Quanno, de notte, sparsero la voce
che un Fantasma girava sur castello,
tutta la folla corse e, ner vedello,
cascò in ginocchio co’ le braccia in croce.
Ma un vecchio restò in piedi, e francamente
voleva dije che nun c’era gnente.
Poi ripensò: «Sarebbe una pazzia.
Io, senza dubbio, vedo ch’è un lenzolo:
ma, più che di’ la verità da solo,
preferisco sbajamme in compagnia.
Dunque è un Fantasma, senza discussione».
E pure lui se mise a pecorone.
Trilussa
La prima riflessione che origina dalle parole che abbiamo appena letto riguarda le possibilità che un Trilussa possa esistere ai giorni nostri.
Quante sono? Infinitesime, seppure.
Il motivo è semplice: anche qualora saltasse fuori un individuo capace di porre in un’evidenza così marchiana le contraddizioni della mentalità più diffusa, oltretutto con tanta semplicità e con una carica d’ironia tale da strappare ogni volta un sorriso, seppure amaro, il sistema mediatico reagirebbe all’istante, stendendogli attorno un cordone sanitario tale da mantenerlo in permanenza nell’invisibilità.
Proprio perché il suo talento, enorme, non deve in modo alcuno poter influenzare l’uditorio, che si pretende di poter continuare a manipolare in piena libertà, o peggio mettere in discussione la narrazione dominante, a favore della quale tanti sforzi si fanno per mezzo di una propaganda che ogni giorno tocca nuovi picchi di pervasività.
Inevitabile osservare che Trilussa ha vissuto e operato durante il cosiddetto ventennio fascista. Eppure, malgrado si tratti del Male Assoluto contro cui ogni bravo progressista si ritiene obbligato a inveire e a fare di esso il proprio spauracchio, dal Regime Peggiore Che Ci Sia è stato lasciato libero di lavorare e di diffondere i suoi scritti.
Tra il 1922 e il 1939 la pubblicazione delle sue opere ha avuto anzi la maggiore densità in assoluto.
Come mai chiunque azzardi oggi a diffondere pensieri con una componente caustica pari a una mera frazione di quella del poeta romanesco è scontato non trovi alcuno spazio di espressione visibile o altrimenti è additato come nemico pubblico?
Qual è allora la vera dittatura: quella di allora che dopo le adunate oceaniche e il saluto romano ognuno tornava agli affari propri, nel contesto di un Paese che gradita o meno esercitava comunque una politica indipendente e poco compiacente col consumismo di matrice anglosassone innalzato a ideologia lobotomizzante, o quella di oggi propria di una realtà e di un sistema di sottopotere neocoloniale che impongono un pensiero unico rispetto al quale non è permessa difformità alcuna, quindi non lascia scampo, in particolare per chi fa parte delle generazioni destinate a subirne maggiormente la manipolazione?
Ancora una volta occorre chiamare in causa l’ultimo vero intellettuale che l’Italia abbia prodotto, Pasolini, anch’egli romano sia pure d’adozione. Ha fatto la fine che ha fatto anche e forse proprio per aver preconizzato l’avvento di un nuovo fascismo, imposto dietro un paravento di finta democrazia e amministrato dai “chierici della sinistra”.
Riguardo al sonetto in apertura, anche stavolta vediamo come quel che avviene nella società civile trovi addentellati nell’ambito della riproduzione sonora.
Si crea un bel fantasma, ma che sia bello per davvero e come tale capace di attrarre o meglio ancora affascinare il senso estetico della maggioranza. Poi lo si mostra nelle sedi opportune, accompagnandolo per mezzo dei commenti del personale designato allo scopo e tutti o quasi saranno pronti a giurare che suoni in maniera eccellente e persino con una qualità mai percepita prima.
Se tutti la pensano in quel modo, perché mai schierarsi in maniera diversa o persino contraria?
Tanto se ci si sbaglia lo si sarà fatto appunto in compagnia, in modo tale che la colpa sia suddivisa su un numero tale di individui da risultare infine quasi nulla, in termini quantitativi.
Ammesso e non concesso che ci sia qualcuno capace di posizionarsi in maniera diversa rispetto al parere di una maggioranza tanto numerosa.
Proprio perché se si ha l’ardire di sbagliare da soli, e quindi con la propria testa, l’intera colpa ricadrà sulle spalle del singolo tanto impudente.
Dunque la prima regola, soprattutto in un consesso dominato ormai dalla codardia, anche solo a livello di principi, è di restare nel gregge, nella posizione più centrale che sia possibile, bene al riparo da qualsiasi influsso esterno.
Dimostrazione ultimativa dell’esistenza di una dittatura non più avversabile, proprio in quanto s’impone non più sul terreno dell’ideologia ma ha il caposaldo che si va a rendere inespugnabile nella mente di ogni individuo. Senza intenzione alcuna di mollare la presa ma anzi con quella di manipolarne a fondo la conformazione fisica, agendo persino sul suo codice genetico.
Quello dato dai lettori della serie VRDS è un esempio paradigmatico di tutto ciò: quante sono state, nel corso della storia, le voci che hanno osato dissentire nei confronti dei proclami che hanno riguardato, la loro qualità totale? Ben poche e forse persino nessuna.
A cosa sarebbe servito d’altronde, se non a inimicarsi fabbricanti, distributori, rivenditori e possessori, oltre naturalmente ai titolari del Coro Degli Entusiasti A Prescindere, ansiosi innanzitutto di sottolineare ulteriormente la fedeltà a chi ne regge i guinzagli, proprio per mezzo di una presa di distanze la più vistosa possibile da chiunque osi mettere in discussione il Verbo Divino.
Peggio ancora in un’era come quella attuale, dominata dalla concentrazione dei marchi un tempo indipendenti, che nella loro totalità stanno finendo sotto il controllo di gruppi dalle dimensioni sempre più ciclopiche, quindi monocoli. Non è un caso allora che vedano solo il profitto.
Sono tali da porre già per questo in difficoltà qualsiasi realtà non faccia parte dei loro possedimenti.
Cosa ne deriva, in sostanza? Esprimi i tuoi dubbi sul prodotto di uno solo di quei marchi e automaticamente non avrai più accesso ai prodotti di tutti gli altri controllati dallo stesso gruppo. E probabilmente anche a quelli degli altri, dato che riducendosi il loro numero, le comunicazioni tra di essi vengono enormemente facilitate e più immediato inoltre diventa lo schierarsi da parte loro nei confronti di qualsiasi elemento esterno e/o di disturbo.
Alla luce di tutto questo, la pretesa dello sbarbato, taluni restano tali fino e oltre le soglie della pensione, che tempo addietro volle sostenere che ormai i vincoli esistenti nei confronti dei cosiddetti recensori fossero spariti, proprio perché non erano più i tempi di una volta, fa semplicemente sorridere. Anche se lui si prendeva e si prende tuttora terribilmente sul serio.
Tanto da fargli ritenere necessario il proclamare di essere affetto da una vera e propria coazione alla verifica di tutto quanto sia destinato a riprodurre, bene o male, un qualche suono.
Senza aver riflettuto, evidentemente, su un aspetto essenziale, ossia che quel modo di agire lo porta necessariamente alla superficialità di giudizio. Già semplicemente in funzione della sproporzione data dal suo essere uno, quindi provvisto di quantità di tempo da dedicare alla questione rigidamente limitate, a fronte di una pletora di oggetti in perenne moltiplicazione, prima che alla subalternità dettata proprio dalla smania incontenibile che prova nei loro confronti.
Quell’asserzione, dunque, l’avrà pronunciata in buona fede, ossia credendo realmente ai concetti che riteneva la supportassero, riguardanti il cambiamento dei tempi rispetto ad allora, oppure al solo fine di prevalere in una discussione che sentiva mettere in forse l’onorabilità dei suoi giudizi, e quindi della sua persona e della categoria di cui fa parte?
Se tale è stato l’atteggiamento che ha tenuto in quell’occasione, per quale motivo dovrebbe assumerne uno diverso quando si appresta a verificare e commentare le caratteristiche di un qualsiasi prodotto?
Malgrado la credibilità dell’intera classe recensoria sia pari a zero, proprio perché è quella del Musical Farnetiky (l’amplificatore che eclissa i rivali), di cui fa prassi non consolidata ma proprio inevitabile, va da sé che l’uditorio di settore, in maggioranza schiacciante, le vada dietro.
Dunque, proprio come nel sonetto di Trilussa tutti hanno creduto al primo che ha detto di aver visto il Fantasma del Castello, mentre anche chi ha capito si trattasse di un’illusione ha ritenuto opportuno allinearsi alla versione dominante.
Per quanto mascherato da prodotto imbattibile, è inevitabile che la sua inadeguatezza di fondo abbia ripercussioni nei confronti dei destini qualitativi di qualsiasi impianto se lo ritrovi all’inizio della catena che va a formare, posizione ideale per compromettere le prerogative della riproduzione eseguita per il suo tramite.
Già, perché la sorgente è il componente di gran lunga più critico ai fini della qualità sonora dell’intero impianto. Ogni carenza, difetto od omissione da essa generato non può più essere recuperato in seguito, ma solo accresciuto nella sua entità, sia pure con una variazione di segno.
Un’ulteriore dimostrazione l’abbiamo avuta con il Cec TL2X preso in esame qualche tempo fa. Le evidenze che ha portato sono state di chiarezza inoppugnabile, non solo per il ruolo della sorgente ma anche per la caduta prestazionale che una qualsiasi elettronica subisce nel corso della sua vita, anche se non particolarmente lunga o dispendiosa. Poi per i risultati che si ottengono con un intervento di ripristino eseguito in un certo modo.
Manco a farlo apposta, dopo mezzora che avevo messo in linea l’articolo sul Cec, mi chiama Lorenzo Vella, per raccontarmi gli esiti della sua partecipazione alla mostra milanese, cui ha partecipato con un registratore da studio Otari, collegato a un impianto che non poteva in alcun modo essere paragonato, in particolare a livello di costi, con quanto esibito da altri partecipanti. Un esempio su tutti, quello del noto distributore il cui prezzo complessivo si avvicinava pericolosamente al milione di euro.
A detta di molti appassionati, non c’era proprio paragone, ma nel senso in cui l’impianto non costosissimo ma proprio al di fuori di qualsiasi residuo barlume di ragionevolezza, mettendo da parte il pudore, dimenticato in quest’epoca in cui del girare smutandati si fa un punto d’onore, era valutato come perdente su tutta la linea.
Anche i numerosi sistemi consimili non si sono salvati dalla dura punizione.
Come mai? Per due ordini di motivi soprattutto.
Il primo riguarda appunto l’importanza della sorgente. Quando ne hai a disposizione una tanto superiore, dopo ci puoi mettere anche l’impiantino da mille euro, come appunto accaduto nella saletta di Bird Box Records, e vinci comunque a mani basse.
Quantomeno agli occhi o meglio per l’udito di chi sa qual è il suono della musica. Chi invece limita la propria esperienza a quello degl’impianti, e in questo settore sono la maggioranza soverchiante, probabilmente la pensa in altro modo.
Il secondo è che le cose più sono complicate, e di conseguenza costose, e peggio suonano. Specie se a partire da apparecchiature commerciali, che si fa di tutto per far apparire come il non plus ultra. Ma solo in foto, perché è su quelle che si giudica e si sceglie. Da tempo ormai hanno relegato la qualità sonora tra le varie e eventuali, seppure.
Hanno infatti la loro esigenza primaria nel produrre un profitto massimamente rilevante e insieme appagare l’occhio del compratore potenziale. Proprio in quanto trovandosi in possesso di tanto denaro, con cui non sa più cosa fare, predilige soprattutto la pacchianeria e tutto quanto sia massimamente efficace nel sottolineare le sue capacità di spesa, pressoché illimitate.
Se poi certi impianti costosissimi li si fa andare con il palmare quale sorgente, grazie ai miracoli della somministrazione da remoto di tracce audio, e nella materializzazione concreta del cortocircuito mentale più inverosimile si possa immaginare, almeno nell’ambito della riproduzione sonora amatoriale, certi risultati non sono inevitabili ma proprio scontati.
Dunque la sorgente è essenziale. Ancora di più lo è che sia realizzata in un certo modo, quantomeno se si desidera che operi fattivamente alla costruzione di una qualità sonora superiore.
Ai suoi fini, purtroppo, le apparenze contano poco e ancor meno un dispendio di materie prime tanto finalizzato a dare nell’occhio quanto inutile per le doti sonore.
Spesso anzi sono dannosi, in quanto frutto di un abito mentale che porta a fare le cose in un certo modo anche sotto l’aspetto tecnico, ossia quelle che tanto hanno fatto ai fini della china discendente presa dal settore in termini di qualità sonora e che ormai appare sempre più per ciò che è, una caduta libera. Sul genere di quella di Wile Coyote quando ha sbattuto in pieno contro la parete del canyon, nel tentativo vano di acchiappare The Roadrunner, quello che da noi si chiama Bip Bip.

(Ogni similitudine di quel cartone di sessanta e più anni fa alla realtà odierna del nostro settore è puramente casuale).
Ridondanza fine a sé stessa
Chi avrebbe mai l’idea di costruire una corazzata transoceanica per farla navigare nella vasca del bagno di casa, che oltretutto si ha la tentazione sempre più forte di trasformare in doccia?
Proprio quella sembra sia venuta ai geniacci di Teac e quel che è più paradossale riscuotendo un successo che non accenna ad affievolirsi col passare dei decenni.
Motivo principale, a mio avviso, perché il pubblico valuta su quello che conosce. Non avendo idea, in massima parte come debba suonare un impianto che intenda fregiarsi della definizione di alta fedeltà (a che cosa, alla musica o ai profitti economici ottenibili in questo settore, tra l’altro residuali?) concretizza la propria scala di merito in base ai concetti che riesce ad afferrare.
In primo luogo apparenza, pomposità, spreco di risorse che è tra i simulacri migliori di qualità, anche se dietro potrebbe esserci persino il nulla o peggio.
Già, perché se si deve ascoltare in un certo modo, è meglio lasciar riposare le orecchie e tutto il resto del sistema uditivo. Anch’essi d’altronde sono vulnerabili a stanchezza e assuefazione.
Personalmente il primo approccio con il lettore della serie VRDS l’ho avuto qualche decennio fa. Già allora le lodi nei loro confronti si sperticavano. Personalmente a me sembrò suonare come una lavatrice e quello scrissi. Ossia qualsiasi tipo di indumento ficchi dentro allo sportello, che sia una maglietta, un pantalone o un paio di calzini, sempre allo stesso modo esce: ragionevolmente pulito e profumato, anche in funzione del detersivo che si usa allo scopo.
Riportato nell’ambito della riproduzione sonora, questo esempio sta a significare che qualsiasi registrazione gli si facesse riprodurre, quel Teac suonava sempre e comunque alla stessa maniera, imperturbabile o meglio insensibile alle caratteristiche timbriche della registrazione, della modalità con cui la si era eseguita e persino degli strumenti che vi avevano preso parte: esattamente come ci si potrebbe aspettare da una lavatrice.
Il dettaglio poi era un illustre sconosciuto: il famoso nero infrastrumentale.
Segno migliore dell’inadeguatezza di fondo di un qualsiasi prodotto, dimostrata proprio dal sovrimporre immancabilmente le sue prerogative rispetto a quelle della registrazione, che invece dovrebbe far si, qualora funzioni in modo appena decente, da far risaltare nel modo più efficace possibile.
Dopo tanti anni, ma ne sono passati davvero bel po’, penso almeno una trentina, e malgrado l’evoluzione della specie, quindi il modello VRDS di cui ci occupiamo in questa sede non può che essere un discendente anche piuttosto lontano di quello di allora, le caratteristiche che a suo tempo mi sono sembrate più deteriori sono rimaste perfettamente al loro posto.
Anzi, in un impeto di coerenza che difficilmente avrebbe potuto essere altrettanto fuori luogo, sono persino peggiorate, per quanto potesse sembrare improbabile.
Il primo approccio l’ho avuto nel momento in cui sono andato a consegnare un DAC con uscita a valvole al suo committente. A suo tempo mi chiese di ottimizzare il lettore in suo possesso, un Marantz CD 63 KIS che anche a distanza di alcuni anni da quell’intervento ha mantenuto le sue doti fino in fondo. Tanto è vero che al suo confronto il VRDS è uscito davvero malconcio.
Sia pure nell’impiego come trasporto digitale, proprio quello in cui in cui le prerogative della meccanica con cui è equipaggiato dovrebbero permettergli di prevalere, senza alcuna ipotesi di confronto.
Invece è stato tutto il contrario, a dimostrazione ennesima che le apparenze, anche e tantopiù quando suffragate da pareri lusinghieri espressi all’unanimità, lasciano il tempo che trovano.
Il bello è che il suo possessore, con il 25X era convinto di aver ottenuto chissà quale miglioramento, rispetto al Marantz ottimizzato, che tra l’altro fra acquisto e intervento era costato una frazione di quanto è stato necessario per il Teac.
Infatti me lo disse per telefono: ho preso il Teac, suona molto meglio del Marantz. A me personalmente sembrava alquanto improbabile, proprio sulla base dell’esperienza raccontata prima. Tuttavia non dissi nulla: era così contento del nuovo acquisto, perché rovinargli quel piacere? Anche se poi, per come sono fatto, probabilmente la mia perplessità avrà trovato in qualche modo la possibilità di evidenziarsi. Tra me e me infatti sapevo quanto fosse difficile che quel Teac potesse prevalere, anche se non avendolo mai sentito ritenevo di non dover dare nulla per scontato, come del resto mi è usuale.
Alla riprova dei fatti, ossia nel momento in cui le due sorgenti sono state messe una di fronte all’altra sia pure solo come trasporto da utilizzare in abbinamento al nuovo DAC, il verdetto è stato semplicemente impietoso. Il VRDS è stato proprio travolto dal Marantz, tanto è vero che dopo alcuni minuti di ascolto, eseguito dopo aver provato quest’ultimo, è stato giocoforza toglierlo di mezzo, tanto si è rivelata plateale la sua inadeguatezza.
Non su un parametro o sull’altro, l’importanza dei quali potrebbe variare in funzione delle preferenze del singolo ascoltatore, ma proprio su tutta la linea. Non c’è stato verso insomma di riuscire a proseguire il suo ascolto. sia pure con un certo spirito di adattamento.
Proprio perché non c’era storia.
Anche l’esemplare di VRDS utilizzato aveva già qualche anno sulle spalle, ormai, quindi il suo possessore ha deciso di tentarne il recupero, affidandomelo allo scopo.
In questo modo ho potuto verificare ancor più l’assurdità della sua costruzione, improntata a uno spreco di materiali talmente grossolano da risultare persino d’impaccio nel momento in cui si deve intervenire sulle componenti interne.
Infatti liberare le schede sui cui alloggiano i componenti è stato veramente un impazzimento, stanti gl’ingombri delle paratie interne realizzate in pesante metallo e dallo spessore ancor più privo di senso.
Fanno si che non ci sia proprio modo di mettere le mani al suo interno, obbligando a veri e propri equilibrismi e giochi di prestigio che causano per forza di cose perdite di tempo considerevoli, per non parlare dei moccoli, tali da influire sui costi complessivi dell’operazione.
Anche la meccanica tanto idolatrata è un coacervo di risonanze, per il modo in cui è costruita, perseguendo una rigidità strutturale che evidentemente è servita a ben poco, se persino nell’impiego come trasporto il verdetto è stato a tal punto demoralizzante nel confronto con il 63 KIS, malgrado rispetto al VRDS appaia fin quasi misero.
Eppure è uscito vincente, oltretutto a mani basse, a sottolineare ancora una volta, il reale significato degli elementi visivi e ancor più la loro destinazione, mirata soprattutto all’inganno.
Va detto poi che la meccanica VRDS, per quanto rinomata e idolatrata, altro non è che un appesantimento all’ennesima potenza dei criteri realizzativi delle meccaniche standard, sia pure con un ponte che al confronto sembra quello di Brooklyn e un platorello superiore a tutto diametro che oltre a essere il coacervo di risonanze già rilevato, le quali non possono che essere trasmesse al disco e quindi alle caratteristiche della lettura che su di esso si esegue, non è altro che un ingrandimento esasperato di quanto utilizzato di norma, con tutte le contraddizioni che si porta dietro, per forza di cose anch’esse ingigantite.
L’evoluzione delle meccaniche digitali ha sancito invece la maggiore efficacia di quelle prive di cassetto scorrevole, con portello ad apertura dall’alto e pressore da posizionare manualmente sul disco, più simile a quello dei giradischi analogici.
Questa soluzione permette tra l’altro una maggiore libertà nella realizzazione e nell’impiego di platorelli da posizionare tra disco e pressore, le cui caratteristiche di smorzamento delle risonanze hanno influssi di rilievo particolare sulla qualità di lettura. Specie quando non sono realizzati coi materiali efficaci soprattutto a riempire la bocca. Di chi li realizza, li vende e infine li utilizza, quindi coi risultati che ne derivano a livello sonico.
Il bello è che la presenza di quelle paratie la si è voluta sottolineare anche all’esterno, con le vistose costolature che ricoprono il pannello superiore e si prolungano anche sul retro. Quale sarà la loro funzione concreta? Ciascuno si dia al proposito la risposta che ritiene più opportuna.
Personalmente me la sono già data.
Malgrado le difficoltà, l’intervento è stato eseguito nei modi consueti, ossia togliendo di mezzo tutto il sostituibile, per poi rimpiazzarlo con materiale di qualità inappuntabile e valori elettrici commisurati alle scelte tecniche usuali a questo riguardo.

Per quanto si sia abbondato ben oltre la misura consueta, che già di per sé annovera parametri di generosità ragguardevole, le dimensioni dei nuovi componenti si sono rivelate minori, rispetto agli “scaldabagno” utilizzati all’origine, che malgrado il loro ingombro non sono riusciti a salvare il 25X dal verdetto impietoso determinatosi nel confronto con una macchina che le apparenze avrebbero fatto dare come perdente su tutta la linea.
Nelle fasi di ricostruzione quindi è stato possibile lavorare con un minimo di comodità, date le caratteristiche della componentistica di produzione recente, che riesce a fare di più, in termini di valori elettrici, e talvolta anche di parecchio, pure a fronte d’ingombri nettamente minori.
Un osservatore superficiale o comunque disattento potrebbe farsi idee sbagliate al riguardo, ritenendo che sia sia utilizzata componentistica inadeguata, anche se in realtà le cose stanno comunque all’opposto.
Al momento di riconnettere il lettore all’impianto, il recupero in termini di qualità sonora è stato come solito molto evidente, un po’ sotto tutti gli aspetti, come del resto avviene di norma.
Tuttavia è rimasto qualcosa di non del tutto soddisfacente, probabilmente ascrivibile al carattere proprio della macchina. L’impressione ricevuta è stata simile a quella che si avrebbe guidando un’auto con il freno a mano tirato.
E’ anche vero che in situazioni simili non si ha praticamente mai il tempo materiale di far lavorare gli oggetti per il tempo necessario a far si che esprimano tutto il potenziale di cui sono capaci, almeno qualche decina di ore.
Va detto inoltre che interventi del genere, per mezzo dei quali si evita sempre di stravolgere la macchina su cui si va a operare, per motivi ovvi, permettono un recupero prestazionale parecchio significativo. Nello stesso tempo non possono, e neppure dovrebbero, in realtà, variare le scelte di fondo operate in sede di progetto ai fini della realizzazione di ciascuna apparecchiatura.
Da un lato per il rispetto che si deve a ciascuna di esse e quindi anche allo sforzo fatto dal possessore per il loro acquisto, dall’altro perché già per meri criteri di fattibilità materiale non si potrebbe far altro che intervenire “a sentimento”, quando invece spingersi a certi livelli richiederebbe fasi di studio e poi di verifica oltremodo prolungate, come tali costose al punto di risultare ben poco convenienti.
Difficilmente poi, se ci si spinge oltre certi limiti, si riesce a conservare l’equilibrio proprio di ciascun oggetto, derivandone una realtà che prima o poi presenterà il suo conto. Generalmente salato.
Quindi, almeno dal mio punto di vista, di ogni oggetto si possono individuare i punti migliorabili e così facendo lo si porta a esprimersi nel modo migliore. A tutto però c’è un limite, dettato in primo luogo dalla ragionevolezza, appunto quella che induce a mantenerne le prerogative di fondo, evitando di stravolgerlo proprio perché avrebbe ben poco senso. Così da mantenere la necessaria affinità con quanto a suo tempo deciso dal progettista, che molto probabilmente se ha fatto certe scelte avrà avuto più di un buon motivo.
Poi in maniera altrettanto ovvia ogni ciambella ha il suo buco. Se per il mio metro di giudizio personale quello dei lettori VRDS desta più di qualche perplessità, ad altri invece piacerà moltissimo, sia pure per cose che non condivido.
In ogni caso il possessore del VRDS 25X è stato molto contento dei risultati ottenuti e come sempre ha tenuto a farmelo sapere, cosa per cui lo ringrazio. Ha poi rilevato anche che il suo parere è condiviso appieno dal suo fedele amico di ascolti, che per lui costituisce un elemento di riscontro di grande importanza.
Loro sono soddisfatti, oltretutto parecchio, quindi nulla da dire, missione compiuta, come di solito e come necessario. Personalmente continuo a pensare che sceglierei altro, ma questo riguarda le preferenze individuali, che con ogni probabilità mi porterebbero a preferire ancora il CD 63 KIS ottimizzato.
Sarò un testardo? E’ possibile, anzi probabile o meglio ancora sicuro, ma tra qualche tempo avremo la riprova che ho i miei buoni motivi per pensarla in un certo modo.
Ciao Claudio leggo sempre con piacere la tua rubrica, però ammetto piena discordanza con la tua valutazione del VRDS 25 X che lecita è evidentemente soggettiva (come tutto daltra parte!) Io sono un felice possessore dell’oggetto VRDS 25 X e l’ho anche messo in una situazione ottimale per farlo esprimere (cavi supporti alimentazione ecc) e magari è frutto del caso e della magica sinergia che trova nel mio ianto au ogni aspetto, spazialità, dolcezza e controllo della gamma sia acuta che media e bassa. E tutti gli amici audiofili a cui faccio sentire il mio piccolo impiantino rimangono esterrefatti e stupiti del suono a dir loro uno dei migliori mai sentiti. Quindi concludo con un bel “de gustibus….”
Buoni ascolti.
Antonio
Ciao Antonio,
grazie dell’apprezzamento.
Concordo appieno sul fatto che ogni valutazione sia soggettiva.
Non solo, quella soggettività diviene sovente una palla al piede tale da impedire di prospettarsi traguardi che dovrebbero essere invece il minimo cui ambire, a fronte di tanti sforzi e di tante spese, che conducono invece a girare perennemente a vuoto lungo la rotatoria di cui ho parlato, di nuovo, poco tempo fa.
Molto comunque dipende dai parametri che si utilizzano al riguardo, frutto dell’esperienza che ciascuno ha avuto modo di formarsi, tantopiù se sulla base di apparecchiature commerciali.
Un VRDS 25 X potrà avere tutte le prerogative che hai elencato e anche di più, ma basta un banalissimo Marantz CD 63 messo a punto come si deve per trasformare il confronto in un vero e proprio tracollo.
Oltretutto rispetto a un Teac su cui si è intervenuti su tutto l’intervenibile, anche se senza arrivare a stravolgerne l’assetto originario, operazione che reputo poco rispettosa nei confronti dell’oggetto, del suo possessore e del denaro che ha speso, non di rado a fronte di grandi sacrifici.
immaginiamoci quindi cosa possa succedere nei confronti di esemplari in condizioni originali, quindi con tutto il parco elettrolitici ben inoltrato nel cammino che li porta inevitabilmente a ritrovarsi esausti. Spesso senza che il possessore della macchina se ne accorga, trattandosi di un processo di grande gradualità.
Purtroppo le manchevolezze in termini di dinamica, vitalità, capacità d’indagine nei confronti dell’informazione presente nel supporto, sensazione di presenza in ambiente dell’evento riprodotto, nitidezza, fluidità, precisione e così via sono parte inamovibile del DNA di quelle macchine e sembrano essere rimaste tutte al loro posto col succedersi delle diverse versioni.
Non solo, si ripresentano tali e quali anche nell’impiego come sola meccanica, in abbinamento a DAC esterni, malgrado le lodi innalzate dalla critica per prima all’efficacia dei sistemi di lettura di cui si avvalgono quelle macchine. A ennesima riprova che l’ascolto con gli occhi, con le targhette poste sui frontali, con la finitura e lo spessore di questi ultimi, con il portafogli, e soprattutto con la potenza di fuoco del distributore o fabbricante che dir si voglia è abitudine tanto inveterata quanto irrecuperabile in quelle sedi.
Il fatto che sonorità del genere trovino anche l’apprezzamento di molti appassionati, pronti a giurare di essersi trovati dinnanzi a chissà quale portento, purtroppo non sposta di una virgola la realtà delle cose.
E’ anzi indicativa di una realtà fin troppo radicata.
Poi, certo, ci pensano i media di settore ad assicurare che si tratti del meglio del meglio ed è la storia stessa a insegnarci quanto la maggioranza degli appassionati sia disposta e persino incentivata a prendere quelle panzane per oro colato, e fare ad esse da ripetitore instancabile e di grandissima efficacia nel coinvolgere chi condivide le stesse preferenze.
Le condizioni di contorno hanno senz’altro grandissima importanza, e specie a certi livelli assumono sovente un rilievo superiore alle apparecchiature stesse. Questo si ripete qui dal primo articolo messo in linea, pertanto farne menzione in un certo modo è del tutto fuori luogo, prima ancora che irrispettoso, senza contare che in condizioni del genere, che hanno cause ben più profonde, gli aggiustamenti cui hai fatto riferimento potrebbero ben poco.
Anzi, in un confronto con macchine capaci di esprimersi in maniera più realistica, a livello di qualità sonora, non farebbero altro che spostare ulteriormente l’ago della bilancia a favore di queste ultime, rendendo un eventuale confronto ancora più impietoso di quanto già non sia, in condizioni diciamo così più usuali.
Purtroppo, dunque, le cose stanno esattamente come descritto nell’articolo.
Ciò non toglie che a molti sonorità del genere possano piacere, magari più di ogni altra cosa, come del resto testimonia il grande successo trovato da quelle sorgenti. Con la vera hi-fi tuttavia, ovvero con l’alta fedeltà che si chiama così proprio perché dovrebbe essere in grado di approssimare, quantomeno, le sensazioni ricavabili quando ci si trova di fronte a un evento reale, hanno ben poco a che fare.
Questo in ogni caso non sembra creare troppi problemi alle numerose apparecchiature che con quei Teac condividono la tipologia di sonorità, che infatti hanno sempre trovato e continuano a trovare accoglienza calorosa da parte della maggioranza schiacciante degli appassionati, proprio in quanto di gran lunga più abituati alle timbriche artificiose, roboanti, goffe e stracariche di controreazione che da sempre vanno per la maggiore, in particolare tra gli esemplari d’alto bordo, piuttosto che a quel che è udibile posizionandosi di fronte a un palco sul quale si tiene un’esibizione dal vivo.
Inevitabilmente il resto viene da sé e non certo per caso.
Di esso fa parte anche una certa presunzione, da parte di un numero di appassionati in crescita perenne, e ancora una volta a causa dei media di settore, specie da quando adusi a pescare tra forum e social il personale cui affidano quella che non è altro che pubblicità, con l’unica suddivisione tra quella palese, di per sé più onesta perché almeno non ha problemi a mostrarsi per ciò che è, e quella che invece vorrebbe farsi passare per chissà cos’altro.
Questo ha indotto l’idea, perniciosa e alla lunga distruttiva innanzitutto per le possibilità di emancipazione degli appassionati stessi, che comunque stiano le cose uno valga uno, il che evidentemente non è e non sarà mai.
In tal modo tra l’altro si perde la capacità stessa di concepire la possibilità che possa esistere una fonte attendibile cui fare riferimento, anche e soprattutto quando illustra e argomenta su aspetti e realtà che per un motivo o per l’altro possano non andare bene a un lettore qualsiasi, così da indurlo a farsi qualche domanda.
Cosa del resto quasi del tutto impossibile al giorno d’oggi, in cui per le ragioni appena elencate ciascuno è convinto di essere un padreterno su un qualsiasi argomento, mentre è evidente tranne che per lui che di strada ne ha da percorrere ancora parecchia.
Così facendo si riduce tutto a una questione di tifoseria, il che è confacente prima di tutto ai media che hanno ridotto il settore di nostro interesse nella realtà in cui si trova, proprio perché in condizioni del genere non c’è più verso per alcuno di riconoscere come tale la qualunque che diffondono senza eccezioni di sorta, nello stesso identico modo in cui la curva sud e la curva nord sono di fatto indistinguibili, a parte il colore delle bandiere sventolate rispettivamente dall’una e dall’altra.
Questo sito, invece, è differente da tutto il resto proprio perché non si fa tifoseria e tantomeno si vanno a creare condizioni propedeutiche alla sua diffusione.
Si perseguono invece risultati concreti, ottenuti tra l’altro con un impiego di risorse minore rispetto a quel che è prassi per il prodotto commerciale, sovente in maniera persino plateale, assurgendo malgrado ciò a livelli prestazionali cui quest’ultimo non può ambire, essendogli preclusi già in partenza dalle logiche tipiche della produzione industriale.
A questo riguardo parecchio tempo fa è stato pubblicato un articolo, rispetto al quale ti auguro buona lettura.
Buongiorno Claudio, articoli sempre interessanti, questo poi sono riuscito a leggerlo tutto in una volta, cosa che avviene raramente con i tuoi scritti
Scherzi a parte , bellissimo l’incipit di Trilussa, che strappa sempre un sorriso, benché amaro , come da te sottolineato. Colgo l’occasione per augurarti serene festività, per quanto possibile, in questi tempi piuttosto sinistri… Viscardo .
Ciao Viscardo, hai visto? Stavolta vi ho graziato! E’ Natale… 😀
Grazie degli auguri, che ricambio e invio a tutti quanti leggono il mio sito.
Alla prossima!