzamento di polveroni, alla polemica basata sul nulla o meglio ancora sul pretesto e sulla delegittimazione e la riduzione al silenzio delle voci dissenzienti. Materie prime che proprio nei nuovi mezzi comunicativi messi appositamente a disposizione dalla rete hanno trovato il veicolo di propagazione migliore e oltretutto chiassoso, pervenendo di fatto a un effetto opposto a quello che si era immaginato ai suoi albori, relativo alla possibilità offerta mai offerta prima di pubblicare liberamente contenuti volti a migliorare la consapevolezza dei suoi destinatari.
Tornando al concetto che ruota attorno al Musical Farnetiky di chi riesce a ideare modelli propagandistici a tal punto deliranti, nel mio modo di vedere le cose ormai intollerabilmente sorpassato, qualora mi venisse in mente roba del genere, ossia il finale che eclissa i rivali, la prima cosa che mi chiederei al riguardo è la seguente: se ora scrivo così, che cosa scriverò domani? E poi cosa accadrà nel momento in cui dovrò occuparmi di un concorrente di quel finale? Il minimo di coerenza m’imporrà di dire che è stato eclissato dall’oggetto di cui sopra, ma poi come la prenderebbero il distributore e soprattutto gli acquirenti e utilizzatori di quel finale che sono i destinatari ultimi del messaggio?
Proprio loro sono i primi e più inflessibili nel pretendere che si parli non bene ma benissimo di tutto e quindi dell’oggetto che possiedono. In funzione della sua rivendibilità e della somma che sarà possibile spuntare al momento della cessione, degradazione finale della riproduzione sonora nel paradigma più deteriore, prigioniero del vortice ad accelerazione illimitata del compra-compra. Della progressiva sparizione dei negozi in grado di assolvere alle funzioni che per tradizione il nostro settore aveva loro delegato, è d’altronde effetto inevitabile.
E’ vero che viviamo in un sistema che riconosce esclusivamente la legge del denaro, ma le apparecchiature audio non dovrebbero servire a fare soldi, almeno non per i veri appassionati, come tali portatori di un substrato culturale di ben altro spessore e rilevanza.
Poi, per quelli che “ho comprato l’impianto da 120 mila euro e l’ho pagato solo 30 mila”, forse sarebbe meglio iniziare a chiedersi come mai qualcuno è disposto a rimettere tanto pur di sbolognarlo.
Chiaro il concetto?
In realtà il problema della coerenza tra le valutazioni espresse a distanza di tempo sembra non esistere proprio e in effetti così è, anche per via dell’eterno presente in cui i mezzi che un tempo erano d’informazione e poi sono divenuti di comunicazione e infine di manipolazione annegano le loro vittime.
Eliminata la concezione del passato, e logicamente la consapevolezza che ne deriva, insieme alla capacità di prospettarsi un futuro, o almeno di considerare la possibilità di un’evoluzione in tal senso, della coerenza non si sa più cosa farsene. Meglio ancora, viene meno proprio il concetto e la necessità stessa del suo significato.
Ne stiamo avendo un esempio in queste ultime settimane. Dopo che per due anni è stato ripetuto da ogni fonte per 24 ore al giorno e con ossessività spinta al parossismo che era necessario rinunciare alla libertà per il bene supremo della salute pubblica, che invece si è provveduto a minare alla radice come dimostra il susseguirsi di malori fatali i quali si finge che non esistano prima ancora che abbiano origine ignota, poiché inconfessabile, ora invece la libertà, ma solo quella altrui, è ritornata a essere il bene supremo per il quale siamo chiamati a sacrificarci in prima persona.
Fino a qual punto siamo disposti a farci prendere per i fondelli e quindi per cretini?
E nel caso, ci viene in tasca qualcosa o quell’intollerabile mancanza di rispetto dobbiamo accettarla pure a gratis?
A ciascuno l’ardua risposta.
Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario
George Orwell