Distributore di alimentazione Audio 2C

Storicamente l’alimentazione delle apparecchiature che fanno parte dell’impianto audio è un aspetto tralasciato, oltretutto con sistematicità.

Nel corso degli anni tra l’altro si è diffuso l’assunto che l’energia da esse erogata sia prodotta direttamente entro di esse o meglio opera del Santo Patrono della Riproduzione Sonora.

Ammesso che ne esista uno, ma ormai sarebbe ora si provveda a designarlo.

Dato che, in caso contrario, si andrà incontro a difficoltà sempre maggiori dovendo sostenere determinate posizioni, come quella secondo cui le modalità di alimentazione delle apparecchiature sono del tutto ininfluenti per il loro comportamento e quindi per la loro sonorità.

Peggio ancora, si è diffusa l’idea che quelle che abbiano bisogno di cure al riguardo siano quelle progettate male.

Come tutte le idiozie più grandiose, anche questa si è diffusa alla velocità della luce ed è stata ripetuta pappagallescamente dalle legioni, tra l’altro agguerritissime, di pseudo appassionati che non riescono a tollerare l’idea che dopo essersi indebitati per l’acquisto del loro impianto, debbano spendere ancora per collegarne le apparecchiature. Tra loro e peggio che mai alla rete elettrica.

I tempi che viviamo d’altronde hanno tra i motivi di maggiore interesse proprio la cancellazione dei principi più basilari del buon senso e, per conseguenza, l’accanimento e la vera e propria veemenza con cui si vedono tanti individui difendere postulati e risultati di quell’opera, basandosi su concetti rispetto ai quali la verosimiglianza è relegata tra le varie e eventuali, seppure.

Personalmente ne ho avuto più volte la riprova, in particolare alla condivisione di uno tra gli articoli pubblicati in questo sito che ritengo più significativi al riguardo. Ne consiglio ancora una volta non solo la lettura, ma se possibile anche una riflessione nei confronti degli argomenti che prende in considerazione.

A tale proposito diciamo soltanto che se l’uomo o l’animale non viene nutrito a sufficienza va incontro a deperimento, crescita stentata e infine a malattie o persino alla morte; se la pianta non s’innaffia andrà inevitabilmente a seccarsi, se al motore dell’automobile non s’invia il carburante necessario al suo funzionamento si muoverà a strattoni e più spesso rifiuterà proprio di accendersi.

Non mi sembra siano concetti così incomprensibili, eppure per qualche arcano motivo nell’ambito della riproduzione sonora trovano un rifiuto somigliante al più tipico dei muri di gomma.

Non ritengo sia il caso d’indagare ulteriormente i motivi di tale stato di cose, meglio andare al punto riguardante l’oggetto cui è dedicata questa pagina.

Sotto l’aspetto meramente utilitaristico, gli elementi di fondo sono almeno due. Il primo riguarda la tendenza dell’impianto a concentrare più apparecchiature, ciascuna delle quali necessita della propria alimentazione, in uno spazio sempre alquanto ristretto. Apparecchiature che tra l’altro sono in numero caratterizzato da una perenne crescita, dettata dalle linee lungo le quali si vanno sviluppando da un lato la composizione-tipo di un qualsiasi impianto audio e dall’altro l’evoluzione che caratterizza di solito quello posseduto da un qualsiasi appassionato, che nel corso del tempo passa dall’amplificatore integrato al pre e finale, dal lettore CD al DAC affiancato da una o più sorgenti digitali e così via.

A questo corrisponde la sistematica carenza di prese di corrente e talvolta anche la loro lontananza dal punto in cui si trova l’impianto audio.

Del resto gl’impianti elettrici delle abitazioni sono da sempre concepiti e realizzati al risparmio, puntando solo a quanto ritenuto strettamente indispensabile. Questo anche negli edifici di costruzione recente, dove magari il numero delle prese è aumentato gradatamente ma senza mai arrivare ad assolvere le necessità degli utilizzatori di un impianto audio, ritenute fin troppo specialistiche e per conseguenza non tenute in considerazione alcuna dai chi realizza infrastrutture destinate invece a un impiego generale.

Nelle epoche passate, che nella concezione attuale potrebbero essere definite pionieristiche, era giocoforza ovviare con quel che si aveva a disposizione. Quindi si ricorreva a una o più prolunghe, cui si attaccavano varie spine triple, fino a raggiungere il numero necessario per le apparecchiature da cui era composto l’impianto.

Di criteri di sicurezza manco a parlarne e così pure per quelli inerenti le esigenze di afflusso dell’energia a tutte quelle apparecchiature, concetti del resto di là da venire.

Quante volte, nelle case degli appassionati di quel periodo, si è udito a un certo punto un lieve crepitare, dovuto alle scintille che si producevano all’interno di quegli accrocchi di spine e prese, specie in seguito al loro surriscaldamento…

Col tempo sono andate diffondendosi le multiprese, definite in gergo ciabatte, per mezzo delle quali fare finalmente un po’ d’ordine. Oggi sono reperibili in un qualsiasi negozio di articoli elettrici o nei supermercati del fai da te. Ancora una volta però sono destinate agli impieghi di tipo generale e quindi non adatte alle necessità tipiche di un qualsiasi impianto.

Alcune di esse dall’esterno possono apparire ben fatte, dotate come sono di scocca in metallo e di prese di qualità almeno discreta.

Il problema come sempre si cela al loro interno: quello di fondo riguarda la connessione delle prese, rigorosamente in serie, ossia per mezzo di un conduttore che le alimenta una dietro l’altra. e poi a causa del materiale stesso con cui è realizzato quel conduttore, di solito una sottile lamina di metallo comune, sottoposto a trattamento di zincatura o fosfatazione.

Oggetti del genere, il costo dei quali è in genere abbordabile ma in alcuni casi può arrivare a essere piuttosto rilevante, assolvono effettivamente alle necessità primarie riguardanti l’alimentazione di una serie di elettrodomestici. Non a quelle specifiche delle apparecchiature di un impianto, che per quanto utilizzino la medesima fonte di energia non sono lampadine e tantomeno frigoriferi.

Criterio essenziale di una ciabatta da adibire all’alimentazione di apparecchiature audio, dalle quali ci si attenda un rendimento ragionevolmente comparabile alle loro effettive possibilità, è la connessione a stella delle diverse prese con il punto da cui traggono l’energia che transita attraverso di esse per poi giungere all’apparecchiatura collegata.

Il limite primario delle ciabatte normalmente reperibili in commercio è appunto quello di essere realizzate a partire da un guscio le cui dimensioni interne sono tali da non permettere la sostituzione del materiale conduttore predisposto in origine con un vero cablaggio, meno che mai se della sezione necessaria agli scopi che ci riguardano.

Il distributore di alimentazione Audio 2C è realizzato completamente in alluminio e dispone di presa IEC per il cavo di collegamento alla rete e di messa a terra, altro particolare in genere tralasciato. Nelle ciabatte di uso comune il conduttore di terra è presente ma il loro involucro non vi è collegato.

La presenza della presa IEC è ancora più importante perché permette di utilizzare un cavo di collegamento alla rete dalle caratteristiche adeguate a non costituire una strozzatura per l’alimentazione delle apparecchiature che fanno capo al distributore.

Si tratta di un aspetto fondamentale ai fini del rendimento dell’impianto alimentato per il suo tramite. E’ comunque disponibile anche in versione priva di cavo speciale in entrata.

Il cablaggio interno è ovviamente del tipo a stella e utilizza cavo realizzato manualmente di sezione e prerogative congrue, in luogo del consueto conduttore da elettricista.

I risultati conseguenti alla sostituzione di una comune ciabatta da supermercato con il distributore di alimentazione Audio 2C, completo del cavo esterno realizzato appositamente per il collegamento alla rete elettrica, sono francamente disarmanti.

Al primo impatto le differenze maggiori si rilevano per la possanza della riproduzione e per la capacità di controllo sul movimento degli altoparlanti da parte dell’amplificazione, non confrontabili con la situazione precedente.

Questo si deve appunto a un afflusso di energia finalmente adeguato alle necessità dell’impianto, che va ricordato non si limita a una richiesta fissa come nel caso della lampadina o del frigorifero, ma deve corrispondere nella maniera più adeguata possibile all’andamento del segnale riprodotto, notoriamente caratterizzato da un profilo dinamico particolarmente complesso e repentino, che per essere riprodotto in modo acconcio necessita di una disponibilità di energia della massima prontezza e virtualmente priva di limitazioni.

A corollario di tutto questo si ha una riproduzione più nitida, dettagliata e affrontata con ben altra scioltezza, appunto in conseguenza di una disponibilità di energia finalmente adeguata alle richieste dell’impianto, proprio in funzione dell’andamento del segnale che è chiamato a riprodurre.

L’insieme delle caratteristiche fin qui menzionate dà infine l’impressione di trovarsi dinnanzi a un impianto dotato di un’amplificazione di potenza maggiore, sensazione questa determinata non tanto dal picco massimo di pressione sonora raggiungibile, che in un normale ascolto domestico si ha occasionalmente e solo per brevi istanti, quanto per le modalità con cui sono rese le escursioni di livello del segnale durante l’intero corso della riproduzione.

In impianti di un certo livello, tipicamente quelli in cui si ricorre ad accorgimenti come l’impiego di un distributore di alimentazione realmente efficace, le limitazioni a tale riguardo sono dovute raramente alle possibilità di erogazione degli stadi finali che equipaggiano gli amplificatori, quanto invece alle manchevolezze indotte dalle modalità con cui sono alimentate le diverse apparecchiature.

Va da sé naturalmente che a valle del distributore siano presenti cavi di alimentazione dalle caratteristiche opportune e non i cavi grossolanamente inadeguati forniti dai fabbricanti come primo equipaggiamento del loro prodotto.

Come abbiamo rilevato in precedenza, ma mai come in in questi casi è opportuno ripetersi, le apparecchiature non sono autonome, ovvero non possono contare su quanto hanno dentro di sé per l’erogazione dell’energia trasportata dal segnale, ma devono per forza di cose fare riferimento all’esterno per essere messe nelle condizioni di produrla. Possibilmente nel modo più adeguato, appunto in funzione dell’andamento del segnale.

Esattamente nello stesso modo in cui un qualsiasi mezzo di trasporto a combustione interna necessita dell’afflusso di carburante dal serbatoio al motore, in assenza del quale non potrà esprimere il suo potenziale prestazionale.

Prima ce lo mettiamo in testa e più facilmente riusciremo a ottenere dall’impianto quello che realmente può darci. Questo ovviamente ha i suoi costi, ma non vi è altra scelta dall’affrontarli se non quella di rassegnarsi a penalizzare in misura drastica, le cui proporzioni si possono comprendere soltanto dopo aver rimosso il problema alla radice, tutto ciò per cui abbiamo speso enormemente di più. E tuttavia continua a essere fonte di insoddisfazione.

Nei suoi confronti il cambia-cambia, seppur fonte rilevante di autogratificazione, è del tutto inutile, proprio perché il problema risiede altrove. Lo si risolverà quando arriveremo ad affrontare il problema di fondo numero uno riguardante il suo funzionamento, ossia il persuadersi che a cambiare non devono essere le apparecchiature ma il nostro approccio nei loro confronti.

Non basta pertanto che le spie di accensione riescano in qualche modo a illuminarsi, ma occorre fornire a tutte le quantità di energia necessarie al loro funzionamento, enormemente variabili istante per istante.

Occorre inoltre far si che vi giungano nella forma più acconcia. Proprio perché porre le apparecchiature dell’impianto nelle condizioni atte a farle esprimere al meglio, energeticamente parlando, ma emettendo suoni di frittura, è un risultato la cui qualità è da ritenersi opinabile.