Liquefare l’analogico? No, grazie.

Roberto mi scrive:

Gentile Claudio,
mia moglie, caratterizzata da WAF e finezza audiofila elevatissimi, quando metto su un LP se ne esce sempre distrattamente con fasi insindacabili del tipo: “…è un’altra cosa…”. E sì che il CD player che abbiamo è quanto di meglio io abbia mai sentito a costi relativamente accettabili (4.000 $), infatti ci piace molto…

Ma è accaduto che dopo 40 anni di servizio se ne andò il pre. Verificata l’impossibilità di ripararlo me ne sono costruito uno a tubi solo linea, rimandando la realizzazione in proprio di un riaa quando ne avessi avuto il tempo e mi fossi imbattuto in un progetto convincente. Così sono passati un paio d’anni nei quali ho quindi ascoltato solo in digitale.

Ora un amico mi ha prestato un pre riaa di buona fattura e ho ripreso ad ascoltare analogico.
Il risultato è che temo di passare al lato oscuro.

Il suono dei miei dischi è sempre quello: “… è un’altra cosa…”, ma sono i dischi nuovi che sono un disastro… Suonano fasulli come una moneta da tre euro, spesso male al punto di darte fastidio. Non reggono il confronto con l’originale assolutamente, ma nemmeno col CD. Non parliamo poi di quando recano dei ‘toc’ ripetuti come da graffio (che non c’è) non appena tolti dalla copertina, evidente difetto di fabbrica. Mi è appena successo con un LP dei Rolling Stones…

Nell’agosto del 1995 Carlo Morsiani, irriducibile analogista e notevole costruttore, scriveva: “Quando si ascoltano dischi analogici puri il risultato è sorprendente, ma con tutto ciò che è “digitally remastered” o “digital recording” sembra pur sempre di sentire il CD…”.

E adesso siamo arrivati che tutti gli LP sono così: per esigenze conservative che comprendo e approvo, i nastri originali non si toccano più perchè si degradano ad ogni passaggio, quindi si fanno i vinili partendo da file ad alta, altissima (manco l’orbita di Nettuno) definizione che mancano di anima se va bene e di qualità minima se va male… Inutile pressare vinile colori sgargianti a 180 grammi se il risultato è questo. Magari con le stesse macchine dei tempi d’oro, perchè non ha più senso costruirne di nuove “che tanto sta moda del vinile finirà”… e che quindi presentano tutti i limiti dell’uso e dell’abuso.

Così il mio amico del riaa mi ha fatto sentire alcuni di questi file hi-def, mediati da un superbo DAC no-limits perchè lui sa costruire di queste cose. Ebbene non mi è dispiaciuto affatto. anzi, mi è piaciuto molto. Con lui che sorrideva, implicitamente certo che sarei passato anch’io al lato oscuro della musica liquida.

Sottolineo che lui non vende niente, è un geniaccio che fa queste cose per il proprio esclusivo piacere…

Mi sento quindi come Geronimo accerchiato. Che senso ha restare ancorati a un supporto vilipeso e fasullo? Se devo ascoltare il digitale che sia al suo meglio e non pressato su plastica colorata o nera.

Conserverò il mio vinile di un’epoca ormai passata, quasi come me del resto, e pazienza. Ci si adatta. Panta rei, tutto scorre, compreso Eraclito.

Perdona lo sfogo. Dimmi la tua che ti leggo sempre con piacere.

Ciao, buon anno

 

Ciao Roberto,

grazie del messaggio, dell’apprezzamento e degli auguri, che ricambio.

Il primo elemento che voglio rilevare è la qualità media degli scritti che mi pervengono attraverso il modulo contatti di Il Sito Della Passione Audio.

Qualcosa che non solo non è paragonabile, ma ormai non ha proprio più nulla a che fare con la regressione dilagante, leggi neoprimitivismo, tipica di siti, gruppi social e forum dedicati alla riproduzione sonora.

Men che meno con gli effetti dell’analfabetismo di ritorno che a partire dall’analogico, in conseguenza del ventennio di dittatura del digitale, è andato diffondendosi in tutto l’ambito della riproduzione sonora, innalzati ormai a valore evangelico.

Ritengo che la pubblicistica di settore abbia responsabilità enormi per il dilagare del fenomeno, uno di quelli in cui se non si è parte della soluzione, si è parte del problema: vie di mezzo non ce ne sono. E poi che detta qualità sia un parametro attendibile per la valutazione dei contenuti pubblicati rispettivamente qui e altrove, con tutto quel che ne consegue.

Detto questo, andrei per ordine, con gli argomenti che hai proposto, partendo quindi dalle Signore Mogli e Affini.

Ho già scritto da qualche parte della convizione che mi sono fatto in tanti anni di esperienza: le donne hanno qualità uditive superiori alle nostre. Ritengo sia qualcosa di fisiologico, forse perché a loro la Natura ha attribuito il compito di allevare e salvaguardare la prole, quindi di tenerla al riparo da potenziali pericoli. A suo tempo questo necessitava appunto di un udito particolarmente efficiente e costituisce ancora oggi un elemento del bagaglio genetico che le caratterizza.

Poi a loro della riproduzione sonora importa ben poco o proprio nulla, a parte rari casi e quindi la domanda è d’obbligo: il loro disinteresse è questione di ordine culturale, ovvero di abito mentale, oppure si deve proprio alla qualità superiore del loro udito, che come tale rende la riproduzione sonora nella veste in cui la conosciamo cosa degna d’interesse scarso o nullo?

Quanto al famigerato WAF, la mia posizione al riguardo l’ho descritta in un articolo pubblicato ormai diverso tempo fa. Da allora non è cambiata e se per caso non lo hai fatto ti consiglierei di leggerlo.

Qui aggiungo soltanto che uno dei modi più subdoli ed efficaci al fine di prevalere in un confronto, sia esso dialettico o maggiormente incline al piano materiale, è appunto quello di portare l’interlocutore a ragionare secondo i propri valori, e preconcetti, nonché a usare il vocabolario approntato allo scopo. Per conseguenza, chiunque desideri mantenere una posizione indipendente rispetto alle sirene in servizio permenente effettivo, deve porre la più grande attenzione non solo nel tenersi alla larga dalla loro logica e dai concetti che ne conseguono, ma in più rifiutare in toto tutto quanto vi ha a che fare, a iniziare dal loro vocabolario.

Detto questo, riguardo alle sue valutazioni riguardanti l’analogico e le sensazioni uditive che possibile ricavarne, mi trovo perfettamente d’accordo con tua moglie.

Veniamo ora ai punti centrali del tuo quesito. Conosco, solo di fama, il costruttore cui fai riferimento e qualcuna delle sue macchine, di sicuro interessanti. Malgrado ciò, per alcuni aspetti la mia visione dell’analogico differisce dalla sua. Qualche decennio fa sostenne che il supporto analogico sarebbe fisiologicamente destinato alla degradazione, già in seguito a pochissimi utilizzi ossia passaggi sul giradischi, in seguito ai quali le informazioni più sottili andrebbero inevitabilmente perdute.

Ora, è anche possibile che la cosa sia vera, non fosse altro perché, come sostiene un altro costruttore legato all’analogico, non siamo ancora arrivati a conoscere quale sia in effetti il limite ultimo delle informazioni che è possibile fargli contenere. Di conseguenza non possiamo sapere se e quante di esse vadano perdute o meno, in seguito a un utilizzo del supporto ripetuto un certo numero di volte.

In ogni caso, nella mia raccolta ci sono dischi che uso da decenni con una certa continuità e anche le informazioni più sottili della registrazione che portano in sé restano tuttora al loro posto.

Per questo aspetto, dal mio punto di vista sono fondamentali anche le caratteristiche del dispositivo di lettura: se in grado tracciare correttamente con un peso di lettura ridotto, grazie all’elevata cedevolezza dell’equipaggio mobile, quindi abbinato a bracci di massa mediobassa, ci sono buone probabilità che il supporto fonografico debba sopportare carichi e temperature minori, appunto a vantaggio della sua durata nel tempo.

Come ho scritto altrove, la prova del chiodo e della palanca la ritengo dirimente. Se prendiamo un chiodo e lo trasciniamo lungo la supericie irregolare di un asse di legno da costruzione, detto in gergo palanca, in modo che tocchi solo la punta e applicando giusto il minimo di forza necessario, sentiremo sotto le dita tutte le irregolarità della superficie senza causarle alcun danno. Potremo così ripetere l’azione più e più volte. Nel momento in cui andiamo a caricare maggiormente il chiodo, e quindi la spinta effettuata per il suo tramite, la ruvidezza della palanca non la sentiremo più e in compenso avremo lasciato su di essa un bel solco.

La stessa linea di pensiero la ritrovo in quanto mi riporti, riguardo all’utilizzo di registrazioni o master digitali nello stampaggio degli LP, il che testimonia almeno un approccio coerente con la materia dell’analogico. Da parte mia, comunque, mi trovo di nuovo in dissenso, sia pure parziale e coi dovuti distinguo.

In larghissima parte l’analogico di stampa attuale deriva da master a suo tempo digitalizzati ai fini della loro pubblicazione su CD. Procedimento che come tutte le cose di questo mondo ha i suoi pro e i suoi contro. Tra i secondi, l’estrema fragilità dell’informazione originaria nei confronti del numero incalcolabile di manipolazioni alle quali è possibile sottoporla, in virtù di quello che a suo tempo, nell’ambito della produzione, è stato visto come uno tra gli elementi più significativi atti a favorire il trapasso da analogico a digitale: appunto l’aprirsi di prospettive enormi in termini di elaborazione del segnale, tali che nel tempo più breve fu possibile dare persino al pubblico amatoriale possibilità di intervento che fino ad allora erano state patrimonio degli studi di registrazione più aggiornati ed esclusivi.

Le si poteva eseguire oltretutto con una facilità tale da lasciare sconcertati. O meglio ancora da suscitare grande entusiasmo verso l’impiego del personal computer come macchina adibita a registrazione ed elaborazione del segnale audio, durante una breve ma intensa stagione.

A ben guardare, questo genere di attività era figlio delle concezioni allora propagatesi, ancora una volta in seguito al predominio acquisito dal digitale, che voleva tutto quanto fosse di origine analogica sostanzialmente inadeguato e quindi da sottoporre a elaborazione per renderlo meglio adatto alle esigenze venutesi a creare.

In realtà si faceva più danno che altro, proprio perché quando si vanno a toccare determinati equilibri, oltretutto delicati, le conseguenze sono inevitabili. Possibilità del genere erano concretizzate persino da applicativi shareware, come l’allora diffuso “Cool Edit”, malgrado le limitazioni enormi delle macchine su cui girava. Si era allora nell’epoca delle CPU Pentium e delle prime AMD, mentre si gridava fin quasi al miracolo per dischi rigidi della capienza di qualche giga, che oggi si ritiene inaccettabile per una scheda di memoria da telefonino. Ne derivavano attese bibliche anche per operazioni di routine come il salvataggio del file su cui si lavorava, al di là dei salti mortali necessari per far stare tutto nelle quantità di memoria di massa a disposizione, il che decretò in breve l’abbandono di quel filone. Oggi con un portatile appena decente si riescono a eseguire operazioni ben più complesse con ben altra rapidità, anche se non interessano più a nessuno.

Questo è male, perché la possibilità di intervenire sul segnale, e poi di valutare i risultati ottenuti è un elemento di consapevolezza sicuramente utile per il bagaglio di qualsiasi appassionato di riproduzione sonora.

Per tornare ai giorni nostri, se vogliamo la qualità inaccettabile della stragrande maggioranza del materiale analogico di stampa attuale può essere vista come una vendetta dell’industria discografica, nei confronti di quel che le scelte del pubblico l’hanno costretta a fare. Ossia a recuperare l’analogico a distanza di oltre vent’anni dalla condanna a morte che essa stessa aveva decretato.

Se proprio ci dev’essere questo recupero, indotto dal raggiungimento della soglia di massa critica da quanti desiderano utilizzare quel tipo di supporto, e dal giro d’affari che ne consegue in termini economici, unico argomento cui l’industria è sensibile, non può che avvenire che secondo la sua logica, appunto quella industriale.

Al punto numero 1 ha il comandamento stante nel ridurre al massimo i costi, massimizzando per conseguenza i profitti. Ne deriva che ai fini della produzione di massa del supporto analogico, si ricorre ai master digitalizzati senza criterio e ancor meno rispetto per la realtà dell’opera come in origine era stata messa su nastro. Ma soprattutto in funzione di un prodotto, il CD, caratterizzato da necessità del tutto diverse.

A tale riguardo si è eseguita un’operazione che quando andava bene ha dovuto ottemperare ai canoni attribuiti per convenzione all’allora nuovo standard digitale e soprattutto doveva adeguare il suono delle vecchie registrazioni analogiche alle mode e all’estetica sonora che quel sistema e le macchine destinate alla sua fruizione, ossia i lettori CD, avevano creato.

Le conseguenze sono quelle che possiamo immaginare, col sovrappiù della sensazione di onnipotenza prodotta dalle possibilità di manipolazione fin quasi illimitate messe a portata di mano dal digitale, e per conseguenza dal numero enormemente accresciuto di castronerie che si potevano commettere nel suo impiego. In particolare da parte di chiunque non avesse contezza di quali siano gli aspetti salienti che determinano la realtà concreta dell’opera d’arte musicale, appunto in funzione dell’abito mentale indotto dall’improvvisa disponibilità di possibilità tecnologiche tanto ampie, e per certi aspetti galvanizzanti, le andasse a usare senza nessun criterio, ancor meno rispetto e nessuna disponibilità a considerare che se a suo tempo le cose erano state fatte in un certo modo, molto probabilmente c’era un buon motivo.

Proprio quest’ultimo aspetto credo sia degno di rilievo, in funzione del fatto che persino artisti la cui opera è potenzialmente vittima delle azioni scriteriate le cui cause abbiamo riassunto fin qui, una volta passati dall’altra parte della barricata, ossia dietro al banco di regia, si abbandonino a vere e proprie crisi isteriche nel momento in cui si fanno notare loro certe cose.

Un’esperienza del genere l’ho vissuta in prima persona. Se per carità di patria non farò nomi e cognomi, mi è inevitabile considerare che se nemmeno l’autore dell’opera ha il minimo di rispetto nei suoi confronti, probabilmente è preda irrecuperabile della logica consumistica che presiede ai rituali delle riedizioni rimasterizzate che in mancanza di meglio s’immettono ciclicamente sul mercato.

Così, pur di vendere qualche copia in più non solo non ha problemi a deturpare la sua opera secondo i metodi e i moventi descritti fin qui, ma non esita a rivoltarsi contro chiunque ponga l’accento su certi argomenti, oltretutto ricorrendo a una violenza verbale inimmaginabile a priori, condendola con un tentativo di discredito tanto plateale quanto pretestuoso.

Dunque, se non lo fa lui, perché mai chiunque altro si dovrebbe preoccupare di certe cose?

Poi in effetti qualcuno c’è, come il sottoscritto, che però conta meno di zero e proprio in virtù del grande amore che nutre per la musica e della passione nei suoi confronti che ne deriva. Ma per il resto è terra bruciata. Proprio a iniziare dalle sedi che si riterrebbero preposte a salvaguardare un patrimonio, del cui valore non interessa a nessuno, proprio a iniziare dai legittimi proprietari. Fanno eccezione pochissimi, definibili al quel punto come degli illusi.

Ecco dunque che si profila il vero peccato originale del materiale analogico di stampa attuale, stante nel suo derivare da operazioni messe in piedi per esigenze completamente diverse: non realizzare un supporto analogico che suoni bene, ma secondo quel che ci si attende da esso una volta trasposto in formato digitale, quindi secondo le logiche dominanti in quel contesto.

Oltretutto quel master ha ottime probabilità di essere stato rimaneggiato più volte, in funzione dei destini magnifici e progressivi che si vanno ad associare al continuo succedersi di nuovi formati digitali dal maggior contenuto di dati. Di conseguenza il materiale analogico d’origine è stato deturpato e violentato più e più volte, con risultati che non c’è bisogno di descrivere.

Da esso ora si pretende di tornare a stampare su supporto analogico e, quel che è peggio di ricavare di nuovo le sensazioni di una volta.

Ci sembra possibile? A me assolutamente no.

Quindi è del tutto inutile stare a lamentarsi della mancata purezza di pedigree dell’attuale produzione discografica su supporto analogico: farlo significa semplicemente non essere in grado di osservare i fatti nella loro prospettiva storica, come del resto comanda l’eterno presente cui la narrazione attuale fa di tutto per immergerci, proprio affinché non ci si renda conto di quali e quanti danni si sono prodotti, a tutti gli effetti e su tutti i livelli, negli ultimi tre o quattro decenni. Inneggiando oltretutto al progresso, alla tecnologia e alla scienza da cui discendono, la cui iniziale, rigorosamente maiuscola, è stata sostituita dal simbolo del dollaro.

Ne è derivata una forma di modernità come quella attuale, intesa e coniugata secondo una logica squisitamente dittatoriale, tale da revocare il diritto di parola a chiunque si azzardi a osservare la realtà concreta dei risultati ottenuti con quel tramite. Per poi condannarlo al pubblico ludibrio, esercitato pressoché all’unanimità come impongono oggi le regole del pensiero unico politicamente corretto.

Dunque è solo nell’assenza di consapevolezza nei confronti della storia recente dell’evoluzione tecnica e artistica riguardante il settore di nostro interesse che si possono fare determinate affermazioni.

Se invece di seguire come barboncini o peggio greggi di ovini il dettato attuale dell’industria discografica, si utilizzasse il minimo di autonomia di pensiero, di verifica e di azione per andarsi a ripescare gli LP stampati nel corso della penultima fase dell’analogico, spendendo oltretutto molto meno e avendo in cambio materiale molto migliore sotto il profilo tecnico e artistico, si avrebbero probabilità ben più rilevanti di accorgersi che certe prese di posizione, quelle che oggi vanno per la maggiore, non hanno alcun motivo di esistere.

In quella fase, già molto del materiale che veniva dato alle stampe era stato contaminato dal digitale. Vuoi solo nel master, vuoi a partire già dalla registrazione, eppure suonava in maniera eccellente. Non sembrava e non sembra assolutamente di star ascoltando digitale, anzi spesso e volentieri si aveva la percezione di trovarsi di fronte ad alcuni tra gli esempi migliori di sonorità analogica.

Ne sono esempio, fra i tanti, gli LP Denon PCM, oppure i molti pubblicati dall’etichetta GRP, che riportavano in copertina l’etichetta Digital Master.

Motivo primario, in quella fase il digitale era utilizzato con finalità riguardanti l’analogico, sulla base di quel che in funzione di un’esperienza accumulatasi nel corso dei decenni si riteneva indicato per ottenere la sonorità migliore da tale supporto. Ossia proprio quel che a causa dell’interregno ventennale caratterizzato dalla dittatura del digitale, sarebbe andato irrimediabilmente perduto e avrebbe dato luogo al fenomeno oggi dilagante che riguarda l’analfabetismo di ritorno, la cui prima vittima è appunto l’analogico. Nel suo repertorio sono comprese anche certe prese di posizione della cui inverosimiglianza è tanto facile rendersi conto.

Basta comperare un LP usato e ascoltarlo, possibilmente utilizzando un udito educato a sufficienza.

Che certe prese di posizione non abbiano senso risulta poi evidente a chiunque abbia la minima contezza di come sia articolato il processo di produzione e riproduzione basato sul supporto analogico.

I passaggi successivi da cui prende forma sono tali e tanti da suggerire che uno solo di essi, come pretenderebbe la narrazione attuale, difficilmente può riuscire a caratterizzare a tal punto il risultato complessivo.

Basta del resto il sistema di recupero delle informazioni fissate su supporto vinilico, con le sue inconfondibili prerogative funzionali, ad attribuire alla riproduzione da analogico la gran parte delle sue peculiarità soniche, a condizione che il materiale d’origine non sia stato deliberatamente massacrato nel modo che per sommi capi abbiamo visto prima.

In quel caso, infatti, il disco LP non suona “digitale” ma solo una schifezza. Proprio perché tale lo si è reso con una serie d’interventi privi di qualsiasi senso della misura e capacità di discrimine, conseguenza anch’essi, a livello concettuale e ideologico, della fase in cui il predominio del digitale è stato assoluto.

Per altri versi, la pretesa che basti un solo passaggio in digitale per distruggere la purezza del pedigree dell’analogico fa effettivamente molto intenditore, se non quasi sommelier. Per questo è divenuta un luogo comune tanto frequentato. Al proposito mi piacerebbe verificare quanti senza aver visto il disco che stanno ascoltando sarebbero capaci di individuare correttamente le sue origini.

In realtà quell’asserzione fa il paio con la pretesa, in campo digitale, che sia il convertitore D/A a caratterizzare nel modo più approfondito la sonorità di un qualsiasi lettore o DAC. Come sa perfettamente chiunque ne mastichi appena il minimo, gli elementi in grado di attribuire al segnale in uscita da essi prerogative ancora più significanti sono numerosi, a iniziare dalla sezione di alimentazione, da quella di uscita, dal trattamento del segnale quando si trova ancora in forma digitale, segnatamente riguardo al jitter.

Però si parla sempre e solo di convertitori. Perché? A mio avviso per via dell’attribuire tutta l’importanza al chip di conversione D/A, da parte delle cartelle stampa dei costruttori e per conseguenza di tutta la pubblicistica allineata, fisiologicamente velinara.

Del resto in tale ambito risiedono le differenze o comunque le prerogative più facili da descrivere e da far entrare nella zucca. In primo luogo del redattore a titolo gratuito o tuttalpiù a 5 euro lordi ad articolo, come tale per forza di cose inadeguato al compito affidatogli, ma soprattutto destinato a restare tale in eterno, proprio in quanto gli vengono negate le condizioni economiche necessarie a una sua emancipazione. Ci pensa poi il seguito di lettori a ripetere a pappagallo le corbellerie con cui imbratta la carta o le pagine internet che per sventura sua e altrui gli sono state affidate.

Batti oggi e batti domani, come un certo signor Giuseppe Goebbels ha spiegato in maniera direi molto chiara, raggiunto il numero di ripetizioni necessario ogni fesseria si trasforma in verità. A quel punto niente e nessuno riesce più a riportarla all’ambito che le compete.

Se del resto i parametri inerenti i convertitori D/A sono quelli discernibili e valutabili con la facilità più grande, hanno per conseguenza il potenziale comunicativo più spiccato e come tali li si sfrutta. Poi che le differenze in tale ambito abbiano l’assolutezza che si attribuisce loro è evidentemente illusorio, ma come si sa la credibilità maggiore non l’hanno le cose reali ma quelle a cui si preferisce credere. Tantopiù quando permettono di attribuirsi i galloni della competenza con tanta facilità, mentre la superficialità oggi innalzata alla più raccomandabile delle virtù fa il resto.

Dunque ripetiamolo ancora una volta: l’inascoltabilità di troppo del supporto analogico oggi in commercio non è data dalla non assoluta purezza razziale dei suoi ascendenti, ma dalle devastazioni, dalle violenze e da tutti gli altri interventi distruttivi cui il segnale d’origine è stato sottoposto, nell’epoca del digitale, stante la tendenza distruttiva che gli è connaturata.  A cura di chi non ha saputo rispettarlo come supporto di un’opera d’arte, non rendendosi conto di certe cose, oppure comprendendole ma costrettovi da un datore, casa discografica o altro, perché quello è il suo lavoro e lui ha famiglia, il cui benessere è l’arma di ricatto preferita dal capitale e dai suoi discepoli, data la sua efficacia.

Riprova ne è la sonorità eccellente delle stampe realizzate nella penultima fase dell’epoca d’oro dell’analogico, ossia quella in cui la registrazione e le sue fasi successive venivano eseguite secondo i criteri necessari ad attribuire al supporto analogico che ne sarebbe derivato, ossia l’LP, la sonorità ritenuta più confacente in quel momento storico, sulla base delle esperienze condotte fino ad allora.

La robaccia attuale invece è frutto delle scelte effettuate in seguito, ossia l’aver gettato alle ortiche o meglio ucciso l’analogico, nella fiducia incrollabile nel progresso e nella tecnologia innalzati a nuova religione, ovvero per la pretesa superiorità del digitale. Tranne poi trovarsi a dover recuperare precipitosamente l’LP sulla base delle richieste del mercato, fattesi a un certo punto pressanti, che giocoforza è stato necessario soddisfare con quel che passava il convento e sempre con la considerazione maggiore riguardo ai costi.

Chi vuole infatti, ossia molte tra le cosiddette etichette audiophile, riesce tuttora a dare alle stampe materiale di qualità ottima, tratto dagli originali analogici.

I costi però sono altri, a ulteriore conferma di quello che oggi è purtroppo evidente: l’analogico è una specialità intrinsecamente costosa. Resa tale innanzitutto dal numero improbabile di castronerie eseguite in passato, ma sempre mettendosi in cattedra e con l’indice alzato, lucrandone spesso profitti astronomici. E poi da una serie di questioni altrettanto concrete: l’industria di settore si decise ad affrontare gl’investimenti enormi che a suo tempo furono necessari per il digitale non soltanto in funzione dei proventi che prevedeva di ricavarne e più ancora del suo costituire la fase iniziale dell’esperimento finalizzato all’instaurazione delle condizioni di vita distopiche attuali e di quelle che verranno, per cui ha fatto da cavallo di Troia.

Già allora infatti, alla fine degli anni 70, era chiaro che i costi dei materiali pregiati necessari e quelli relativi alle parti da realizzare a mezzo di meccanica di precisione, destinata alla produzione di giradischi, bracci e testine, non sarebbero stati conciliabili ancora a lungo con una produzione economica a sufficienza da poter essere indirizzata verso le fasce di prodotto maggiormente alla portata del pubblico. Che tra l’altro si trovava proprio allora alle soglie della fase d’impoverimento drastico e generalizzato protrattasi fino a oggi, della quale non si vede la fine. Ci sono anzi ottime probabilità che la sua fase peggiore debba ancora arrivare e non ci manca molto.

Non a caso la produzione attuale di macchine analogiche di prezzo abbordabile denota le sue carenze più marchiane proprio nella qualità dei materiali utilizzati e nell’accuratezza della lavorazione delle parti più critiche. Tali da rendere ancora preferibili alcuni tra i prodotti più diffusi all’epoca, se ancora in buone condizioni, come i giradischi Thorens, Dual e molti di quelli di provenienza inglese, che non a caso hanno visto salire notevolmente, e a ragione, le loro quotazioni.

Se alle forche caudine dei costi di giradischi, testine eccetera è sempre più difficile sfuggire, riguardo al supporto fonografico si può ovviare tuttora alle carenze del prodotto attuale, senza difficoltà eccessive. Di materiale usato e in buone condizioni ce n’è in giro ancora moltissimo ed è senz’altro l’opzione migliore se si vuol apprezzare la vera sonorità dell’analogico.

A maggior ragione se le condizioni del supporto di stampa attuale sono quelle ben note, tutt’altro che scevro dai difetti di ordine meccanico, leggi rumorosità, dovute a trascuratezza nerlla sua produzione.

Stampaggi frettolosi, e soprattutto pulizia del materiale che definire approssimativa è ancora poco, hanno la loro risposta nell’impiego di sistemi di lavaggio di buona efficacia, ormai fin quasi obbligatori. A questo riguardo, almeno per una volta il progresso tecnico ci viene incontro, in particolare grazie alla diffusione delle vasche a ultrasuoni. Come abbiamo visto, a costi abbordabili è possibile adibirle all’impiego di nostro interesse, con il minimo di buona volontà e manualità.

A quel punto, allora, per i dischi tanto vale ricorrere al mercato dell’usato, risparmiando nella stragrande maggioranza dei casi, e godendo di un prodotto migliore.

Per concludere, facciamo i complimenti al tuo amico per la sua realizzazione, che con ogni probabilità ha tutto il necessario per soddisfare anche un utilizzatore avvertito. In effetti il digitale di livello qualitativo elevato si lascia ascoltare in maniera piacevole. Però l’analogico, quando tutte le parti della sua catena funzionano a dovere, è un’altra cosa. La sua naturalezza, la sua coerenza, la sua fisiologica attitudine al reale, non c’è digitale che possa eguagliarle, o anche solo confrontarsi. Persino sistemi improntati a una certa economia, ma messi su come si deve, esibiscono doti che il digitale non avrà mai.

In particolare per le sensazioni di realismo, sia pure in sedicesimo, e per il modo con cui l’emissione esce fuori dagli altoparlanti, che per quanto si faccia il digitale non riesce ad avvicinare. Men che meno quello a densità di dati elevata, prerogativa che come tutte le cose di questo mondo ha i suoi pro ma anche i suoi contro. Spesso e volentieri tali e tanti che risulta più efficace l’inaccettabilmente obsoleto 44-16 proprio del CD, in particolare quando riprodotto a partire dal supporto fisico.

In sostanza, allora, in presenza di un analogico assemblato con cura e competenza il digitale può coesistere tranquillamente, ma finisce tuttora con l’essere una risorsa d’appoggio. Magari la si ascolta anche di buon grado, ma sempre tale rimane. Dimodoché quando si accende l’impianto e ci si appresta a scegliere l’album da ascoltare, ci si rivolge in automatico verso la raccolta di LP, invece che alla colonnina dei CD.

Dopodiché possiamo dire tutto quello che vogliamo, restando comunque nel vero: l’analogico è scomodo, costoso, a livello di supporto esige cure che il digitale neppure si sogna, per quanto anche nel suo caso si possa fare più di qualcosa per migliorarne le caratteristiche e di conseguenza le sensazioni d’ascolto che se ne possono ricavare. Malgrado ciò in termini di esperienza d’ascolto continua a non avere rivali, con buona pace dei molti che vorrebbero ridurre tutto a una questione di rituale, di copertine di grandi dimensioni, come tali più belle da vedere, e di piacere tattile o proprio fisico nel maneggiare il discone da 30 centimetri di diametro e ancor più le macchine adibite a suonarlo.

Sono sempre numerosi gli pseudo appassionati che fanno riferimento a cose simili, non so quanto farina del loro sacco o ripetizione pappagallesca di corbellerie recuperate altrove. Eseguita forse per giustificare quel che non capiscono e con ogni probabilità non hanno mai assaporato. Ma se hanno avuto l’opportunità di farlo, non sono stati in grado di capire le doti di quanto si sono trovati di fronte. In ogni caso, parlando in quel modo, non si fa rientrare l’analogico nel proprio alveo di competenza, si mette in luce invece la propria superficialità, non di rado irrecuperabile. Ovvio pertanto che in condizioni simili non si riescano a comprendere cose che sono marchiane.

Si dimostra inoltre di non sapere assolutamente nulla della storia dell’analogico, sia pure nella fase temporale a noi più vicina. Malgrado ciò ci si sente in dovere di pontificare al riguardo, per forza di cose a vanvera, senza avere neppure la capacità di comprendere le proprie condizioni, che consiglierebbero invece di stare in silenzio ad ascoltare, non sia mai che s’impari qualcosa di utile.

Quindi, se dovessi scegliere, personalmente non avrei dubbio alcuno. Poi le due cose possono convivere, ma almeno per quanto mi riguarda, sempre e solo a partire dal supporto fisico. Resta comunque il fatto che disperdendo le risorse su più fronti, le possibilità di pervenire  a una soluzione del tutto soddisfacente calano in maniera drastica, in particolare quando non sono illimitate.

 

 

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2 thoughts on “Liquefare l’analogico? No, grazie.

  1. Ciao Claudio,
    Condivido in tutto e per tutto quanto da te riportato, l’analogico attuale purtroppo spesso e volentieri è il frutto di un lavoro pressappochista e superficiale. Racconto la mia esperienza: ho comprato un doppio lp, l’etichetta è talmente decentrata da coprire i solchi del disco! Viene da chiedersi se esista un controllo qualità… ormai sul nuovo ho deciso di acquistare solo cd, spesso si trovano a 2 soldi. Poi, un giorno, si potrà sempre comprare la controparte analogica.
    Come giustamente sottolinei, occorre orientarsi nel mercato dell’usato, sebbene non privo di insidie. A tal proposito ho acquistato “Hanalei bay”. La rubrica “gli lp che spaccano” mi piace molto, mi arricchisce sia a livello artistico che tecnico.

    1. Ciao Alberto, grazie per la testimonianza.
      Davvero non ci sono parole, forse l’unica sarebbe stata restituire il disco, se possibile.
      A breve ci sarà una nuova puntata della rubrica, almeno spero.
      A presto.

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