Fabio mi scrive da Varedo (MB):
Buongiorno Claudio
ieri sera, per caso, ho scoperto il suo sito internet e devo prima di tutto ringraziarla per la compostezza, precisione e appropriatezza del linguaggio tramite il quale manifesta il suo pensiero.Condivido le sue generali considerazioni di ordine sociale, culturale ed economico, di fronte alle quali siamo purtroppo distratti e subalterni, occupati dalle quotidiane, materiali incombenze della nostra vita.
Sono appassionato di musica (Zappa compreso!) ma abbastanza ignorante sugli argomenti tecnici e non capace di metterli a confronto, argomenti che leggo esposti con chiarissime digressioni su questo sito.
Ad oggi, come risultato della confusione culturale dell’ultimo ventennio mi ritrovo con una collezione di CD e una di Vinili, governate rispettivamente da due vecchietti: un lettore Cyrus cd 6 e da un Thorens 160 mkii (originale senza modifiche subìte), poi Cary audio sli80 e Phonar p8 next.
Il lettore CD necessita della sostituzione del gruppo di lettura laser (ammesso che riesco a trovarlo) e in definitiva la questione che le pongo è abbastanza banale: vale la pena di ripararlo (ed eventualmente aggiornare alcune sue componenti) o mi consiglia di sostituirlo con un dispositivo più recente?
La ringrazio e complimenti ancora per il suo sito.
Fabio
Ciao Fabio, grazie dell’apprezzamento.
Parli di confusione culturale del ventennio passato, a seguito della quale ti ritrovi con una bella collezione di CD e LP.
Quale sarà allora quella del ventennio in corso, che lascerà la maggioranza di quanti l’hanno vissuta da appassionati, con un pugno di mosche in mano, e comunque dopo aver speso bei soldi, grazie ai destini magnifici e progressivi della somministrazione da remoto di dati audio che s’insiste a definire come “liquida”?
Non solo, quel sistema prevede il tracciamento, e la conseguente schedatura, dei nostri ascolti e quindi dei nostri gusti, ponendo un altro lato della nostra personalità alla mercé dei gestori del sistema e di quelli del database globale, che con finalità di profitto e di controllo sta immagazzinando i dati forniti suo malgrado da ogni utilizzatore dei sistemi informatici.
Un certo Jacques Attali, esponente di rilievo del sistema di potere che si pone al di sopra delle istituzioni degli Stati ex sovrani e detta ad esse il comportamento da tenere e gli scopi da perseguire, a suo tempo disse: “E cosa credeva la plebaglia europea, che l’Euro fosse stato fatto per la loro felicità?”
Parafrasando il tecnocrate francese, si potrebbe dire: cosa credono appassionati e utilizzatori, che prima il digitale e poi la liquida siano stati fatti per migliorare la loro esperienza d’ascolto e il loro rapporto con la musica registrata?
Questo al di là degli altri aspetti concernenti la somministrazione di dati audio da remoto, presi in esame in alcuni articoli pubblicati a suo tempo ed elencati a fine pagina. La maggior parte di essi sono semplicemente devastanti e fanno pagare un prezzo non enorme ma proprio inaudito per la comodità della quale chi apprezza il sistema decanta immancabilmente le lodi.
Riguardo a quelli che definisci due vecchietti con cui riproduci gli LP e i CD in tuo possesso, oggi per acquistare oggetti ad essi paragonabili dovresti spendere somme tuttaltro che indifferenti. Specie per quanto riguarda il TD 160, che a suo tempo era un giradischi relativamente economico, ma oggi per avere qualcosa che avvicini la quantità di risorse utilizzate per la sua costruzione, e senza contare la sua efficacia funzionale, occorre avere capacità di spesa non indifferenti.
Se poi dovessimo prendere in esame la sua affidabilità, che a mezzo secolo e più dall’epoca in cui lo si poteva comperare da nuovo permette a un numero fin quasi incredibile di esemplari di funzionare senza problemi, davvero non si saprebbe dove andare a parare per un confronto con la realtà di oggi.
Ossia quella che dal lato dell’industria, ossia del capitale, impone l’oggetto usa e getta, ammesso che non sia rotto già prima di usarlo, ma da quello dell’utilizzatore pretende un rispetto imperativo della sostenibilità e della salvaguardia ambientale.
Nello stesso tempo il modello commerciale attualmente in vigore, quello imperniato sulla grande distribuzione organizzata, impone un’improbabile quantità di plastica a fare da involucro per qualsiasi derrata si acquisti, anche la più insignificante.
Il diramare nello stesso tempo ordini contrastanti è il modo più rapido ed efficace per portare alla pazzia chi di essi ritiene di essere destinatario o comunque tenuto a ubbidirvi.
Tutto questo suggerisce un altro aspetto ormai quasi del tutto dimenticato e anche all’epoca si preferì non metterlo troppo in evidenza. Tra i motivi per cui si decise di passare al digitale, nella seconda metà degli anni 1970, c’era anche la consapevolezza che il costo delle materie prime e delle lavorazioni di precisione necessarie non sarebbe stato più compatibile con la produzione di giradischi e testine di prezzo tale da permetterne la diffusione di massa.
Non è un caso allora che oggi si vendano macchine fatte tutte di plastica, gravate già all’origine da quello che un tempo si riteneva il difetto principale dei bracci sottoposti a un utilizzo troppo gravoso e malaccorto: il gioco dell’articolazione. Oggi fa parte dell’equipaggiamento standard di giradischi che per essere acquistati abbisognano di una spesa non indifferente per la retribuzione media dei lavoratori stipendiati.
Per non parlare poi delle lettere che mi arrivano e con frequenza allarmante descrivono difetti di origine per giradischi anche di costo superiore, ai quali nessuno sembra intenzionato a porre riparo, malgrado l’esistenza di una garanzia ormai diventata fittizia in molti casi.
Per venire al tuo quesito, se si riesce a trovare il ricambio, penso che la sostituzione del pick up laser sul lettore CD sia sempre conveniente, dati i costi dell’operazione e ancor più se si parla di una macchina di buon livello.
Ai prezzi di oggi, un lettore di qualità paragonabile rischia di costare davvero molto. Si potrebbe andare su lettori usati di gran classe, con spesa ovviamente maggiore, ma anche li ci sono buone probabilità di trovarsi dopo qualche tempo con lo stesso problema del CD 6.
In caso di dubbi o per eventuali chiarimenti non esitare a chiedere.
Dopo qualche giorno, Fabio mi ha riscritto.
Buongiorno Claudio, grazie davvero per la gentile risposta!
Si… ho riflettuto sulla possibilità di acquistare un buon usato, consapevole però della possibilità di ritrovarmi a breve nelle medesime condizioni, ma soprattutto senza poter valutare se l’effettivo guadagno in termini di qualità dell’ascolto sia commisurato al notevole costo da sostenere. Quindi penso che mi industrierò per la sostituzione del pick up.
Non immagino cosa resterà agli appassionati convertiti alla musica liquida (e ne ho di amici con i quali abbiamo abbiamo iniziato ad ascoltare musica negli anni ’70). Quella sulla realtà virtuale è una riflessione sterminata che riguarda ogni aspetto dell’umana espressione e/o emozione, sia essa quella “passiva” del povero ascoltatore, o “attiva” del creatore o presunto artista, sia esso musicista, pittore, fotografo, architetto…
Sarò sicuramente un feticista dell’oggetto, indifferente al guadagno di qualche dB di rapporto segnale/disturbo e Hertz di risposta in frequenza o indifferente al confronto della performance tra analogico e digitale, ma il rapporto con l’oggetto mi consente di staccare con gli strumenti informatici che per lavoro sono costretto ad utilizzare.
Per me avere tra le mani un libro e leggerlo, ascoltare anche solo un lato di LP o prendere qualche scatto con una fotocamera a pellicola significa aprire una pausa nel vortice quotidiano.
Grazie ancora e a risentirci
Fabio
Prima di ogni altra cosa voglio rilevare che Fabio ha toccato un punto inerente la somministrazione di dati audio da remoto che ho trascurato negli articoli dedicati all’argomento.
La cosa mi fa ovviamente piacere e la ritengo parte dello scambio paritetico tra produttori di contenuti e fruitori, una delle tante promesse non mantenute della rete e della sua diffusione capillare. Si è risolta invece in incrocio tra un comunicato pubblicitario permamente e un pollaio dai contenuti distopici inimmaginabili a priori, almeno dai comuni mortali: veicolo di riaffermazione dello squadrismo, sia pure di tipo nuovo e adeguato alla realtà del virtuale, ma dagli effetti non dissimili da quello materiale di un tempo. Agli occhi di chi sapeva cosa stava facendo, invece, e soprattutto perseguendo, è un elemento probabilmente andato al di là delle prospettive più rosee che a suo tempo si potevano immaginare.
Anche qui, allora, potremmo dire: “E cosa credeva la plebaglia tecnologizzata, che internet fosse stato inventato per la loro felicità?”
Tra le sue conseguenze, appunto l’aver reso lo strumento informatico un accessorio sempre più inscindibile dalla realtà e dalla vita quotidiana di tutti noi, elemento che la somministrazione di dati audio da remoto non può che contribuire a esasperare ulteriormente.
Al punto in cui siamo vale la pena di chiedersi se effettivamente lo strumento informatico resti ancora tale, ossia un accessorio, o se invece non si avvii a diventare un’appendice del nostro corpo, destinata a diventarne parte integrante. E addirittura se non ci si stia inoltrando lungo un percorso in cui il nostro stesso corpo diverrà presto un’appendice del moloch onnipervasivo a codifica binaria.
A quel punto che ne sarà di noi e del modo con cui siamo abituati a rapportarci con il nostro corpo,e con quello altrui secondo i dettami che Madre Natura ha prodotto migliaia o forse milioni di anni fa ed ha avuto la sua evoluzione lungo quel lasso di tempo incalcolabile? Quali saranno i rapporti sociali che andranno a instaurarsi e poi a diventare dominanti in seguito a questa realtà? Quali gerarchie si determineranno e come andranno a modificarsi e ad articolarsi in funzione della prevalenza sempre più significativa del digitale nei confronti di tutto quanto ha origini organiche e degli strumenti elettromeccanici di attuazione sottoposti al suo controllo? Quali prospettive di vita si determineranno in funzione di questo cambiamento che nessuno ha richiesto e tantomeno avallato ma si sta facendo di tutto per renderlo inevitable?
Soprattutto, quale potere avranno i pochissimi che sono in grado di controllare quella tecnologia nei confronti delle moltitudini che invece se la vedranno cadere dall’alto? Dimostrazione ennesima che il progresso tecnologico e quello sociale devono andare di pari passo. Se ciò non avviene, le distorsioni che ne derivano sono tali da precipitare l’umanità in quello che è a tutti gli effetti un regresso di portata storica e già ora lo stiamo sperimentando. E’ in grado se non governato in modo corretto, e non si vede chi oggi lo possa fare, e ancor meno chi ne abbia la volontà, di precipitare tutti noi in condizioni non dissimili da quelle dell’età della pietra, mentre tutto il potere, anche quello di vita o di morte su una platea sterminata di diseredati, e tutta la ricchezza saranno nelle mani di un gruppo ristrettissimo di ottimati.
Ma che importa, di fronte alla comodità della liquida, simili questioncelle non meritano neppure di essere prese in considerazione. La felicità infatti è poter sbragarsi sul divano, inchiodando su di esso le natiche e da li saltabeccare da uno spezzone di brano all’altro, giusto qualche secondo, non di più, potendo spaziare possibilmente sull’intero scibile musicale composto e prodotto a partire dalla notte dei tempi fino a un miliardesimo di secondo fa. Tutto questo pagando una modica somma mensile: “SOLO” 9 euro e 99!
Di fronte a una pacchia del genere chi può aver voglia di rovinarsi la vita con quesiti tanto astrusi?
Facciamoci caso, quando nelle pubblicità si ritiene necessario fare riferimento al prezzo del prodotto o del servizio in questione, quel “solo” o “a soli” viene utilizzato con frequenza sempre maggiore, tanto da essere diventato immancabile. Come mai dunque c’è questo bisogno pressante di spingerci a pensare che quel prezzo sia così basso o meglio ancora irrisorio? Forse perché non lo è assolutamente? Del resto se lo fosse davvero di dire ” a soli” non vi sarebbe bisogno, ciascuno lo capirebbe per conto proprio. Senza tralasciare che l’unità di misura in cui è espresso quel costo è stato il veicolo d’impoverimento e precarizzazione di massa più efficace e distruttivo che mai la mente umana abbia concepito.
Quei miseri, insignificanti 9 euri e 99 però, sommati alle altre modicissime, direi anzi filantropiche rette che siamo chiamati o meglio ancora pressati a pagare da sirene irresistibili per un numero di funzioni in crescita perenne, e tutte irrinunciabili, per carità, va a formare una cifra sempre più imponente e pericolosamente vicina al totale degli introiti mensili di tanta gente. Oltretutto ci si obbliga a spenderla mensilmente per tutto il corso della propria vita.
Un vero bengodi, in particolare per chi le eroga, quelle funzioni.
Senza contare che così facendo ci si va a legare a una forma di controllo e di guida da remoto della nostra stessa esistenza basata sull’indebitamento. In quanto costituito da un serie di somme irrilevanti se prese una per una è ancora meglio, così chi si ritrova in quella situazione è più facile che non se ne accorga. Risultato, allontanare sempre più da noi stessi il concetto di libertà. Della quale, in fondo, un numero di persone sempre maggiore dà l’idea di non sapere più cosa farsene.
Dunque perché mai impegnarsi per qualcosa di cui non si vede l’utilità?
C’è poi un’altra componente essenziale del fenomeno, quella dell’isolamento, tantopiù paradossale e complesso da far comprendere a chi ne è vittima, proprio perché va a concretizzarsi entro un sistema apparentemente destinato alla comunicazione senza limiti di sorta.
In teoria dovrebbe mettere in contatto immediato persone anche all’altro capo del mondo. Questo in effetti avviene, anche se con un’incidenza trascurabile. La maggioranza soverchiante dei casi vede invece ognuno rintanarsi nel suo cubicolo, anch’esso virtuale e per questo ancor più impenetrabile, per dialogare non con un suo simile ma con una macchina. Basta salire su un treno, autobus o metropolitana per osservare il fenomeno. Tutti o quasi sono intenti a compulsare un pannello luminoso, mentre i pochi che non lo fanno sembrano avere gli occhi persi nel vuoto. Di contatti materiali tra quelle persone, neppure l’ombra.
Siamo sicuri di esseri ancora umani o per caso non siamo già stati trasformati in automi?
A nostra insaputa e tuttavia col nostro beneplacito, quello mediante cui acconsentiamo alle condizioni d’uso di un qualsiasi dispositivo o applicativo digitalizzato.
Qui sorge spontanea un’altra domanda: perché un sistema dimostratosi capace di esprimere un predominio assoluto a livello globale teme a tal punto l’associazione di più individui da cercare con ogni mezzo di renderli quanto più isolati possibile e di chiudere ogni possibilità di ritorno?
Forse perché si rende conto della sua innata debolezza, ancora una volta conseguente alle contraddizioni insanabili da cui è gravato, e come tale si sente sufficientemente al sicuro solo nel momento in cui può trarre vantaggio da un rapporto di forze a tal punto sproporzionato?
Isolamento oltretutto che produce alienazione, della quale, forse, il saltabeccare compulsivo da un brano all’altro tipico degli utilizzatori del sistema potrebbe essere un’avvisaglia. In ogni caso il fenomeno appena descritto si verifica anche in quel contesto, dove da un lato gli utilizzatori si compiacciono di avere la possibilità teorica di accedere all’intero repertorio musicale, ma dall’altro non hanno più la costanza di ascoltare per intero neppure un singolo brano di tre minuti.
A questo riguardo, se proprio grazie alle modalità d’ascolto indotte dalla liquida i suoi fruitori indulgono quasi esclusivamente nel saltabeccare da un brano all’altro ogni pochi secondi, tanto l’importante è ascoltare soltanto quel dato spezzone, alla lunga che fine farà tutto il resto di ogni brano? Con ogni probabilità lo si andrà a comporre in funzione delle caratteristiche e delle modalità d’impiego materiali di quel sistema di ascolto e distribuzione, ma soprattutto delle abitudini che esso induce mentre, nel frattempo, avrà preso piede in maniera ben più capillare rispetto a quanto avvenuto finora.
Quindi tutto il sovrappiù, ossia tutto quanto eccede lo spezzone che viene ascoltato, anch’esso calcolabile e verificabile al milionesimo dal sistema di distribuzione, si rivelerà inutile. Così non avrà più motivo di esistere.
Ecco un ulteriore elemento che si aggiunge agli altri presi in esame a suo tempo. Tutti insieme vanno a comporre uno scenario dal potenziale distruttivo, oltreché distopico, ancora una volta senza precedenti.
Arriviamo poi al dB o all’Hertz in più cui Fabio ha fatto riferimento nella seconda missiva, dando per scontata la superiorità del nuovo sistema pur non essendone utilizzatore, il che denota gli effetti materiali del bombardamento a tappeto eseguito a suo favore nel corso degli anni, a testate, siti, forum e gruppi social unificati.
A tale proposito va considerato come, in realtà, non esista ancora “liquida” in grado di confrontarsi con il supporto fisico. E non esisterà mai, almeno fin quando non ci ritroveremo tutti entro un immenso forno a microonde a cielo aperto.
Ammesso e non concesso che l’aumento esponenziale dei dati sia la strada per migliorare le prestazioni del sistema: quello peraltro sarà solo il contesto entro cui detto incremento sarà possibile. Riguardante il sistema di somministrazione di dati audio a distanza, meglio noto come “liquida”, termine lobotomizzante che deriva da liquidare e come tale suggerisce, a chiunque abbia volontà di osservarle, le reali finalità del progetto.
Altro invece è la possibilità concreta che quell’incremento abbia luogo effettivamente. Prima di tutto in funzione della profittabilità del servizio e delle difficoltà insite nel far si che si materializzi.
Prima ancora infatti viene la richiesta da parte del pubblico. Se si sorbe di buon grado quello che passa il convento, inneggiando oltretutto come se non ci fosse un domani al sistema più efficace, comodo e fedele in assoluto, in piena conformità ai desideri dei gestori del servizio e forse superandoli persino, perché mai impegnarsi alfine di rendere più sapida la minestra, cosa che a fronte di costi tuttaltro che irrilevanti non avrebbe senso, proprio in funzione dei meccanismi che regolano domanda e offerta?
Al di là di tutto questo c’è l’elemento di fondo da tenere sempre in considerazione: l’Hertz o il dB di cui parlavamo prima non significano assolutamente nulla. Proprio perché ai fini del realismo, della coerenza e in definitiva della naturalezza della riproduzione, ossia i veri fattori che contano ai fini della fedeltà, che oltre a dover essere alta non è mai un termine fine a sé stesso, non è stato ancora scoperto il parametro atto a riassumerli con un valore numerico.
E probabilmente mai lo sarà, trattandosi di realtà troppo complesse per essere ricondotte a un metodo e a una parametrazione di tale superficialità.
In ogni caso, a favore della liquida non c’è nessun Hertz o dB in più per un qualsiasi parametro.
C’è invece un calo prestazionale evidente all’ascolto, che nelle sedi opportune si cerca di contrastare nei soliti modi, ovverosia pompando tutto il pompabile, compresi i commenti entusiastici e anche laddove sarebbe meglio lasciare le cose come stanno, dato che con ogni probabilità sono state fatte in un certo modo per un buon motivo, e quindi rendendolo ancora più artificioso e irreale.
Una prova pratica, del tutto casuale
Ci accorge di questo non appena si ha la ventura di eseguire un confronto, sia pure in una modalità del tutto estemporanea.
Qualche giorno fa sono stato a casa di un appassionato, per provare un pre fono di quelli che realizzo personalmente, tra l’altro il più modesto.
E’ stato inserito entro un impianto buono ma privo di chissà quali velleità: Thorens 160 con testina Ortofon di prezzo medio, istallato su un comune mobile a ripiani, amplificatore Marantz 1200 e diffusori costruiti da un artigiano, che non conosco ma deve essere bravo, data la loro sonorità impeccabile. Il tutto privo degli accorgimenti tipici dei sistemi più curati: l’impianto tipico del padre di famiglia, oltretutto numerosa e come tale limitante per le sue possibilità di spesa a fini hobbistici.
L’ascolto di alcuni LP ha evidenziato la loro naturalezza e nello stesso tempo il divario ragguardevole esistente tra l’impiego dello stadio fono interno al Marantz e il pre fono esterno. Dopo aver ascoltato un certo numero di brani, il padrone di casa mi fa: ” Vogliamo provare ad ascoltare questo pezzo con la liquida?”
Così accende un player Cocktail Audio, della cui presenza non mi ero neppure avveduto, che non appena in funzione mette in mostra le sue forme attraenti e modernissime ma soprattutto il bel display, dall’illuminazione misurata e fascinosa, pieno d’informazioni su tutto quel che si può desiderare e forse di più.
In un istante trova lo stesso brano: per recuperarlo dalla raccolta di LP occorrerebbe molto ma molto tempo in più. Oltre ovviamente alla fatica improba di alzarsi dal divano ed estrarlo dalla copertina, dalla busta interna, trovare un posto su cui appoggiarle e poi porlo sul piatto, dove afferrando il braccio e sobbarcandosi il disturbo di posizionare la puntina esattamente sui solchi muti iniziali, dare finalmente inizio alla riproduzione, ormai esausti e sudaticci.
Col sistema modernissimo invece inizia a suonare alla semplice pressione di un pulsante. Presto basterà la sola forza del pensiero e poi forse neppure quella. Sarà il sistema stesso a leggere la nostra volontà di ascoltare un certo brano prima ancora che noi ci si possa rendere conto della sua esistenza.
Ovviamente è riprodotto in alta definizione e forse persino altissima, che qualunque cosa voglia dire è comunque il traguardo ultimo dei destini magnifici e progressivi dischiusi dal sole radioso dell’avvenire digitale. Inventato, materializzato e diffuso per dare agli appassionati l’appagamento definitivo e insuperabile dei loro più intimi desideri.
Così il brano inizia a suonare in tutta la gloria sfolgorante dei millemila bit campionati a frequenze ultraterrene.
Cosa desiderare di più e di meglio? Assolutamente nulla ci mancherebbe altro.
Eppure di li a poco ci si accorge che c’è un ma.
Grosso oltretutto come una montagna. Fin dalla terza battuta s’inizia a capire che c’è qualcosa che non quadra. La naturalezza e la vitalità della riproduzione analogica ascoltata in precedenza, per conseguenza caratterizzata da un buon livello di realismo, risulta ben più difficile da percepire. Anzi di essa, pur con tutti gli sforzi, non si riesce più a trovare traccia. E’ proprio scomparsa, sostituita da qualcosa che invece appare irrimediabilmente finto.
Siamo sprofondati in sostanza entro una sonorità che definire di plastica è ancora inadeguato per quanto è innaturale.
E’ piccola, lontana, chiusa all’interno dei diffusori, dei quali stenta persino ad appaiare le dimensioni. Malgrado ciò si percepisce senza difficoltà che il brano passato attraverso il sistema di liquida è stato pompato in misura considerevole agli estremi banda. Ma questo invece di presentarlo in maniera più gradevole, quantomeno a un ascolto superficiale, lo rende ancora più artificioso e oltretutto senza poter influire in modo alcuno nei confronti del sapore irrecuperabilmente fittizio che grava sulla riproduzione.
Al di là della caratterizzazione timbrica, infatti, è evidente che proprio nella sua essenza, alla sua radice, c’è più di qualcosa che non quadra.
Eccoci dunque: la sorgente e il supporto di oltre mezzo secolo fa, solo messi nelle condizioni minime di esprimere il loro potenziale, hanno un effetto semplicemente devastante nei confronti del sistema all’avanguardia più assoluta e decantato da ogni parte come il non plus ultra, di fronte al quale tutto il resto non dovrebbe essere che obsolescenza e inadeguatezza.
In realtà invece ogni paragone si rivela improponibile e vede perdente su tutta la linea, in misura oltretutto inattesa persino dal suo più fiero e irriducibile avversatore, quello che sulla carta è descritto da tutte le fonti allineate come inoppugnabilmente superiore.
Si è rivelato a tal punto inascoltabile, dopo aver provato un analogico appena decente, da far decidere di terminare al più presto il confronto, proprio perché l’udito dei presenti, nessuno escluso, chiedeva pietà. O meglio, imponeva nel modo più pressante il ritorno all’ascolto di qualcosa non così esasperatamente innaturale e disarmonico.
Nuova dimostrazione che la liquida è stata chiamata così per un buon motivo, stante nella sua efficacia di liquidare qualsiasi traccia di sonorità provvista di addentellato, sia pure il più remoto, con quella reale.
Ora naturalmente gli strenui difensori del sistema inizieranno a discettare sulle origini e le prerogative del brano, su quelle del servizio attraverso il quale è stato somministrato, su quelle del player, e su tutta un’altra serie di aspetti insignificanti e qusiquilie le più varie ma sempre prive di attinenza, da bravi debunker del quarto d’ora di ricreazione.
Pervicacemente determinati a difendere fino alla morte le catene che li imprigionano e quindi a trascurare l’unico argomento degno di essere preso in considerazione. Che è il seguente: se la liquida è così inoppugnabilmente superiore a tutto il resto e a tal punto definitiva nelle sue prerogative inarrivabili, perché mai si dovrebbero valutare preventivamente tanti aspetti collaterali per poterne trarre un rendimento almeno accettabile per chiunque abbia il minimo di esperienza e di educazione all’ascolto?
Al di là di questo, comunque, è proprio tutto il sistema a essere bacato, all’origine.
Soprattutto in quanto risponde al progetto di ovinizzazione del genere umano, o meglio della sua riduzione a un insieme da gestirsi per mezzo dei sistemi propri dell’industria zootecnica. Non a caso è condotto da chi vede come “animale parlante” chiunque non appartenga alla sua casta d’intoccabili, e si articola sul controllo totale delle popolazioni, da tempo perseguito a livello globale, finalizzato ad acquisire il dominio sul genere umano nella sua interezza.
Solo in quel modo è possibile metterlo a profitto nel modo più efficace, in funzione dell’estremizzazione ultimativa dell’unica legge conosciuta dall’organizzazione sociale capitalista. Con questo mezzo, ora che le sue contraddizioni irrisolvibili e quelle dello schema Ponzi su cui si regge rischiano di farla crollare come il castello di carte che in effetti è, intende giungere a una forma di potere non più sovvertibile, quindi alla sua affermazione assoluta e definitiva.
Come tale va a sottrarre a ciascuno un pezzo dopo l’altro della sua indipendenza, a ritmo crescente, fino a rendere priva di significato la parola stessa. Evento che già oggi si verifica per un numero d’individui in aumento esponenziale, e quel che è peggio senza che si rendano conto della cosa.
Ne sono anzi talmente coinvolti, in maniera non di rado entusiastica, da guardare a chi si tiene a distanza da quel fenomeno come un inguaribile retrogrado, passatista, che in quanto tale è consigliabile porre ai margini del consesso civile e, come dici tu, feticista dell’oggetto.
Trasformandosi però, già con l’impiego di tale definizione, e forse senza rendersene conto, in feticisti ancora peggiori della tecnologia e del virtuale. Dato che almeno l’oggetto funziona, la tecnologia e il virtuale invece no e come tali rimangono nel regno del fittizio.
Oltretutto, lo si voglia o meno, non hanno proprio nulla a che vedere con la vita reale. Di conseguenza deve essere spinta a una sofferenza intollerabile per indurre chicchessia ad accettarne il sostituto virtuale, oltretutto presentato in maniera ingannevole come il mezzo di appagamento di ogni desiderio. Non a caso è proprio in questa direzione che premono ormai da decenni le politiche sociali poste in atto in tutto il mondo occidentale dai governi di qualsiasi colore politico, dietro il quale però si celano sempre gli stessi pupazzi.
E’ evidente allora che se a tal fine si compiono sforzi simili, il trasloco dell’umanità dal reale al virtuale deve essere un affare di portata incalcolabile. Il che costitusce già di per sé un ottimo motivo per rifiutarlo a priori.
Agenda
La definizione di feticista dell’oggetto è perfettamente in linea con le finalità dell’agenda 2030, della cui attuazione è incaricato il World Economic Forum. Ciascuno dei suoi componenti prende ogni anno il suo jet privato, per un totale di qualche centinaio di velivoli, per incontrarsi a Davos. Località dove si tiene il congresso in cui costoro decidono che tutti gli altri devono rinunciare all’uso dell’auto, del riscaldamento domestico e persino della cucina a gas e domani della loro abitazione, come già stabilito dalla normativa europea, perché inquinerebbero troppo.
Nella sua interezza il concetto è riassunto dallo slogan “Non avrai nulla e non sarai mai stato così felice“, nel quale anche la liquida rientra in maniera esemplare.
La coerenza con cui quei figuri portano avanti il loro progetto è esemplificata dalle modalità stesse con cui si tengono le loro riunioni.
Ecco dunque che acquisisce la migliore delle evidenze un aspetto essenziale della questione: nel momento in cui si rifiuta un contesto, un’ideologia, una direttrice di sviluppo prestabilita, la prima cosa che ci si deve aspettare è la delegittimazione, e poi l’emarginazione, insite nel significato stesso della definizione che ci si vede attribuire, in questo caso feticista dell’oggetto.
E’ essenziale e decisivo rifiutare insieme ad essa, a priori, ogni elemento che vi sia riconducibile. A iniziare da slogan e modi di pensare, ma soprattutto dal vocabolario di cui fa parte e dai concetti che derivano e conseguono dall’impiego dei lemmi per esso coniati appositamente. Nel loro insieme formano la neolingua che ne è parte integrante e costituisce un veicolo di propaganda e di induzione a comportamenti predeterminati, inevitabilmente ingannevole per sua stessa natura. Dunque fatto apposta per conseguire le finalità di chi controlla tutto il meccanismo, a insaputa della sua vittima.
Prima si ripetono modi di dire nuovi, ritenendoli neutri quando invece non lo sono assolutamente. Dato che se così fosse non vi sarebbe motivo d’inventarli. Poi li si fa propri e infine ci si ritrova a pensare in un modo e a eseguire azioni che non sono frutto della propria volontà, cui si è trascinati subdolamente dal battage eseguito per il loro tramite, finalizzato appunto a imporli.
Il tutto entro un contesto che ha mostrato nel modo più drammatico, da un lato, la realtà delle istituzioni pubbliche, che ormai persino a livello degli organi supremi di garanzia sono al servizio dell’interesse privato e monopolistico.
Del resto se quei monopoli sono arrivati a detenere e per conseguenza a poter muovere somme superiori a quelle del prodotto interno lordo degli Stati più ricchi del pianeta, è inevitabile che si pongano su un livello gerarchico superiore, soprattutto in un mondo capitalista giunto alle sue conseguenze estreme e ansioso di oltrepassarle, perfino.
Si è generato così un groviglio inestricabile tra queste due entità, monopoli privati e istituzioni pubbliche in apparenza distinti e separati, da rendere evidente e inevitabile che, come per quegli intrichi di rovi e sterpi a tal punto fitti e impenetrabili da infestare interi terreni, l’unico rimedio sia la motosega.
Sotto un altro aspetto i principi alla base di determinati appellativi ci fanno capire che nel perseguimento di quel progetto non si ha intenzione di fare prigionieri. Del resto non si è esitato a produrre una vera e propria strage a livello mondiale pur d’imporre gli strumenti che nel prossimo futuro saranno adibiti al controllo totale delle nostre vite.
Lo si è fatto sempre a mezzo del pretesto e dell’inganno, sullo sfondo del terrore, simboli inarrivabili della codardia e dell’efferatezza con cui chi ha tutto il potere persegue i suoi obiettivi.
L’espressione cui Fabio ha fatto riferimento, peraltro assai ben centrata nelle sue finalità, feticista dell’oggetto, pone in evidenza come non ci si faccia mai mancare nulla, nel momento in cui si ritiene necessario vietare qualcosa, sia esso una scelta o un comportamento, ma senza dare l’impressione di farlo. Si ricorre così alla psichiatrizzazione del diverso, con un utilizzo della semantica, che è a tutti gli effetti un’arma di controllo di massa dagli effetti micidiali. Appunto con l’intenzione di non fare prigionieri e di tracciare un solco in cui chi è di qua è di qua e chi ne è al di là guai per lui. E’ un reietto, un paria, un individuo socialmente pericoloso, dal quale è innanzitutto consigliabile tenersi alla larga.
Per forza di cose allora, chi non è parte della soluzione, per un problema giunto a dimensioni insostenibili non può essere altro che parte del problema. A ciascuno l’onere di decidere da che parte stare e quali ne saranno le conseguenze, per sè, per gli altri e ancor più per quelli che verranno.
Reticolati virtuali, dunque, come tali dunque in misura enorme più efficaci di quelli veri e che soprattutto non è possibile scavalcare, proprio in quanto materialmente inesistenti.
Se si osserva questo metodo di discriminazione e soprattutto i moventi in funzione dei quali è attuato, non può passare inosservato il capovolgimento dei valori in atto. A tal fine va avanti con sempre maggior forza la tendenza a sdoganare i comportamenti peggiori, come la pedofilia, l’adorazione del male, la tratta dei minori, come serbatoio di pezzi di ricambio e materie prime necessari per l’industria del trapianto e dell’eterna gioventù, o lo sciogliere le persone nell’acido, come si dice sia prassi abituale negli ambienti mafiosi. Rispetto ai quali le vicende recenti dimostrano che sono innanzitutto le istituzioni di uno Stato ormai irrimedibilmente deviato i mandanti e fruitori della loro opera.
Per contro si osserva la criminalizzazione di atti che fino a ieri erano ovvi ma ora non lo sono più. Tra questi la salvaguardia della vita umana, l’ostinarsi a usare il contante, la difesa della propria libertà di movimento, il mangiare carne, ritenere che in Natura i sessi siano due e infine mantenere una collezione musicale basata sul supporto fisico e in conseguenza i dispositivi volti alla sua fruizione. Questi, insieme a tutto il resto e proprio in funzione della disobbiedienza al canone primario dell’agenda 2030, non avrai nulla e non sarai mai stato così felice, sono messi alla stregua di uno psicoreato. Da perseguire pertanto con la più grande fermezza, appunto mediante la messa ai margini di chi insista a indulgere in certe attività, oggi. Domani, grazie alla digitalizzazione, gli sarà vietato comperarsi da mangiare, vendere oggetti personali o accedere al posto di lavoro, ammesso che gli sia consentito di averne uno.
Il rapporto con l’oggetto, altro elemento puntualizzato da Fabio, è un ulteriore aspetto della questione. Se il futuro deve confluire nel metaverso, ossia nel virtuale innalzato a contenitore di qualsiasi azione ed esperienza propria dell’essere umano, va da sé che il rapporto con l’oggetto materiale debba essere bandito. Come tale è ipotizzabile che presto verrà sanzionato, proprio in quanto azione contraria all’indirizzo stabilito per il bene comune.
A questo punto mi chiedo: se tutto deve andare a finire nel virtuale, perché mai Bill Gates, che è figura centrale del progetto, non fosse che per i suoi trascorsi nell’ambiente informatico dal quale ha preso le mosse lo scenario oggi dato per inevitabile, è divenuto nel giro di pochi anni il possessore della maggior estensione di terreni coltivabili di tutti gli Stati Uniti e forse persino dell’intero mondo?
Cosa stanno cercando di costruire realmente quanti fanno parte del suo giro?
In quel progetto è compresa anche la cosiddetta cultura della cancellazione, altro strumento volto a produrre un pretesto culturale per l’eliminazione di tutto quanto possa suggerire che chiudere l’intero microcosmo della nostra esistenza ed esperienza nell’ambito del virtuale possa non essere un fine così vantaggioso.
Il fare del computer o comunque del terminale di ricezione dei dati somministrati da remoto un’appendice del nostro corpo, sempre più integrata in esso al punto di far apparire come una minorazione il suo mancato utilizzo e ancor più il rifiuto deliberato a una scelta simile, è un aspetto sempre più evidente che però non si vuol vedere. Dunque si preferisce rivolgere tutta l’attenzione non alla luna ma al dito che la indica, rappresentato appunto dalla pretesa comodità del sistema e dalla disponibilità infinita di album e opere le più varie, della quale peraltro le persone non sanno che farsene, saltabeccando ogni pochi secondi da un brano all’altro in una frenesia inimmaginabile ai tempi del supporto fisico.
Le conseguenze pratiche per l’oggetto su cui si esercita tale frenesia le abbiamo viste qualche riga fa. Credo sia importante tuttavia rilevare anche come la disponibilità spinta all’estremo di un bene qualsiasi comporta innanzitutto la perdita per la cognizione di ogni suo valore e, in seguito ad essa la sua dilapidazione, che come nel caso in questione può essere irreversibile.
Siamo sicuri che tutto questo possa essere giustificato semplicemente in nome della comodità? E ancora, chi può avere la sicurezza che non si tratti di un raggiro colossale, volto a toglierci un altro elemento d’indipendenza e soprattutto di riflessione e crescita culturale autonoma, essenziali ai fini della nostra evoluzione?
Del resto, se l’obiettivo che si persegue è quello della riduzione di qualsiasi componente del genere umano a entità da gestirsi zootecnicamente, ogni ipotesi non dico di elevazione ma di mera conservazione dell’odierno livello intellettivo, concettuale, culturale o spirituale che dir si voglia è del tutto incompatibile con quel progetto.
Hal 9000
In ultimo, un elemento diciamo così di colore. Guardando l’occhio del pick up raffigurato nella foto d’apertura, appare evidente la sua rassomiglianza con quello di HAL 9000, al centro del film che per primo nella storia ha avuto quale interprete principale non un essere umano ma un sistema digitalizzato, “2001 Odissea Nello Spazio” del mai compianto abbastanza Stanley Kubrick.
Dissimulato dalle vicissitudini di Bowman, l’astronauta che finisce per diventare una sorta di divinità, c’è il contenuto fortemente distopico del significato e il monito altrettanto significativo derivante dall’attribuire a un computer il destino di uno o più esseri umani.
In quel film, tra i primi esempi di pellicola dalla quale poi si è tratto un libro, quando di solito avviene l’inverso, si percepiscono le ere geologiche e la vera e propria mutazione antropologica passate dall’anno del suo primo passaggio nelle sale conematografiche, il 1968, a oggi.
Tra l’altro il 2001, che allora appariva come una data adeguatamente futuribile, ormai è passato da un pezzo e già questo toglie alla storia che vi si narrà parte rilevante del suo fascino. Oggi sembra improponibile anche l’ampiezza del soggetto, che spazia dagli albori della storia dell’uomo fino a quelli che all’epoca erano ritenuti gli elementi di maggiore avanguardia tecnologica e concettuale, l’esplorazione spaziale. Con il sottostante tuttaltro che banale volto a suggerire che potesse assumere un connotato estremamente realistico, malgrado si trattasse di una finzione cinematografica, per quanto ben costruita.
Tutto appare ancora oggi collocabile nel futuro, non si sa se a significare le enormi capacità di astrazione di chi ha concepito quella storia e quelle scene, o la velocità e ancor più la direzione prese dell’evolvere della realtà umana, ben diverse da quanto previsto nella storia raccontata dal film.
Completamente fuori dalla realtà odierna poi è l’estrema lunghezza della pellicola, che nella versione meno rimaneggiata si avvicina pericolosamente alle tre ore. Il tutto in una sceneggiatura che si svolge con una lentezza persino esasperante se osservata con gli occhi dello spettatore attuale. Un vero mattone, insomma, non indigeribile ma al quale non sarebbe proprio possibile accostarsi per la quasi totalità dell’umanità di oggi.
Per non parlare poi del vero e proprio tripudio di effetti speciali, sui quali si basa tutto il film, che ormai sono l’ingrediente unico di tante pellicole. Il problema è che quegli effetti sono resi in maniera talmente realistica, pur coi mezzi limitati di allora, da non apparire più come tali, ossia speciali. Quindi non suscitano più l’interesse che le platee sono state ammaestrate, ancora una volta zootecnicamente, ad attribuire ad essi.
Eppure all’epoca lo videro tutti e tutti si lanciarono nella risoluzione dell’enigma dato dal significato del racconto. Al punto che divenne uno degli argomenti del giorno e tale rimase a lungo. Oggi le capacità di concentrazione riguardo a un singolo soggetto, probabilmente non permetterebbero neppure di vedere la metà del primo tempo di quel film, figuriamoci mettersi a discettare sui suoi significati più o meno reconditi, spinti proprio dalla sceneggiatura tanto criptica, che oggi non si prenderebbe neppure in considerazione.
Ecco perché ritengo giusto parlare di mutazione antropologica, perseguita e ottenuta nel breve spazio di un cinquantennio.
Agli occhi di un preadolescente di allora, avevo 11 anni quando potei vedere il film per la prima volta, in un cinemetto di terza visione, altra definizione incomprensibile per la realtà attuale che impone il consumo immediato e il conseguente invio in discarica subitaneo di qualsiasi merce o concetto, la differenza con l’oggi sembra non soltanto inverosimile e di una regressività alla quale si stenta a credere. Ancora meno credibili sono i mezzi, apparentemente incruenti ma in realtà di efficacia devastante coi quali la si è ottenuta.
Impossibile o quasi, pertanto, trarre un qualche insegnamento da quello che il film, osservato con gli occhi di oggi vuole dire realmente. Ossia che non si deve affidare il proprio destino, con tutte le sue innumerevoli sfaccettature, a un dispositivo creato dall’uomo, e pertanto a lui inferiore già in via consequenziale, capace unicamente di operare in ragione di uno e di zero.
Per sua attitudine intrinseca, quegli uno e zero è capace di farli succedere con velocità strabiliante e oltretutto in perenne crescita. Ma sempre uno e zero rimangono, motivo per cui forse in quel film, forse altrove è stata data a detta tipologia di dispositivi la denominazione di scemo veloce.
Scemo, proprio in quanto non in grado di fare nulla più di quanto previsto dalla sua programmazione e quindi non sia già presente nella sua memoria. Tuttavia i disastri che è in grado di combinare sono enormi, in proporzione con la criticità delle mansioni che gli si affidano.
Dal punto di vista attuale, trovo parecchio significativo che all’epoca della concezione di quel film, ossia a metà degli anni sessanta, stanti i tempi tecnici di ideazione e produzione, si sia ritenuto così importante promuovere quel messaggio. Ancor più date le risorse investite, stante la difficoltà di ricostruire con immagini una realtà futura tanto distante e senza l’ausilio delle tecnologie oggi scontate e sia pure dissimulandolo e diluendolo all’interno di altri elementi narrativi similmente distraenti.
Più ancora: si è trattato di capacità di astrazione tanto al di fuori dal comune, soprattutto per l’epoca in cui hanno avuto luogo, o forse già allora erano previste le direttrici secondo cui la Storia del genere umano si sarebbe dipanata, sia pure a una tale distanza temporale?
E poi perché una contraddizione tanto stridente: da una parte l’uomo che in seguito alle vicissitudini indotte dal progredire della tecnica e alle casualità determinate dal suo affidarvi il proprio destino senza forma di prudenza alcuna finisce col trasformarsi in un’entità semi-divina. Dall’altra la capacità di quello scemo veloce di eseguire una serie di attività quasi infinita e in prima istanza essenziale ai fini dello sviluppo dello stesso genere umano, fermo restando il suo limite di non essere in grado di andare oltre alle istruzioni consegnategli.
Limite che finisce con il porre a repentaglio l’esistenza di quello stesso genere umano, che si salva solo per l’intraprendenza di un individuo resosi capace di immaginare una soluzione oltre i limiti del possibile, che quindi la macchina non poteva prevedere, proprio in virtù delle sue istruzioni.
E ancora non basta: se alla programmazione di quelle istruzioni sovrintende un branco di psicopatici all’ultimo stadio della loro deviazione irreversibile, già nella narrazione del film e oggi in sostanza quelli che trovano in un tipo alla Klaus Schwab e al suo braccio destro Yuval Harari interpreti affidabili e congrui alle loro prospettive per i tempi che verranno, quali sono i risultati concreti che ne potranno derivare?
Chiudo con una considerazione per la quale forse pecco d’orgoglio, ma spero mi sia consentita. Di fronte alle zuffe, all’idiotizzazione fanatizzata spinta all’estremo, ai cortili bercianti di social, forum e siti internet, missive come quelle inviate da Fabio e da tanti altri credo costituiscano la riprova concreta del livello qualitativo di un’attività che con quella roba non solo non ha proprio nulla a che fare ma è del tutto incompatibile, proprio a livello fisiologico.
Grazie a tutti voi.