L’hi-fi non è una lampadina

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E neppure un frigorifero.

Bella scoperta, dirà qualcuno. Certo, non ci vuole molto per capirlo.

Eppure l’impressione è che sia stato fatto tutto il possibile affinché non solo li si trattasse alla stessa stregua, ma neppure ci si accorgesse della differenza.

L’impianto audio del resto, come le lampadine, i frigoriferi e gli altri elettrodomestici funziona grazie all’energia elettrica distribuita nelle nostre case. E forse proprio per questo si può essere indotti ad assimilare l’uno con gli altri.

Però c’è una differenza sostanziale: mentre lampadine e frigoriferi funzionano indipendentemente dalle caratteristiche del cavo cui sono collegati, il cui unico requisito è la capacità di sopportare la quantità di corrente ad essi necessaria mantenendo un corretto isolamento, l’impianto audio dimostra la sua sensibilità nei confronti del cavo utilizzato. Non solo per la connessione tra i suoi componenti, ma anche per collegare questi ultimi alla rete elettrica.

La lampadina e il frigorifero si limitano alla funzione acceso/spento, con tutt’al più una possibilità di regolazione dell’intensità luminosa o refrigerante. L’impianto audio invece è chiamato a un compito ben più complesso: riprodurre con la massima precisione possibile un segnale che varia di istante in istante, secondo un numero molto elevato di parametri. I quali oltretutto non sono stati del tutto sviscerati riguardo alla loro stessa consistenza, alle modalità con cui influiscono sulla nostra percezione e agli effetti che le caratteristiche delle apparecchiature dedicate alla riproduzione sonora possono avere su di essi.

L’impianto, poi, è costituito da un certo numero di apparecchiature diverse, all’interno delle quali il segnale da riprodurre compie un tragitto ben preciso. Al riguardo si tralascia spesso che la parte di gran lunga maggiore di quel tragitto è data proprio dall’estensione dei cavi, esterni o interni, che può assommare a parecchi metri.

Per questo motivo, e per altri che affronteremo in altra sede, il cavo può essere individuato come uno degli elementi di più grande efficacia nel causare degrado per il segnale audio, nell’ambito dell’intera catena di riproduzione.

Visto che si parla di cavi, tanto vale occuparsi della tipologia più controversa: quelli di alimentazione.

Molte volte si sente dire che le loro caratteristiche sarebbero del tutto ininfluenti ai fini della riproduzione sonora. Al riguardo ci si potrebbe chiedere se si siano mai fatte prove al riguardo con un minimo di attenzione.

Talvolta la risposta è che non le si fa “perché tanto è inutile”, in base a preconcetti alquanto radicati.

Se si ragiona in questo modo è probabile che si abbia a disposizione un impianto poco o nulla efficace, al di là del suo costo. Così da non permettere di cogliere cambiamenti che in altre condizioni avrebbero entità non indifferente e comunque meritevole di considerazione. Non solo in termini prestazionali ma anche a fini di ricerca, sia pure portata avanti solo per un ampliamento delle proprie esperienze.

D’altronde se in base a determinate convinzioni si nega all’impianto quanto gli necessita per poter esprimere una quota ragionevole del suo potenziale, sarà difficile ottenere un qualsivoglia risultato che non sia di mediocrità.

Resto convinto invece che chi spende cifre quasi mai indifferenti lo fa perché in cuor suo desidera il meglio.

L’impianto audio come strumento di indagine

A questo proposito credo sia necessario chiarire un concetto: nel momento stesso in cui cambiamo un componente o una delle condizioni funzionali dell’impianto, con l’idea di verificare se ciò comporti o meno una differenza, ne facciamo uno strumento di indagine. E’ tanto più efficace, sensibile e selettivo quanto più sottili sono le variazioni che ci permette di percepire, come quelle che possono derivare da uno degli interventi predetti.

Ancora più vero, purtroppo, è il contrario: se l’impianto non è molto valido, sarà difficile, se non impossibile, riuscire a cogliere qualunque differenza che non sia proprio marchiana.

Pertanto un impianto inefficiente, che spesso è tale perché il suo utilizzatore lo priva deliberatamente degli elementi necessari al suo buon funzionamento, ha tali e tanti difetti da non permettere di avvertire variazioni che con altre catene si potrebbero cogliere con ben altra facilità.

A questo proposito ci si può riallacciare al discorso fatto nell’articolo “La percezione della qualità” che invito a leggere chiunque sia interessato all’argomento che stiamo discutendo.

Riassumendone al massimo i concetti, per applicarli al discorso che stiamo facendo qui, diciamo che un impianto ben funzionante non è tale perché i suoi componenti costano un mucchio di soldi, perché è costruito da un marchio rinomato, è bello da vedere o perché chi lo vende gli ha costruito intorno una sorta di cattedrale post moderna con tanto di officianti e cerimoniale, anche se sono ormai decenni che si fa di tutto per imporre, magari in modo subdolo, concetti del genere. Lo è in buona parte, invece, per il fatto che il suo utilizzatore si è armato di buona volontà, di voglia di imparare e ha intrapreso un percorso tale da portarlo alle condizioni in cui riesce a esprimere il meglio di quel che può dare.

Così un impianto ben curato, anche se composto da apparecchiature valide ma di costo non eccessivo, può essere più efficace, e non di poco, di uno composto da oggetti più costosi ma lasciati al loro destino.

Gli impianti di questo genere si riconoscono all’istante, dato che qualsiasi cosa gli si faccia riprodurre i loro difetti tipici restano sempre preponderanti. Ciò si deve al rilievo assunto dalle loro caratteristiche intrinseche, anche nei confronti di quelle delle registrazioni che si riproducono per il loro tramite.

Tutto questo, ovviamente, è messo in discussione da quella sorta di negazionismo applicato al settore della riproduzione sonora. Al riguardo si può rilevare come i suoi sostenitori siano talmente arroccati nelle loro posizioni da rifiutare di prendere in considerazione persino i concetti più elementari e comprensibili. Primo dei quali è che un microscopio è in grado di farci vedere cose che con un paio di occhiali potremmo solo immaginare, nel migliore dei casi, proprio perché si tratta di uno strumento più sensibile.

Ma mentre in qualunque settore chi non ha altro strumento di osservazione che dei comuni occhiali non si azzarderebbe mai a mettere in discussione ciò che viene sostenuto da chi può utilizzare mezzi di ben altra efficacia, nel settore della riproduzione sonora i suggerimenti di chi è arrivato a disporre di quei mezzi, magari dopo un percorso lungo e talvolta difficile, non di rado vengono messi alla berlina, per poi dare luogo a discussioni che con altrettanta frequenza trascendono in rissa.

Anche questo, comunque, è un segno della passione di persone che però, forse, danno troppe cose per scontate.

Allora, purtroppo, gli impianti di chi sostiene la totale inutilità di certi particolari ricordano sovente non il paio di occhiali dell’esempio sopra, ma al massimo due spesse fette di salame, ben pressate sugli occhi. Parlando di insaccati, si potrebbe rilevare che a Roma, luogo d’origine del popolo forse più sarcastico e disincantato della terra, si usa chiedere ai sordi peggiori, per antonomasia quelli che non vogliono sentire, se abbiano per caso “le orecchie foderate di prosciutto”.

Il cavo di alimentazione, elemento sovente tralasciato

Come noto, in base alle sue caratteristiche di resistenza, capacità, induttanza, e anche se le esperienze fatte al riguardo sembrerebbero suggerire che ci deve essere dell’altro, un cavo è in grado di influire sulla corrente che transita in esso, o meglio sugli elettroni che si agitano al suo interno.

Pertanto, se il cavo di alimentazione è il mezzo mediante il quale la corrente elettrica arriva all’impianto e ne consente il funzionamento, è probabile che sia in grado di influenzarne in qualche misura anche il modo di suonare. Date le funzioni che ricopre, anzi, si potrebbe ritenere che di tutti quelli utilizzati in hi-fi sia il più importante. Proprio perché le eventuali carenze da esso introdotte non potranno essere recuperate in seguito.

Facciamo un esempio: se il cavo di alimentazione non permette un passaggio di corrente sufficiente affinché l’amplificatore possa esprimere le sue doti di erogazione, soprattutto in regime impulsivo e alle frequenze inferiori, potremo usare i cavi di connessione o per diffusori migliori di questo mondo, ma quel difetto ce lo terremo. Magari senza renderci conto della sua esistenza e per assurdo desiderando sostituire l’amplificatore con uno più prestante.

Questo suggerisce un ulteriore elemento meritevole di riflessione: se l’individuazione di un difetto può essere piuttosto facile, capire dove abbia origine lo è molto meno. A tale riguardo l’esperienza insegna che quasi mai risiede dove ci si aspetterebbe di trovarlo.

Il fatto che il cavo di alimentazione non sia interessato al passaggio di segnale audio, elemento in base al quale si potrebbe ritenere che non abbia ripercussioni sulla sonorità dell’impianto, non ha grande importanza. Le sue caratteristiche vanno a influire comunque sulle doti sonore, proprio perché i componenti dell’impianto variano il loro comportamento a seconda delle modalità con cui sono alimentati. Quel che noi ascoltiamo, infatti, non è altro che la corrente elettrica presente nella rete di distribuzione dell’energia, modulata in funzione del segnale contenuto nel supporto fonografico.

Si tratta di uno tra i principi fondamentali della riproduzione sonora, che spesso però viene tralasciato.

Per contro la domanda più frequente, quando si parla di cavi di alimentazione, riguarda come sia possibile che uno spezzone di cavo da un metro e mezzo o poco più riesca a influire sul segnale, quando è preceduto da chilometri e chilometri di conduttore che collegano la presa di corrente domestica alla centrale di distribuzione dell’energia.

Il punto è che la distribuzione della corrente elettrica funziona in modo del tutto diverso da quella idrica, a cui probabilmente viene assimilata, in maniera più o meno conscia, nel momento in cui ci si chiedono cose del genere.

L’acquedotto è in sostanza un tubo in cui scorre, come diceva il grande Totò, il liquido acquatico, la cui portata dipende dalle dimensioni del tubo stesso. Quindi, nel momento in cui innaffiamo il giardino, se il tubo è troppo stretto di acqua ne esce poca, ma anche se utilizzassimo un tubo di dimensioni inusitate, da esso non potrebbe uscire più acqua di quella che passa dal rubinetto e dalle condutture che lo precedono. Cosa più importante, una volta transitata per il tubo, l’acqua viene dispersa, poniamo sul terreno del giardino, oppure in uno scarico che la convoglia nelle fognature.

La corrente elettrica invece funziona in modo diverso. Non c’è una dispersione a senso unico, come quella dell’acqua che scorre dal serbatoio comunale al rubinetto e poi al terreno del giardino che vogliamo innaffiare.

La conduttura elettrica è formata da due cavi, nei quali avviene un’agitazione di elettroni, tanto più ampia quanto maggiori sono le richieste di energia da parte dell’apparecchiatura alimentata per il suo tramite. Nel caso più estremo, per un impianto audio domestico, la loro escursione può arrivare forse a un paio di metri o poco più. In pratica, allora, gli elettroni che vanno avanti e indietro, e quindi “si usano”, sono sempre gli stessi. Diversamente da quanto avviene per l’acqua con cui innaffiamo il giardino, che se ne va in dispersione e quindi deve essere continuamente rinnovata per avere un flusso costante.

Ecco perché i chilometri che separano la presa di corrente a parete dalla centrale di distribuzione dell’energia non contano più di tanto ai fini del comportamento del cavo di alimentazione e dell’impianto audio, mentre invece le caratteristiche elettriche dello stesso cavo di alimentazione influiscono ben di più sulla sonorità dell’apparecchiatura che è collegata alla rete per il suo tramite.

Per completezza va rilevato poi che ai fini del rendimento dell’impianto, e quindi per le sue doti sonore, sono molto importanti le caratteristiche dell’energia con cui lo si alimenta, e non solo in termini di tensione. A questo proposito ricordiamo che le condutture elettriche sono utilizzate per il trasporto dell’energia, ma anche per il trasferimento di dati, che rappresenta una fonte di disturbo.

Soprattutto, ogni dispositivo che viene collegato alla rete elettrica se da un lato assorbe energia, dall’altro emette disturbi, i quali vanno a influire proprio sulle caratteristiche della corrente distribuita, e di conseguenza sulle doti sonore dell’impianto che la utilizza per il proprio funzionamento.

Al riguardo è sempre bene ricordare come parecchio tempo fa vari costruttori e progettisti stranieri si stupirono per la “sporcizia” fuori dal comune dell’energia circolante nella rete elettrica del nostro paese. Da allora se possibile la situazione è anche peggiorata, anche per via del proliferare dei pannelli a energia solare, che per convertire in alternata la corrente continua da essi generata utilizzano dei dispositivi “switching”, noti proprio per la considerevole quantità di disturbi che immettono nella rete cui sono collegati.

Anche per questo, e per il fatto che a ora tarda sono sempre meno i dispositivi che si servono della rete elettrica, e quindi il disturbo che in essa viene iniettato va a ridursi, di notte gli impianti audio tendono a suonare decisamente meglio che di giorno, come rilevato da tanti appassionati.

Eccoci di fronte a un primo elemento che fa comprendere quanto sia importante far lavorare l’impianto con la corrente più pulita possibile.

Un altro motivo sta nel fatto che il rumore di fondo ambientale nelle ore notturne è inferiore, il che facilita la percezione degli elementi più sottili della riproduzione, anche se ciò non attiene all’argomento che stiamo affrontando.

E’ altrettanto vero che quando si provvede a “pulire” l’energia fornita dalla sezione di alimentazione di un’apparecchiatura ai circuiti audio, i risultati in termini di miglioramento delle sue doti sonore sono evidenti.

Ecco perché molti usano collegare le prese di alimentazione cui si attacca l’impianto direttamente al contatore, mediante un cavo indipendente, al fine di avere una maggiore separazione nei confronti dei disturbi propagati dagli elettrodomestici nell’impianto elettrico dell’abitazione.

Tuttavia di cose simili si parla poco o nulla, a livello diciamo così ufficiale, preferendo puntare l’attenzione su altri elementi come il convertitore tal dei tali, il formato con più bit, il quarzo ad altissima precisione o le caratteristiche della sezione di uscita nel caso delle sorgenti digitali, trattandosi di argomenti meglio comprensibili, digeribili e praticabili, tanto dalla pubblicistica di settore quanto dagli appassionati.

Resta il fatto, però, che anche il miglior convertitore di questa terra, se preceduto da un’alimentazione inadeguata o trascurata, suonerà comunque peggio di un esemplare più modesto ma alimentato nel modo più efficace.

D’altronde un convertitore D/A costa in genere qualche dollaro, mentre invece realizzare un’alimentazione come si deve comporta spese ben più rilevanti. Che una volta moltiplicate per il numero di passaggi da cui è costituita la filiera di distribuzione del prodotto audio, vanno a realizzare differenze di prezzo parecchio consistenti, ma soprattutto giustificabili con difficoltà se i criteri di giudizio sono quelli appena elencati.

Come al solito, allora, si cerca di dirigere l’occhio degli appassionati dove conviene maggiormente.

In definitiva, se una lampadina o un frigorifero non risentono del cavo con cui li si alimenta, qualora la sua sezione sia sufficiente allo scopo, l’impianto audio invece si. Ecco qual è la differenza sostanziale tra l’uno e gli altri, al di là delle loro funzioni, anche se di essa a volte può capitare di non avvedersi.


10 thoughts on “L’hi-fi non è una lampadina

  1. Salve
    questa conversazione è interessante, io sto cercando di costruirmi dei cavi di alimentazione corretti seguendo indicazioni dal web, per l’esattezza sul noto sito TNT-audio. Ho un amplificatore abbastanza vetusto ma a mio avviso ben funzionante, un Kenwood ka3020. Mi chiedo cosa voglia dire ‘rigenerare’ e ‘filtrare’ la corrente: attraverso quali dispositivi è possibile farlo? Grazie

    1. Ciao Alessandro e grazie del commento.
      Il tuo quesito è interessante e può riassumere i dubbi di numerosi altri appassionati. Quindi spero non ti dispiaccia se la riporto nella pagina dedicata alle domande degli appassionati, nella quale trovi la mia risposta.
      Spero continuerai a seguire Il Sito Della Passione Audio e se hai altri quesiti non esitare a utilizzare la pagina Chiedi a Claudio.

        1. Dovere mio, figurati. Quando vorrai inviare altri commenti, e se avrai bisogno di altri consigli, sarai sempre il benvenuto.

  2. Più che il cavo, o meglio oltre al cavo di alimentazione, elemento fondamentale, deve essere attenzionata la stessa corrente elettrica, nella sua qualità e nel suo “verso” all’interno degli apparecchi.

    Nella mia esperienza, in un sistema di qualità non sono stati il continuo cambio di diffusori e di amplificazione, nè la misura ed il trattamento professionale dell’ambiente di ascolto a condurmi a quella “pace dei sensi” che ti porta a godere della musica senza quell’insieme di fastidio, ansia e frustrazione per la sensazione che “qualcosa non va”.

    Piuttosto che, illogicamente e, in caso di perseveranza, stupidamente insistere sugli elementi più a valle, sono andato ad agire su quelli più a monte: un rigeneratore di tensione (+ trasformatore di isolamento sulla sorgente digitale), la scoperta della giusta fase elettrica dei singoli apparecchi e una sorgente digitale di qualità.

    Così ho raggiunto uno stato di pace, che mi porta un pò a sorridere osservando dall’alto audiofili insoddisfatti che, sfottendo le mie B&W 803D (diffusore lodato pubblicamente per la sua veridicità da un Marco Lincetto qualunque), spendono soldi su soldi e pretendono dall’anello finale (il diffusore o addirittura l’ambiente, la più grande bufala degli ultimi anni per l’abnorme sovrastima della sua rilevanza) che si inventi ciò che non c’è a monte.

    In tutto questo gli operatori del settore e la “stampa specializzata” intervengono timidamente o non lo fanno affatto, perché vi è una ovvia convenienza nel mantenere il pubblico insoddisfatto e proteso a comprare.

    È qui che devono intervenire le persone competenti, intelligenti e oneste come noi, per svegliare le masse di auto-lobotomizzati che vanno avanti ripetendo gli slogan inculcati loro da chi gli sottrae, più che i soldi, la gioia di godere in modo sano della propria passione.

    1. Grazie del commento, Emanuele.
      Di sicuro le caratteristiche della corrente hanno la loro importanza.
      Purtroppo, se già è difficile spiegare alle persone che possono iniziare almeno a trasportare correttamente quella di cui dispongono verso i componenti dell’impianto, figuriamoci come potrebbero reagire suggerendo loro di rigenerarla o quantomeno filtrarla. “Le apparecchiature sono perfette, quindi vanno benissimo così”: è questo il pensiero comune.
      Soprattutto sono motivi di spazio, leggibilità e completezza di analisi a rendere complicato affrontare più argomenti insieme, ma nel prossimo futuro si parlerà anche di quello che ti sta a cuore.
      Quanto alle reazioni degli appassionati, quando ci si è costruiti un mondo su misura delle proprie convinzioni, e nel quale ci si ritrova, non di rado accade di reagire con fin troppa veemenza nei confronti di chi ti sottopone una diversa visione della realtà. Poi naturalmente c’è chi trae vantaggio dall’alimentare certe convinzioni e ha tutto l’interesse affinché di certe cose non si parli.
      Del resto l’appassionato soddisfatto ha ottime probabilità di dare un termine al continuo ricambio delle apparecchiature. Questo spiega molte cose.

  3. Esauriente ed assolutamente istruttivo come sempre Claudio, dove mi trovo ad apprezzare ciò che per tutti o quasi, l’alimentazione e il suo trasporto sembrino cose ovvie e semplici quando, invece, richiedano meritata attenzione e studio, magari con un vero calcolo matemetico.
    Mi vengono in mente casualmente due cose in merito al trattamento della corrente elettrica nel’hifi, che lessi qualche anno fa: l’esperimento fatto da Nelson Pass per dimostrare che anche una lampadina ad incandescenza poteva sopperire ad una valvola amplificatrice e l’enorme “macchina” di Hiraga, alimentata a batterie…

    1. Grazie per il commento, Antonio, e per la tua considerazione.
      Gli esempi che fai sono calzanti e danno un’idea di quanto sia grande l’influsso delle modalità di alimentazione sul comportamento delle apparecchiature, e di conseguenza sulla sonorità e la godibilità di ciò che ascoltiamo.
      Ma che si parli di queste cose dà fastidio a molti. Forse perché l’appassionato ignorante è una fonte di guadagno migliore.

      1. Grande Claudio, hai fatto veramente un bel sito e dici delle verità che per noi vecchi appassionati erano risapute. Ho imparato tanto da te ed anche dal nostro amico comune Remigio. Bravo, un saluto.

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