Costi delle apparecchiature e loro qualità

Alessandro mi scrive:

Buongiorno Claudio,

ho lasciato qualche commento sul tuo sito e credo in parte d’aver inteso la tua filosofia.

Stavo riflettendo e mi sono posto una domanda alla quale potrei anche rispondermi da solo, ma m’interessa di più il tuo punto di vista.

Non sono un audiofilo e le mie conoscenze sul campo sono appena basiche, in verità amo molto di più quello che viene riprodotto dall’impianto sonoro.

Negli ultimi due anni mi  capitato di andare in un negozio a presentazioni di impianti hi-fi e mi chiedo semplicemente perché siano sempre di livello alto-altissimo, per intenderci 80/100 e l’ultimo sopra i 250.000 €.

Per carità l’occasione di ascoltare impianti di alto livello gratis non la biasimo, ma mi domando perché non proporre ascolti di sistemi entry level per avvicinare più persone.

Perdonami la banalità.

Cordialmente

Alessandro

Ciao Alessandro, grazie per il supporto e la considerazione.

Per il tuo quesito, in apparenza semplice e per nulla banale, ci sono risposte complesse che si articolano su piani diversi.

Prima di tutto però vorrei sottolineare che, mai come al giorno d’oggi e in particolar modo nel nostro settore, l’abito non fa il monaco, malgrado l’arte del travestitismo tocchi traguardi sempre nuovi.

Per conseguenza in questa fase storica il prezzo di vendita di un qualsiasi prodotto audio non ha più nulla a che vedere, se mai lo ha avuto, con la sua qualità sonora.

Ne avremo a breve una nuova conferma.

Sgomberato il campo da un elemento a tal punto ingannevole, tutti infatti siamo portati in varia misura a pensare che se un oggetto costa caro dev’essere per forza migliore di uno più economico, andiamo al tuo quesito.

Il primo elemento, assolutamente imprescindibile, riguarda la percezione del valore del denaro.

Qui da noi è fortemente errata, per eccesso. Dunque il valore del denaro è sovrastimato in misura enorme, per una lunga serie di motivi.

Primo tra i quali, la volontà di tenere più basso che sia possibile il livello medio dei salari, per valore nominale e ancor più per potere d’acquisto.

Come ho già rilevato a suo tempo, l’Italia è l’unico Paese dell’UE e quindi probabilmente dell’intero mondo, in particolare quello definito come industrializzato, in cui le retribuzioni medie siano calate rispetto a quelle di trent’anni fa.

Persino nella Grecia che a detta del criminale psicopatico rispondente al nome di Mario Monti è stato “il più grande successo dell’euro”, dove si sono condannate alla morte tra sofferenze atroci migliaia e migliaia di bambini insistendo oltre ogni limite con l’ideologia e la conseguente pratica austeritaria, sono aumentate in misura considerevole.

Questo per non parlare degli altri Paesi comunitari.

Lo stesso Monti, del resto, di fronte a microfoni e telecamere della CNN disse “stiamo distruggendo la domanda interna”. Appunto per mezzo dell’abbattimento del valore dei salari, della regressione selvaggia delle condizioni sul posto di lavoro e dei diritti dei lavoratori, oltreché con disoccupazione e precarizzazione di massa.

Nello stesso tempo si è indotto, come sempre in maniera deliberata, un aumento del costo della vita senza precedenti.

A questo riguardo va tenuto sempre presente che politiche a tal punto distruttive sono state attuate da partiti che proclamano da sempre di essere di sinistra. Esempio ne sono il famigerato pacchetto Treu, che ha istituito la precarizzazione di massa, la legge Biagi e l’abolizione dell’articolo 18, riguardante il licenziamento per giusta causa. Quest’ultima tra l’altro è stata inclusa nel pacchetto denominato “Jobs Act”, di per sé illegale in quanto la sola lingua ufficiale nella Repubblica Italiana è l’Italiano e ad essa la normativa deve necessariamente uniformarsi.

Se ci aggiungiamo poi lo scippo effettuato dalla legge Fornero, la cui promulgatrice è passata alla storia per le finte lacrime versate in favore delle telecamere e poi trasmesse a reti unificate, il quadro è completo.

Ecco il frutto della metamorfosi di quello che un tempo è stato il partito comunista italiano, per quanto già allora non solo abbia perseguito politiche di austerità e moderazione salariale, ma quel che è peggio esercitato una forte pressione nei confronti della sua base di consenso e dei lavoratori tutti affinché mitigassero le loro rivendicazioni economiche. Sia pure a fronte di una storica inadeguatezza delle retribuzioni, oltretutto a fronte di richieste incessanti di maggiore produttività e di costi della vita in crescita perenne.

All’atto pratico proprio a questo hanno provveduto i sindacati, che da un lato hanno proclamato per decenni di essere i più potenti dell’intero mondo occidentale, ma dall’altro hanno fatto si che l’Italia divenisse il Paese con le retribuzioni medie più basse e per ampio margine, tra i cosiddetti Paesi avanzati, precipitando in condizioni di povertà e precarietà i lavoratori di cui rivendicano da sempre di difendere diritti e istanze.

Scopo per il quale prelevano dalle loro buste paga cospicue trattenute. Mentre da sempre, da falsari quali sono, vanno a braccetto della classe padronale e governativa, alle quali hanno fatto e fanno tuttora da servi e da cani da guardia, ricevendone generosa ricompensa.

Come mai i centri di assistenza fiscale stanno in mano ai sindacati? Di chi faranno gl’interessi, di quelli che “assistono”, assicurandone la perenne e totale spremitura, o di chi ha graziosamente concesso che assumessero quel monopolio intoccabile?

E quale sarà la percentuale di ex-sindacalisti tra funzionari, quadri, dirigenti d’azienda e sottogoverno, secondo la definizione più ignobile che sia possibile riguardo al concetto di porte girevoli?

Tutto questo è stato ed è funzionale alla logica mercantilista mirante soprattutto all’esportazione, di beni che, proprio per le condizioni così indotte, non trovano collocazione sul mercato interno.

Conseguenza e assieme presupposto, dato che per essere competitivi sui mercati internazionali è necessario in primo luogo abbattere il costo del prodotto, intervenendo appunto su retribuzioni, quadro normativo regolante le condizioni in cui opera la forza lavoro e caduta del valore degli investimenti finalizzati alla ricerca.

Per conseguenza, il crollo del volume delle vendite, a fronte del quale i costi fissi della filiera della distribuzione restano sostanzialmente invariati, poiché in larga parte incomprimibili, abbinato alla contrazione della quantità di moneta circolante, producono l’impossibilità materiale, per un numero sempre maggiore di persone, di acquistare merci e derrate ai prezzi di mercato. Così da rendere trascurabile il mercato interno rispetto a quelli d’esportazione.

Del resto, se un supermercato vede dimezzare nel giro di qualche anno il suo giro d’affari, non può certo spendere altro denaro per adeguare la sua struttura alle condizioni che si trova ad affrontare. Può solo cercare di reggere fin quando è possibile, per poi eventualmente chiudere. Con la sicurezza quasi assoluta, tra l’altro, che l’immobile in cui ha operato non trovi acquirenti, così da trasformarsi nell’ennesimo simbolo della desertificazione economica e industriale programmata deliberatamente e condotta in maniera scientifica.

Questo produce, nel medio termine, persino l’impossibilità di approvvigionamento, sia pure nella presenza inopinata di una qualche richiesta, proprio in quanto la filiera distributiva la si è danneggiata in modo irreparabile, rendendo ancor più difficoltosa un’eventuale per quanto remota possibilità di recupero.

Così come i costi della filiera distributiva sono incomprimibili, lo stesso accade per i costi di Stato e burocrazia, che a fronte del crollo della produzione e delle vendite mantengono inalterata o meglio ancora in perenne aumento la loro voracità, che non può far altro che tradursi in una pressione fiscale sempre più opprimente, sostenuta ideologicamente da quanti proclamano la giustezza della tassazione, qualunque sia il livello da essa raggiunto, alla stessa stregua di un precetto divino.

E’ evidente invece che nel momento in cui l’apparato di uno Stato va in maniera tanto risoluta quanto suicida all’attacco del popolo che lo mantiene, peggio ancora se per ordini provenienti dall’esterno, se quel popolo ha intenzione di sopravvivere deve innanzitutto smettere di finanziare il suo persecutore.

In un quadro del genere, allora, le poche aziende ancora capaci di tenersi in piedi dopo l’ecatombe che le ha colpite, facendole chiudere a decine di migliaia l’anno per l’effetto di una politica economica suicida prolungatasi per oltre un trentennio, si trovano in sostanza costrette a operare esclusivamente sui mercati esteri, mettendo da parte quello nazionale.

Ma se trovano all’estero la possibilità di sopravvivere, per quale arcano motivo dovrebbero continuare a pagare tasse nel Paese che ha fatto di tutto affinché chiudessero la saracinesca?

Provvidenzialmente l’unione europea, il minuscolo è d’obbligo, ha posto a disposizione opportuni paradisi fiscali, cui si può accedere appena svoltato l’angolo, quando un tempo si trovavano soltanto in capo al mondo. Olanda, Irlanda e Lussemburgo sono la dimostrazione ennesima di un progetto a lungo soppesato in tutti i suoi aspetti.

Questo ovviamente fa si che la voracità delle classi parassitarie di cui il nostro Paese è storicamente ricco come nessun altro, vada a gravare tutta sui ceti soccombenti, ossia tutti quanti non possono difendersi in un modo o nell’altro, e da esse vengono giocoforza gettati sul lastrico.

A quel punto il disegno neocoloniale trova il suo epilogo, dovendo la classe politica, quella dirigente e la burocrazia che dalla prima dipende, per forza di cose farsi mantenere da poteri esterni al Paese, facendone gl’interessi e segnando inevitabilmente il destino della terra che li ospita.

Proprio così si distrugge un Paese, non muovendogli guerra dall’esterno come si faceva un tempo, ma utilizzando esclusivamente le forze degeneri create ad arte al suo interno.

Il cerchio si chiude con la riduzione allo stretto necessario degl’investimenti, che con le finalità summenzionate riguardano quasi esclusivamente le spese di lobbying, al fine di facilitare l’adeguamento del quadro normativo più favorevole alle condizioni ricercate, tale oltretutto da creare un circolo vizioso dominato dall’arretratezza, dal quale oltrepassata una certa soglia risollevarsi diventa praticamente impossibile.

E’ evidente, a questo punto, che tutto quanto descritto fin qui risponda a una logica e quindi un progetto ben precisi.

Rispetto al 1999 infatti, la produzione industriale italiana è crollata di oltre il 20%, che come è stato più volte ripetuto in questa sede, e la maggioranza schiacciante delle persone rifiuta di prendere in considerazione, è una situazione addirittura peggiore rispetto a quella di una guerra mondiale perduta.

Come noto la produzione industriale italiana del 1947 ha pareggiato quella del 1938: oggi pensare di tornare ai livelli produttivi del 1999, che significa creazione di ricchezza da spartire, non è altro che un’illusione.

Oltretutto l’intera industria italiana e in special modo la sua parte più redditizia è da tempo in mani straniere. L’ultima cessione in ordine di tempo è quella riguardante Piaggio Aerospace, ora nelle mani dei turchi di Baykar fabbricanti dei noti droni Bayraktar, distintisi in tutti i teatri di guerra degli ultimi anni e in special modo in Ucraina, che quindi ne sottraggono i proventi al Paese per portarli dove fa loro più comodo.

Nel 2024 ci sono state 417 acquisizioni estere di aziende italiane per un valore di 34,8 miliardi di euro. Si sommano alle 2.948 effettuate tra il 2014 e il 2023 per un valore di 203 miliardi di euro.

Così anche quel poco che ancora si produce non genera più ricchezza condivisibile, determinando non solo impoverimento, ma anche la condanna alla passivizzazione definitiva del Paese e quindi la sua dipendenza da una produzione realizzata altrove.

Questo nel breve termine, dato che l’acquisitore si libera prima di un concorrente, poi si appropria delle sue tecnologie e infine ne getta via il guscio, che ha doverosamente provveduto a svuotare.

A fronte di tutto ciò, i prezzi hanno avuto una tendenza alla crescita praticamente inarrestabile, rendendo così ancora più devastante il quadro tratteggiato fin qui.

I generi di prima necessità sono aumentati tutti del 50% e oltre, solo nell’ultimo paio d’anni.

La moneta unica europea è stata venduta a chi si era deciso ne fosse la vittima come inattaccabile dall’inflazione e questo si è dimostrato completamente falso. Nonostante ciò l’opinione pubblica nel suo complesso rifiuta letteralmente, per l’ennesima volta, di prendere atto della realtà.

Oggi il valore di base, ossia il minimo spendibile per un qualsiasi acquisto è 1 euro, pari a circa 2000 Lire, quando un tempo erano le 100 Lire.

Inevitabilmente non c’è statistica che mostri questa realtà.

Tantomeno quelle dell’ISTAT, che personalmente ho ribattezzato Istituto per le STAtistiche Taroccate, il cui scopo non è quello di certificare il mutare della situazione del Paese, se mai lo è stato, ma solo di fornire ai politici eterodiretti e alla propaganda al loro servizio pezze d’appoggio tali da permettere di reiterare all’infinito le loro menzogne.

I fondi per il suo finzionamento tuttavia, tale perché tutto quanto produce è mera finzione, restano a carico della popolazione. Giustamente, in quanto ne è proprio quella la destinataria.

Quindi è giusto che se la paghi. A maggior ragione se la sua maggioranza schiacciante ripete a pappagallo le tesi su cui quella finzione si regge.

D’altro canto se un popolo ha deciso di votarsi al suicidio, consapevolmente o meno, perché mai lo si dovrebbe invitare a rinunciarvi?

L’unica statistica atta a suggerire il reale stato di cose in questo Paese è quella pubblicata qui già da qualche tempo, in cui si mostra che al 2023 quasi i due terzi della popolazione italiana avevano problemi ad arrivare a fine mese. Da allora, evidentemente, la situazione non può che essere peggiorata.

Del resto lo scopo primario della moneta unica era quello di essere inflazionata oltre ogni limite, malgrado il martellamento mediatico assordante volto a convincere del contrario.

Guadagnerete come se si lavorasse un giorno in più, ma lavorando un giorno in meno, promise quell’altro lestofante di Romano Prodi. Al confronto le promesse del gatto e la volpe sono un prodigio di verosimiglianza, eppure tutti gli hanno creduto, E’ divenuto così il santo laico per eccellenza del progressista lobotomizzato, che rifiuta di osservare gli esiti devastanti di quella promessa, innanzitutto sulla sua persona e sulla qualità della vita sua e della sua famiglia.

Il motivo è semplice: una moneta che ha già subito inflazione, e come tale ha visto scendere il suo valore in maniera sensibile, attribuendo per quella via competitività al prodotto nazionale sui mercati esteri fino a diventare la quarta potenza industriale del mondo, per forza di cose non risentirà più di tanto di ulteriori svalutazioni. Proprio perché la loro misurazione, che si esegue in percentuale, sarà riferita a un valore di partenza già basso. Quindi detta percentuale, per quale possa essere, non potrà che risentirne, risultando in ultima analisi trascurabile.

A quel punto, pertanto, se si ha intenzione di procedere a una serie di svalutazioni più robusta è necessario innanzitutto rivalutare fortemente il dato da cui poi si trae detta percentuale. Nel caso in questione lo si è fatto, in maniera draconiana, moltiplicando il valore della Lira per 2000 nel passaggio all’euro.

Curiosamente questo non lo dice mai nessuno, da un lato a mostrare qual è la considerazione di chi ha il potere d’indirizzo sui media, per l’intelletto del suo uditorio, dall’altro a evidenziare il ruolo effettivo dei cosiddetti sovranisti, che si sono ben guardati dal sollevare il problema.

Come noto l’effetto della moneta unica è stato dirompente, con una svalutazione istantanea del 50%, poi seguita da una curva in discesa permanente, tale da produrre un cumulo di svalutazione, in termini assoluti, tale che alla Lira del 2000 sarebbero occorsi secoli per arrivare a tanto.

La perdita dell’euro nei confronti dell’oro, valore stabile per eccellenza, ne è la conferma. Curiosamente, gl’istituti di Stato per le statistiche taroccate grafici del genere non li pubblicano. Chissà perché.

A fronte di tutto questo, tuttavia, la pressione fiscale è rimasta invariata.

Laddove alla fine del ciclo della Lira una determinata aliquota fiscale, con uno slancio estremo della forza di volontà o meglio dell’autoinganno, poteva apparire proporzionata alle entrate tipiche del ceto medio, di fatto al valore attuale della moneta unica la stessa percentuale ora colpisce un reddito inadeguato persino alla mera sopravvivenza.

Dunque si è prodotto, di fatto, un aumento della pressione fiscale proporzionale alla crollo del potere d’acquisto dell’euro, coronando il sogno bagnato di ogni politico che del tassa e spendi fa il suo strumento di potere e di ricerca delle clientele, potenzialmente in grado di garantirgli il numero di preferenze necessario per la sua rielezione.

Ecco perché non esiste politico che al di là di proclami destinati a essere smentiti il giorno successivo, lavori ai fini dell’uscita dell’Italia dall’euro e dall’UE, ovverosia dalla fonte di tutte le sue sventure attuali.

Dall’altra parte vediamo come il numero dei caduti in povertà pur avendo un’occupazione a tempo pieno sia cresciuto enormemente negli ultimi anni, cosa che un tempo sarebbe stata impossibile.

Dunque la percezione attuale del valore della moneta unica è almeno dalle tre alle cinque volte superiore al suo potere d’acquisto effettivo, nella visione di un qualsiasi residente della penisola che viva del proprio lavoro.

Come ha spiegato di recente Marc Botenga, socialista belga nell’assemblea parlamentare europea, oggi il 30% della popolazione continentale non ha i mezzi atti a permettergli di fare tre pasti al giorno. Quasi il 50% non riesce a scaldare la propria abitazione in maniera adeguata.

Si è mai sentito, nell’intera storia della politica italiana, un solo deputato o senatore di un qualsiasi partito progressista fare un discorso così chiaro e scevro dalla supercazzola tipica del sinistrato? Ennesima dimostrazione che la sinistra italiana, da sempre, è preda di un branco di falsari, il cui unico scopo è porsi al servizio dei padroni globali, perculando e derubando la propria base elettorale, che a questo punto è da considerarsi loro complice nel suo slancio autodistruttivo.

Quanto descritto ha poi un ulteriore effetto, che consiste nel disciplinare le masse e in particolare quelle che fanno parte della popolazione attiva, coartate a subire senza fiatare quel che solo due o tre decenni prima sarebbe stato del tutto improponibile. Solo per il timore di fare una fine ancora peggiore e trovarsi a vivere in macchina o peggio, ammesso se ne abbia ancora una, data la deregolamentazione selvaggia con cui la sinistra ha colpito il mondo del lavoro.

Col beneplacito dei sindacati, che a fronte di un attacco di portata simile hanno fatto finta di nulla o meglio hanno continuato a rimirarsi l’ombelico, tenendo a freno i loro iscritti, i lavoratori, silenziandone le lamentele.

Tranne poi proclamare una serie di scioperi continua, tale da colpire innanzitutto e come da prassi la busta paga dei lavoratori, con finalità eminentemente politiche nei confronti di un governo sgradito.

Non perché sia di destra e quindi fascista, come martellano goebbelsianamente a chi ancora crede alle loro fandonie, ma semplicemente perché non è più la fazione politica cui rispondono a prendere gli ordini che arrivano da fuori il Paese e a imporne l’esecuzione. Quindi non ne può trarre i vantaggi, enormi, che ne derivano, in primo luogo a livello economico.

Su questo terreno e non altro, si gioca ormai da troppo tempo, ossia dal golpe di mani pulite, la farsa della battaglia politica nel nostro Paese. Guardacaso, ha avuto inizio pochi giorni dopo la firma del trattato di Maastricht.

Del resto che si tratti di una mera questione di colore politico è evidenziato dal fatto che il governo attuale nel concreto ha eseguito le medesime azioni di uno di pseudo-sinistra, totalmente asservito ai comandamenti del mondialismo e della cupola che ne controlla le leve.

Tutto questo va a favore delle classi padronali, con cui da sempre i sindacati vanno sottobraccio. A ogni sciopero si risparmiano costose giornate in busta paga e il giorno dopo i dipendenti si ritrovano a dover lavorare il doppio, mentre la paga rimane la stessa.

Dunque la moneta unica è servita innanzitutto a disciplinare le masse di lavoratori ridotte del resto al lumicino, stante il processo di deindustrializzazione forzata cui è stato sottoposto l’intero continente e che malgrado lo sfascio che ha già causato deve ancora mostrare i suoi veri effetti.

Lo stesso Istat del resto si è adeguato da anni al paradigma dell’Eurostat, che fa risultare come occupato chiunque nella settimana precedente alla rilevazione sulla forza lavoro abbia lavorato almeno un’ora. Anche se retribuito in natura o ha lavorato gratis. Risulta inoltre occupato anche chi è in cassa integrazione, purché lo sia da non oltre 3 mesi.

Ora, come possa pretendere di non trovarsi in piena illegalità, e oltretutto in maniera a tal punto teatrale, un sistema istituzionale che sguazza deliberatamente nella menzogna, che poi spaccia ai popoli di cui dovrebbe essere al servizio, è davvero un mistero.

Solo le facce di bronzo della politica e delle istituzioni, oltre ovviamente ai lecchini dei media, riescono a sostenerlo con tanta disinvoltura.

Si vuol mentire a oltranza? Ci si accomodi pure, ma non si pretenda che sia il popolo a dover pagare alcunché, per tutto questo.

Proseguendo le cose nel modo descritto, gli effetti di politiche a tal punto distruttive  non tarderanno a mostrarsi in misura ancora peggiore dell’attuale. In funzione di scelte che ogni fonte allineata vorrebbe far credere siano effetto dell’incapacità di una classe politica inadeguata, ma che in realtà si devono al suo totale e definitivo asservimento, indispensabile per la cooptazione dei suoi componenti, ai progetti a suo tempo decisi colà dove si puote.

Chi servo non si fa, non può neppure pensare di accedere ai luoghi in cui si esegue una politica ormai del tutto aderente ai voleri dello 0,01%  che costituisce la percentuale della fascia più ricca in assoluto, e ormai depurata da qualsiasi traccia di indipendenza..

Che questa tendenza non possa essere fermata, e meno che mai per via elettorale, lo dimostrano una volta di più le vicende delle elezioni rumene appena svoltesi, dove un candidato dichiaratamente anti-UE e anti-Nato oltreché contrario a fare del proprio Paese la base d’attacco contro la Russia, ha fatto un vero e proprio cappotto nei confronti dell’avversario schierato dai poteri globalisti.

Così la Corte Costituzionale romena ha invalidato le elezioni, col pretesto fanciullesco di ingerenze russe eseguite per mezzo del social Tik Tok. (!)

Sembra li abbiano inventati proprio per questo.

In Georgia invece stiamo assistendo alla replica di quanto avvenuto in Ucraina a partire dal 2014, dove si sussegono manifestazioni platealmente false contro il governo eletto in tutta legittimità: gli striscioni sono scritti in inglese, a uso e consumo dei media che devono far rimbalzare ovunque la notizia.

Il governo uscito dalle recenti elezioni ha infatti il difetto inemendabile di essere schierato contro le logiche del mondialismo guerrafondaio. Alle manifestazioni contro di esso ha partecipato mezzo Parlamento Europeo, ma in questo caso le ingerenze esterne non si considerano. Davvero curioso.

Senza andare tanto lontano d’altronde, basta osservare la situazione nostrana, in cui l’inquilino del Quirinale è in sostanza un abusivo, dato che la nostra Costituzione assegna si un mandato tra i più lunghi al mondo al primo cittadino, ben sette anni, ma a fronte della espressa negazione per la possibilità di rielezione. Anche in questo caso la si è aggirata più volte, con motivazioni
risibili.

Se già il garante supremo dei diritti della cittadinanza e dell’osservanza delle leggi è a tal punto compromesso e fuori da ogni concezione di legalità, a dimostrazione ennesima che il pesce puzza dalla testa, si può immaginare cosa possa avvenire ai piani inferiori del (sotto) potere.

Al di là degli aspetti formali, questo agisce nei fatti come ulteriore impulso alla deregolamentazione, che definire selvaggia è evidentemente ancora poco. Ne deriva pertanto qualcosa di peggio di quel che un tempo si usava definire far west, definizione andata in disuso proprio in quanto è ormai la normalità. Il contesto dunque è tale per cui ci si sente non giustificati, ma proprio coartati a perseguire il profitto maggiore, anche oltre i limiti di quel che una volta si sarebbe ritenuto impossibile.

Proprio perché “del doman non v’è certezza” e meno che mai ce n’è della giustizia e dell’osservanza dei criteri minimi di legalità, in primo luogo da parte delle istituzioni stesse, che di fronte all’emergenza stante nel doversi procacciare il denaro in forma autonoma ai fini della stessa prosecuzione della loro esistenza, hanno già da decenni abdicato all’osservanza di ogni regola a tale riguardo che per esse si riveli scomoda.

Il nuovo codice della strada ne è dimostrazione lampante. L’esigenza di procacciarsi denaro, da parte delle istituzioni ormai degenerate a livello di un ladro di polli, è talmente pressante da aver imposto di trasformare l’infrastruttura viaria della nazione in un bancomat a cielo aperto operante 24 ore su 24. Ci si faccia caso: il codice della strada è rimasto lo stesso per decenni, ma da un certo punto in poi se ne sono succedute nuove versioni con ritmo vieppiù incalzante.

Ora, riguardo alla normativa, principio fondamentale è la sua stabilità, elemento cardine ai fini della possibilità stessa di rispettarla, da parte della popolazione.

Se la si cambia di continuo, e sempre con la medesima logica volta a impossessarsi in maniera impropria di somme di denaro sempre crescenti e spinte a estremi di vessazione draconiani, tali da rendersi illegali per lo stesso principio della proporzionalità della pena, va da sé che non ci si trovi più nei territori della legalità, per entrare invece in quelli del gioco delle tre carte.

Craxi lo aveva detto, a suo tempo: se andrà bene ci troveremo in un limbo, altrimenti in un inferno. Per questo è stato accusato, unico e solo, di quello che hanno sempre fatto tutti, in ambito politico, e costretto all’esilio.

Solo per essersi opposto alla costruzione di quella comunità europea i cui effetti distruttivi stiamo vivendo sulla nostra pelle. Il tutto, secondo un iter altamente democratico e come sempre orchestrato dai poteri utilizzati solitamente per giungere laddove per l’ordinaria via politica non si sarebbe mai potuto.

Nei confronti del quadro economico e normativo ci sarebbe ancora molto da dire, in particolare nei confronti di istituzioni che a partire dal 2020 hanno revocato unilateralmente e in via definitiva il patto sociale che le poneva al servizio della cittadinanza e le hanno trasformate un veri e propri aguzzini, alla ricerca insaziabile del maggior numero di morti possibili. Erano necessari per procurarsi le condizioni atte a decretare l’emergenza, già di per sé fuorilegge in quanto non prevista né dalla Costituzione nè altrove. Le si è attuate con l’impiego di una classe di professionisti spinti con la minaccia di perdere il loro privilegio, quindi di ritrovarsi in mezzo a una strada, a tradire il giuramento di Ippocrate, se mai lo hanno rispettato.

Allo scopo, non a caso, si è ritenuto indispensabile proteggerli con lo scudo penale, misura che non solo confligge con qualsiasi criterio di legittimità, ma sancisce a priori e in maniera inconfutabile la colpevolezza di chi è destinato a usufruirne.

Così da renderlo ancora più ricattabile.

Lo si è promulgato oltretutto in via preventiva e non ex post, prova definitiva che si sapeva perfettamente cosa si stava facendo e quali sarebbero stati gli effetti dei farmaci che con le buone o le cattive si sono costrette le persone a iniettarsi.

 

Tranne poi, una volta costretti ad ammettere che fosse finita la festa, fare finta di nulla e tornare a esercitare un sottopotere a quel punto contraddistinto dal crisma inemendabile dell’illegalità. E proprio per questo ancor più determinato a mantenere il controllo e a eliminare ogni elemento residuale di giustizia e di democrazia concreta.

Ne abbiamo già parlato, ma ora voglio ricordare solo una delle millemila contraddizioni su cui si è orchestrata volutamente l’intera farsa.

Mi riferisco alla pretesa che, per la loro sicurezza, anziani, malati e bambini facessero la fila al freddo, al vento e sotto la pioggia, o altrimenti in un caldo asfissiante e sotto il solleone, fuori da qualsiasi ufficio pubblico o esercizio commerciale e più che mai farmacie e ambulatori, nell’attesa del loro turno che non arrivava mai.

Davvero uno strano modo di salvaguardare la salute delle persone e in particolare dei più deboli.

Ora però i fautori di quell’impostura si strappano i capelli perché il governo ha cancellato le multe agli ultracinquantenni che hanno saggiamente deciso di non sottoporsi alla terapia genica sperimentale, che in realtà era un’arma biologica sviluppata e messa a punto già da anni dal complesso militare. Non a caso è stata coperta dal relativo segreto e falsamente spacciata per vaccino.

Fanno finta di non capire, non sia mai qualcuno ci arrivi per conto proprio, che tale misura va innanzitutto a loro favore. Dato che se fosse erogata la sanzione ne deriverebbe che il sottomettersi alla falsa vaccinazione fosse un obbligo, come del resto tentarono di far credere Draghi e Mattarella, tra gli altri, ancora una volta dichiarando pubblicamente il falso.

Cosa avverrebbe nel momento in cui si dimostrasse l’inutilità di quella profilassi in relazione ai motivi per cui la si è imposta, del resto già allora ben nota, oltre ai danni che ha causato a tanta gente, in quanto scritta a chiare lettere sui bugiardini stampati dai fabbricanti di quei liquami?

L’ergastolo sarebbe ancora poco. Per gente come Speranza, Conte e tutto il resto del circo pandemente al seguito, quel che ci vorrebbe è la legge del taglione. Sarebbe la sola a fare giustizia di un crimine a tal punto gigantesco e reiterato oltre ogni barlume residuale di umanità.

Dicono che i rettiliani non esistano, ma dopo le gesta di quella gentaglia non si sa più cosa pensare.

Alla situazione industriale abbiamo già accennato: per effetto di quanto detto fin qui, di una pressione fiscale ormai insostenibile e di una a livello normativo ancora più asfissiante, non esiste più produzione alcuna tale da realizzare il margine sufficiente a giustificare la propria sopravvivenza.

Perché oggi le multinazionali si buttano sull’eolico e sul solare? Per i finanziamenti erogati a pioggia da governi asserviti alla logica mondialista che predica un cambiamento climatico inesistente, mentre i percipienti di quei finanziamenti, messi insieme togliendo il pane di bocca alle popolazioni già precipitate in povertà, proclamano le loro virtù di sostenibilità.

 

Si tolgano quei finanziamenti e si ripristinino le leggi di mercato, che curiosamente si vanno valere solo sui diseredati e su quanti si vuol rendere tali, poi vedremo se e per quanto quest’ennesima farsa riuscirà a tenersi in piedi.

Si tratta peraltro del pretesto con cui si sta spingendo l’Europa, intesa come insieme di popoli e di Stati ex sovrani, nel baratro. Proprio perché obbligata alla deindustrializzazione, conseguente alla carenza di energia, mentre in tutto il resto del mondo si brucia carbone come mai prima d’ora.

Il settore dell’auto è illuminante al proposito, con l’impostura dell’auto elettrica che serve solo a rendere impossibile alle masse la mobilità indipendente. Tutte le maggiori aziende tedesche registrano in questi giorni il tracollo della loro redditività, spintosi al -90% e oltre.

Ad esse, a suo tempo, si è fatto in modo di attribuire un predominio assoluto, così da poter abbattere l’intero settore nel modo più agevole, una volta deciso di terminarlo una volta e per tutte. Come noto è trainante ed essenziale ai fini dei destini economici e quindi esistenziali di un Continente che, già da tempo, è stato deciso di trasformare in contenitore di meticciato ridotto in schiavitù.

Per quel tramite si è ritenuto di garantire i profitti del sistema finanziario, ormai padrone di tutto, comprese le nostre vite, e insieme ad essi il mantenimento e il rafforzamento del potere da parte dei suoi reali detentori.

Nella fase immediatamente precedente si era evidenziata già l’impossibilità di produrre su grandi numeri mezzi destinati alla clientela di livello medio. Imponendo così la delocalizzazione nei Paesi dell’est europeo, in cui i costi erano ancora inferiori, a iniziare da quelli per la manodopera seguiti da quelli per le infrastrutture. Nei cosiddetti Paesi avanzati erano rimaste solo le produzioni di lusso, le sole a permettere i margini operativi necessari per il mantenimento dell’attività, che si è deciso di affossare con provvedimenti in apparenza deliranti ma in realtà finalizzati espressamente a materializzare la situazione in cui ci ritroviamo.

Quella in cui tra poco chi avrà necessità di un’auto nuova, ammesso che gliela lascino usare, si troverà costretto a ricorrere al prodotto cinese.

 

I risvolti per la riproduzione sonora

Come è stato rilevato un gran numero di volte, in questa sede, il settore della riproduzione sonora amatoriale non è qualcosa a sé stante, separato dal resto del mondo e della società civile da una serie invalicabile di compartimenti stagni, come i media di settore hanno fatto credere per decenni al loro pubblico.

In esso si rispecchiano, e spesso sono anticipate, le dinamiche, le logiche e le contraddizioni della società civile, non di rado amplificate.

Riguardo al settore dei mezzi di trasporto va ricordato che proprio l’industria legata al movimento delle persone e delle merci, a sua volta dipendente dalla disponibilità di grandi quantità di energia a prezzi abbordabili, è stata il vero motore dello sviluppo dell’intero occidente industrializzato, a iniziare dalla fine del diciannovesimo secolo.

Tagliate deliberatamente le gambe a quel sistema, non è difficile prevederne le conseguenze, in termini di qualità della vita in tutto il continente.

Per quanto riguarda l’economia, aspetto essenziale nella società capitalista in cui viviamo, nulla può esistere senza il denaro. Neppure la sopravvivenza che ci viene raccontato sia un diritto inalienabile e universale: andatelo a spiegare, se ci riuscite, alle vittime della pulizia etnica perpetrata nella Striscia di Gaza e poi in Libano e in Siria.

Le politiche ciecamente restrittive delle banche centrali, seguite a ruota dagli istituti di credito presenti sul territorio, hanno poi fatto il resto, rendendo indisponibili i fondi necessari ad avviare una qualsiasi produzione. E, nei casi in cui malgrado tutto si fosse riusciti a reperirli il loro costo era tale da consigliare già in partenza di lasciar perdere.

Si tratta del cosiddetto “credit crunch”, termine del quale negli anni precedenti alla psico-pandemia con cui si è poi dato il colpo di grazia, si è sentito parlare un giorno si è l’altro pure.

In un quadro del genere, pensare alla produzione di massa di un prodotto di costo abbordabile ma capace di una musicalità superiore, come potrebbe essere un NAD 3020 dei giorni nostri non è solo impossibile ma è puro delirio.

Da un lato per le spese enormi necessarie ad avviarne la produzione, ammesso e non concesso che esistano ancora progettisti capaci di compiere il miracolo, perché nella situazione odierna di questo si tratterebbe. E poi soprattutto perché il prezzo a cui lo si potrebbe ragionevolmente commercializzare non coprirebbe le spese affrontate nemmeno in parte minima.

Figuriamoci quelle vive, relative all’approvvigionamento delle materie prime, ai salari delle maestranze, alle bollette energetiche e alla fiscalità, la cui pressione è stata trasformata moltiplicandola in modo da poter agire, come sempre, ai fini di distruzione del tessuto industriale. La si è mascherata dietro esigenze di perequazione sociale, a fronte della quali vediamo dilagare la povertà di fronte a noi, così da sottolineare l’assoluta pretestuosità di quella motivazione.

Inoltre vi si deve ottemperare anche in presenza di bilanci in perdita. Come noto intanto paghi, e in anticipo, poi si vedrà se e quando il fisco si deciderà a restituire il prelievo non dovuto.

Le ultime notizie danno l’idea che ci sia l’intenzione di trattenerlo, come sta facendo il fisco italiano nei confronti dei sostituiti d’imposta sui modelli 730. Ovverosia colpendo sempre i più poveri, il 730 lo compilano in maggioranza i pensionati, essendo quelli che meno possono difendersi contro l’ingiustizia.

Del resto la guerra in Ucraina costa e gli F-35, dei quali stiamo diventando i detentori nel numero maggiore al mondo dopo gli USA, persino di più.

Siccome non bastava affossare la nostra Aeronautica Militare con quei catenacci, sono stati stanziati altri 7 miliardi per l’acquisto di 24 ulteriori esemplari di Typhoon, aereo già vecchio dato che per il 2035 ne è stata decisa la sostituzione per mezzo del nuovo velivolo che Leonardo, BAE e Mitsubishi stanno progettando in consorzio.

In ogni caso per un’eventuale restituzione dovranno passare degli anni, e la fabbrica se ne sarà andata già da tempo a carte quarantotto. La società che la gestisce sarà passata a miglior vita, mentre il pensionato lo si sarà tolto di mezzo, con un falso vaccino o con l’altro, e una volta di più il fisco potrà trattenersi il maltolto.

In linea di principio il sistema non differisce in nulla da una rapina a mano armata, l’unica differenza è che la si esegue agitando il vessillo della legalità.

Per quanto possa apparire singolare, quelli elencati non sono nemmeno i problemi maggiori. Più importante ancora ai fini della catastrofe cui inevitabilmente sarebbe destinato ad andare incontro un prodotto realizzato secondi i criteri che stanno più a cuore a chi ha ancora un briciolo di sale in zucca, si rivelerebbe il rifiuto al suo acquisto da parte della clientela cui si rivolge.

E’ stata la stessa propaganda di settore, in decenni di martellamento mediatico ininterrotto, di fatto un lavaggio del cervello in piena regola, a trasformarne le esigenze, falsificandole allo scopo di dirigerle laddove la massima importanza viene attribuita a qualsiasi elemento, a patto che sia superfluo nei confronti della destinazione d’uso primaria dell’oggetto adibito alla riproduzione sonora.

Ossia la riproduzione sonora stessa e quindi la sua qualità. Inevitabilmente a soffrirne è stata proprio quest’ultima, proprio in quanto tutte le risorse disponibili le si è utilizzate per favorire altro, con i pretesti più inverosimili.

Dall’anche l’occhio vuole la sua parte al waf, e poi al decantare all’infinito, da parte del Coro Degli Entusiasti A Prescindere, ogni singola prerogativa a patto che non avesse nulla a che fare e meglio ancora fosse dannosa ai fini della qualità sonora.

Qui mi fermo, per non andare incontro a un altro attacco d’ira, che non farebbe bene alla mia salute. Si è dimostrato ancora una volta, pertanto, che quanti sono convinti e talvolta rivendicano addirittura di operare a favore del settore merceologico di nostro interesse, sono in realtà quelli che più di ogni altro hanno operato affinché venisse affossato, con ogni mezzo.

Primo fra tutti quello dell’inganno, della cui pratica sono maestri. Talento cui è doveroso attribuire il riconoscimento che merita.

Costoro si sono adoperati non solo nei modi anzidetti, ma anche attraverso la compiacenza con cui hanno accolto il cambio di paradigma determinatosi a livello distributivo con il passaggio, epocale, dalla vendita sul territorio, per mezzo di una serie di dettaglianti fisici, a quella eseguita con l’impiego del virtuale, risultata vincente anche per via dei prezzi inferiori che con quel mezzo si è riusciti a praticare.

Lavorare sul venduto, prassi tipica del commercio elettronico, alla quale si deve in buona misura il suo dilagare, è ovviamente mille volte meno costoso dal dover tenere in piedi un magazzino. Sul quale tra l’altro il fisco, alla perenne ricerca famelica di fondi atti a mantenere il parassitaggio di stato e parastato, oltretutto deresponsabilizzato, inevitabilmente va a rivalersi.

Da parte sua il sistema propagandistico tiene innanzitutto alla propria sopravvivenza e solo in seguito, seppure, s’interessa alle sorti del settore cui rivolge le proprie attenzioni. Per fortuna, dato che come abbiamo visto si adopera soprattutto per spingerlo al massacro.

Di conseguenza ha avuto ben poco da eccepire riguardo a cambio di sistema distributivo, malgrado le sue conseguenze abbiano prodotto un regresso altrimenti inimmaginabile, già per il modo stesso di concepire e valutare gli oggetti destinati alla riproduzione sonora.

Venuti a mancare gli spazi in cui poter eseguire un confronto diretto tra le apparecchiature, da parte dell’acquirente potenziale, è stato inevitabile il recupero d’importanza per le tabelle delle caratteristiche tecniche, ridiventate d’un tratto, insieme alle foto di repertorio il criterio fondamentale su cui gli appassionati vanno a operare in concreto e in massima parte la loro scelta.

Entrambe sono diffuse graziosamente dai media di settore che quindi hanno conosciuto un recupero d’importanza insperato.

Dunque, insieme a quello dell’editore e del corista, si è concretizzato così il sogno del fabbricante, che come tale a fabbricare dati più convincenti non ci mette nulla.

Al limite falsificandoli, tanto chi li può controllare e al limite avrebbe interesse a dimostrarne l’infondatezza ?

Ben diverso invece è realizzare qualcosa che suoni davvero bene, cosa complicatissima e che non si sa come fare, a priori.

Nel caso ci si accorge dopo, che suona così bene, sempre in funzione di un concatenarsi di eventi per buona parte casuale.

Le cose stanno esattamente in questo modo, malgrado i proclami della stampa di settore.

Essa per prima infatti è da sempre incapace non di cavare il ragno dal suo buco, ma persino d’immaginare dove caspita si trovi, quel maledetto pertugio.

Che sia proprio così lo ha mostrato la Storia. Ogniqualvolta l’industria di settore, anche la più rinomata e in apparenza competente e competitiva, ha realizzato un prodotto effettivamente valido è stato per puro caso.

Tanto è vero che nel momento in cui si è deciso di tentare di migliorarlo, in funzione delle esigenze di mercato per le quali dopo un certo tempo il prodotto è vecchio e quindi non più adatto a una commercializzazione redditizia, si sono procurati danni enormi, capaci di azzerare ogni caratteristica positiva di quel prodotto.

Due esempi su tutti, ma se ne potrebbero fare a bizzeffe, sono il B&W CDM 1, eccellente nella sua versione originaria e sempre peggiore man mano che si è passati a quelle successive, la SE, poi la NT e infine il 701, che si è dovuto togliere prematuramente dal listino per quanto suonasse in modo indegno.

E poi il già menzionato Nad 3020, i cui successori diretti, mano a mano che sono andati susseguendosi, hanno perduto in misura sempre maggiore le doti musicali del capostipite. Sacrificate a favore di una maggiore potenza di uscita, ossia del dato numerico che una volta di più si è dimostrato dannoso nei confronti di quello inerente la vera qualità, notoriamente immisurabile.

A dispetto dei soloni che per mezzo dell’impostura stante nella pretesa capacità di padroneggiare la misura, hanno creduto di poter fare il bello e il cattivo tempo nell’ambito della propaganda dedicata a questo settore.

Erano talmente capaci, di discriminare il grano dal loglio, che quando hanno inneggiato all’arrivo del nuovo Messia, strillando in copertina “L’alba di una nuova era” hanno preso la cantonata più fragorosa di tutta la loro dimenticabile storia.

Secondo loro, misure di livello mai visto in precedenza su un qualsiasi amplificatore, erano tali da oltrepassare persino la perfezione, per forza di cose anche in termini di sonorità.

Avevano talmente ragione che non si sono neppure accorti, poiché resi ciechi e sordi dallo scientismo alla fase terminale da cui sono da sempre affetti, quello si privo di qualsiasi senso della misura, che si è trattato del più grosso e costoso catorcio mai comparso sulla scena della riproduzione sonora fino ad allora.

Infatti, in sala d’ascolto, le ha prese in maniera vergognosa persino da un amplificatore che costava oltre cinque volte di meno e tra l’altro era ritenuto il modello meno riuscito della serie di cui faceva parte.

Paradossalmente, tuttavia, L’alba di una nuova era è stato indovinato come slogan, anche se non nel senso inteso dai suoi ideatori.

Infatti con quell’oggetto si sarebbe inaugurata l’era delle apparecchiature costosissime e stracariche di orpello le quali, per forza di cose, in termini di qualità sonora non solo non sono in grado di giustificare il loro prezzo, ma non lo sarebbero neppure se costassero dieci volte di meno.

Malgrado ciò quelli che hanno scritto certe fesserie erano competentissimi, anzi i più competenti in assoluto in tutto il mondo, Ma che dico, dell’intera galassia, altroché.

Tornando ai criteri di scelta oggi possibili per il pubblico, la cui sorte è stata ovviamente funestata nel modo che abbiamo appena visto, dovendo avvenire sulla carta poiché altri elementi non ce ne sono, sono destinati al fallimento già in partenza.

Se a tutto questo si aggiunge la supercazzola distribuita a valanga dai social di settore, il cui apporto distruttivo ai fini della consapevolezza per le reali qualità delle apparecchiature e più ancora per i presupposti dai quali vanno a derivare è stato essenziale e nello stesso tempo impareggiabile, non può che derivarne l’impossibilità stessa per la sopravvivenza di un qualsiasi criterio di discernimento in grado di conservare una qualche efficacia.

L’abitudine di troppi a ripetere a pappagallo qualsiasi cosa leggano, a patto che sia del tutto inverosimile, oltretutto in maniera plateale e anzi più lo è e più sono portati a ripeterla meccanicamente, ha fatto il resto, formando una clientela nella quale fabbricanti, distributori e rivenditori non avrebbero mai sognato di poter sperare. Capace di accettare in maniera entusiastica e del tutto acefala il peggio del peggio di quanto si sia mai storicamente prodotto, oltretutto a un prezzo fuori da ogni barlume di ragionevolezza, sia pure residuale.

Così mai come oggi è diventato così difficile, per la maggioranza schiacciante degli appassionati, capire cosa sia un pregio e cosa un difetto, in termini di sonorità.

Altrettanto dilagante è il capovolgimento dei termini al riguardo: sempre più persone sono convinte che i difetti siano pregi e i pregi difetti intollerabili.

Non potrebbe essere altrimenti, una volta venuti meno i punti vendita sul territorio, ciascuno dei quali bene o male aveva una propria saletta, l’accesso alla quale era sostanzialmente libero. Come tale operava non solo da terreno di confronto tra i prodotti ma anche e soprattutto quale elemento di crescita per gli appassionati, grazie all’esperienza che con la frequentazione di tali luoghi potevano mettere insieme.

Oggi tutto questo è sostituito dalla supercazzola imperante nei social, al cui interno agiscono legioni di vorrei ma non posso, anelanti il ripetere le gesta pseudoletterarie dei componenti del Coro Degli Entusiasti A Prescindere. Resi dunque incapaci di comprendere il loro vero ruolo di facilitazione e di avallo, privo di qualsiasi discrimine, in quanto essi stessi del tutto privi non delle caratteristiche necessarie al riguardo, ma proprio delle capacità di immaginare quali possano essere e di come le si possa esercitare.

La qualità pietosa degli scritti diffusi per mezzo del sistema mediatico sta li a dimostrarlo.

Inevitabilmente, pertanto, le caratteristiche reali del prodotto non possono che conformarsi alle necessità dei suoi destinatari. Essendo divenuti in massima parte sordociechi, ridotti così proprio per l’opera incessante del sistema atto a propagandarlo, non potrà che acquisire le caratteristiche più indicate alle condizioni ambientali in cui si troverà a operare.

Non avrebbe senso fare diversamente e, nel caso, si andrebbe incontro a una sicura disfatta, tra l’altro catastrofica sotto l’aspetto economico. Proprio perché un prodotto non conforme alle esigenze del pubblico attuale non potrebbe che avere la sorte peggiore.

Al pubblico va dato quel che chiede: se chiede cacca quella occorre dargli. Non solo perché rifiuterebbe qualsiasi altra cosa, ma non di rado sarebbe pronto a rivoltarsi, anche in maniera violenta, esercitata sul piano materiale, contro chiunque pensasse di dargli qualcosa di meglio. O solo di meno peggio.

Ne ho potuto toccare gli effetti con mano, proprio di recente.

Poi chi e cosa abbia determinato una realtà come questa potrà essere interessante da analizzare per certuni e forse persino istruttivo. Ma per chi deve innanzitutto far quadrare i bilanci e dare utili agli investitori, la cui prerogativa fondamentale è la prontezza a liberarsi al più presto di qualsiasi titolo dia solo l’idea di non riuscire a portare i profitti previsti, anche a costo di rimetterci per dedicarsi a titoli più promettenti, si tratta di cose prive di qualsiasi importanza.

Va considerato inoltre che le politiche sociali ed economiche messe in pratica ormai da vari decenni, hanno prodotto una sperequazione tale che chi ne ha dovuto pagare in prima persona le conseguenze non riesce più a immaginare neppure lontanamente quanto sia enorme la divaricazione della forbice delineatasi tra ceti medi sempre più impoveriti e le élite che ne hanno tratto vantaggio.

A questo riguardo non esiste statistica che possa tratteggiare con una qualche approssimazione un fenomeno che non accenna a stemperarsi e anzi procede di gran carriera verso nuovi, inverosimili traguardi di onnipotenza economica, che per forza di cose ha anche i suoi risvolti a livello politico.

Tutto quello che si può fare è osservare le tendenze proprie di specifici settori commerciali atti a suggerire la realtà delle cose per quella che è.

A questo riguardo ci viene in aiuto una classifica stilata di recente, riguardante il valore attribuito ai marchi più noti operanti nel settore automobilistico.

Questo indice vale forse meglio di ogni altro nel mostrare l’assurdità della situazione in cui ci troviamo. A parte Tesla, avvantaggiata in maniera plateale da una serie di scelte politiche che non è detto mantengano il loro orientamento in futuro, vediamo che oggi Ferrari vale quanto Ford e Volkswagen messe assieme, mentre Porsche vale più di tutta la General Motors, ossia quella considerata fino a qualche tempo fa il colosso globale per eccellenza del mezzo di trasporto.

A questo riguardo va ricordato che nel 1963 ci fu la nota trattativa tra Ferrari e Ford, con il colosso americano che voleva comperare il marchio italiano, ormai in bancarotta. L’affare non si fece e Ferrari entrò in seguito nell’orbita Fiat. Gli americani se la legarono al dito e per questo decisero di scendere in gara, cancellando il dominio modenese che andava avanti già da tempo. Prima nel settore delle corse di durata, all’epoca le più seguite e rappresentative, poi anche in Formula 1, con il motore Ford-Cosworth che predominò dal 1967 fino ai primi anni 80 inoltrati, reggendo anche alla prima fase dell’era dei turbocompressori.

Contro il Ford Cosworth, utilizzato da quelli che Ferrari chiamava garagisti, il Cavallino riuscì a imporsi solo tre volte, nel 1975, 77 e 79. Il solo anno in cui dimostrò una superiorità inequivocabile, tuttavia è stato nel 1976, funestato però dell’incidente di Lauda al Nurburgring, che gli fece perdere il titolo sia pure per un’inezia.

Riguardo a questa storia, limitandosi alla vendetta di Ford nelle corse di durata, qualche anno fa è uscito un film intitolato Ford V. Ferrari o altrimenti Le Mans ’66.

Se nel 1963 gli emissari del marchio americano potevano presentarsi a Maranello con una borsa piena di dollari a decine di milioni per fare un boccone della Ferrari che stava per portare i libri in tribunale, oggi l’intera Ford, che vende tuttora veicoli a milioni, vale meno della metà di una Ferrari che se va bene produce 2-3 mila auto all’anno.

Dal canto suo Porsche vale più, e molto, della stessa Volkswagen dal cui Maggiolino i suoi primi modelli furono derivati direttamente e ancora conservano la medesima impostazione meccanica.

Dunque la tendenza è evidente: la redditività esiste ormai soltanto nelle atmosfere rarefatte dell’extra-lusso e se questo avviene nell’ambito dell’automobile, a maggior ragione costituisce un fenomeno tangibile in un ambito ancor più voluttuario come quello della riproduzione sonora di qualità.

Inevitabile pertanto che il settore vada dove ci sono le possibilità maggiori di profitto. Ambito del quale l’utilizzatore normale, o appassionato storico che dir si voglia, ridotto ormai a desiderare un livello qualitativo almeno comparabile a quello di trenta anni o quaranta anni fa, probabilmente non si rende neppure conto.

Per questo reputa tanto inverosimile non solo l’esistenza, ma persino la continua espansione di un segmento destinato a una clientela il cui tenore di vita faraonico rende indispensabile sia tenuto nascosto da parte dei media. Non sia mai che il popolino ridotto alla fame, proprio per arricchire oltre ogni limite quel nucleo di ottimati, mostri cenni tangibili di disagio, con le ovvie conseguenze.

Ecco dunque qual è il solo segmento, assieme a quelli immediatamente inferiori, capace di offrire opportunità di profitto tali da far si che valga la pena imbarcarsi nell’impresa. Cosa ovviamente possibile soltanto per chi abbia risorse economiche sufficienti a garantire il livello estetico indicato allo scopo, che per forza di cose chi si ritrova costretto al vorrei ma non posso cercherà a ogni costo di imitare, come da sempre avviene nella storia del mondo, con tutti gli effetti che ne derivano.

Inevitabile pertanto che in un contesto del genere la qualità sonora non abbia più voce in capitolo alcuna, non solo per quanto detto fin qui, ma anche per estinzione della clientela residuale adatta in primo luogo a riconoscerla in quanto tale e poi ad attribuirle il valore che merita.

C’è infine un ulteriore aspetto ad aver determinato la situazione attuale ed è la perdita, da parte della riproduzione sonora amatoriale, del ruolo trainante per l’industria elettronica.

Oggi ce ne sono molti altri enormemente più lucrosi e che soprattutto danno l’idea di avere un avvenire più florido e garantiscono un ricambio più serrato del prodotto, quindi più favorevole per fatturati e profitti.

Credo sia inutile menzionarli, dato che sono sulla bocca di tutti e il loro effetto è di spingere il settore di nostro interesse sempre più ai margini.

Questo tra l’altro è roba da “boomers”, come tale vista con sospetto da chiunque si prefigga la realizzazione di un utile dalle proprie attività. Per conseguenza non è solo destinata al fallimento per motivi strettamente anagrafici – per quanto tempo ancora quella generazione conserverà le proprie capacità di spesa e di fruizione? – ma proprio sul piano ideologico.

Oggi tutto quanto rischi di acquisire tale nomea ha il destino segnato già in partenza. Quindi ci si può dedicare ad esso solo per la gloria, con la certezza di essere confinati in quella che è e resta a tutti gli effetti la nicchia della sottonicchia. Destinata tra l’altro a diventare sempre più marginale.

 

 

 

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10 thoughts on “Costi delle apparecchiature e loro qualità

  1. Gentile sig. Checchi,
    mi chiamo Gennaro e seguo con molto interesse i vostri articoli, ho 50 anni ed ascolto musica da sempre, mia madre dice che da neonato smettevo di piangere quando ascoltavo il guardiano del faro. Alla fine degli anni 80 comprammo le JBL 4312A di cui sono ancora affascinato, le piloto con un semplice amplificatore Yamaha As 700, che nonostante sia denigrato da tutti lo trovo molto capace, non sfigura tanto a confronto con Audio Analogue Fortissimo ne con Electrocompaniet ECI 3, quest’ultimo con la classica rende di più però costa ben 5 volte tanto. Ultimamente ho acquistato un Wiim Ultra per ascoltare da hard disk la mia collezione di musica di ogni genere, circa 3000 brani, esso è collegato ad un dac esterno Project pre box S2 Digital che ha una marcia in più rispetto al dac del wiim, gli strumenti sono più nitidi, vorrei tuttavia prendere un dac superiore, ma nella giungla delle offerte non riesco a muovermi, pensavo ad un teac che rientra nel budget a mia disposizione, ovvero 1000 euro. Vorrei qualcosa che non badi all’estetica ma alla sostanza, secondo la vostra esperienza cosa mi consigliate.
    Ringraziando per la disponibilità porgo cordiali saluti
    Gennaro

    1. Buongiorno Gennaro,
      grazie per la considerazione. Per questo genere di quesiti è a disposizione il modulo contatti.
      Dunque ti farò avere la risposta che chiedi all’indirizzo e-mail che hai indicato. Abbi solo un minimo di pazienza.

  2. Scusa Claudio oltre il tema trattato riguardante il costo e la qualità intrenseca dei prodotti
    che riguarda il nostro campo(e non solo) ho notato in diverse occasioni il delta tra il prezzo di listino e quello reale di vendita.
    Non mi riferisco agli ex demo,ma al nuovo,differenze che arrivano in alcuni casi a sconti del 40% se non il 50%.
    La cosa onestamente,anche se ormai alla mia età non mi dovrebbe sorprendere piu,diciamo mi fa arrabbiare per la politica di vendita.

    1. Ciao Alessandro,
      il punto che sollevi avrebbe avuto bisogno di uno spazio a parte, data la lunghezza del testo resosi necessario per l’analisi dei punti toccati.
      In tutta sincerità, trovo assurde anch’io certe politiche di vendita.
      Meglio ancora mi sentirei preso in giro: cosa mi spari a fare un prezzo alzato artificialmente alle stelle, se poi mi dici che quello di vendita reale è di un 15, 20 o persino 30% inferiore?
      A cosa può servire un modo di fare del genere, se non a minare l’immagine di serietà di chi lo mette in atto?
      Forse a far si che chi non vi è avvezzo paghi il prezzo pieno senza fiatare?
      Un altro elemento potrebbe riguardare la necessità di posizionarsi in un certo modo riguardo alle scelte fatte dai dettaglianti. Questi ultimi tenderanno a scegliere ovviamente i prodotti che offrono il ricarico maggiore, almeno in teoria, e a questo proposito un prezzo di vendita gonfiato può apparire più indicato.
      Del resto le stesse possibilità di vendita di un prodotto passano attraverso l’effettiva disponibilità sul mercato, che avviene appunto tramite i dettaglianti: se questi non scelgono il tuo prodotto, potrà essere anche il migliore di questo mondo ma le sue possibilità di vendita si riducono fino ad azzerarsi.
      E’ altrettanto vero comunque che i dettaglianti conoscono perfettamente certi meccanismi, tanto è vero che il più delle volte ti propongono l’oggetto dicendo che il suo listino è tot, ma con lo sconto quella somma diventa molto più abbordabile. D’altro canto se il loro scopo è vendere, non possono certamente rischiare che si possa trovare senza troppe difficoltà chi è disposto a fare uno sconto maggiore, specie nella realtà attuale dominata dal commercio elettronico.
      Rimane comunque l’aspetto ingannevole di tutta la questione, specie nei confronti dell’acquirente, che non si vede per quale motivo debba lasciarsi prendere in giro, oltretutto a pagamento.
      E’ vero inoltre che in un conteggio riguardante la capitalizzazione del magazzino, con ogni probabilità si fanno figurare le apparecchiature giacenti a prezzo pieno.
      Il bilancio così risulterà gonfiato e quindi falsificato, per quanto almeno da noi il fisco poi si rivalga anche su su di esso, esigendo come sempre la sua libbra di carne, in particolare da chi non ha la forza o la capacità di sottrarsi alle sue grinfie.
      A questo proposito non so che dire, sono giochi da commercialisti e vili affaristi (ogni riferimento è puramente casuale), che d’altro canto hanno bisogno di risorse enormi per finanziare i disegni distopici riguardo ai quali sono cooptati per accelerare il loro concretizzarsi.
      Restringendo nuovamente l’angolo di visuale al nostro settore nel suo piccolo, che storicamente ha sempre fatto e continua a fare di tutto per dimostrarsi infimo, ritengo che questa pratica dilagata ormai a ogni livello, sia ormai una consuetudine, tra l’altro ben radicata, che anche nell’assenza apparente di una ragione per la sua esistenza, proprio per la sua diffusione risulta molto difficile da togliere di mezzo. In quanto tale potrebbe essere vista come un’ulteriore testimonianza del degrado in cui si è immerso, accettandolo persino con entusiasmo, nel tentativo di prolungare per quanto possibile la sua agonia.
      Chissà, forse se un numero significativo di appassionati alle prese col loro nuovo acquisto, sentendosi fare discorsi del genere, uscissero dal negozio seduta stante, senza dire né a e né ma, forse chi di dovere inizierebbe a chiedersi se certe politiche commerciali abbiano ancora la loro convenienza. Quante sono tuttavia le probabilità che uno scenario del genere abbia a verificarsi?

      1. Zero…anzi credo possa peggiorare.
        Concordo con le ultime righe,purtroppo credo che nessuno(anch’io a volte)metta in atto girare i tacchi e uscire.
        Grazie della tua risposta,ci si sente meno “alieni” andare controcorrente o come diceva De Andrè “in direzione ostinata e contraria”.
        Saluti.

        1. La mia impressione è che a pensarla in un certo modo siano più persone di quanto si creda.
          Il problema è che oggi più che mai vige una sorta di obbligo a evidenziare l’aderenza totale alle scelte della maggioranza, a loro volta perfettamente uniformate alle istruzioni calate dall’alto.

  3. raramente ormai capita di leggere analisi economico/sociali in cui accuratamente si evita la supercazzola per lasciare posto a tesi chiare, dimostrabili e che ogni giorno viviamo sulla nostra pelle. grazie !

  4. Grazie Claudio per il tuo articolo in risposta alla mia domanda che avevo definito banale e che ha partorito una risposta complesaa e articolata a 360 ° in cui mi ritrovo in molte parti.
    Saluti e buon lavoro.

    1. Grazie a te Alessandro per avermi dato l’opportunità di esprimere il mio pensiero sull’argomento.
      A presto

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