Se si eseguisse un sondaggio inerente la scala d’importanza di ciascun componente, ai fini della qualità di riproduzione dell’impianto, il responso sarebbe scontato già in partenza.
La maggioranza schiacciante ne attribuirebbe gran parte se non tutta ai diffusori, come storicamente accade fin da quando si è iniziato a parlare di riproduzione sonora, lasciando da parte il concetto di alta fedeltà, almeno per il momento.
Il tetto, realizzato come noto a completamento dell’abitazione, è senz’altro un elemento d’importanza primaria in edilizia. Non fosse perché in caso di una sua non perfetta tenuta l’acqua piovana entrerebbe in casa. Nello stesso tempo però, o meglio prima ancora, è necessario che vi siano fondamenta e strutture portanti adeguate per sorreggerlo e garantirne la stabilità. In caso contrario l’entrata di qualche goccia sarebbe il problema minore, essendo il rischio concreto quello di vedersi cadere sulla testa travi, pignatte, intonaci e quant’altro.
Già qui si comprende, ammesso che ve ne sia la volontà, quanto il buonsenso sia stato estirpato deliberatamente, fino ai suoi aspetti più elementari, dal discorso riguardante la riproduzione sonora. Ancora una volta è necessario chiamare in causa al riguardo i media di settore. Del resto favorire la consapevolezza dell’uditorio, sia pure ai livelli minimi, ha notoriamente effetti che in certe sedi si ritiene preferibile evitare. Altrimenti quanti crederebbero ancora alla loro narrazione platealmente falsificata?
Sono ben comprensibili pertanto le difficoltà enormi, o meglio ancora insormontabili, nell’ottenere un risultato tale da attribuire senso compiuto all’esistenza stessa di un qualsiasi impianto.
E’ assolutamente vero che le differenze maggiori, nonché le meno complesse da riconoscere, sono proprio quelle di ordine timbrico da un modello di diffusore all’altro e, meglio ancora, rispetto a tutti gli altri. Queste tuttavia attengono appunto l’aspetto più elementare ai fini della formazione di una vera qualità sonora.
A livello inferiore c’è solo il livello di pressione acustica, quando invece la vera qualità di riproduzione, quella in grado di portare infine alla sensazione di trovarsi di fronte a un evento di verosimiglianza tale da approssimarne uno reale, si articola su parametri di ben altra complessità e difficoltà interpretativa.
La loro riconoscibilità si pone su un livello meno istintivo e non solo, la stessa esistenza dei fenomeni che danno luogo a quel livello di qualità è messa in forse e persino negata da una fascia di appassionati che col tempo va sempre più affollandosi, proprio in conseguenza della narrazione eseguita dai media di settore. In particolare quelli allineati, ossia praticamente tutti, che monopolizzano l’informazione concernente, si badi bene, non la riproduzione sonora ma solo le apparecchiature ad essa adibite, in funzione esclusiva dei loro privatissimi interessi economici. Pretendendo malgrado ciò che il tutto si esaurisca nell’angusto recinto in cui hanno deciso di mantenere il loro raggio d’azione e quindi ogni discorso possibile.
Ne deriva per forza di cose un pensiero unico, oggi non a caso più pervasivo che mai, con risultati regressivi e distruttivi come null’altro, la cui evidenza drammatica viene manifestata da ogni singola discussione sui social di settore.
Ci troviamo d’altronde in tempi di nuova normalità, i cui fenomeni analizzeremo presto, si spera, in un articolo dedicato all’argomento.
Come fa, un componente, a imporsi come il più importante e caratterizzante in assoluto di tutto l’impianto, quando le sue stesse modalità funzionali e il livello prestazionale che può esprimere sono influenzate profondamente da quelli che lo precedono lungo il percorso del segnale?
Un primo capovolgimento
Nel momento in cui si affermò per la prima volta un pensiero alternativo, quindi una modalità operativa diversa da quanto imposto dai grandi marchi che allora imperversavano nel settore, e insieme ai media al loro servizio diedero luogo alla fase storica definita in seguito come medioevo, si pervenne innanzitutto a una scala di valori del tutto opposta.
Anche per quel tramite si entrò nell’epoca del cosiddetto rinascimento, in cui la riproduzione sonora e la sua diffusione conobbero la fase di massima espansione. Dovuta in massima parte alla possibilità di ottenere i risultati migliori, in termini di qualità sonora, con un impegno economico che in proporzione non è stato soltanto quello storicamente più basso, ma anche il più alla portata delle possibilità di spesa del grande pubblico.
Questo avvenne non lungo la strada dell’orpello e della paccottiglia tanto inutile quanto tirata a lucido fino allo spasimo, che nel periodo della restaurazione che immediatamente si fece in modo seguisse riprese il sopravvento, ma al contrario seguendo quella della massima semplificazione. Con la conseguente riduzione ai minimi termini, se proprio non era possibile eliminarlo, di tutto quanto non strettamente indispensabile all’ottenimento dell’obiettivo primario. Ossia la qualità sonora e la sua capacità di generare soddisfazione.
Proprio allora iniziò a diffondersi un punto di vista del tutto opposto, tendente ad attribuire l’importanza maggiore in assoluto alla sorgente. Questo in funzione di un aspetto indiscutibile: tutto quanto da essa tralasciato, penalizzato o travisato, per uno qualsiasi degli elementi che caratterizzano il segnale audio, non può essere più recuperato in seguito.
Al massimo è possibile tentare di correggere i problemi di ordine più elementare dovuti alle manchevolezze inevitabili della sorgente, per mezzo dell’introduzione di un errore di segno opposto. Esso tuttavia, per una serie di motivi non riuscirà mai a ripristinare le condizioni iniziali e sarà sempre troppo blando o troppo incisivo, ma soprattutto non in grado di intervenire con adeguata completezza sugli elementi di degrado.
In conseguenza si andò ad attribuire una scala d’importanza via via minore ai restanti componenti dell’impianto, a partire dall’amplificatore per terminare coi diffusori, che essendo posizionati alla fine della catena erano visti come elemento meno influente in assoluto.
In realtà anche questo modo di vedere le cose risulta manchevole sotto certi aspetti, dato che se è assolutamente vero quel che riguarda la sorgente, lo è altrettanto che qualsiasi elemento di degrado indotto dai componenti ad essa successivi non potrà far altro che penalizzare il risultato d’insieme.
Ferma restando l’esigenza di una sorgente funzionalmente impeccabile, pertanto, è altrettanto fondamentale disporre di componenti a valle che penalizzino il segnale da essa fuoriuscito, cosa purtroppo inevitabile, il meno che sia possibile.
Equilibrio dunque, nella misura maggiore, questo a mio avviso è l’aspetto più significativo in assoluto, qualunque sia il livello dell’impianto. Molte volte è accaduto infatti di verificare doti sonore soggettivamente più convincenti, e coinvolgenti, in impianti composti da apparecchiature non particolarmente costose ma accostate con cura le une alle altre, rispetto a catene magari assemblate per mezzo di elementi anche di gran classe ma in maniera disomogenea.
Peggio ancora poi se le condizioni di contorno sono lasciate al loro destino, quando è noto che, specialmente a partire da determinati livelli, il loro influsso sul risultato complessivo risulta addirittura maggiore rispetto alle stesse apparecchiature.
Cec come cinghia
Le origini di Cec sono legate in maniera indissolubile alle sorgenti, rispetto alle quali mantiene da sempre un approccio alquanto singolare, specie per un marchio giapponese. Riguarda l’utilizzo della trazione a cinghia, cui ha riconosciuto giustamente una caratteristica di preminenza, se non proprio di superiorità. Già negli anni 60 e 70 del secolo scorso per i suoi giradischi, che conobbero una buona diffusione anche se non dalle nostre parti, e nelle fasi successive anche per le sorgenti digitali, al cui riguardo il fabbricante attribuisce un significato forse maggiore rispetto allo stesso analogico.
Malgrado la sua produzione non riguardi esclusivamente prodotti di fascia alta, ma annoveri anche macchine relativamente abbordabili, gli appassionati in possesso di una vera esperienza vi riconoscono prerogative fuori dal comune, per le particolarità realizzative ma anche per i risultati ottenibili dal loro impiego, ancora una volta in termini di qualità sonora.
Anche il TL 2X di cui ci stiamo occupando dispone di trazione a cinghia, oltretutto realizzata secondo una modalità poco incline a compromessi e, di conseguenza, alle economie di scala cui la quasi totalità dei costruttori affida funzioni essenziali nel contenimento dei costi di produzione.
Economie che sono tanto più significative quanto maggiore è la diffusione del componente per mezzo del quale si ha intenzione di realizzarle, ma che allo stesso tempo equivalgono a massificazione, serializzazione e in definitiva rinuncia alla ricerca del miglior potenziale tecnico e prestazionale da ogni singolo elemento faccia parte del prodotto finito.
A questo riguardo penso sia sufficiente osservare la realizzazione della puleggia, in ottone massiccio, la sistemazione del motore, in posizione decentrata rispetto al sistema di lettura, quindi meno influente per le sue sollecitazioni magnetiche e meccaniche nei suoi confronti e ulteriormente isolato, rispetto alle inevitabili irregolarità di rotazione, dalla presenza della stessa cinghia. E’ tale da costituire un elemento di collegamento elastico, quindi in possesso di per sé di caratteristiche filtranti efficaci anche ai fini di una maggiore regolarità di rotazione.

Se questa ai suoi tempi si è dimostrata essenziale nelle sorgenti analogiche, ancora di più lo è nell’ambito del digitale, già in considerazione delle dimensioni ulteriormente ridotte degli elementi meccanici contenenti la singola informazione.
Ora, la scuola di pensiero attuale, frutto del degrado intervenuto nel corso degli ultimi decenni e dell’analfabetismo di ritorno che ne è conseguenza e pervade ormai da troppo tempo il settore dell’analogico, tende ad attribuire alla trazione a cinghia il ruolo di ultima ruota del carro. Quando invece, ai tempi d’oro dell’LP, le alternative approntate dall’industria di settore, con particolare riferimento alla trazione diretta, ogni appassionato in possesso del minimo di esperienza non voleva vederle nemmeno in cartolina,
Se le cose stavano in questo modo, un qualche motivo ci doveva pur essere, ma in tempi di pensiero unico come quelli attuali, e soprattutto dell’eradicazione della logica dalle menti dei più e della conseguente capacità di porsi qualche domanda in modo indipendente, quell’aspetto non solo è stato destituito di qualsiasi importanza, ma anche di ogni elemento di comprensibilità.
Oggi d’altronde l’analogico è praticato in larga parte da appassionati avvicinatisi alla riproduzione sonora per mezzo del digitale. Da questo hanno ricevuto il loro imprinting e per forza di cose ne vanno a ricercare le prerogative, e dunque il degrado, anche nell’impiego delle sorgenti analogiche. Tranne poi imbarcarsi nella crociata a favore della purezza di pedigree del supporto vinilico, nella quale si prendono come rilevato più volte, e come sempre, fischi per fiaschi. Soprattutto in funzione non della mancanza ma della vera e propria negazione nei confronti della cultura storica riguardo al settore della riproduzione sonora.
Il fatto che siano stato proprio il sistema di trazione oggi ritenuto dai più il meno preferibile, a determinare in massima parte il rifiuto nei confronti del digitale da parte degli appassionati formatisi nel corso dell’epoca d”oro dell’analogico, ha importanza scarsa o meglio ancora nulla.
Del resto, e non a caso, oggi ci sono a disposizione sistemi innumerevoli per trascurare, svilire e azzerare il significato delle esperienze accumulate in un passato che soprattutto colà dove si puote si desidera fare in modo sia inutilizzabile nella situazione attuale. Proprio perché la storia è maestra di vita e oggi è necessario invece fare in modo che il gregge possa essere diretto senza difficoltà alcuna come e dove piace a lorsignori.
Primi fra tutti, tra i sistemi summenzionati, quelli di ordine semantico, che hanno la capacità apprezzatissima di costruire nelle menti delle loro vittime-utilizzatori delle realtà di comodo. Veri e propri condizionamenti, frutto di una manipolazione ormai scevra da qualsiasi scrupolo, dall’utilizzo in automatico, quindi senza nemmeno bisogno di disturbarsi a pensare, cosa vieppiù pericolosa, per essere messi in azione.
Un esempio tipico si attaglia a perfezione ed è quello oggi tanto di moda stante nel definire boomer chiunque osi riferirsi a una qualsiasi esperienza del passato e peggio ad attribuirvi non una qualche importanza, ma solo l’opportunità di essere indagata per vedere se in essa vi sia qualcosa di ancora utilizzabile.
Quindi, trazione a cinghia? Boomer. E così, senza neppure bisogno di affannarsi a capire i perché e i percome, i pro e i contro di un determinato sistema, lo si derubrica non ad anticaglia, che come tale avrebbe comunque una sua valenza, ma proprio a cosa priva di senso e persino deprecabile.
Ovviamente non perché non ne abbia, ma perché si rinuncia a priori all’idea stessa di costruirsi la capacità di comprenderlo, sia pure in parte, per poi fare un vanto di quest’atto di auto-lobotomizzazione, comandamento numero uno della forma mentis odierna, innalzato al rango di vero e proprio status symbol.
Poi che per i giradischi si scelga la trazione diretta in funzione delle preferenze affermatesi in attività che con la riproduzione sonora amatoriale e di qualità elevata non hanno nulla a che fare, ha ancora una volta importanza pari a zero.
Stiamo parlando di quelle dei DJ, che di certe macchine hanno fatto il loro simbolo per la loro resistenza ai maltrattamenti peggiori, da cui la capacità di bombardare a oltranza e con la violenza peggiore, in termini di composizione spettrale dei segnali audio utilizzati allo scopo, la loro clientela, Concetto evidentemente troppo oltre per essere compreso, analizzato e infine assimilato.
Li si usava in discoteca o ne rave per intontire le menti e spappolare l’udito dei loro frequentatori, andando avanti così per decenni? Allora, per l’audiofilo di oggi, definizione che mai come in questo caso e per questo motivo assume tutta la connotazione deleteria che merita, non può essere che la cosa migliore in assoluto, senza se e senza ma.
Poi però, nel momento in cui si mettono di fronte il campione indiscusso dei trazione diretta e il modello storicamente più diffuso dei cinghia, entrambi collegati a un impianto decente, il primo risulta semplicemente inascoltabile, a detta di tutti gli astanti, nessuno escluso. E malgrado sia dotato di una testina ben superiore a quella dell’altro. Per pura combinazione, dopo quella prova il suo possessore si è sbarazzato all’istante di quel trazione diretta e da allora in poi ha acquistato soltanto dei giradischi a cinghia.
Ma che volete farci, anche lui è un boomer.
Sui puleggia poi meglio stendere un velo pietoso, e ancora più sui meccanismi mentali dei loro assertori, resisi incapaci non di comprendere ma solo di osservare le differenze tra un’astronave e l’auto degli Antenati, al solo scopo di poter tacciare di non capire nulla chiunque non indossi il loro stesso paraocchi.
Entrambe le fazioni hanno il loro ideale sonico nel ci ci-bum bum, retaggio evidente di discoteche e luna park, e tutto il loro orizzonte concettuale è concentrato nella dinamica, parametro più indicato a tal fine e soprattutto più apparente che reale, essendo particolarmente insidioso al riguardo.
Basta che arrivi la botta, insomma, e tutti sono felici. Poi del come e da cosa sia composta e più ancora quel che derivi in concreto da stimoli indotti in tal modo poco importa.
D’altronde, come si disse a suo tempo, quei giradischi “hanno un perno lungo così”. Ogni commento al riguardo mi sembra di troppo.
A certuni evidentemente piace essere dominati e meglio ancora violentati da sonorità cui richiedono in forma pressoché esclusiva il contenuto energetico di maggior rilevanza e a prescindere da tutto il resto, che per forza di cose non può che farne le spese. La passività che così facendo ci si attribuisce nei confronti della riproduzione sonora, non più controllata ma soprattutto subita, e dalla quale si apprezza l’essere presi a sberle o meglio ancora a portate in faccia, può essere parte del rapporto che s’intrattiene con essa, appunto in funzione delle inclinazioni personali.
Trasporto digitale
Il TL 2X è una macchina adibita esclusivamente la trasporto digitale, come tale sprovvista di sezione di conversione e di uscita. Per lo stesso principio inerente la massima specializzazione di ciascun componente dell’impianto, si tratta della scelta più indicata, qualora si persegua la qualità sonora maggiore in assoluto, ovviamente disponendo di un convertitore D/A separato.
Al di là della trasmissione a cinghia, la meccanica del Cec è del tipo a caricamento dall’alto. E’ dotata di uno sportello scorrevole, aprendo il quale si accede al vano destinato ad accogliere il disco, in cui campeggia un perno dalla realizzazione parecchio accurata, ma soprattutto di un pressore in materiale ceramico a tutta larghezza, che certamente ha il suo influsso sulla qualità di estrazione del segnale dal supporto in cui è immagazzinato.

Al centro del frontale un display fornisce il numero d’informazioni necessario, dunque privo degli eccessi di tante macchine giapponesi. Alla sua destra sono posizionati i pulsanti adibiti al comando della meccanica.
Sul retro sono disponibili le consuete uscite coassiale e ottica, oltre a una AES-EBU su connettore XLR a tre poli.
L’esemplare di TL 2X di cui ci stiamo occupando è stato acquistato da un appassionato nel momento in cui si è reso conto delle limitazioni inevitabili del computer portatile che ha utilizzato inizialmente quale sorgente, in abbinamento a un DAC dotato di uscite a componenti discreti.
Per quanto già con l’impiego del computer l’impianto suonasse tutt’altro che male, anzi fosse andato oltre le aspettative più rosee del suo possessore, in termini di qualità sonora, l’inserimento del lettore ha causato un miglioramento parecchio evidente, un po’ su tutta la linea.

Si è avuto in sostanza quello che si definisce un vero e proprio passaggio di livello qualitativo. A livello timbrico a trarne il vantaggio maggiore è stata la gamma bassa, neppure confrontabile alla situazione precedente per potenza, estensione e articolazione. Più in generale l’intera riproduzione ha dimostrato di possedere una capacità di analisi ben più spiccata e un’immagine molto meglio distribuita sui tre assi. Sembrava davvero difficile poter avere di più e infatti il suo possessore è andato avanti piuttosto a lungo nell’impiego della sorgente.
Poi si è verificato un malfunzionamento del sistema atto a dare il consenso all’avvio della rotazione del disco, che di solito nelle macchine provviste di meccanica con caricamento dall’alto può avvenire solo a sportello chiuso.
La colpa era del sensore adibito a questa funzione, che in sostanza impediva la chiusura perfetta dello sportello. Dall’esterno appariva ben chiuso ma in realtà mancava un nonnulla affinché ciò avvenisse davvero. Era una cosa pressoché impercettibile ma sufficiente affinché la macchina si rifiutasse di partire.
O meglio, li per li il disco iniziava a girare, per poi fermarsi subito dopo, mostrando sul display un’inquietante segnalazione composta esclusivamente da zeri.
Con un comportamento del genere si sarebbe sospettata un’avaria al sistema di lettura, con particolare riguardo al pick up ottico. Invece, una volta fatto in modo che lo sportello chiudesse perfettamente, e soprattutto restasse nella sua posizione senza alcun movimento, sia pure impercettibile, il lettore ha ricominciato a funzionare come dovuto, dimostrando la sua capacità di leggere anche i sassi.
Recuperata appieno la funzionalità meccanica, è stata pressoché inevitabile una verifica delle doti sonore del lettore. Inopinatamente ha messo in evidenza carenze di rilievo sugli stessi identici parametri sui quali a suo tempo aveva dimostrato la propria superiorità, nei confronti del computer portatile che ha sostituito. Questo in un ascolto a paragone con una macchina di buona qualità, e oltretutto ottimizzata, ma che almeno in teoria non poteva sperare in possibilità di raffronto alcuna con un lettore tanto raffinato.
Si, il Cec riusciva lo stesso a porre in evidenza il suo rango, con doti considerevoli di fluidità, nitidezza e analisi, risultando carente però per la differenziazione tra i piani sonori, le informazioni ambientali e più ancora per la poca energia che riusciva a infondere nella sua riproduzione, improntata a una certa qual piattezza, fuori luogo in una macchina di tali pretese.
Si capiva insomma che c’era qualcosa che non andava. La cosa strana è che il problema si manifestava in modo particolare sui parametri che invece a suo tempo hanno reso tangibile la sua superiorità nei confronti del personal computer utilizzato in precedenza.
Oltretutto l’aspetto dell’esemplare in questione di TL 2 X, davvero impeccabile, non destava assolutamente il sospetto che si trattasse di una macchina più o meno sfruttata. Dava l’idea invece di essere piuttosto fresco, cosa che aumentava ulteriormente perplessità e incertezze.
I sintomi tuttavia erano evidenti, se non proprio chiari, dunque ho deciso di procedere alla sostituzione di tutto quanto potesse essersi avviato a diventare esausto, anche se sulle prime poteva sembrare una mossa alquanto azzardata.
D’altronde il problema c’era e oltretutto ben percettibile, sia pure solo all’ascolto. Proprio la mancanza di sostanza nella riproduzione faceva supporre che il problema avesse origine a livello energetico.
L’intervento è stato condotto nelle modalità usuali, quindi coi criteri di un sovradimensionamento marcato nei confronti dei valori elettrici prescelti in origine, ovviamente nei limiti degli spazi disponibili all’interno della macchina, che a tale riguardo costituiscono in genere l’impedimento maggiore.
In casi simili, almeno per quanto mi riguarda, la componentistica la si sceglie della qualità migliore possibile. Non ha senso infatti stare a lesinare sul centesimo per andare sui prodotti dai nomi impronunciabili oggi tanto diffusi, indicati soprattutto per stilare preventivi il più possibile allettanti.
Come ho avuto modo di rilevare a suo tempo, certa roba non la prendo nemmeno in considerazione. Quindi se si desidera in primo luogo contenere le spese non ci sono difficoltà: basta rivolgersi a chi non si fa problemi riguardo alle origini e soprattutto alle garanzie di affidabilità, in particolare a lungo termine, e di qualità sonora offerte dai ricambi che utilizza.
Personalmente la vedo in modo diverso, proprio sulla base dei risultati ottenuti con l’impiego di determinata componentistica. Senza per questo andare dietro al prodotto ultimo grido, che sovente su quest’ultimo attributo basa il suo sovrapprezzo, a volte scandaloso, ma badando soprattutto al sodo. Quindi alla solidità e in particolare allo scegliere il prodotto di marchi della maggiore serietà che in questi anni ha dimostrato sul campo il suo valore concreto.
Poi qualcuno obietterà che tanto ormai viene tutto dalla Cina. Probabilmente è vero, ma anche laggiù le cose funzionano alla stessa maniera di qualsiasi altro posto: quel che paghi troppo poco non può che valere in proporzione e, se si desidera un prodotto valido, occorre pagarlo il dovuto.
In quel caso a trarre vantaggio dal differenziale esistente tra i costi di produzione e il prezzo sui mercati dell’occidente non è l’utilizzatore finale, ma questo è e nulla si può fare al riguardo, quantomeno limitandosi ad acquistare al dettaglio.
Altri interventi riguardano il miglioramento per le doti di pulizia della corrente atta ad alimentare le diverse sezioni circuitali della macchina, dato che in caso contrario non è possibile accedere a determinati risultati, e poi gli aspetti di ordine meccanico generalmente trascurati da qualsiasi fabbricante, a prescindere dal suo rango e da quello dei prodotti che realizza: altro aspetto d’importanza fondamentale ai fini del risultato complessivo.
Un ultimo tocco, tuttaltro che marginale, ha riguardato la realizzazione di un platorello atto a smorzare le vibrazioni create inevitabilmente da un pezzo di plastica di pochi grammi quando lo si costringe a girare a velocità di centinaia di giri al minuto.
Ma come, si penserà, c’è già un pressore dalle proporzioni generose e realizzato con materiali esotici che danno ogni assicurazione in merito alla specifica funzione…
Verissimo, ma si provi a interporre tra questo e il disco un platorello atto a migliorare l’accoppiamento tra i due e a smorzare le risonanze reciproche, per poi valutare i risultati.
Ovviamente non dev’essere realizzato a partire dai materiali meglio adatti a riempire la bocca di chi ne vanti le doti, quindi adatti a giustificare un prezzo al pubblico tale da renderne remunerativa la produzione, sola prerogativa da attribuire ad esso un senso, secondo le regole in vigore nell’ordinamento della società in cui viviamo, ma con quelli più indicati allo scopo.
Poco importa se sono poveri e persino di recupero, nonché dettati dall’inventiva personale di qualcuno che potrebbe essere considerato come un visionario, in particolare secondo le procedute dettate dall’ortodossia della riproduzione sonora. Casualmente più stringente e discriminatoria di quella religiosa, peraltro resa tale e poi imposta da coloro i quali si sono autoeletti a campioni del pensiero razionale.
Tanto quei platorelli non sono destinati alla produzione in serie ma solo a fare da omaggio per quanti decidano di affidarmi l’effettuazione di un intervento di ottimizzazione sulle macchine in loro possesso.
La loro realizzazione richiede tempo e impegno, e prima ancora la capacità di focalizzare l’esistenza di un problema e d’immaginare una soluzione ad esso. Oltretutto la loro efficacia sembra ragguardevole, tale da determinare miglioramenti di rilievo per la qualità del segnale presente alle uscite, ma a me piace così.
Il loro vero limite è che si adattano solo alle macchine con meccanica a pressore, che sono un’esigua minoranza, quindi non a quelle dotate di sistema di bloccaggio del disco a ponte, a suo tempo ideato per la lettura del supporto digitale e utilizzato tuttora. Così da porre una volta di più in evidenza le limitazioni e i compromessi che si è deciso di accettare in funzione della compressione dei costi di produzione, per un sistema che a suo tempo si volle imporre come perfetto. Quando invece era quanto di più lontano dalla perfezione sia dato immaginare, come peraltro la realtà, ha palesato nel corso del periodo successivo. Lo ha fatto con la testardaggine che gli è propria, superiore a ogni altra cosa, difetto odioso a causa del quale oggi più che mai si tende a rifiutarla con ogni mezzo,
Migliorando le condizioni in cui il disco si trova a girare, oltretutto alle velocità che sappiamo, ne derivano sensazioni all’ascolto molto simili a quelle che si avrebbero abbattendo l’ammontare del jitter.
Con quel termine si identificano le variazioni del posizionamento dei campioni digitale sull’asse dei tempi, pressoché impercettibili ma particolarmente insidiose. ritenuto da varie fonti l’elemento di maggiore degrado esistente nella catena di riproduzione digitale.
Come noto si propongono modifiche ai componenti interni delle macchine digitali destinate allo specifico problema. Hanno però il difetto, che dal punto di vista industriale è invece un pregio, di essere piuttosto costosi già da realizzare. Inevitabile pertanto che la loro messa in opera porti ad affrontare costi ancora maggiori, il che rende un intervento del genere conveniente soprattutto dal punto di vista economico, quantomeno per chi lo realizza.
Proprio questo è il fondamento primario per la percorribilità di un qualsiasi ritrovato, intervento o scelta politica che dir si voglia ed è anche il motivo per cui, una volta portato all’esasperazione tale concetto, e averlo reso imprescindibile, a questo mondo non funziona più nulla.
Ciò avviene perché la logica oggi imperante e alla quale non si ha intenzione di trovare alternativa non è più quella dell’efficacia e della convenienza nel vero senso del termine, ossia del maggior risultato col minimo sforzo, ma del tornaconto economico. Tutto quanto non porta con sé il rientro più consistente non è più possibile nell’ordinamento oggi vigente, non importa quali e quanti benefici porti con sé e quanti altri ne possa indurre in forma indiretta.
Ecco dimostrato ancora una volta il principio che a me piace particolarmente menzionare, ogniqualvolta ne ho l’opportunità, ossia che il capitalismo non ha altre possibilità dal divorare tutto quanto incontra lungo la sua strada. Proprio perché le sue leggi antepongono, e di gran lunga, il margine economico a qualsiasi altra considerazione di ogni ordine e merito. Questo lo porterà fatalmente a fagocitare anche sé stesso, un giorno. Purtroppo non lo vedremo mai, dato che per allora avrà ingurgitato tutti noi e poi espulso i resti già da tempo.
Dunque, se per logica non ha senso lasciare che un fenomeno si manifesti per poi correggerne i sintomi, dal punto di vista economico, e quindi del successo e della visibilità personali, ne ha più di ogni altra soluzione possibile. Anche se in via di principio la scelta migliore sarebbe quella di evitare proprio che certi fenomeni possano aver luogo, o comunque limitarne sul nascere i sintomi e più ancora le cause quanto più possibile.
Questo però ha il pessimo difetto di non rendere possibili i guadagni conseguenti alla loro stessa esistenza, tale da permettere in seguito d’impegnarsi a contenerli. Del resto il pubblico pagante non ha idea di come stiano le cose, quindi è pronto e felicissimo di tributare gloria e onori a chiunque riesca a domare certi fenomeni, cosa possibile ovviamente solo dopo che si sono manifestati in tutta la loro riconoscibilità.
Dato che siamo in tempo di celebrazioni storiche, cosa conviene di più, costruire una diga del Vajont in un posto sicuro e in condizioni tali che regga a tempo indefinito oppure farne una destinata fatalmente a crollare, incassando gli stessi soldi se non di più, per poi farne tre volte tanti con le opere di soccorso, ricostruzione e futura assicurazione contro quelle che con somma ipocrisia e sprezzo della realtà, e soprattutto dell’intelletto altrui, si usa definire “calamità naturali”?
Anche quelle fanno PIL, Prodotto Interno Lordo, e sono il motivo stesso per cui cui ciascuno di noi dovrebbe avversare in ogni modo e con tutto sé stesso l’ideologia capitalista, della quale il PIL è il primo caposaldo.
Proprio perché per denaro, e per il potere che ne deriva, è pronta a ogni devastazione e anche a condannarci al sacrificio estremo, insieme a tutti i nostri simili. Invece ci facciamo assertori di essa, andando inevitabilmente incontro alle sue conseguenze, che sono atroci, con l’illusione che tanto toccheranno sempre e solo agli altri, restando almeno a un palmo di distanza dal nostro riverito fondoschiena.
Il jitter tra l’altro è quanto di più subdolo, oltre a essere il motivo primario per cui i cosiddetti formati a risoluzione elevata non funzionano come ci si aspetterebbe, guardando i numeri che li caratterizzano. Dimostrazione ennesima della loro ingannevolezza.
Il motivo è semplice: riducendo esponenzialmente la durata di ogni singolo campione, come avviene appunto nel loro utilizzo, l’ammontare del jitter necessario affinché i suoi effetti non arrivino a influenzare negativamente la riproduzione del segnale diminuiscono di pari passo.
Naturalmente nessuno lo spiega, a livello delle fonti allineate, ammesso e non concesso che il loro personale ne sia in grado. E anche se lo fosse, meglio tenersi il cecio in bocca, come si dice nei dintorni della Capitale, dimodoché poi possa arrivare il Grande Ingegnere, Scienziato o Professore che dir si voglia e, col suo mantello di Superman, attenuare, ma certo non risolvere, come per incanto i problemi determinati da quel fenomeno.
Ovviamente a caro prezzo, così che i componenti del premiato Coro Degli Entusiasti A Prescindere avranno una nuova occasione per sbrodolare riguardo alle meraviglie e ai prodigi del progresso, della tecnologia e dell’ingegno umano.
Perché mai dunque eliminare all’origine un qualsiasi fenomeno se è possibile sfruttare i suoi effetti in tanti modi diversi e con il beneficio e il mantenimento dell’occupazione di tanta gente?
Il jitter tra l’altro è particolarmente subdolo e le possibilità di sua origine sono innumerevoli. Cosa decisamente antipatica ma che fa anche in modo di poterne contenere gli effetti nei modi più imprevedibili, come appunto per mezzo dell’impiego di un pezzo di vile cartone, trattato in maniera opportuna.
Solo che, come dicevamo prima, il cartone non riempie la bocca, anzi le attribuisce una piega di disgusto, per quanto lieve e quasi impercettibile, essendo roba da barboni.
Vogliamo mettere invece il ricorso a cristalli dalla precisione al miliardesimo di picosecondo, insieme a tutta la componentistica che richiedono gli sia messa attorno, e a fibre di carbonio di ultimissima generazione quanto fa più tecnologico, avanzato e progredito, tra gli osanna del gregge belante al seguito dei coristi di cui sopra?
Più ci s’inoltra lungo la strada che porta alla perfezione e più quel che si è ottenuto diventa vulnerabile. Gli ostacoli diventano sempre più impalpabili, insidiosi e complessi persino da valutare, figuriamoci da risolvere. Per conseguenza le soluzioni indicate allo scopo diventano sempre più sottili e come tali prive di comprensibilità, oltreché di effetti, in condizioni meno estreme.
Sono gli stessi problemi ancora da risolvere, maggiori di diversi ordini di grandezza, che ne impediscono il palesarsi degli effetti. Questo è il motivo per cui i possessori degl’impianti che hanno condannato a restare nella mediocrità rifiutano di accettare determinate possibilità di miglioramento: è il loro stesso approccio alla materia a dettarne il rifiuto e del resto anche se provassero determinate soluzioni, cosa da cui si guardano bene, essendo la tranquillità mentale baluardo da difendere a oltranza, per gran parte non darebbero esito. Proprio perché il livello di quello su cui le si va ad applicare è troppo grossolano e pertanto inadeguato.
Valutazione degli effetti
Una volta completato l’intervento, e ricollegato il TL 2X all’impianto col quale aveva manifestato i suoi limiti, si è potuto verificare come la situazione fosse cambiata, in maniera persino drastica.
Il recupero di energia e della capacità di portare alla superficie le informazioni di origine ambientale è stato il primo elemento a catturare l’attenzione. Proseguendo non è stato difficile constatare come dettaglio, precisione e nitidezza abbiano conseguito un miglioramento altrettanto significativo, quantomeno, e il dimensionamento dell’immagine stereofonica, in particolare per la sua tridimensionalità, sia ben più palpabile rispetto alla condizione precedente.
L’aspetto se vogliamo contraddittorio, ma solo in apparenza, è che malgrado il miglioramento in termini di energia, dettaglio e precisione, nel suo insieme la riproduzione abbia acquisito una maggior rilassatezza, come si conviene a una sorgente di gran classe.
In realtà non c’è nulla di strano in questo: sono proprio le maggiori quantità di energia a disposizione a permettere di affrontare senza sforzo qualsiasi passaggio, laddove invece è proprio l’arrivare alle condizioni tipiche del fiato corto a indurre sonorità nervose, indurite e malgrado ciò appiattite.
Tutto questo, va detto, senza utilizzare il platorello summenzionato, inserendo il quale il tutto si è spinto ancora oltre e in misura significativa.
Appare evidente allora come anche un’apparecchiatura in condizioni apparentemente perfette, e sempre in apparenza sottoposta a un utilizzo non particolarmente esasperato, anzi, possa nascondere al suo interno limitazioni tali da pregiudicarne non solo le doti ma da rendere sostanzialmente impossibile la verifica del suo effettivo potenziale.
In condizioni del genere si rende necessario un intervento radicale, con la sostituzione di tutto il sostituibile, che se sulla carta potrebbe apparire persino eccessivo, atteggiamento tale da indurre alla rassegnazione di tenersi una sorgente in tale misura azzoppata, all’atto pratico è in grado di dare risultati di prim’ordine. Va ripetuto ancora una volta, nei confronti di un’apparecchiatura apparentemente in condizioni perfette, che difficilmente s’immaginerebbe di dover sottoporre a un lavoro così approfondito.
Elemento, questo, che porta alla nostra attenzione, in maniera direi prepotente, le insidie che si celano dietro l’acquisto di un oggetto usato, anche se le sue condizioni sembrano inappuntabili.
Per fortuna sono risolvibili senza troppe difficoltà. Direi anzi che quelle maggiori siano proprio legate al decidere la necessità di un intervento siffatto, a priori remote ma nella realtà ossia a cose fatte dimostratosi improrogabile, quantomeno se si desidera apprezzare fino in fondo quel che può dare una macchina di classe simile.
Un altro elemento da valutare con estrema attenzione, almeno a mio avviso, sta nelle impressioni di grande miglioramento, destate in una prima fase, nei confronti di un riferimento evidentemente inadeguato. Anche se poi, in un contesto dalle esigenze più stringenti ha dimostrato limitazioni marchiane proprio sugli stessi parametri che in prima istanza avevano determinato tanta soddisfazione.
Inevitabile osservare come i miglioramenti ottenuti a livello di sorgente abbiano caratterizzato fortemente il rendimento di tutto l’impianto, a sottolineare ancora una volta la sua priorità nella scala d’importanza riguardante i componenti dell’impianto.
Anche quando si tratta, come in questo caso, di un mero trasporto digitale, e quindi alla sua uscita ci sono “solo degli 1 e degli 0”, come dicono certuni, con frequenza particolare nei pollai per audiofili, mancando evidentemente la contezza di quello di cui si sta parlando.
All’intervento sul TL 2X è stato abbinato l’inserimento, nel DAC cui era destinato a collegarsi, di una sezione di uscita a valvole in luogo della precedente a stato solido e componenti discreti.
Inutile dire che i risultati sono stati di grande rilievo, rispetto ai quali non c’è nemmeno bisogno di spendere tante parole. Basta il messaggio inviatomi dal loro possessore qualche giorno dopo l’installazione.

Inutile dire che certe cose fanno grande piacere.
Anche se sono solo degli 1 e degli 0.
Ciao Claudio e buone feste visto che ci siamo dentro 😉
Molto interessante questo tipo di lettori cd con carica dall’alto, sono migliori rispetto al tradizionale carrellino mi pare di capire, c’è qualche modello che consigli di cercare nell’usato? Mi pare di ricordare qualche vecchio Philips e Sony di alta fascia.
Continua cosi, ti leggo sempre con piacere.
Giuseppe
Ciao Giuseppe, grazie dell’apprezzamento e degli auguri, che ricambio.
In effetti le macchine che utilizzano il tipo di meccanica in questione non sono moltissime.
Oltre a quelle da te menzionate ci sono appunto le Cec come quella esaminata qui, anche se non molto diffuse.
Più che concentrarsi sulla ricerca del singolo modello, ritengo essenziale portare all’efficienza migliore quel che si ha o la macchina su cui si va a dirigere la scelta.
Quanto accaduto con il TL 2X mi sembra ben dimostrativo sia riguardo alle condizioni in cui ci si può trovare anche andando su un usato apparentemente fresco e quel che si può ottenere con un intervento eseguito a dovere.
A questo riguardo vedremo tra qualche tempo un nuovo esempio che ritengo particolarmente illuminante, proprio riguardo ai risultati che si possono ottenere, di rilievo considerevole, sia pure a partire da macchine di buona qualità ma non considerate certo il non plus ultra.