CHI SONO

La mia attività professionale in campo audio ha avuto inizio nel 1988 come redattore delle principali riviste specializzate, con cui ho collaborato fino al 2015. Mi sono sempre visto in primo luogo come un appassionato di musica, e poi di audio, prestato alla stampa di settore.

In conseguenza, per me l’impianto audio è soprattutto lo strumento mediante il quale posso approfondire al meglio l’opera del musicista immagazzinata sul supporto fonografico, in modo tale da ricavare il massimo piacere dal suo ascolto e il massimo beneficio in termini culturali.

Tutte le questioni inerenti estetica dell’impianto, cosmetica delle apparecchiature e il piegarli all’utilizzo quali  impropri status symbol non hanno importanza alcuna. Anzi, finiscono regolarmente con l’andare a detrimento della qualità sonora e del piacere d’ascolto, proprio perché sviano l’attenzione del suo possessore dall’obiettivo primario, che è appunto quello di ricavare il massimo dal suo investimento, quasi mai di entità trascurabile.

Ho fatto parte della redazione della rivista che pretendeva di essere la numero 1 del settore fino al 2007, continuando sempre a ritenermi un appassionato. Proprio questo forse contribuì ad acutizzare le cause per cui me ne andai, non potendone più della realtà di quel bell’ambientino. Nel 2011 ho iniziato la mia collaborazione con un’altra rivista, terminata nel 2015.

L’ insegnamento primario dell’esperienza che ho messo insieme in tanti anni, è che non importa quanti soldi si spendano per l’impianto e quanto siano avanzate le tecnologie delle apparecchiature da cui è composto: resta sempre difficile ottenere una qualità sonora tale da dare sensazioni ragionevolmente paragonabili a quelle che si avrebbero assistendo a un evento dal vivo. Lo è ancora di più se si seguono le indicazioni che si trovano sulla carta stampata o presso le fonti che ne condividono i conflitti di interesse.

Così, nella maggioranza dei casi, più le tecnologie utilizzate sono definite avanzate o addirittura rivoluzionarie dai costruttori e dal Coro degli Entusiasti a Prescindere, più le apparecchiature che ne derivano restano lontane da tale obiettivo. Paradossalmente, invece, impianti in apparenza più modesti, non di rado danno sensazioni proporzionalmente più soddisfacenti.

Per questo motivo impianti grandi causano problemi grandi e complessi da risolvere, mentre impianti più piccoli presentano problemi decisamente minori.

In questo vi è la conferma di una cosa di cui sono sempre stato convinto: apparecchiature, sistemi e tecnologie semplici danno quasi sempre i risultati più gradevoli all’ascolto, mentre le tecnologie avanzate di cui i marchi vantano l’uso per i loro prodotti trovano sovente l’impiego più efficace nel fornire argomenti sempre nuovi alle campagne pubblicitarie e alle prove che fanno da merce di scambio per i contratti pubblicitari.

Una ragione può essere trovata nelle logiche della produzione industriale, causa di limitazioni per le apparecchiature audio qualunque sia il loro costo, che a loro volta vanno a influire nella capacità di queste ultime a operare sul segnale audio senza introdurre pesanti degradazioni.

Da queste considerazioni è partita la mia ricerca riguardo alla possibilità di oltrepassare certi limiti. Inizialmente si è focalizzata sui cavi, data la loro tendenza a evidenziare elementi comuni nella generale mediocrità di fondo.

A tale riguardo l’idea di base è che i cavi non vanno presi alla stregua di singoli elementi a sé stanti, ma come facenti parte di un sistema che richiede di essere osservato in quanto tale e interagisce con quello costituito dalle apparecchiature audio. Non solo influenzandone il comportamento in maniera assai significativa, ma attribuendogli  un vero e proprio marchio distintivo, che resta sostanzialmente inalterato e riconoscibile anche qualora se ne cambino  tutti i componenti, al limite anche con altri di sonorità opposta.

Il segnale audio inoltre ha necessità che vanno oltre la mera conduzione di quello fisso a 50 Hz che siamo abituati a definire come corrente elettrica. Quando questi e altri elementi sono tenuti in considerazione, è possibile realizzare cavi che l’ascoltatore riconosce senza difficoltà nella loro attitudine a lasciar fluire il segnale audio in maniera più libera e pulita.

Di seguito ho esteso la mia ricerca alle apparecchiature audio, basandomi sui medesimi presupposti e sulla convinzione che la semplicità realizzativa e l’impiego di componentistica di qualità realmente elevata siano gli elementi primari ai fini di risultati validi sotto il profilo della qualità sonora.

Le apparecchiature che ho realizzato fin qui comprendono un amplificatore integrato, un preamplificatore valvolare con alimentazione separata, un preamplificatore valvolare di costo abbordabile ma dalla sonorità molto gradevole, a telaio singolo o con alimentazione separata, un amplificatore finale a Mosfet, un amplificatore finale a bipolari, due DAC, rispettivamente con stadio di uscita a stato solido e valvolare, un risonatore di Schumann.

Tutti sono realizzati a mano, come del resto i cavi di mia produzione.

 

Passato remoto

Andando indietro nel tempo, le prime esperienze che ho avuto con gli oggetti adibiti a riprodurre musica risalgono alla mia infanzia, trascorsa nei primi anni sessanta. Uno dei miei giochi preferiti era disporre quante più macchinine possibile sul piatto di un piccolo giradischi La Nuova Faro. Poi lo accendevo e le facevo girare, come su una giostra. Aumentando la velocità di rotazione, da 16 a 33 e poi a 45 giri, mi divertivo a vederle partire per la tangente.

Sinceramente non so come riesca a ricordare la marca di quel giradischi, a tanti anni di distanza. La cosa in sé, oltre al fatto stesso che fosse quello uno dei miei giochi preferiti, potrebbe non essere una coincidenza nei confronti dell’attività cui mi sono dedicato per tanta parte della mia vita.

Comunque sia, avevo ricevuto quel giradischi in regalo dai miei genitori quando loro acquistarono una fonovaligia Farfisa, stereofonica, che allora era un grande lusso. Infatti dicevano fosse molto costosa e per questo la tenevano con grande cura. Era munita di una delle primissime meccaniche cambiadischi, con caduta dall’alto dei vinili, di produzione Dual. Non aveva il consueto braccio di serraggio dall’alto per i dischi in attesa di riproduzione, ma si serviva di un semplice alberino verticale a denti retrattili, che al momento opportuno lasciava cadere l’LP sul piatto. Ulteriore meraviglia, per quell’epoca s’intende, aveva un sistema meccanico di posizionamento del braccio a inizio disco, sia per i 33 che per i 45 giri; l’amplificazione era valvolare mentre i diffusori, a due vie si potevano staccare dalla parte principale del telaio al fine di produrre un effetto stereo più marcato.

Il tutto aveva una finitura goffrata di colore bianco e blu. Ai miei occhi di bambino aveva un’attrattiva particolare, tale da suggerirmi che sarebbe stata particolarmente adatta a grattarci sopra delle fette biscottate.

Naturalmente terminata l’operazione lasciai in bella vista il mio capolavoro. Ricordo ancora le urla di mia madre quando si accorse del modo con cui avevo passato il tempo quel pomeriggio.

Anche questo potrebbe essere visto come un prefigurarsi, sia pure sui generis, delle mie attitudini dell’età adulta, riguardo al cercare il modo di trarre il massimo da qualsiasi apparecchiatura.

Sul piccolo giradischi che mi era stato regalato non facevo andare solo macchinine ma anche i miei 45 giri preferiti, che per quanto posso ricordare erano il tema dal film “I magnifici sette”, il cui ascolto mi infondeva un senso di grande esaltazione, “Pasqualino Maragià” di Modugno e “Let’s twist again” di Chubby Checker.

Il mio primo LP lo acquistai nel 1970: “Abbey Road” dei Beatles. Il primo vero impianto hi fi entrò in casa mia un paio d’anni dopo. Era composto da giradischi, amplificatore e diffusori Philips, che allora produceva apparecchiature di costo non impossibile ma dal valido rapporto qualità/prezzo. All’epoca ero assiduo frequentatore di un negozio di dischi con annessa saletta retrostante per la dimostrazione e la vendita di apparecchiature hifi. Il suo gestore mostrava una considerazione molto scarsa per il mio impianto, che gli avevo descritto nei particolari. Secondo lui i prodotti Philips erano di scarto o quasi. Stanco delle sue continue prese in giro, un bel giorno mi presentai con sotto al braccio l’amplificatore, che diede una discreta paga a quelli ivi presenti. Con grande sorpresa per il gestore del negozio, che non avrebbe mai immaginato di vedere così ridimensionati gli esemplari che aveva in vendita, ai quali evidentemente attribuiva una fiducia illimitata. Tuttavia fu abbastanza per indurlo a finirla con il suo sfottò.

Tempo dopo si presentò l’occasione di sostituire proprio l’amplificatore. Venni inviato da mio padre presso un negozio che allora era tra i più noti della Capitale e lì effettuai la mia scelta.

Il giorno successivo tornammo per perfezionare l’acquisto e trovammo ad accoglierci il titolare del negozio, che mi chiese quale amplificatore avessi scelto. Risposi che a me piaceva un Luxman, allora marchio di grande prestigio, esclusivamente per iniziati. Egli mi guardò con aria di sufficienza e disse “adesso vediamo”, ritenendo probabilmente che per la mia giovane età e la poca esperienza che mi si poteva attribuire non fossi assolutamente in grado di discernere i valori in campo, tantomeno quelli di un amplificatore simile.

Così mi sfidò a riconoscerne la timbrica e mi fece voltare le spalle alle apparecchiature esposte, in modo che non potessi vedere cosa stava suonando effettivamente. La prova fu effettuata con gli altri due amplificatori della stessa fascia di potenza disponibili in negozio, un JVC di cui non ricordo la sigla e un Marantz 1120.

Il titolare del negozio iniziò col far suonare il JVC, che riconobbi dicendo che non mi piaceva per la sua sonorità alquanto rozza. Passò poi al Marantz, distinguibile senza difficoltà data la timbrica più chiara, a tratti fin troppo. Infine arrivò al Luxman, Non appena iniziò a suonare dissi: “Ecco, questo è il Luxman. Mi piace perché suona caldo e raffinato”. Il titolare del negozio mi guardò con tanto d’occhi, incredulo per la mia capacità di distinguere amplificatori diversi con tanta sicurezza e per i gusti tipici di persone di ben altra esperienza. Poi guardò mio padre alzando le braccia e scuotendo lievemente la testa, come a dire: “Io ci ho provato, ma ti tocca comprare il Luxman”, che in effetti era piuttosto costoso.

Stiamo parlando di un periodo in cui la riproduzione sonora di qualità era ben più diffusa di oggi. A un certo punto sul mio stesso pianerottolo fummo ben in tre, più o meno della stessa età, ad avere un impianto stereo. Inevitabile passare buona parte del nostro tempo ad ascoltare criticamente e a tentare cambi, nei rispettivi impianti, con le apparecchiature in nostro possesso, sulla falsariga di quello che leggevamo sulle riviste di settore.

Tornando al presente, mi appresto a questa nuova avventura, con l’idea di condividere insieme agli eventuali lettori del sito l’esperienza fatta in tanti anni di attività, come di consueto senza reticenze e soprattutto senza forma alcuna di censura. Non fosse per quanta, fin troppa, ne ho dovuta sopportare nelle collaborazioni con le riviste di settore, soprattutto con la prima per cui ho lavorato. In diversi casi spinta al punto da sovvertire completamente il senso delle cose che avevo scritto.

Ci sarà tempo e modo di parlarne in maniera più approfondita, e più in generale nello spazio denominato Vita di redazione.