Impianti piccoli, problemi piccoli. Impianti grandi…

Nel clima di insoddisfazione generale che predomina tra i cultori della riproduzione sonora amatoriale, frequentemente i più scontenti sono quelli che dovrebbero esserlo di meno, ossia gli appassionati che possiedono gli impianti più costosi.

Paradosso niente male, nel gran numero di quelli che si verificano nell’ambito di nostro interesse. Questo dovrebbe suggerire che vi sia qualcosa di sostanzialmente errato, fin dai fondamenti.

Di fronte alla difficoltà, o meglio all’impossibilità di venirne a capo, prima ci si è rassegnati e poi assuefatti ad essi. Così da non farci più nemmeno caso. Ciò non toglie però che continuino a esistere e, soprattutto, a influire negativamente sui diversi aspetti che riguardano la riproduzione sonora.

Qualcuno potrebbe chiedersi dove abbiano origine: rispondere non è facile. Dal mio punto di vista, una delle concause più rilevanti è data dalle limitazioni di ordine tecnico e realizzativo tipiche del mondo reale, che in quanto tale differisce profondamente dalla teoria con cui troppo spesso si presume di risolvere i problemi di ordine pratico. Così facendo è subentrato un numero di elementi estranei, o meglio di disturbo, progressivamente crescente, che sono andati a stratificarsi sempre più, fino a costituire una sovrastruttura oltremodo radicata e virtualmente impenetrabile. Sorta di giungla amazzonica della mistificazione, del pregiudizio, delle false credenze e delle opinioni innalzate a dati di fatto, che in combinazione alle limitazioni di cui sopra impedisce di arrivare al nocciolo del problema e non dico alla sua soluzione, ma almeno ad approssimarsi ragionevolmente ad essa.

Mettersi a elencare tutte le componenti di quei paradossi, e magari anche le conseguenze, sarebbe fin troppo lungo, complesso, e pure antipatico. Quindi meglio lasciar perdere. Basta guardarsi intorno per individuarne qualcuno, in genere legato al coacervo di interessi legati a vario titolo alla riproduzione sonora, i quali hanno finito con l’acquisire maggiore priorità rispetto allo scopo primario che essa si prefigge.

Inquadrato per sommi capi il contesto di fondo, torniamo alla questione iniziale, rilevando che ogni impianto ha i suoi problemi, per solito di entità proporzionale alle sue dimensioni. Impianti piccoli causano problemi piccoli, mentre gli impianti grandi procurano quasi sempre problemi grandi e per questo ben più difficili da risolvere.

Soprattutto quando nell’allestimento e nell’impiego delle catene più importanti si continuano a utilizzare gli stessi criteri seguiti per quelle di rango minore. O meglio, nella teoria di sostituzioni sulle quali nel corso degli anni si è imperniato il processo evolutivo dell’impianto, ci si continua a portare dietro la stessa trascuratezza degli inizi.

Accade così che il possessore della catena all’ultimo grido, fatta di componenti dai costi molto elevati e dal marchio ancor più rinomato, si trova a rilevare che il suo secondo impianto basato su un integratino di razza ma senza troppe pretese, un paio di diffusori da piedistallo e una sorgente di classe intermedia suona in maniera più piacevole. Non è il primo e neppure sarà l’ultimo a sostenere una cosa del genere, benché sulla carta o anche prendendo in esame uno a uno i diversi elementi di ordine prestazionale un confronto siffatto non dovrebbe proprio essere possibile. Tuttavia, quando il metro di valutazione va a considerare i risultati ottenuti sul campo, quello che dovrebbe essere perdente su tutta la linea finisce con l’essere preferito. Senza considerare oltretutto la differenza di costo, perché se si includesse anch’essa nei criteri di giudizio non ci sarebbe più discussione.

La perfezione, si sa, è una cosa molto delicata, che lo diviene tanto di più quanto ci si inoltra nel percorso volto al suo raggiungimento. Per questo in un impianto particolarmente raffinato può bastare un particolare che in altri contesti sarebbe ritenuto una quisquilia per causare penalizzazioni evidenti. In uno mediocre, invece, è proprio la relativa pochezza delle sue prestazioni a impedire che il potenziale insito nelle possibili variazioni si concretizzi, sia pure nel momento in cui se ne vanno a effettuare di una certa importanza.

Spesso è per questo che tanti appassionati dichiarano di non percepire l’apporto di cose che invece hanno effetti rimarchevoli in contesti di maggiore selettività. Non di rado sono convinti di poter innalzare il proprio caso specifico a regola generale. Del resto se nello stesso errore grossolano abbiamo visto cadere numerose volte redattori di riviste specializzate, che almeno in teoria dovrebbero aver messo insieme una certa esperienza e soprattutto imparato a comprenderne l’insegnamento, non c’è da meravigliarsi che cose simili siano alquanto comuni tra i semplici utilizzatori.

In ogni caso sono proprio le prese di posizione relative alla non udibilità di determinati interventi, a dimostrare che chi le esprime ha a disposizione impianti dal margine di miglioramento particolarmente ampio.

In sostanza, dunque, il problema resta sempre lo stesso, senza che il passare del tempo influisca su di esso in modo alcuno. Anzi sembra che al riguardo sia in atto una regressione sostanziale.

 

Microbi e binocoli

Immaginiamo allora di trovarci in una fase antecedente alla scoperta dei microbi e di non conoscere lo strumento per osservarli, che è il microscopio. Se qualcuno si presentasse sostenendo la loro esistenza, come lo si accoglierebbe? A pesci in faccia, proclamando l’inesistenza di simili entità e l’inconsistenza di tale discorso sotto il profilo “scientifico”. Per poi condannare chiunque si azzardi a parlare di cose simili alla pena della gogna, da scontarsi sulla pubblica piazza.

Questo perché con i binocoli a nostra disposizione, ossia lo strumento più raffinato che la “scienza” è arrivata a metterci a disposizione nella fase storica in cui viviamo, non si riesce a vederli.

Ogni riferimento a quanto avviene quotidianamente su tanti forum di settore e gruppi social dedicati alla riproduzione sonora è puramente casuale.

Altrettanto inutile è il rilevare, quale sia il concetto di scienza di chi assume determinati atteggiamenti, e quanto abbiano concretamente a che fare con essa. Rivelandosi invece saldamente legati a una forma di scientismo non solo distorta, ma portata alle estreme conseguenze.

In origine lo scientismo è stato un movimento intellettuale, sorto all’interno del positivismo francese nella seconda metà del secolo XIX. Tendeva ad attribuire alle scienze fisiche e sperimentali, e ai loro metodi, la capacità di soddisfare tutti i problemi e i bisogni dell’uomo.

Le posizioni più diffuse al riguardo nell’ambito della riproduzione sonora si avvalgono, in maniera non si sa quanto consapevole, dei concetti alla base dello scientismo. Innanzitutto per negare che la “scienza” debba ancora spiegare e definire compiutamente un qualunque fenomeno, così da poter proclamare l’inesistenza di ogni evento non riconducibile nell’ambito delle cosiddette “misure”. Derubricandolo di conseguenza a fantasia o allucinazione, per poi abusare di questo concetto facendone un corpo contundente. Sorta di manganello con cui si vorrebbe imporre a forza l’impiego pretestuoso di fondamenti pseudo-scientifici, a fine ideologico o utilitaristico. Primo fra tutti la delegittimazione di chiunque non si assoggetti a una simile grossolanità di concetti, per il quale è già pronta la categoria dei visionari, mediante la logica tipica del negazionismo.

Proprio rivestendosi di questo abito mentale, o meglio facendosene scudo, è possibile trascurare minuziosamente che se i problemi legati al funzionamento di un impianto sono maggiori di un ordine di grandezza o più rispetto all’entità degli effetti prodotti da un qualsiasi intervento di modifica, sarà la loro stessa presenza ad azzerarne gli effetti.

Mano a mano che quei problemi vengono risolti, o soltanto ridotti nella loro entità, l’impianto diviene sempre più sensibile alle variazioni che vi si apportano, iniziando a dare conto anche di interventi che in altre condizioni sembrerebbero inutili o comunque impercettibili. In sostanza diventa più reattivo nei confronti della messa a punto, che è uno tra i parametri fondamentali di valutazione al riguardo.

Lo stesso avviene nel motorismo agonistico. All’esordio di un veicolo da competizione, nelle sue prime prove in pista è proprio questo aspetto che determina il tenore del giudizio nei suoi confronti, da parte di tecnici e piloti, al di là dei tempi sul giro più o meno validi che riesce a spiccare.

A un mezzo che reagisce alle variazioni di assetto e messa a punto si accorda fiducia. Se invece non le sente lo si definisce “nato male”. Si verifica se ci sia qualche problema di fondo, e in caso di esito negativo lo si abbandona al suo destino.

 

Qualche fatterello istruttivo

Una delle esperienze più significative riguardo all’argomento centrale di questo articolo l’ho avuta qualche anno fa, durante la visita a un costruttore di diffusori piuttosto noto, di cui preferisco non fare il nome. Come di consueto mi hanno fatto ascoltare per primo il loro modello di vertice, un sistema decisamente impegnativo sotto tutti i punti di vista, comprese le dimensioni del mobile. Dopo una serie di brani piuttosto lunga siamo passati a un modello intermedio, con cui il confronto sarebbe stato del tutto improponibile in ogni parametro, almeno sulla carta. Invece non ci mise molto a imporre la sua maggior piacevolezza, malgrado fosse caratterizzato da soluzioni più limitative e improntate al compromesso.

Ma anche alla semplicità, che non di rado si rivela un elemento pagante più di mille raffinatezze e astruserie. Certo, non aveva l’estensione alle prime ottave dello spettro del modello maggiore e le dimensioni del palco virtuale erano se vogliamo più in scala. Eppure nel complesso la sua sonorità si è rivelata decisamente più godibile. A testimoniare che le prestazioni nei singoli parametri hanno un’importanza minore, se non trascurabile, rispetto al comportamento d’insieme. O meglio che la quantità non equivale a qualità e men che mai può esserne sinonimo, come oggi invece si pretende.

Menziono solo questa, ma di esperienze simili ne ho fatte diverse.

Restando nel settore dei diffusori, le motivazioni possono essere molteplici. A iniziare dal fatto che più un sistema di altoparlanti cresce nelle sue dimensioni, più va ad allontanarsi dalla sua condizione teoricamente ideale di sorgente puntiforme. Per i modelli di alta gamma si tende inoltre ad aumentare il numero delle vie, da cui la necessità  di reti di filtraggio via via più complesse, che non di rado penalizzano anche l’altoparlante più raffinato. Anzi, più è tale e più è in grado di porre nell’evidenza migliore i problemi causati da quanto lo precede.

Aumentando il numero delle vie, e quindi degli altoparlanti, la tenuta in potenza sale e se ne possono utilizzare di caratteristiche più indicate per la gamma di pertinenza. Esempio tipico il woofer di un due vie, soggetto per forza di cose a un compromesso: se è troppo grande, in genere crea problemi alle frequenze centrali, costringendo ad abbassare il punto d’incrocio. A quel punto però si mette a repentaglio l’affidabilità del tweeter e si è costretti a utilizzarne uno meglio in grado di scendere in frequenza, che non è detto sia altrettanto efficace all’estremo superiore. Se invece si riducono le proporzioni del woofer per migliorare la gamma media, se ne limita l’estensione verso il basso.

Con un maggior numero di vie questo genere di problemi va a ridursi, se non a scomparire del tutto. Il che però non si ottiene gratuitamente. La gamma di frequenze in cui opera il diffusore viene spezzettata tra più altoparlanti, le cui caratteristiche meccaniche e acustiche sono per forza di cose diversificate. Difficilmente questo può migliorare la coerenza dell’emissione d’insieme, già dal lato teorico. All’atto pratico può succedere addirittura che le conseguenze dell’approccio diciamo così frazionistico producano la difficoltà, da parte dell’altoparlante specializzato nella gamma di frequenze che gli viene affidata, a riprodurre nel modo dovuto determinate informazioni, mentre un altoparlante ritenuto più penalizzato al riguardo potrebbe comportarsi in maniera più efficace.

Eccoci di fronte a un altro paradosso, che poi è il caso tipico dei trasduttori a larga banda, i quali riescono a volte a recuperare informazioni della gamma media e alta che con i sistemi sulla carta più raffinati, basati su mid + tweeter, restano in ombra. Com’è possibile? Lo si deve innanzitutto al fatto che le reti di filtraggio non si limitano a fare soltanto il compito che viene loro attribuito, ma hanno ripercussioni non facilmente preventivabili, come tutti i dispositivi del mondo reale. Altrettanto importanti sono poi le interazioni, di ordine elettrico, meccanico e acustico che si creano tra due altoparlanti contigui.

Le risposte in frequenza pubblicate dalle riviste magari saranno bellissime, però cose del genere non riescono non dico a spiegarle, ma neppure a farle vedere. Stendendo un velo pietoso sul modo con cui sono ricavate e soprattutto come questo è andato a modificarsi nel corso del tempo, sempre al fine di soddisfare l’occhio quanto più possibile. Oltre naturalmente a diminuire i costi necessari per ricavare un carnet di misure, riducendone per forza di cose l’addentellato con il mondo reale, già inizialmente pari praticamente a zero.

Non a caso, allora, sotto il profilo della coerenza di emissione i monovia sono di gran lunga i diffusori più efficaci, anche se alle misure sono quelli che figurano peggio. La membrana che emette è solo una e quindi non si ha la dispersione di caratteristiche tra altoparlanti diversi. Inoltre l’altoparlante è connesso in diretta alle uscite dell’amplificatore, senza l’interposizione dei componenti utilizzati nella rete di filtraggio, che non è più necessaria. Questi ultimi, per quanto possano essere di qualità elevata, e nei casi estremi persino più costosi dell’altoparlante che vi è collegato, rappresentano comunque un collo di bottiglia significativo. Più se ne usano e più la strettoia si restringe: prima conseguenza la perdita di naturalezza per l’emissione del sistema nel suo insieme e la maggior difficoltà nel riprodurre informazioni.

Naturalmente anche i monovia obbligano al pagamento di un pedaggio, stante nell’estensione limitata su entrambi gli estremi banda. Che poi in genere è il primo capo d’accusa sollevato dai loro detrattori. Spesso allora, soprattutto al fine di estendere per quanto possibile la risposta alle frequenze inferiori, si può essere tentati di ricorrere a delle forzature, che non di rado finiscono con l’essere una medicina peggiore del male.

In linea di massima infatti è meglio sopportare le limitazioni intrinseche di un sistema, rispetto alle conseguenze di soluzioni che magari a un’indagine strumentale potrebbero apparire paganti, ma puntualmente mettono in luce il loro rovescio della medaglia, che c’è sempre. E soprattutto ha la curiosa attitudine a ricadere quasi sempre in ambiti in cui le misure non arrivano.

In questo rileviamo alcuni elementi di importanza considerevole. Il primo riguarda la tendenza di alcuni progettisti, soprattutto di quelli che vanno ad attribuire priorità maggiore al lato teorico rispetto a quello pratico, a tentare di risolvere per via elettrica i difetti di risposta, finendo regolarmente con il causare un danno peggiore. Così facendo, infatti, anche se la risposta si regolarizza, si introduce una serie di problemi che sul campo si rivelano ancora più gravi e influiscono pesantemente sul comportamento dell’intero sistema di altoparlanti.

A questo proposito va rilevato anche un altro elemento, generalmente trascurato. Mentre un ipotetico difetto di risposta lo si percepisce solo nel momento in cui il segnale riprodotto ricade alle frequenze in cui si presenta, i palliativi che si utilizzano in genere allo scopo obbligano a sopportare le loro conseguenze per il 100% del tempo in cui funziona l’altoparlante. Questo infatti viene strozzato, cosa di cui al limite ci si può non rendere conto, ma che assume un’evidenza plateale nel momento in cui l’origine del problema viene rimossa.

L’altoparlante emette allora con libertà, coerenza, sensibilità e forza incomparabilmente superiori, tali da far accettare senza problemi il presentarsi di tanto in tanto del suo difetto di fondo, che oltretutto può essere corretto almeno in parte ricorrendo ad accorgimenti meno draconiani e senz’altro più rispettosi della sua musicalità.

Quello strozzato però figurerà molto meglio alle misure, mentre quello lasciato libero di esprimersi e di conseguenza più gradevole darà luogo a grafici inaccettabili per l’occhio del tecnico. Che quindi provvederà a ripristinare la situazione, con un’apposita rete di compensazione, ritenendo di aver raggiunto il proprio obiettivo proprio nel momento in cui impedisce all’altoparlante di suonare come dovrebbe. Dimostrazione ulteriore che le misure sono quanto di meglio per prospettare una realtà del tutto opposta rispetto a quella concreta.

Ecco spiegato, allora, il motivo per cui i diffusori realizzati da certi progettisti suonano in maniera tanto discutibile. Sono proprio le soluzioni in cui indulgono abitualmente a penalizzare le loro creazioni sempre con gli stessi difetti.

 

Quando ci si libera della palla al piede

In merito a questo argomento vorrei riportare l’esperienza fatta con un diffusore di piccola taglia molto noto, o meglio idolatrato, la cui sonorità caratteristica deriva in larga parte dal tweeter. Un po’ per il piccolo litraggio del cabinet e per le dimensioni ridotte del woofer, ma soprattutto perché quest’ultimo è affossato da una rete di compensazione dagli esiti distruttivi sulla sua sonorità. Una volta che la si elimina, sia pure sperimentalmente, si scopre che l’emissione asfittica di quel woofer si trasforma letteralmente, diventando ben più solida ed estroversa. Le frequenze basse e mediobasse hanno finalmente modo di esprimersi al meglio: ne deriva l’impressione di trovarsi finalmente di fronte a un diffusore completo, per quanto le sue dimensioni possano permetterlo, e comunque tale da destare grande stupore per la massa sonora, l’equilibrio complessivo e persino la potenza di suono ottenibili con un simile nanerottolo.

Soprattutto, quel diffusore riesce finalmente a suonare in maniera naturale. C’è da chiedersi se, privato della fonte delle sue limitazioni, avrebbe trovato altrettanto riscontro presso il pubblico degli appassionati.

Se il diffusore è pilotato nel modo giusto, ossia con un amplificatore dotato di energia in basso e della brillantezza necessaria come il PF 1T, quel difetto in gamma media tende a ridursi, presentandosi solo in rari casi e in proporzioni accettabilissime. Viceversa se lo si abbina a una di quelle elettroniche asfittiche, per le quali comunque non esitano a chiedere diverse centinaia di euro, ma sono caratterizzate dalla sonorità tipica che deriva da scelte di fondo legate alla mediocrità, quel difetto torna a essere evidente. Dati i presupposti, è davvero colpa del diffusore lasciato libero di esprimersi come deve o di quanto lo precede che non è all’altezza della situazione?

Magari sottoponendola a una verifica strumentale, la versione penalizzata figurerebbe meglio, non a caso venne realizzata per scopi che con la riproduzione sonora amatoriale non hanno nulla a che vedere, per i quali si ritenne necessaria la massima linearità possibile, almeno a livello teorico. Quella lasciata libera di esprimersi, invece, sulla carta evidenzierebbe un difetto fin quasi intollerabile. Salvo poi verificare che a un ascolto eseguito come si deve, il che riguarda anche le modalità di pilotaggio, quest’ultima si rivela preferibile di gran lunga, senza alcuna possibilità di paragone.

Tanto è vero che il possessore di quel diffusore ha detto di non riuscire a credere alle proprie orecchie, e che malgrado lo utilizzi da diversi anni, mai e poi mai avrebbe immaginato che potesse comportarsi in modo tanto estroverso e finalmente godibile.

Eccoci per l’ennesima volta di fronte alla dimostrazione pratica che la vera prerogativa delle misure è il rappresentare una realtà del tutto contraria a quella che va a evidenziarsi nel concreto, senza difficoltà di sorta. Trovando inoltre unanimità nel giudizio degli ascoltatori, quando formulato in base al comportamento sul campo e non a linee tracciate su pezzi di carta.

Facendo salva ovviamente la percentuale di bastian contrari o portatori di preconcetti e posizioni improntate a malafede, della quale occorre sempre tenere conto.

 

Un certo tipo di abito mentale.

Un altro aspetto che si dovrebbe avere presente  e mi sembra che sia in larga parte trascurato, riguarda l’approccio al progetto e alla realizzazione del prodotto destinato all’alto di gamma. Già la consapevolezza di dover realizzare qualcosa che vada oltre a un dato livello di prestazioni può indurre una forma mentale che finisce con il causare una serie di conseguenze difficilmente preventivabili. Si è presi dal voler fare per forza qualcosa di eccezionale, e quindi si tende a strafare, che non è mai il presupposto migliore per realizzare qualcosa di valido e all’altezza delle premesse.

Per definire meglio questo concetto ci viene in aiuto il settore artistico, non importa che riguardi cinematografia, letteratura, musica o arte pittorica. Per ciascuno di essi, a volte, si ha il capolavoro. Che però non è mai una cosa voluta e neppure è preventivabile. Non si può partire decidendo di realizzarne uno, esce fuori per conto suo, senza che si sia coscienti della cosa.

Il capolavoro, insomma, è frutto del caso. Partendo dalle capacità indiscutibili del suo artefice, ovviamente, ma sempre tale resta.

Dunque non ha una ricetta preconfezionata e neppure potrebbe averla. Proprio perché allora non sarebbe più tale.

Ecco perché quando si parte con l’idea di “fare il capolavoro”, si finisce regolarmente con il produrre un’opera arrogante e pretenziosa. Questione di abito mentale, appunto, che induce a esagerare nel momento in cui ci si prefigge di realizzare qualcosa che “vada oltre”.

Il problema è che l’industria e i suoi fatturati non hanno il tempo di aspettare che nasca il capolavoro. Quindi occorre far passare per tale ciò che non lo è assolutamente. Non credo ci sia bisogno di ripetere per l’ennesima volta quali i sono mezzi più adatti allo scopo.

Si parte insomma col decidere di realizzare “IL” diffusore, quello che nelle intenzioni deve mettere in ombra tutto quanto lo ha preceduto, e ci si ritrova regolarmente a fare un buco nell’acqua.

Anche perché si ragiona in termini parziali: si decide per un sistema a otto vie, perché non si può accettare nulla di meno e ogni altoparlante deve emettere solo nella gamma di frequenze in cui riesce ad andare oltre ogni limite. Allora si mette il woofer capace di scendere di più e di dare l’efficienza più elevata, poi ci si abbina il midrange più costoso, no, meglio due, così aumenta la sensibilità e la tenuta in potenza. Per il tweeter si opta per uno all’antimateria, caratterizzato se possibile da un valore di inerzia negativo, quindi si realizza un crossover esasperato allo spasimo, con cui si va a correggere ogni minima discrepanza da qualunque cosa non sia sia tracciata con riga e squadra. Strumenti utilissimi in geometria, che però hanno un problema, spesso trascurato ma che poi è sempre lo stesso: finché si tratta di tirare linee sulla carta millimetrata sono efficacissime, ma nemmeno il più grande virtuoso di questa terra, con oggetti del genere, è riuscito a fare una musica meritevole di essere ascoltata.

Per finire mettiamo il tutto in un cabinet dalla finitura degna di Re Mida, perché l’occhio vuole la sua parte e non sia mai che un prodigio di tecnica siffatto corra il rischio di essere penalizzato da una veste inadeguata.

Lo colleghiamo all’impianto e ci ritroviamo con una carriola. Pesante, costosissima e tempestata di diamanti, ma che resta sempre tale.

Poi magari arriva uno che prende un solo altoparlante e lo mette in un contenitore fatto di quattro tavolette e tuttavia meglio adattato alle vere esigenze dell’oggetto diffusore, che nessuno vuole considerare perché ne risulterebbe un oggetto invendibile per i canoni attuali, ottenendo qualcosa di molto più musicale ed efficace. Quel qualcuno probabilmente non si è curato se il suo diffusore invece di arrivare poniamo a 40 Hz, tirandolo per i capelli e con la consueta serie di artifici che producono più danno che altro, si ferma a 65, lavorando però in maniera naturale. Certo la pressione sonora che può raggiungere non è di 159,5 dB con 1/10 di watt, la prima ottava non la emette proprio e sul versante opposto si ferma a poco più di 10 kHz. Senza contare che i tirannosauri capaci di erogare centomila watt su 0,1 ohm con un oggetto simile sarebbero più dannosi che altro. Eppure quel sistema così semplice da essere persino disprezzato ha un dono innato: quello della musicalità. Espressa con grazia e naturalezza, quindi tanto più convincente.

Almeno per chi non ha la testa imbottita dai pregiudizi indotti dal martellamento mediatico pluridecennale, il quale notoriamente produce i suoi esiti distruttivi non sulle facoltà uditive, ma su quelle con cui il cervello decodifica quanto gli arriva per quel tramite. Andando a produrre effetti che sono i più difficili da rimuovere e a volte è proprio impossibile.

Quel diffusore, allora, è tale proprio perché chi lo ha realizzato non ha voluto strafare. Quindi lo ha lasciato in pace di operare in tranquillità, come può e fin dove arriva. Dopodiché ha messo un punto.

Soprattutto ha realizzato il suo oggetto senza preoccuparsi di dimostrare a tutti i costi di essere il più grande progettista di tutti i tempi. Quando invece si opera con questo genere di obiettivi si finisce regolarmente con il produrre oggetti dalla sonorità sgradevole e innaturale.

Tecnici, critici da rivista e gli appassionati che vanno loro dietro, tra i due non avrebbero dubbi nello scegliere quello più vistoso. Sulla base delle apparenze e soprattutto dei numeri mirabolanti coi quali di sicuro sarebbe presentato dalla sua scheda tecnica. Che però ha un difetto, talmente piccolo da risultare invisibile. Che poi è lo stesso della riga e della squadra di cui abbiamo parlato prima: con quei numeri mai nessuno è riuscito a far musica. Viceversa di chiacchiere al riguardo se ne possono ammucchiare fin quasi all’infinito. Forse è per questo che riviste e misuratori al seguito mostrano la massima considerazione per i pezzi di carta contenenti parametri e numeri che alla resa dei conti si rivelano ingannevoli, ma sono così ben incolonnati e messi in ordine come tanti soldatini.

Dunque il diffusore alto di gamma non solo è molto spesso il frutto di una serie di forzature che non possono far altro dal causare un’emissione musicale rozza e fastidiosa. Il che davvero è un bel paradosso: un altro tra quelli da cui è costellato il settore della riproduzione sonora nelle sue condizioni attuali.

Questo succede anche per un altro motivo: la natura è di per sé autoequilibrante. Ogni suo componente fa parte di un insieme armonico e spesso ricopre più ruoli nello stesso tempo, tutti positivi.

Un albero produce l’ossigeno che è necessario per la vita sul pianeta, con le radici tiene ferma la terra evitandone smottamenti, fa da casa agli uccelli e a diverse altre forme di vita, ci dà frutta, ombra, materiale da costruzione e da riscaldamento, bellezza, colori cangianti a seconda delle stagioni e pace interiore. Infine, quando cessa la sua esistenza va a costituire il nutrimento per una nuova vita.

Ricchezze incalcolabili, oggi tenute in nessuna considerazione, dato che tutta l’importanza è attribuita a pezzi di carta straccia variamente sporcati d’inchiostro, che hanno il primo difetto proprio nel fatto di non essere commestibili.

Tutto quanto realizzato dall’uomo, invece, funziona in maniera esattamente opposta: per ogni problema tecnico che risolve ne crea almeno altri dieci. Il tecnico, però, nella sua visione antropocentrica, autoreferenziale e fondamentalmente dissociata, in quanto si ostina a tenere conto solo di quello che avviene nelle quattro mura del suo laboratorio, rifiuta di prendere in considerazione questa realtà e tira dritto per la sua strada. Proprio come quello che affacciato a un balcone vantava otto milioni di baionette, ma possedeva fucili per innestarne forse la decima parte. Così insiste a risolvere problemi fingendo di non vedere che ne causa altri dieci per volta.

Ancor peggio, procede secondo la logica che attribuisce un’importanza spropositata agli elementi di contorno, il che per forza di cose conduce non solo a trascurare la funzione primaria dell’oggetto, ma a perderne proprio la concezione, elemento che nel settore della riproduzione sonora va da tempo a concretizzarsi in modo particolarmente vistoso.

 

Amplificatori

Per gli amplificatori è in sostanza la stessa cosa, se non peggio. Oggi un amplificatore che si limiti a fare il suo dovere nel modo più diligente viene letteralmente schifato.

Deve essere invece nerboruto e poderoso oltre ogni limite, una sorta di borioso spaccamontagne che reinterpreti nel campo dell’elettronica il ruolo che Sylvester Stallone ha impersonato nei suoi film più reazionari: strumenti efficacissimi ai fini di un vero e proprio massacro etico e concettuale. Eseguito esaltando la figura del forzuto iper-anabolizzato, che proprio in quanto reduce dal trattamento cui si è sottoposto ai fini dell’acquisizione di una muscolarità tanto improbabile quanto artificiale, si ritrova con uno sguardo bovino, segno di profondissima e inarrestabile attività cerebrale.

Naturalmente non può mancare il contorno di vu meter dalla raffigurazione più varia: si va dalla brutta copia di schermi al plasma da 55 pollici, con lo sfondo obbligatoriamente di colore azzurro, allo scimmiottare l’estetica degli orologi più pacchiani, fatti apposta per dimostrare la potenza economica di chi li porta al polso, costruita ovviamente sulle sofferenze inflitte nei modi più fantasiosi a milioni di consimili.

Al di là del loro aspetto, l’essenziale è naturalmente che quegli indicatori siano fatti in modo da ipnotizzare nel modo più efficace l’improvvido ma facoltoso acquirente. Dimodoché non si avveda di trovarsi di fronte a un oggetto costosissimo, ma le cui spese di produzione sono andate in percentuale bulgara proprio alla costruzione di un’immagine tanto chiassosa quanto inadeguata e scollegata dal suo fine primario. Che sarebbe quello di fare musica, ma di fronte a cotanta espressione di sfarzo e opulenza chi se lo ricorda più?

Il che forse è anche meglio, dato che con prerogative siffatte non è più in grado di emettere alcunché possa ricordare le vere sembianze di uno strumento musicale.

Molto meglio invece ricavare fin dal primo sguardo la sicurezza incontrovertibile che possa ridurre alla propria volontà qualsiasi carico, la cui massa dell’equipaggio mobile sarà si e no la centesima parte della sua, a simboleggiare un livello di efficienza nella propria funzione che non si fatica a definire proverbiale.

D’altronde, come assicurano certuni, la colpa è tutta del bass reflex. Per motivi imperscrutabili infatti, o forse a causa del destino cinico e baro, oggi la produzione non si limita rigorosamente ai diffusori in cassa chiusa. Obbligando pertanto all’impiego di elettroniche “da millemila watt” per tenerne a bada la gamma bassa, del tutto fuori controllo.

Se qualcuno aveva bisogno di una materializzazione concreta del fenomeno riguardante la regressione cognitiva, e la conseguente trasformazione dell’incapacità di comprendere anche le cose più semplici in un merito di cui farsi vanto pubblicamente, eccola servita su un piatto d’argento.

Proprio in questo modo si è persa la familiarità con uno tra i concetti fondamentali riguardante le amplificazioni: quello che gli esemplari di potenza elevata sono di norma i più difficili da far suonare bene. Ancora una volta per questioni di semplicità. Le sezioni finali troppo complesse abbisognano infatti di una serie di accorgimenti nella loro realizzazione che ne fanno esplodere i costi materiali, oltre naturalmente all’aumento già di per sé sostanzioso causato dal numero di componenti necessari e dalle alimentazioni che diano loro di che funzionare.

Però come sempre c’è un però, che in questo caso riguarda una realtà molto scomoda: coi piccoli amplificatori dal bel suono si guadagnava troppo poco. Neppure si potevano vendere diffusori monumentali e dal prezzo conseguente, da metterci insieme.

Eppoi diciamocelo, anche se lo abbiamo già fatto nell’articolo precedente: oggi la qualità sonora non interessa più a nessuno, ammesso che la si sappia riconoscere. Essendo passati dall’audiofilia all’audiofollia, quella che ha il suo scopo nel sistemarsi per tutta la vita mediante la vendita di un solo impianto per oligarchi, è evidente che le apparecchiature, prime fra tutte le amplificazioni, debbano rispondere a criteri che con essa non hanno più nulla a che vedere.

Se questo è lo scenario in cui ci troviamo, come sorprendersi se anche in seguito alla spesa più ragguardevole si continua a rimanere perennemente insoddisfatti?

La sola differenza è che prima lo si ammetteva senza problemi. Oggi invece si è molto meno disponibili al riguardo, proprio perché si teme di non fare una gran figura se a fronte di spese simili si dichiara di trovarsi peggio che in precedenza. Quindi ci si sente in dovere di proclamarsi felicissimi per il nuovo acquisto, ripercorrendo le stesse logiche della pubblicistica di settore e andando ancor più a rafforzare il frame, ossia la cornice concettuale, che pretende di fare della condizione odierna la migliore possibile, di fronte alla quale non c’è alternativa.

 

Il ruolo dei media di settore

Come in qualsiasi espressione della realtà attuale, i media hanno un ruolo ben preciso. Nella fattispecie quello di prospettare direzioni e traguardi, ovviamente in base agli interessi dell’industria cui rispondono. Per il semplice motivo che è proprio quella a sostenerne i fatturati.

Chiunque abbia accesso a una raccolta di arretrati che permetta di guardare sufficientemente in là nel passato, può osservare che nel corso del tempo non solo si è andato attribuendo uno spazio sempre maggiore all’alto di gamma, ma che si è anche sostenuto il suo andare sempre più in alto, operando a favore di un gigantismo smodato, motivo cui si deve la scelta dell’immagine di apertura.

Nel corso degli anni 70 e 80 infatti, l’attenzione di gran lunga maggiore della stampa era dedicata al prodotto entry level, con funzione propedeutica all’attrarre le nuove generazioni, e a quello di gamma intermedia, attraverso il quale realizzare una crescita equilibrata dell’impianto, atta a rispondere positivamente alle esigenze via via crescenti degli appassionati. Di tanto in tanto, poi, si ospitava qualche apparecchiatura di rango superiore, ma sempre con senso della misura.

I motivi sono evidenti, un tempo le riviste di settore puntavano soprattutto agli oggetti più legati al vissuto, alle esigenze e alle prospettive ragionevolmente auspicabili del loro pubblico.

In seguito, per cercare di contrastare il calo d’interesse che ha iniziato a manifestarsi nel momento in cui la riproduzione sonora non è stata più al centro dell’attenzione generale in ambito tecnologico, stanti gli errori grossolani commessi con il digitale che di fatto ha avviato una crisi mai più rientrata, hanno dato sempre più spazio agli oggetti che in qualche modo potessero stimolare la curiosità dei lettori rimasti, e di pari passo la loro fantasia.

Naturalmente questo è potuto avvenire perché nel frattempo anche l’industria di settore ha puntato in maniera sempre più convinta sull’alto di gamma, che costituisce la produzione più profittevole: da sola la pubblicistica di settore non avrebbe certo potuto inventare apparecchiature inesistenti. Però avrebbe potuto mantenere un minimo di equilibrio, se proprio non vogliamo parlare di decenza, invece di lasciarsi portare docilmente verso obiettivi magari paganti sul momento, ma che nel lungo termine hanno rappresentato una delle cause più importanti per le condizioni attuali del settore.

Raffigurando una realtà fatta soprattutto di prodotti da nababbi, non si è fatto altro che allontanare ulteriormente le nuove leve, già per conto loro più attratte da altri richiami nell’ambito dell’elettronica e della tecnologia. Continuando però a lamentarsi per il mancato apporto di sangue fresco alla specialità della riproduzione sonora amatoriale. Altro paradosso niente male, ulteriormente foraggiato dal continuo proliferare di spazi appositamente dedicati all’alto e all’altissimo di gamma, mediante i quali un mese dopo l’altro si sono bruciati traguardi sempre nuovi in termini di irrealtà dei prezzi di listino.

Nel tempo quegli spazi sono andati non solo moltiplicandosi, ma ciascuno di essi ha acquisito ampiezza e rilievo sempre maggiori, calamitando per forza di cose l’interesse degli appassionati e distogliendoli da obiettivi più realistici, alla portata delle loro possibilità economiche e di esperienza pratica.

Si potrebbe obiettare che così facendo si è seguita la crescita degli appassionati di maggiore competenza, dando una risposta alle loro esigenze crescenti in termini qualitativi. Questo può anche essere vero, ma se così è, lo si è fatto nel modo più controproducente che sia possibile. Andando in sostanza ancora a restringere all’interno di una nicchia trascurabile le possibilità di diffusione di un settore e di una passione il cui approfondimento è sempre stato per pochi. Dato che se in un certo momento il coordinato e l’impiantino ce l’hanno avuto tutti o quasi, quelli che dal gradino iniziale hanno intrapreso un reale percorso di crescita ed evoluzione sono stati una percentuale minima.

In questo modo, inoltre, la pubblicistica di settore ha insistito per anni a battere su un concetto non solo radicalmente errato ma soprattutto distruttivo: quello che sia sufficiente la forza del portafogli per assurgere ai livelli qualitativi, e quindi di soddisfazione, più elevati.

Questo non solo non è assolutamente vero, ma dimostra nel modo più concreto quale sia il tasso di competenza del personale che opera in certi ambienti, non per il discettare riguardo al sesso degli angeli, sempre parlando bene di tutto e di tutto il suo contrario, ma riguardo al mettere le persone nelle condizioni materiali di realizzare nel loro ambiente le promesse iperuraniche distribuite a piene mani da tutto un sistema di propaganda, volto primariamente a sollecitare le attitudini all’onanismo delle sue vittime paganti.

Più che un portafogli ben rigonfio, per ottenere certi risultati sono necessarie esperienza, sensibilità e applicazione. Cose che non si comprano e neppure si insegnano a scuola. In quanto tali sono del tutto incompatibili con la realtà odierna, proprio perché il sistema in cui viviamo è assolutamente refrattario a tutto ciò che non può essere mercificato. Quindi tende a emarginarlo e se possibile a distruggerlo.

Meno che mai discorsi del genere possono essere affrontati dalla pubblicistica di settore, ben più ferrata nel diffondere l’abbrutimento di massa cui fa capo la pretesa che mediante la disponibilità economica si possa ottenere qualsiasi cosa, presupposto inamovibile della sua politica editoriale. Se poi vi si abbina il contorno di arroganza, pressapochismo, faciloneria e azzerbinamento ai desideri della committenza pubblicitaria, si produce proprio il cocktail distruttivo che ha determinato il precipitare, progressivo e senza ritorno, delle condizioni del settore. Il quale ha finito col ridursi non a raschiare il fondo del barile, ma i piedi d’argilla su cui un tempo poggiava.

Lo sanno anche i principianti: più un impianto audio si basa su componenti raffinati, e quindi selettivi, più essi hanno facilità nel mettere in un’evidenza finanche impietosa eventuali problemi. Se sono facili da riscontrare nei difetti che producono, talvolta marchiani, è oltremodo complesso e ingannevole individuarne le origini. Quante volte si è creduto che risiedessero in un dato elemento, per poi accorgersi tempo dopo che invece arrivavano da un’altra parte, se non proprio dal lato opposto. Problemi oltretutto distribuiti con generosità estrema, dal momento in cui si vuol far credere che i criteri di installazione e messa a punto restino sempre gli stessi, per le catene più economiche e per quelle di vertice assoluto.

Del resto mettendo sull’avviso i potenziali acquirenti riguardo al fatto che la gestione di una catena di alto livello, nel momento in cui se ne vuole trarre una percentuale accettabile del suo potenziale, è notevolmente più complessa e difficoltosa rispetto a una di pretese minori, si sarebbe aggiunto un argomento di grande efficacia dissuasiva a quello costituito da prezzi ormai privi del minimo barlume di ragionevolezza.

Se per caso negli ambienti della pubblicistica di settore di certe cose si era a conoscenza e le si è taciute, per motivi di convenienza o solo per timore che il diffondere consapevolezza potesse danneggiare il fatturato proprio e quello degli inserzionisti, allora sarebbe anche peggio.

In sostanza i media specializzati hanno propagandato a più non posso la cieca tendenza al gigantismo, distruggendo questo settore con le loro stesse mani, proprio perché si tratta di una strada senza prospettive né vie di uscita. Lo capirebbe anche il più scapestrato dei profani, ma persone che si attribuiscono sussiegosamente la più grande esperienza e conoscenza non ci sono arrivate. Davvero singolare.

Certo, i marchi che operano in campo audio fanno tuttora a gara nel realizzare sempre nuovi prodotti dai prezzi privi di qualsiasi senso della misura. Però è irragionevole pensare che le possibilità economiche degli appassionati possano spingersi oltre certi livelli.

Forse il problema è proprio questo: siccome in certi ambienti sono tutti convinti di essere dei grandissimi scienziati, come ho avuto modo di verificare personalmente in tanti anni di attività, non possono certo applicarsi a ragionamenti del genere, proprio perché sono troppo terra-terra.

Eccone così i risultati: un mercato dell’usato più florido che mai e che vive di scambi a getto continuo, mentre il nuovo neppure langue più, ormai viene proprio rifiutato. Così i negozi fisici hanno chiuso ormai quasi tutti e quelli che ancora restano in piedi stanno alla canna del gas. Per non parlare del fatto che ormai lo scopo della riproduzione sonora non è più l’ascoltare musica nel modo migliore, ma proprio in base ai suoi prezzi è solo uno degli strumenti a disposizione di chi ha urgenza di mostrare ai suoi simili le proprie capacità di spesa.

Dal canto loro molti costruttori si sono ridotti a tentare l’ “o la va o la spacca” con sistemi che basta venderne uno per sistemarsi. Proprio come cercano di fare tanti diseredati con quei gratta e vinci chiamati “Il miliardario“, “Sbanca tutto“, “Turista per sempre“, “Vivere alla grande” e via delirando. O meglio devastando e rapinando.

Ma sempre tenendosi bene all’interno di una cornice di legalità appositamente costruita dai maggiordomi di chi trae vantaggio di quel furto istituzionalizzato.

Oggi chi vuole comperare un’apparecchiatura audio si trova costretto a farlo senza poterla ascoltare, o dovendo sobbarcarsi al riguardo trasferte da centinaia o addirittura migliaia di chilometri. Altrimenti deve affidarsi alle asserzioni del “Coro Degli Entusiasti A Prescindere“, storicamente prive di qualsiasi verosimiglianza. Dato che di credibilità non ha proprio più senso alcuno parlare. Altrimenti può fare riferimento alle impressioni degli altri appassionati, gravate dai problemi visti poc’anzi e con tutto il bagaglio di limitazioni a livello tecnico, di parametri e concettuale che loro malgrado si portano dietro.

Paradosso finale, proprio così la pubblicistica di settore ha finito con l’acquisire un potere ancora maggiore, dato che chi si ostina ancora a seguirla non ha praticamente più alternative atte alla verifica dei giudizi da essa emanati. Quindi può fare il bello e il cattivo tempo.

Peccato che si ritrovi a farlo su una platea di persone ormai ridotta al lumicino, ammesso e non concesso che esista ancora qualcuno che legge roba simile.

Non sarebbe stato meglio, allora, avere meno potere ma all’interno di un settore in buona salute e sostenuto da una comunità vitale, invece di predominare in assoluto su qualcosa che rassomiglia sempre più a un cadavere ambulante?

 

 

 

4 thoughts on “Impianti piccoli, problemi piccoli. Impianti grandi…

  1. Articolo al vetriolo che troverà il consenso di chi ha fatto dei percorsi e tiene a cuore l’ascolto e non l’apparenza e ha avuto una mente aperta cogliendo suggerimenti e sperimentando e andando alla sostanza che privilegiava i risultati affinando anche con la messa a punto che dava più risultati del frenetico cambio e scambio. Modello stimolato anche dalla maggior parte delle riviste di settore, che sono condizionate dalla pubblicità degli inserzionisti… Sicuramente la semplicità paga ma spesso a molte persone piace complicarsi la vita per non pensare ad altro… Sono d’accordo anche sulla disamina tecnica e personalmente sono uno che apprezza i monovia che se si riesce a raggiungete un buon equilibrio danno grandi soddisfazioni… Una volta pubblicai una foto di un diffusore largabanda e mi sono piovute critiche di tutti i tipi. Il bello era che conoscevo gli impianti di chi criticava senza averlo neanche ascoltato e ti assicuro che i loro sistemi suonavano in modo patetico. Il diffusore di uno dei criticoni, da lui definito 5 vie e mezzo, era un clone di Imf monitor con sopra un’aggiunta casuale di due midrange diversi.

    1. Grazie per il commento, Filippo.
      Oggi purtroppo si attribuisce alle apparenze un rilievo superiore ai dati di fatto.
      Quelli che criticano senza nemmeno sapere di cosa parlano sono una tipologia di persone piuttosto diffusa nel nostro settore. Come potrai immaginare, anch’io ho avuto a che fare con essa. Il più delle volte, però, è lo stesso tenore degli appunti che provengono da quel tipo di persone a evidenziare malafede e incompetenza. Difficile capire quale prevalga tra le due.

  2. Io ho letto tutto Claudio, complimenti per il pensiero.
    E tutto d’un fiato, senza risparmiare virgole o punti, ne tantomento le tue giuste rispondenze ai blasonati e vistosi marchi, rappresentati più o meno da vistose estetiche per attrarre ‘volatili’ facoltosi.
    E come di consueto è una grande recensione la tua Claudio, che fa pensare, e che mi fa riappassionare ad una cosa che ho riposto, mio malgrado, nella trascuratezza che le dinamiche famigliari e della vita ci coinvolge.
    Magari avere un pò di tempo, serenità e spazio per provare e riprovare tutte le variabili di un impianto stereo, micro o maxi che sia…

    1. Grazie del commento e dell’apprezzamento, Antonio.
      Mi fa molto piacere che questo articolo abbia potuto risvegliare in qualche modo l’interesse per l’ascolto della musica.
      Le incombenze quotidiane pretendono sempre di più, ma è importante ritagliarsi uno spazio, seppur piccolo, per sé stessi, in cui ritrovare i piaceri e le passioni che poi ci permettono di affrontare più serenamente tutto quello che trascureremmo con grande soddisfazione 😉

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