Se lo si osserva distrattamente, il gratta e vinci ha l’aspetto di un concorso a premi.
In realtà la sua valenza più concreta e profonda è di degenerazione e cancellazione.
La degenerazione è innanzitutto quella dello Stato, che da entità destinata idealmente e per elezione a migliorare la vita delle persone, si riduce volontariamente a biscazziere di terz’ordine, la cui specialità migliore è l’equivalente del gioco delle tre carte. In nome e per conto dei cravattari cui si è consegnato, per mezzo di una classe politica di vili affaristi cooptati proprio a tal fine, quale che sia il colore della divisa che indossano.
A seguire è delle istituzioni cui delega la gestione di quel meccanismo truffaldino e poi del popolo che abita nel suo territorio.
Se è ridotto alla speranza flebile ma più spesso vana della botta di fortuna, ai fini della quale gli è richiesto un esborso a tal punto significativo delle sue risorse sempre più magre, mentre lo sperpero predomina e viene reso sempre più dilagante, vuol dire che è ridotto in condizioni di vita ormai intollerabili.
Senza considerare la dipendenza dal gioco d’azzardo cui è indotto subdolamente, data l’apparente innocuità del meccanismo con cui la si procura, da parte di uno Stato che dovrebbe essere al suo servizio e invece si adopera per rendergli la vita impossibile.
Su mandato di chi?
Se possibile, inoltre, l’elemento relativo alla cancellazione è ancora peggiore: riguarda in primo luogo ogni sicurezza o punto di riferimento e, per conseguenza, qualsiasi valore e l’etica che ad essi sottende. Sostituiti da quello del denaro, imposto come fine unico e ultimo cui aspirare, per mezzo di qualunque sistema si riveli efficace alla sua accumulazione più rapida, priva d’impegno e ancor più di scrupoli.
Per sua natura, dunque, il gratta e vinci è sinonimo di corruzione e degrado, dei quali fa elemento portante e dominante di qualsiasi cosa ad esso sia accostato.
Come tale, la sua diffusione è quantomai pervasiva. Già, perché il gratta e vinci non sta solo dal tabaccaio, ma un po’ dappertutto.
Dunque anche nel settore della riproduzione sonora amatoriale, che come ormai abbiamo imparato fin troppo bene, replica e non di rado anticipa le logiche, i meccanismi, le contraddizioni e i veri e propri paradossi della cosiddetta società civile. Talvolta amplificandoli.
Il meccanismo è semplice, al punto che lo comprende anche un bambino: prendi un tagliando, dietro pagamento, più o meno elevato a seconda della vincita potenziale, e lo gratti. Se trovi la giusta combinazione di simboli vinci una certa somma, che può andare da pochi spicci a un gruzzolo col quale puoi sperare di sistemarti.
Il perno attorno a cui ruota il meccanismo è l’aleatorietà, che la Treccani definisce dal lat. aleatorius, der. di alea «gioco di dadi»]. – Rischioso, incerto: esito a., lavoro a., impresa aleatoria.
“Alea jacta est”, è la frase che stando alla Storia avrebbe pronunciato Giulio Cesare, quando ha passato il Rubicone insieme con le sue legioni.
Proprio sull’aleatorietà specula il biscazziere, che se inonda le rivendite dell’intero Paese con i tagliandi di quel gioco, non lo fa certo per fornire un diversivo alla noia da cui potrebbe essere presa una parte più o meno significativa della cittadinanza.
Tra l’altro sa per certo che il numero di biglietti vincenti è largamente inferiore rispetto ai tagliandi in circolazione, dato che li stampa in proprio, e conosce ugualmente al centesimo il valore complessivo delle vincite ottenibili per il loro tramite. Assomma ovviamente a una frazione trascurabile del valore facciale dei tagliandi stessi.
Quindi non si tratta più di gioco d’azzardo, in funzione del quale anche il banco si assume la sua parte di rischio, per quanto minoritaria, ma di un meccanismo camuffato, nei suoi intenti e nelle sue finalità. Il che chiarisce ancor meglio il ruolo che lo Stato stesso si attribuisce in concreto, volendo però far credere che si tratti sempre di quello che si è dato in origine.
La cosa peggiore tuttavia è osservare il grado di compulsione, cosa fattibile recandosi presso un qualsiasi tabaccaio in un qualsiasi momento, con cui i “giocatori” si affannano a grattare gli spazi dei tagliandi destinati allo scopo, e soprattutto il numero che di questi acquistano ogni volta, destinandovi somme di un certo rilievo, che non sarebbe per nulla difficile destinare a cose di maggiore utilità.
Ma d’altronde perché sacrificarsi, ad esempio per dare un gruzzoletto a figli e nipoti, nella consapevolezza che poi è lo Stato stesso che lo riduce in cenere, pilotando tassi di svalutazione più o meno drastici a seconda delle esigenze e delle volontà del momento?
Chi o cosa gestisce il gioco, di tutto questo non si cura assolutamente. Anzi trae vantaggio dal divenire di sempre maggior crudezza di questa realtà, il che specifica ancor meglio le sue effettive inclinazioni.
Si può immaginare pertanto che le condizioni che hanno portato a inventare quel “gioco”, o anche a passare da un’estrazione del lotto a settimana, il sabato pomeriggio, a una ogni cinque minuti in ogni giorno che veda la luce sulla Terra che calpestiamo, fossero oltremodo critiche e tali da non lasciare alternative di sorta a qualcuno che, evidentemente, manca di fantasia al punto di non saper trovare un’alternativa meno vergognosa.
Probabilmente la realtà che ha reso obbligatorie certe scelte doveva essere davvero stringente. Chi e come ci ha portato ad essa? E perché il sistema d’informazione, che attribuisce a sé stesso e certifica in modo del tutto autoreferenziale il proprio crisma di ufficialità, non ne ha mai parlato e tuttora si guarda bene dal farlo?
Se mai lo ha fatto, anzi, è stato solo per esortare e far apparire fin quasi obbligatoria l’adozione di determinate misure, come col titolone ormai passato alla Storia.

Come fa allora a pretendere tuttora di essere l’unica fonte attendibile e a tacciare tutto quanto non fa parte del suo circuito di essere un produttore di balle seriale?
Il livello cognitivo
Si potrebbe dire che una certa tendenza al gioco d’azzardo sia sempre esistita. Riflettendo sull’argomento, sia pure in maniera superficiale, è inevitabile rilevare che la sua capitale risieda in un luogo un tempo sperduto, ma oggi noto persino ai lattanti, quale che sia la latitudine in cui risiedono: Las Vegas.
La fama di quel luogo è tale che ormai da decenni un numero maggiore di persone vi si reca in pellegrinaggio, giusta l’esigenza di versare il proprio obolo a chi per mestiere sfila quattrini ai malcapitati, e allo scopo ha spinto la propria abilità ai massimi livelli planetari. Come pure ai massimi livelli oltreché in perenne evoluzione è la dotazione strutturale di cui si serve per arrivare al proprio scopo.
Di fronte al dispiego di mezzi tecnologici e propagandistici a favore della un tempo cittadina e ora quasi metropoli che fa parte dello Stato del Nevada, i casinò un tempo notissimi della vecchia Europa sono relegati alla decadenza o meglio ancora all’irrilevanza. Di fatto sono ridotti a destinazione per quei quattro sfigati e morti di fame che per andare a buttare soldi alla roulette o al tavolo dello chemin de fer non hanno la possibilità di accattarsi uno straccio di biglietto aereo per l’America.
Che il primato del mondo anglosassone per tutte le attività meno commendevoli possano avere luogo sulla faccia di questa Terra sia indiscusso, è cosa arcinota. Questo comporta in maniera inevitabile una riflessione riguardo a quello che molti osservatori definiscono il piano del confronto oggi più significativo, al punto tale che alcuni ritengono sia il terreno su cui si svolge la battaglia fondamentale e decisiva, quello cognitivo.
Proprio laddove si forma la percezione di ciascuno di noi e in tale funzione è esercitato il controllo, più o meno consapevole, sulle nostre azioni e decisioni.
Secondo un determinato punto di vista, nel momento in cui si discute col fervore attuale di conflitti tradizionali, si sostiene che vi siano ottime probabilità che l’America abbia già conquistato quello che si definisce il campo di battaglia più importante, ossia quello delle nostre menti.
In che modo?
Per mezzo del controllo degli algoritmi che decidono cosa vediamo online e del sistema d’intrattenimento tradizionale, TV, cinema, musica eccetera. Dei quali a suo volta dirige la produzione in maniera pressoché monopolistica.
A tale riguardo è proprio l’esigenza che nessuno più possa sfuggire alle notizie autorizzate, e quindi all’attuazione delle decisioni che da esse conseguono, a imporre quella che pomposamente viene definita IA. Che altro non è da un sistema di gerarchizzazione delle informazioni atto ad attribuire un predominio che si auspica definitivo a chi di esse detiene il controllo, ossia i motori di ricerca o meglio IL motore di ricerca.
Che non è stato messo in piedi e reso a tal punto potente per il nostro beneficio, come spiega la frase pronunciata a suo tempo da Jacques Attali, politico cooptato dalle élite e messo a operare in un partito di sinistra, che è e resta la miglior chiave di lettura per tutto quanto accada al giorno d’oggi e non solo: “Cosa credeva la plebaglia europea, che l’Euro fosse stato creato per la sua felicità?”
Un altro strumento fondamentale è la formazione di classi dirigenti americanizzate, in tutte le università e non solo le più prestigiose, comunque alla testa della tendenza.
Soprattutto nell’imposizione di fatto della lingua inglese come lingua franca e pertanto strumento di pensiero dominante. Proprio perché è attraverso la semantica che si costruisce la realtà e meglio ancora la sua decodifica da parte di ciascun individuo.
Questo avviene non solo nei Paesi di lingua anglosassone e affini, ma anche in quelli latini, come il nostro, dove il suo influsso ha assunto contorni se possibile ancora più deleteri. A iniziare da quella forma di italese che è ormai la lingua parlata dalla maggioranza delle persone.
A tale riguardo, troppi fanno dell’intercalare di parole inglesi o pseudo tali, cui è attribuito un significato simbolico, mentre quello letterale è quasi sempre malcompreso, di appartenenza. Inteso come attestato di modernità, cosmopolitismo, il cui vero significato è assenza di radici, e adeguatezza alla realtà attuale. Vissuta ancora una volta senza il minimo di riflessione, secondo un meccanismo ritenuto ormai irrinunciabile.
A questo proposito non mi stancherò mai di ripetere come, alla discussione della tesi di laurea cui ho assistito ormai qualche anno fa, non vi sia stato un solo allievo che sia stato in grado di completare una frase di senso compiuto in italiano, senza metterci in mezzo qualche parola d’inglese.
Si tratta in concreto di una forma di analfabetismo funzionale, per non parlare della povertà e della puerilità degli argomenti portati in tesi, dalla quale è affetta gente che si porta comunque a casa la laurea, con 110 e lode.
Con quelle stesse carenze ormai incistate nel personale processo cognitivo, frequenteranno e supereranno poi con esito altrettanto brillante i corsi master, altra parola inglese, che all’università seguiranno. Oltretutto per forza, dato che a tal punto è degenerata la preparazione che riesce ad attribuire ai suoi frequentatori. Entreranno infine a far parte della élite o comunque della classe dirigente di un Paese, il nostro, il cui destino è segnato.
Proprio perché soffre, tra le altre, di una crisi da inadeguatezza delle classi dirigenti per la quale non si vede via d’uscita.
Tranne si verifichi una sollevazione, in primo luogo culturale, tale da causare un’inversione di tendenza che al momento appare improbabile.
Quanto è verosimile un evento del genere, in un Paese in cui la trasmissione più vista è quella di Maria de Filippi, ovvero pornografia allo stato puro, e quando in testa alle classifiche ci vanno i brani come “Il ballo del qua qua” si deve pure essere contenti?
Dunque, la guerra cognitiva si trova elevata ormai da tempo a un’importanza strategica primaria. Probabilmente superiore agli stessi mezzi coi quali si combatte per tradizione. Non è più fantascienza ma strategia militare ufficiale e comprovata.
Del resto a che serve conquistare militarmente un territorio, nel momento in cui la maggioranza schiacciante di quanti lo abitano ha assunto supinamente la forma mentale desiderata da chi muove a tale scopo?
E’ solo uno spreco di mezzi e risorse economiche.
Il risultato è quello che gli studiosi chiamano afasia culturale, predominante in nazioni che non solo hanno perso fiducia nella propria identità culturale ma proprio non ne posseggono più una.
Il più delle volte perché gli è stata sottratta, con un’azione subdola ma incessante prodotta nell’arco di vari decenni.
Si, mangiano ancora pasta all’amatriciana, la fonduta e il casatiello, mentre le giovani generazioni vanno avanti ormai da tempo a saikebon, che chi lo fabbrica e lo vende dovrebbe marcire in galera, ma per il resto è il deserto.
Se la vera indipendenza inizia dalla consapevolezza, è inevitabile chiedersi quanti siano, oggi, gl’individui ancora in grado di esercitare un’effettiva autonomia di pensiero.
Al riguardo penso valga la pena di leggere un documento, reperibile al link che segue https://www.anotherworld.network/the-colonisation-of-minds-american-cultural-hegemony-in-the-21st-century
Dunque la sottocultura di matrice anglosassone è oggi ingrediente fondamentale del processo cognitivo di una parte tanto significativa delle persone che sono nate e vivono nel nostro Paese. Non solo a causa del sistema di propaganda, ma ancor più delle istituzioni di uno Stato che da anni lotta con ogni mezzo per instillare la forma peggiore di auto-razzismo nelle menti dei suoi sudditi. Parlare di cittadini in condizioni del genere sarebbe del tutto improprio.
Se di tale sottocultura l’elemento del gioco d’azzardo è a tal punto rilevante, la logica stessa del gratta e vinci, che dell’azzardo è la forma più taroccata sia possibile immaginare e per questo è così spinto dallo Stato che quale primo scopo della propria esistenza ha fatto la vessazione e il taglieggiamento delle sue vittime, è inevitabile che sia accettata fino in fondo.
Senza remore e soprattutto innalzandola a elemento di regolazione per le procedure di una serie di attività sempre più ampia.
Dunque è la norma.
Non scritta e come tale immensamente più difficile da riformare e meglio ancora da estirpare.
Ugualmente inevitabile, pertanto, che vada a interessare anche il settore di nostro interesse.
Gratta l’hi-fi e vinci lo sconto
Veniamo ora all’osservazione dei fenomeni che inducono a pensare come il gratta e vinci sia a tal punto operante anche nel settore di nostro interesse.
Un primo esempio è quello capitatomi per puro caso qualche tempo fa. Un lettore mi ha chiesto delucidazioni riguardo a un certo tipo di diffusori e, al fine di dargli una risposta il più possibile verosimile, ho fatto una ricerca per vedere quale fosse il suo prezzo di vendita al momento.
Non passano 24 ore che mi vedo arrivare nella casella di posta elettronica l’offerta che segue.

Per il suo tramite si offre l’acquisto di quel prodotto con uno sconto assai rilevante, pari a 600 euro.
Immaginiamo per un istante che fossi una persona realmente interessata all’acquisto dell’oggetto.
Cosa avrei fatto nei suoi panni? la risposta più probabile è che, forse, mi sarei precipitato a cogliere quell’offerta. 600 euro non sono pochi, tantopiù quando lo sconto ad essi corrispondente permette di acquistare un diffusore di quella stazza e impatto visivo, mettendo da parte almeno per il momento le sue prestazioni effettive, a un prezzo che oggi rischia di essere insufficiente anche per un modello da piedistallo in puro stile vorrei ma non posso.
Immaginiamo ora che se invece di essere uno che sa cogliere al volo le occasioni più o meno propizie fossi stato seriamente interessato in via preventiva a quel diffusore, e così avessi premuto sul pulsante compra già al momento della prima visita al sito di aste internet per antonomasia.
Come avrei reagito, il giorno dopo nel vedermi arrivare quel messaggio che me lo offre a 600 euro meno di quel che l’ho pagato?
E cosa avrebbe fatto il venditore: si sarebbe preso il prezzo intero oppure consapevole dell’offerta che egli stesso ha deciso di attivare mi avrebbe praticato ugualmente lo sconto di propria sponte?
O altrimenti come si sarebbe comportato, nel momento in cui vista l’offerta della quale non ho potuto approfittare per troppa convinzione nei confronti del suo prodotto, avessi inoltrato richiesta di poterne usufruire, sia pure ex post?
Mistero. Quello che ne viene minato, inevitabilmente, e sia pure solo agli occhi di qualcuno che non ha intenzione di adeguarsi in maniera supina alle dinamiche di mercato, e men che meno a quelle atte a dirigere il pensiero stesso della maggioranza schiacciante degli individui oggi in vita, è il concetto stesso di serietà.
E, insieme ad esso tutto quanto vi ruota attorno, che non è poco.
Laddove non c’è serietà non può esserci altro che la presa in giro. Vie di mezzo non ce ne sono.
In un primo momento riferendosi solo al prodotto in questione, ma in breve, approfondendo la ricerca, in relazione a una dinamica che ormai dà l’idea di essere dominante, nel settore di nostro interesse.
Appunto quella che abbraccia la logica e la fa propria, fin nel suo intimo, della cosiddetta offerta speciale.
Definita in tal modo proprio perché un numero più o meno limitato di acquirenti può entrare in possesso del prodotto a un prezzo significativamente minore rispetto a tutti gli altri. Basta che acquisti il prodotto nel periodo e attraverso i canali stabiliti da chi lanciato l’iniziativa.
Occorre poi, o meglio innanzitutto, venire a conoscenza dell’esistenza di quell’offerta,, il che non è da dare per scontato e presuppone il seguire con la massima assiduità ogni possibile fonte attraverso la quale possa esserne data la notizia. Il che a sua volta significa dedicare tempo alla cosa e soprattutto concepire l’acquisto del prodotto, e dunque il prodotto stesso e le sue prerogative, in subordine all’esistenza di un’iniziativa di vendita ritenuta congrua.
Se la qualità sonora dell’impianto ha un’importanza a tal punto minore dell’offerta speciale, che fine fanno il concetto stesso di hi-fi e gli scopi per cui si allestisce l’impianto, ossia una riproduzione domestica massimamente fedele a quel che si suppone possa essere l’evento originario?
Sono sacrificati, inevitabilmente, in favore di una manciata di quattrini.
Trarre vantaggio dall’offerta speciale, oltretutto, richiede in primo luogo l’utilizzo di tempo in quantità, per andare alla sua ricerca e per forza di cose da distogliere ad altro, che ha anch’esso un valore e per tanti aspetti è il più elevato di tutti. Così da rendere quell’offerta molto meno conveniente di quel che sembrerebbe a prima vista.
Più ancora, stabilisce la misura in cui tale acquisto sia voluttuario.
Ossia non dettato da una vera e propria esigenza o mancanza, ma solo dalle condizioni esistenti al momento, il che in buona sostanza certifica che di quel prodotto non vi era un reale bisogno ma lo si è acquistato credendo di risparmiare. Cosa per cui viene comunque richiesto di spendere una somma in ogni caso rilevante, che come paradosso non è niente male.
D’altronde le logiche di vendita tali sono e non altro. Dunque, se ci prospettano la possibilità di risparmiare è solo un’apparenza, proprio perché a tal fine si è obbligati innanzitutto a spendere.
Il vero risparmio, nonché l’unico ai fini del quale si possa utilizzare quella parola, è restare con quello che si ha già, che non è detto sia così inferiore al prodotto con cui lo si vuol sostituire o quantomeno non in misura proporzionata alla cifra che comunque ci viene richiesto di sborsare.
Anzi, impegnandosi affinché possa esprimere il suo vero potenziale, non è improbabile che si otterrà un rendimento maggiore rispetto a quello possibile col nuovo acquisto.
Rispetto al quale, allora, rimane esclusivamente l’aspetto edonistico e quello ludico relativo alla compravendita e all’eccitazione che da essa deriva.
Il problema dell’usato
Oltre a quanto già rilevato, e a tutti i problemi con cui si deve confrontare, concorrenza, obsolescenza sempre più rapida del prodotto immesso sul mercato eccetera, il meccanismo relativo alla vendita del nuovo ha un elemento particolarmente temibile cui non può sottrarsi, in particolare per qualsiasi cosa possa classificarsi come bene durevole.
Riguarda il prodotto usato, al giorno d’oggi offerto con grande abbondanza e spesso in condizioni d’uso che lo rendono non troppo dissimile dal nuovo.
C’è poi una serie di altri elementi da tenere in considerazione. Tra di essi spiccano la necessità di svuotare continuamente il contenuto tecnico e prestazionale di qualsiasi oggetto, sempre al fine di presentarlo al mercato con una veste legata alla massima competitività; la corsa al rinnovamento di soluzioni estetiche e realizzative, che più si fa serrata e più aggrava il problema dell’obsolescenza accelerata e peggio ancora espone chi vi s’impegna al rischio di passi falsi, per la stessa legge delle probabilità.
Su tutto domina poi la saturazione del mercato potenziale, oggi problema numero 1 di qualsiasi comparto abbia un legame con l’economia, e più ancora la sovrabbondanza dell’offerta nei confronti delle effettive capacità di assorbimento del mercato.
Per conseguenza il nuovo, quale che sia il prodotto su cui soffermiamo la nostra attenzione, ha ormai il concorrente primario non nel suo simile ma nell’usato.
In particolare quando si parla di un bene durevole, tra l’altro non esposto a un’usura così pesante e utilizzato in genere da una tipologia di individui particolarmente attenta alla sua conservazione nelle condizioni migliori.
Come tale, pertanto, anche dopo qualche anno di utilizzo mantiene una sua appetibilità.
Questo malgrado gli sforzi del sistema di propaganda e manipolazione, da sempre incentrati ad attribuire a tutto quanto abbia trascorso più di 5 minuti dal momento della sua presentazione la patente di intollerabilmente sorpassato, dal punto di vista tecnologico e prestazionale. Proprio così facendo ha innescato il vortice che è l’origine stessa dei mali di cui ci stiamo occupando, dimostrazione ennesima che quanti sono convinti di impegnarsi per la diffusione e la crescita del prodotto e della specialità che lo riguarda sono in realtà i suoi primi devastatori.
Sia pure a loro insaputa e spesso e volentieri dopo un percorso accademico lungo e quantomai impegnativo, che di fatto li ha resi l’esempio migliore dei suoi effetti concreti. In particolare per i problemi che induce, legati alla dissociazione dalla realtà, e peggio alla difficoltà di comprendere il rapporto di consecuzione tra cause ed effetti, sia pure quando assume dimensioni tanto marchiane.
In sostanza, allora, il nuovo si trova a dover combattere, nella sua lotta finalizzata alla seduzione dell’acquirente potenziale, non con il suo simile ma prima di tutto con l’usato.
Per conseguenza il suo prezzo reale, ossia quello a cui è possibile acquistarlo, dopo un qualche tempo dalla sua presentazione, che spesso assomma soltanto allo stretto necessario affinché il pubblico pervenga alla consapevolezza della sua esistenza, deve assumere una tendenza perennemente calante, tale appunto da renderlo più conveniente, tenuto conto di tutti i fattori, rispetto all’usato.
Fino a quando ovviamente il suo prezzo effettivo resta superiore alla somma dei suoi costi di produzione e commercializzazione, che altrimenti costringe a toglierlo di mezzo. In via del tutto indipendente dalle sue qualità tecniche, prestazionali o solo estetiche.
Di fatto, quest’operazione volta a incentivarne l’acquisto, in realtà tende a sconsigliarlo, proprio perché, già nel momento in cui il relativo scontrino è stato battuto, il suo valore tenderà inevitabilmente allo zero.
Nessuno, com’è evidente vuole spendere denaro per qualcosa che l’istante dopo non varrà più nulla, o comunque soltanto una cifra pari a una piccola frazione del prezzo pagato. Dunque tutto il sistema di fatto costituisce soltanto un circolo vizioso o altrimenti un cane che si morde la coda.
Da esso tuttavia non vi è scampo, quantomeno dal momento in cui si va a forzare il ritmo del ciclo di sostituzione, portandolo ai livelli tanto serrati propri della realtà attuale.
Resi tali in funzione delle esigenze del capitale, che pretendendo d’imporre profitti in continua crescita, al di là di ogni altro aspetto, causa in concreto uno scatafascio senza fine.
L’unico elemento su cui si può giocare è l’imposizione, ossia la consapevolezza da parte dell’acquirente potenziale che le cose stanno così e ad esse non c’è alternativa. Quindi, se desidera acquistare il tal prodotto deve rassegnarsi a vedere volatilizzarsi il suo valore in maniera pressoché istantanea e l’unica possibilità, volendo sottrarsi da questo gioco crudele, è astenersi da qualsiasi azione non assolutamente indispensabile.
Dimostrazione, ennesima e ulteriore, che il capitale per sua stessa natura non può altro che divorare tutto quanto gli capiti a tiro. Pertanto finirà fatalmente con il fagocitare anche sé stesso, ovviamente dopo aver pasteggiato con tutti noi ed espulso da tempo quel che ne residua.
Se quello che abbiamo visto fin qui non è altro che un gioco al massacro, il ritorno a un sistema meno distruttivo avrebbe conseguenze ancora peggiori, che nessuno ha intenzione di sobbarcarsi, quantomeno di sua sponte.
Che fine facciano i criteri di serietà, responsabilità, consapevolezza, rispetto per l’altrui, anche nei confronti del sacrificio affrontato per mettere insieme il denaro necessario all’acquisto del prodotto, non c’è bisogno di dirlo. E’ la stessa del tagliando del gratta e vinci, una volta che si siano portati alla luce i suoi simboli, inevitabilmente perdenti.
E’ questa d’altronde la legge del doppio corso della valuta, un tempo ritenuto tratto distintivo delle nazioni più disastrate, ma per forza di cose poi imposto ovunque, così che non ci si possa più sottrarre ad esso, ovunque si risieda.
Al denaro pertanto è attribuito un valore elevatissimo nel suo passaggio dall’alto verso il basso, che diventa pressoché pari a zero quando lo si va a inoltrare, spendendolo, nel percorso inverso.
Non esiste un sistema di predominio più efficace di questo, a livello economico, quindi a cascata di tutto il resto.
Venticinque scatoloni in 24 ore
Un altro esempio della portata dilagante del fenomeno concernente l’Hi-Fi gratta e vinci è quello verificatosi qualche tempo fa, quando è stato diramato un comunicato pieno d’orgoglio, ovviamente a cose ormai fatte, col quale chi più o meno consapevolmente si è auto-attribuito il ruolo di mero bottegaio ha reso edotto il mondo di aver smaltito quanto menzionato dal titolo di questo capoverso.
Convinto tra l’altro di aver compiuto chissà quale impresa.
In sostanza è accaduto questo: un certo rivenditore, non si sa come o dove, ma sulla provenienza lecita della merce non c’è alcunché da dubitare, è riuscito ad accaparrarsi un certo numero di apparecchiature, realizzate da uno dei marchi che vanno per la maggiore in assoluto, in particolare presso gli appassionati cui il realismo della sonorità interessa ben poco e quindi non saprebbero cosa farsene.
Si trattava se non erro di amplificatori integrati, rivenduti con uno sconto molto maggiore rispetto a quello già di per sé cospicuo, con cui quei prodotti di vendono normalmente.
Tanto era allettante quell’offerta, non si sa come e dove i privilegiati di turno ne abbiano avuto notizia, certe cose i comuni mortali le vengono a sapere sempre a cose fatte, che in meno di 24 ore oltre venticinque esemplari di tali apparecchiature sono stati smaltiti.
Forse il tutto lo si sarà eseguito per chiamata diretta, dato che ogni rivenditore degno di questo nome sa quali sono i nominativi della sua clientela in grado sborsare all’istante una somma comunque rilevante, al semplice ricevimento di una telefonata, una mail oppure un messaggio whatsapp.
Questa è la realtà di oggi: a un impoverimento che ormai è di massa, e all’impossibilità da parte di una quota sempre più soverchiante della popolazione di far fronte a una qualsiasi emergenza, anche la più banale, senza trovarsi in guai seri, si contrappone un’élite di persone che quando capita l’affaruccio hanno i soldi pronti da sborsare senza che gli si scomponga un capello.
Questo d’altronde è l’esito della guerra di classe eseguita dall’alto verso il basso che va avanti ormai da decenni, ma in realtà è un vero pestaggio, legalizzato, i cui risultati sono plateali di fronte a noi, se si ha la volontà di osservarli.
Certo gente in grado di eseguire operazioni simili non deve vivere del proprio lavoro e costituisce, che le piaccia o meno, l’illustrazione plastica del livello di ingiustizia intollerabile nel quale l’interezza della popolazione è stata precipitata. Proprio a colpi del fate presto mostrato prima e del gratta e vinci istituzionalizzato, ritrovandosi costretta a vivere in un contesto a tal punto degradato.
E’ tale, quel degrado, e soprattutto dilagato sul piano cognitivo, che quando nei pollai di settore si sollevano problemi del genere, non manca mai chi ritiene suo dovere accusare di essere portatore d’invidia chiunque si azzardi a esprimere una critica al riguardo.
Molti peraltro, anche restando dalla parte più comoda della barricata, non possono far altro che provare disagio nei confronti di questa realtà, senza peraltro avere la possibilità di fare molto al riguardo.
Proprio nella consapevolezza che al giorno d’oggi basta davvero un nonnulla per finire dall’altra parte in un istante, senza aver capito né come né perché.
L’ascensore sociale, ormai, può funzionare soltanto in discesa.
Chi lo ha deciso? Con quale mandato?
Dinamiche di fondo del genere è sempre necessario sottolinearle, quantomeno per non perdere il contatto con la realtà concreta, che di giorno in giorno si fa più necessario proprio per la direzione presa dal suo divenire. Così facendo ci si tiene ben lontani dal rischio di diventare come certi robottini a controllo remoto, che nel nostro settore sono da sempre diffusissimi, come in qualsiasi altro comporti il minimo di specializzazione. Sono tali proprio perché restii, se non del tutto incapaci, a vedere qualsiasi cosa si trovi fuori il recinto della loro specialità.
Fatto ciò, passiamo a osservare lo specifico della questione.
In sostanza è la seguente: il marchio di grande prestigio, possiamo anzi dire il più prestigioso di tutti, soprattutto agli occhi di certuni, a un certo punto si ritrova un numero superiore al gradito di materiale non smaltito.
Ossia che non ha preso la via dei distributori nazionali e poi delle rivendite al minuto. I motivi potrebbero essere innumerevoli e di essi non c’interessiamo. Tranne ovviamente rilevare che al giorno d’oggi se un oggetto è efficace, e venduto a un prezzo proporzionato alle sue caratteristiche, non si fa a tempo a produrlo in quantità sufficienti. Quindi di esso vi è penuria.
Dunque si tratta con ogni probabilità di un prodotto zoppicante o altrimenti in via di obsoletizzazione, per il ritiro dal listino, la sostituzione con altro modello e via di questo passo.
Dunque, si tratta di un prodotto poco appetibile già di per sé. Che tuttavia va tolto di mezzo.
Quindi cosa si fa? La solita offerta cui non si può rinunciare. Così da sbolognare in quattro e quattr’otto quel che altrimenti è destinato a rimanere sullo scaffale chissà per quanto.
Il prezzo stracciato è la via maestra al riguardo ma non c’è problema. Anche se rivenduto in perdita, basta ripartirne la quota parte sul prodotto che ci si appresta a realizzare, caricando si di esso un sovrapprezzo. Tanto poi ci penserà la propaganda di settore a magnificarne le doti tecniche e sonore, tantomeglio se sono inesistenti, e quindi anche l’assoluta convenienza del prezzo di vendita che per esso verrà fissato.
L’essenziale è che chi vuol fare l’affare deve portarsi via tutto e di quell’oggetto non lasciare nemmeno le briciole. Il prezzo dell’intero lotto è quantomai allettante e quindi non ci saranno problemi a riproporlo per la vendita finale a un prezzo mai visto e, al quale, ancora una volta non sarà difficile trovare chi non riesce a dire di no.
Soprattutto tra gli aficionados del marchio, ai quali non sembrerà vero di fare il colpo gobbo. Che a loro sembra tale solo perché non conoscono l’antefatto e neppure vogliono immaginarlo, nell’impazienza di fare il grosso affare, che in realtà è di altri e loro sono chiamati solo a coprirne i costi.
Così non appena il trasportatore scarica i bancali di fronte alla sede dell’astuto rivenditore, non c’è nemmeno bisogno di tirarli dentro, al chiuso.
Sono tutti assegnati e già pronti a prendere la strada della loro destinazione, verso le case dei facoltosi che non sono riusciti a trovare un modo migliore per spendere il denaro.
Così si smaltiscono più di venticinque scatoloni in meno di ventiquattro ore e si può partire per l’operazione mediatica, atta a magnificare le capacità professionali e imprenditoriali di chi ha deciso di sfruttare l’occasione. Al riguardo non mancherà di riscuotere le centinaia di mi piace di quanti sono rimasti a bocca asciutta, pur sbavando di desiderio e spirito di emulazione nei confronti degli eletti chiamati all’appello.
Ora di fronte a tutto questo, che fine fa l’atto di definire un qualsiasi prezzo di listino, sia pure provvisto della quota di sconto fisso ormai di prammatica?
Ancora una volta quella del tagliando del gratta e vinci, una volta che ha esibito i suoi simboli sistematicamente perdenti.
E, subito appresso, che ne è dei valori di serietà e professionalità, tali da infondere il dovere, un tempo sentito ma ormai carta straccia, di trattare tutta la propria clientela nella stessa maniera, proprio perché allo stesso ammontare dei denari cacciati da Tizio o da Caio andrebbe attribuito egual controvalore in termini materiali?
Inutile chiederselo, come inutile, di fatto, è stabilire a priori un prezzo qualsiasi, per quale possa essere, tanto vi sarà sempre un buon motivo per praticarne uno diverso, a seconda delle occasioni e delle convenienze.
Inevitabilmente, allora, la trasparenza, criterio col quale ce li hanno sfilettati per benino alla julienne, nel corso degli ultimi decenni, è servito in primo luogo come arnese di sodomizzazione e perculazione di massa. Proprio perché alla prima occasione ci si dimentica dell’importanza fondamentale e improcrastinabile che gli si è attribuita, quando conveniva, e ci si regola come se certi discorsi non li si fosse mai fatti.
Per poi vantarsene, oltretutto, e venire apprezzati da masse che se dici loro che sono composte da decerebrati si offendono a morte, anche se è la cruda realtà.
Di fatto, allora, il prezzo di vendita, primo elemento di relazione commerciale corretta, è relegato anch’esso tra le varie e eventuali o meglio ancora tra gli strumenti utilizzabili per la presa in giro.
Divenuta ormai dilagante al punto da costituire l’elemento primario di mercato e dunque del significato attribuito all’intera specialità.
Riguardo a quest’ultima, abbiamo conosciuto un tempo in cui ciascun appassionato, posto di fronte al dilemma dell’acquisto, aveva un suo elemento primario di scelta. Chi la convenienza in assoluto, chi il rapporto qualità/prezzo, chi le prestazioni tecniche di laboratorio, chi le doti sonore, con particolare riguardo al parametro specifico o a una serie più o meno ampia di essi.
Oggi tutto questo è sorpassato, in maniera inevitabile. Il solo elemento che si ritiene indispensabile e al quale più nessuno è disposto a rinunciare, nell’apparecchiatura o nel sistema di cui si accinge all’acquisto è uno e uno soltanto: la presa per i fondelli.
Più è grossa e più l’affare è giudicato conveniente e persino irrinunciabile.
Tutto il resto non conta.
Buongiorno Claudio,come al solito bell’articolo,complesso ma ben articolato.
Non potendo aggiungere qualcosa di significativo all’argomento,la butto sul ridere o ironico.
Non sarebbe male però un bel “Gratta e Vinci Hi-Fi” con in premio un pre e finale dagli occhioni azzurri che ti fa l’occhiolino.
Saluti e buona vita.
Alessandro
Ciao Alessandro, grazie come al solito dell’attenzione e dell’apprezzamento.
Immagino che per molti sarebbe un’attrazione irresistibile e probabilmente anche fonte di un buon incasso.
Fossi in te quindi, metterei un bel copyright sull’idea.
E poi starei attento che non me la rubino.
L’unico dubbio riguarda il premio in palio: che ti fa l’occhiolino potrebbe voler dire con un display da 54 pollici illuminato di blu e l’altro no?
L’ipotetico vincitore lo ritirerebbe lo stesso di buon grado o farebbe qualche storia?
Davvero non so, per come la vedo io sarebbe più disposto ad accettare un canale bruciato irrimediabilmente o anche entrambi, ma i cinemascope che siano entrambi ben accesi, perdiana!
A presto e buoni ascolti