Graaf GM 200 OTL, La Portaerei

Era più o meno la primavera del 1998 quando mi fu chiesta la disponibilità a provare un finale a valvole alquanto particolare, a dir poco, e in via preventiva mi venne spiegato che il suo costruttore non era rimasto granché contento del trattamento ricevuto dalle apparecchiature inviate in visione per una prova tecnica e d’ascolto. Per questo desiderava che l’incaricato dell’articolo si recasse presso di loro per osservare la realtà da cui traeva origine.

Stiamo parlando di Graaf, e in effetti i suoi responsabili, Giovanni Mariani per la parte tecnica e Omer Malavasi per quella commerciale, ne avevano ben donde. Qualche tempo prima il loro preamplificatore migliore, allora il GM 13.5 B, era stato commentato con troppa sufficienza dal redattore della sua prova, tra l’altro una delle firme che si ritenevano più illustri della testata, e con superficialità anche peggiore.

Graaf era l’acronimo di Gruppo Ricerche Audio Alta Fedeltà e si può immaginare che chiunque spenda del denaro in pubblicità, oltretutto parecchio e non prima di aver profuso un impegno ultradecennale a livello tecnico, realizzativo e commerciale, al momento fatidico non apprezzi molto che il significato della sua sigla sia travisato, per farlo diventare GRuppo Amici Alta Fedeltà, e poi farci sopra anche dello spirito. Quell’uscita poco felice, come scrisse il suo stesso autore, si doveva alla difficoltà di ricordarne l’esatto significato, caso per cui sarebbe bastato usare il telefono.

Potrebbe sembrare inverosimile, ma esisteva già allora.

Mariani in particolare mi parlò in seguito della cosa, mostrando il suo giusto disappunto. Allora gli dissi che sì, a prima vista poteva sembrare persino offensiva. In effetti era un po’ come essere posti alla stregua di una specie di bocciofila di quartiere. E’ altrettanto vero però che nella vita di ciascuno di noi nulla può fare più del bene ed è prezioso degli amici, quelli veri. In modo particolare nell’ambito della riproduzione sonora, i cui appassionati ne sono in grande bisogno. Pertanto quel redattore un po’ cialtrone, senza rendersene conto aveva fatto il complimento migliore che si potesse immaginare all’azienda emiliana.

Mariani non mi sembrò molto convinto, ma accettò comunque il mio punto di vista e tra noi, come pure nei confronti di Malavasi, nacquero amicizia e stima reciproca.

Al di là di questo svarione, significativo di una professionalità che definire pressapochista forse non è ancora abbastanza, tutto l’articolo era scritto come guardando dall’alto in basso e sulla base di un malcelato “Ma questi da dove arrivano, chi credono di essere”. Mai e poi mai lo si sarebbe azzardato nei confronti di oggetti realizzati da uno dei marchi esteri di notorietà maggiore, segno di un provincialismo e dell’attitudine alla genuflessione nei confronti del potente, il cui risvolto è appunto lo sberleffo quando il marchio in questione è all’esordio, si ritiene che non abbia il prestigio desiderabile, il cui apporto alla qualità dell’ascolto resta comunque nullo, o la possibilità di far pesare più di tanto il contributo economico che apporta mediante la pubblicità.

Forti dubbi erano suscitati da quel testo in merito all’effettiva comprensione delle reali possibilità sonore dell’oggetto, in seguito affermatosi come uno dei preamplificatori maggiormente degni di considerazione in assoluto. Per come si è presentato, l’accaduto mostrava che l’ascolto con gli occhi, coi cartellini dei prezzi e con i marchi apposti sui frontali delle apparecchiature, o peggio ancora mediato dal pregiudizio individuale, era diffuso già allora. Non solo a livello di appassionati, ma anche di chi bene o male avrebbe dovuto costituire un modello cui rifarsi.

Si apriva così lo spazio per diverse domande, innanzitutto riguardo alla capacità di saper cogliere le vere doti sonore di un qualsiasi oggetto, alla sovrastruttura da cui si può essere influenzati, appunto in funzione della notorietà del fabbricante o di altri elementi di rilievo altrettanto marginale, e infine se le apparecchiature di cui si discettava sulla carta stampata le si ascoltasse realmente, almeno per qualche decina di minuti.

Come vediamo ancora una volta, le abitudini peggiori di oggi, così diffuse nel settore di nostro interesse, hanno radici antiche. Come sempre però, la colpa di fondo va a chi ha dato il visto “si stampi” a un articolo del genere.

 

I signorini grandi firme

Le penne d’oro della rivista erano ritenute tali poiché facevano parte della redazione di certi giornaloni ex-organi di partito. Proprio in quella fase stavano completando la metamorfosi con cui hanno rinnegato il loro passato, per riposizionarsi a sostegno di quello che avevano indicato per decenni come il nemico di classe peggiore e più irriducibile.

Con sommo sprezzo dell’intelletto altrui ritennero però di poter far credere che nulla fosse cambiato, quando in realtà si erano trasformati nei portabandiera più fanatici e oltranzisti del peggiore delirio ultraliberista e della sua traduzione pratica.

Come avviene talvolta in casi del genere, dovevano essere convinti che lo si sarebbe applicato a tutti tranne che a loro stessi. Tanto è vero che quando a seguito della prolungata insostenibilità dei bilanci di quelle testate, malgrado i generosi sussidi di Stato, si sono ritrovati in mezzo alla strada nell’applicazione concreta degli stessi principi che hanno propagandato per anni senza posa, i loro strepiti sono arrivati fino al cielo.

Chissà, forse credevano che mostrando lo zelo migliore nel tradire gl’ideali di una vita, insieme ai milioni di lavoratori che avevano riposto in loro la propria fiducia, sarebbero stati risparmiati dalle conseguenze delle idee farneticanti, distruttive e nazistoidi di cui si erano fatti assertori, oltretutto in maniera tanto chiassosa.

Dimenticavano però che il servo, una volta eseguito il compito assegnatogli, non può che essere congedato col fatidico calcio nel didietro.

In realtà quei giornaloni conoscevano bene il loro pubblico. Sapevano che ad essi e ai loro partiti di riferimento era legato da una sudditanza di ordine squisitamente religioso non di rado sconfinante nel puro fanatismo, piuttosto che da un rapporto ragionato e conseguente alla verifica della valenza politica, sociale e progettuale delle idee che propagandavano e di quel che ne seguiva sul piano concreto. Cosa che peraltro quel pubblico non era e non è assolutamente in grado di compiere, come lo svolgersi successivo degli eventi ha purtroppo dimostrato oltre ogni ipotesi contraria.

L’azione di quanti lo compongono è curiosamente somigliante a quella dei tori nell’arena: basta che vedano lo straccio rosso, o più di recente fucsia-arcobaleno e a testa bassa partono alla carica: non di chi lo agita ma di chiunque azzardi a non adornarsene e non lo faccia sventolare gioiosamente nelle ricorrenze comandate.

Sono decenni ormai che gli eredi del Grande Partito non esprimono progettualità politica alcuna, se mai la sinistra parolaia e inconcludente ne ha mai avuta una: la sua sola e vera attitudine è il rimirarsi l’ombelico con sommo compiacimento mentre si pone al servizio del miglior offerente. Si tratta del resto di un’opzione impercorribile proprio in quanto ha assunto il ruolo di esecutrice puntigliosa e fedelissima delle volontà della destra finanziaria più oltranzista.

Quest’ultima in concreto è peggiore del fascismo più estremo, in quanto refrattaria a qualsiasi necessità o istanza dei ceti salariati. Eseguendo i suoi ordini, la sinistra ha proceduto infine all’abbattimento e alla cancellazione delle pensioni di vecchiaia, nate appunto durante il ventennio, secondo modalità sempre più drastiche. Sono giunte ormai all’eliminazione fisica di percentuali sempre più ampie dei percettori potenziali, stante l’obbligo di sottoporsi a terapie sperimentali, previa apposizione di consenso informato malgrado siano coperte da segreto militare.

Al confronto la precarizzazione e la disoccupazione di massa sembrano roba da filantropi, come del resto l’attacco a tenaglia, dall’alto e dal basso, per le stesse possibilità materiali di procacciarsi in autonomia quanto necessario per la mera sopravvivenza. Il tutto abbinato a un’oppressione fiscale e tariffaria giunta ormai a livelli inauditi, tali da sferrare il colpo definitivo al tessuto produttivo nazionale, che nel suo crollo non potrà che trascinare lo stesso Stato che lo taglieggia: omaggio alla deificazione dei mercati e ai suoi attori più potenti, destinati a prenderne le veci e a ereditarne i poteri, che eserciteranno in forma ancora più dispotica.

In nome del mercato sono arrivati a eseguire in maniera tanto ferrea quanto contra legem, calpestando persino la stessa gerarchia delle fonti del diritto, nel silenzio più totale delle istituzioni di garanzia a ogni livello, provvedimenti che mai nessun dittatore della storia si è mai sognato di applicare. Riducendo così le norme costituzionali a un puro e trascurabile enunciato, privo di conseguenza pratica alcuna.

Lo stesso Mengele del resto, prima di eseguire sulle sue vittime il trattamento sperimentale che gli è valso la condanna al processo di Norimberga, ha ritenuto necessario chiuderle in campo di concentramento. Oggi di quei reticolati non vi è più bisogno, stante la gabbia costruita per mezzo dello strumento mediatico e consumistico direttamente nelle menti delle vittime designate. Solo una percentuale minoritaria riesce in qualche modo a sfuggirvi, a prezzo tuttavia dell’emarginazione.

Malgrado tutto, i partiti fattisi esecutori di un abominio siffatto riescono ancora a conservare il loro zoccolo duro di elettori, che ormai neppure nota più la totale inconsistenza già a livello umano di quanti sono messi di volta in volta a capo della coalizione per la quale parteggia, proprio in quanto gestito secondo i criteri tipici della zootecnia. Basta raccontargli la favola che preferisce, quella dell’uomo nero, per farlo agire nel modo desiderato. In particolare nella cabina elettorale.

Forti delle loro ascendenze di cotanta nobiltà, i Signorini Grandi Firme avevano anche l’abitudine di consegnare molto fuori tempo massimo i loro testi. Giustificati appunto dall’importanza suprema dei compiti cui assolvevano dimodoché idealmente, anche volendo, in caso di problemi come quello descritto sopra non vi sarebbe stato modo di porre riparo.

In realtà in ogni redazione si tiene del materiale di riserva, proprio per evenienze del genere. I costi relativi, in quella di cui facevo parte allora, erano scaricati direttamente sugli autori chiamati a riempire quel serbatoio, che non  percepivano il compenso per il loro lavoro, magro, peraltro, prima di 90-120 giorni successivi alla data di uscita del numero della rivista in cui trovava finalmente spazio.

Detto materiale lo si sarebbe potuto utilizzare, rimandando di un mese o due la pubblicazione della prova in questione, previo affidamento a personale non dico maggiormente all’altezza, ma se possibile meno incline ad agire con tanta superficialità e ad attribuire rilievo alle questioni collaterali.

Malgrado tutto ciò, i compensi dei Signorini per la loro attività così rilevante erano un multiplo di quelli riconosciuti a chi non poteva vantare ascendenze tanto (ig)nobili.

 

Si parte per Modena

Arrivò così il momento in cui mi venne assegnata la prova del GM 20, per motivi che per me sono rimasti sconosciuti. Forse si pensava che sarei stato l’unico ad accettare l’incombenza del viaggio a Modena per una visita alla Graaf o magari che una volta tanto sarebbe tornato utile il mio non guardare in faccia a nessuno, per tenere conto solo della sonorità del prodotto.

In effetti accettai di buon grado e andai in auto, una mattina di marzo. C’era maltempo e così ho incontrato una nevicata che ha bloccato il traffico in autostrada piuttosto a lungo. Si era già allora nell’epoca in cui l’uso di spargisale e spazzaneve, insieme ai costi conseguenti al loro acquisto, rimessaggio e manutenzione, lo si riteneva non più sostenibile.

In particolare ai fini della finzione costituita dai bilanci dello Stato e ancor più dalla volontà al loro abbattimento, vero feticcio dell’ideologia liberista, dato che in realtà i costi derivanti dal blocco delle arterie nevralgiche del Paese e da quanto ne deriva un po’ a tutti i livelli non figurano da nessuna parte: il giorno dopo esce il sole e tutti se ne dimenticano.

In qualche modo giunsi a destinazione e nonostante fossi partito per tempo era già passata l’ora di pranzo. Quindi per prima cosa andammo a mangiare qualcosa, presso il ristorante l’Oca bianca. Dal momento che il paesaggio circostante era ricoperto di neve, in vista della sua insegna Giovanni Mariani fece una battuta: “Oggi l’oca è bianca per davvero!”.

Il resto della giornata fu proficuo ed ebbi modo di vedere, tra le altre cose, i due grossi armadi alti fino al soffitto in cui il progettista aveva disposto le apparecchiature da lui realizzate specificamente per la verifica dei suoi amplificatori OTL, insieme alle elettroniche messe in osservazione al termine della loro costruzione. Le si lasciava accese di continuo per qualche giorno, dimodoché se c’erano anomalie funzionali sarebbero saltate certamente fuori.

Un’altra parete, oltretutto ampia, era occupata per intero dalle valvole accumulate per le esigenze di produzione e di fornitura dei ricambi.

Tempo dopo, mentre parlavo del GM 20 con un altro collaboratore, gli anticipai quel che mi era stato detto riguardo al GM 200, atteso di li a breve per una nuova prova. Ne descrissi per sommi capi le caratteristiche: si trattava sempre di un valvolare senza trasformatori d’uscita, ma da 200+200 watt, potenza erogata grazie all’impiego di stadi finali da 16 valvole per canale. Al che il mio interlocutore esclamò: “Ma cos’è, una portaerei!”

Quella definizione mi è rimasta impressa, in particolare per la spontaneità che in certi ambientini è la cosa più rara in assoluto ed è un ricordo di una fase per molti versi significativa del mio passato. Così l’ho voluta utilizzare per questo articolo.

 

Come rompere un amplificatore e perché

Del GM 200 purtroppo, e delle sue caratteristiche soniche inarrivabili e ancora oggi inarrivate, potei bearmi per un periodo breve. Per la sua consegna tutto lo stato maggiore Graaf mi venne a trovare e quel giorno lo ascoltammo piuttosto a lungo col mio impianto di allora, con risultati che è inutile descrivere.

Quando lo portai in redazione per le verifiche strumentali, il direttore tecnico della rivista, incaricatosi della loro esecuzione, non trovò di meglio, dall’alto della sua sapienza senza confronti, che tirargli il collo alla morte, nell’assenza di qualsiasi considerazione delle modalità con cui andrebbe trattata un’apparecchiatura del genere.

Non ci mise molto a romperlo, cosi che dovette rientrare a Modena, da dove non sarebbe mai più tornato.

Lui e gli altri pezzi grossi della rivista erano tutti studiatissimi, ci mancherebbe altro, ma come spiega il professor  Corrado Malanga, un conto è studiare, altro è capire davvero quel che si è studiato.

Del resto a lui le valvole piacevano poco, quindi è possibile che abbia inteso rafforzare così i suoi convincimenti, secondo la logica delle profezie autoavveranti, tanto in voga negli ambienti in cui la considerazione delle proprie attitudini è tanto elevata da necessitare un continuo corroborante da parte dei dati di fatto.

Presunti, ovviamente, e altrettanto debitamente manipolati, dato che ci s’impegna a fondo affinché prendano la piega desiderata per poi, l’istante successivo, negare a sé stessi di averlo fatto, secondo il meccanismo orwelliano dell’autoinganno.

In effetti la realtà ha reso evidente, nella sua testardaggine incrollabile, che a tale riguardo non vi fosse dato di fatto più significativo dell’aver messo fuori uso quell’apparecchiatura, oltretutto in maniera così poco intelligente.

Dovuta in primo luogo all’incapacità di comprendere che un valvolare, specie di tale complessità ed esclusività tecnica e funzionale, non dovrebbe essere portato, un passo alla volta, a lavorare su impedenze pari a qualche frazione di ohm. Ovvero pressoché al corto circuito in uscita, affrontato oltretutto a piena modulazione e oltre.

In primo luogo perché non ha senso, dato che anche l’utilizzatore più sprovveduto, ma ancora in possesso del minimo rimasuglio di sanità mentale, si guarderebbe dal farlo. Comunque non ne avrebbe materialmente modo, se non attorcigliando tra loro i due poli dei cavi connessi ai morsetti cui si attaccano gli altoparlanti.

Tuttavia se l’unico elemento di cui si tiene conto è l’urgenza di produrre il bel grafico che dia nuovo avallo ai propri pregiudizi, dopo la prima si finisce con lo sbattere la testa una seconda volta, in maniera ancora più solenne.

Il significato effettivo di quel grafico, infatti, sarebbe stato tra i più palesemente ingannevoli in assoluto dell’intera storia della riproduzione sonora e più ancora di quella dell’autismo misuristico che in quegli ambienti era l’unica forma concepibile di approccio alla materia.

Quantomeno per chi, invece di limitarsi a fare misure senza senso per poi arroccarsi nel fortino costruito della relative scartoffie, avesse il buon senso di ascoltare anche l’oggetto sui cui aveva eseguito tali rilievi. Cosa che però in certi ambienti ci si asteneva rigorosamente dal fare, per poi vantarsene in pubblico.

Possibile mai che chi di quelle misure stava estraendo i valori, e non perdeva occasione per riaffermare la superiorità inarrivabile della sua preparazione tecnica, al punto da sottoporre di tanto in tanto i collaboratori a veri e propri interrogatori, non si accorgesse del loro significato? Se la consecuzione dei valori che ne uscivano già a iniziare dai carichi un po’ meno ostici era tanto esplicita, perché insistere a tal punto?

Forse per il piacere grossolano ma irresistibile indotto dall’aver trovato finalmente un conforto di tale rilievo al proprio pregiudizio, costruito sul connubio tra una sorta di culto neopagano intitolato al silicio e l’ideologia basata su concezioni del tipo “Il numero è potenza”?

Del resto, di li a poco, “L’alba di una nuova era si sarebbe palesata. Per conseguenza non poteva e doveva più esistere lo spazio necessario per il vecchiume valvolare.

Amplificatori come il GM 200 del resto davano fastidio, fin troppo. Erano la dimostrazione vivente o meglio ancora il paradigma del numero incalcolabile di castronerie che quegli addetti ai lavori assumevano alla stessa stregua delle Tavole di Mosé. Come tali asfaltavano la realtà parallela che ciascuno di loro si era costruito e più ancora l’autorità che era convinto di impersonare, traendone lauti proventi, nello stesso modo con cui una boccia da bowling lanciata dal più forte asso della specialità manda all’aria i birilli che le fanno da bersaglio.

Dunque la possibilità che esistesse il desiderio di renderlo inoffensivo, fin dal primo istante in cui è entrato in redazione, è tuttaltro che remota.

Innazitutto per costruirsi la dimostrazione, falsificata appunto secondo la teoria delle profezie autoavveranti, date le modalità con cui la si è ottenuta, della sua inaffidabilità a livello funzionale. Sicché a quel punto anche la sonorità più sublime avrebbe perduto ogni significato.

In secondo luogo affinché nessuno, in quella sede, potesse farsi venire la curiosità di un suo ascolto. Dato che ci avrebbe messo ben poco a far crollare il castello di carte costruito con certosina applicazione e determinazione ancora maggiore in anni e anni di coazione all’assolutismo misurista, se più o meno consapevole non è dato sapere, presso chiunque non fosse affetto da una forma irreversibile d’ìpoacusia totale.

A quel punto si sarebbero dovute trovare delle risposte. Atte a spiegare come fosse possibile che un amplificatore capace di produrre alle misure valori di andamento al preciso contrario dei soli ritenuti degni di un oggetto funzionale, potesse dar luogo a una sonorità a tal punto travolgente.

Quel che è peggio, in un contesto di raffinatezza e trasparenza assolute, ma soprattutto in un’assenza d’inerzia semplicemente inimmaginabile nel corrispondere alle variazioni più sottili e repentine del segnale. Quelle di cui con le apparecchiature normali, anche le più prestigiose, non ci si rende proprio conto, tanto si è abituati alla loro presenza.

Tali risposte, inevitabili di fronte al comportamento oltre i limiti dell’umanamente prevedibile di quell’amplificatore dall’aspetto tanto fuori dal normale, sarebbero state dolorose al punto di risultare insopportabili.

In conseguenza, chi mai potrebbe avere intenzione di lasciarsi mettere spalle al muro dal prodotto di un fabbricante sconosciuto che in sostanza si riteneva l’ultimo arrivato? A tale riguardo la soluzione più spiccia era quella di romperlo, affinché non potesse causare altro danno, e non pensarci più.

Del resto l’atteggiamento dell’autore di siffatta genialata, quando giorni dopo gli chiesi di quell’amplificatore, è stato più esplicito di mille parole. Nella sua scostanza ancor più palese del solito, nel fingere che nulla di particolare fosse accaduto, come se quell’intervallo temporale fosse stato inghiottito da un buco nero, dalla somiglianza singolare coi buchi della memoria descritti sempre da Orwell in 1984. E più ancora infine nell’aria di sfida mista alla beffa che assunse mentre pronunciava le parole fatidiche: “Si è rotto”.

Del resto, di mezzi atti alla bisogna in quella sede ce n’erano a bizzeffe.

Inequivocabile, a tale proposito, il significato di quelle parole, contenente l’implicito rifiuto di assumersi ogni responsabilità dell’accaduto. In conseguenza dell’atteggiamento meccanicistico, come tale privo di ogni precauzione dettata dalla comprensione, e qui vediamo di nuovo quanto siano centrate le parole di Malanga, delle diverse peculiarità dell’oggetto con cui si andava ad officiare il rituale misuratorio, immutabile per dogma divino.

Curiosamente anche l’altra rivista misuristica, sia pure in forma assai meno oltranzista rispetto ai trinariciuti nostrani, che provò il GM 200, Stereophile, si sentì in dovere di tirare fuori la magagna. In mancanza di meglio, e se vogliamo con una certa scarsezza di fantasia, ritenne d’individuarla in un rapporto segnale/rumore inverosimile per un amplificatore, del quale peraltro non si è mai avuta conferma all’atto pratico e che sarebbe stato indegno persino di un registratore a cassette di classe economica.

Qualora fosse esistito davvero un problema del genere, il funzionamento del GM 200 sarebbe stato afflitto da una rumore di fondo tale da non passare inosservato neppure a un sordo.

La loro pretesa dunque era che in quel di Modena risiedessero dei pazzi, per mandare in giro roba del genere. Non prima, oltretutto, di aver speso somme tuttaltro che indifferenti per realizzarla e farla arrivare sul mercato.

Tornando ai misfatti di casa nostra, ben più grossi e subdoli, è plausibile che l’applicazione della dose di sadismo necessaria allo scopo avesse innanzitutto funzione di autodifesa. Per chi, in buona sostanza, poco prima si era visto cadere dal cielo la posizione che ricopriva, con il lauto compenso ad essa abbinato, e addirittura la prospettiva di diventare consocio dell’azienda editrice della rivista, in percentuale oltretutto rilevante, quando prima di allora era stato nulla più di un sottoposto nell’area tecnica di una pubblicazione concorrente.

Dimostrazione migliore, oltretutto, della pochezza di cui soffrivano i quadri della redazione, nonché della considerazione scarsissima di quest’ultima tra gli addetti ai lavori, se per il ruolo di direttore tecnico non ci fu verso di trovare nulla di meno peggio.

Dunque agire in modo distruttivo a tal punto non sarebbe stato così fuori dal mondo nell’esecuzione della misurazione scassa-amplificatori per antonomasia, la cosiddetta caratteristica di carico limite che già dal nome è tutto un programma.

 

Apprendisti stregoni dé noantri

Dal momento dell’ideazione di quella “misura”, evidentemente da parte di chi aveva una visione alquanto singolare di quel che ci si può e ci si deve aspettare da un amplificatore, ma soprattutto del modo in cui andrebbe utilizzato, sul suo altare e su quello maggiore del misurismo fine a sé stesso è stata immolata una quantità di elettroniche tuttaltro che modesta.

Tale da destare il dubbio, in un individuo ancora in possesso di qualche equilibrio, se fosse il caso d’insistere con tanta pervicacia e, prima ancora, se quella procedura a tal punto distruttiva avesse dei riscontri col dato reale così significativi da renderne irrinunciabile l’esecuzione.

Al di là di tutto, una domanda sorge inevitabile: qualora gli esecutori di quella tortura per amplificatori ne fossero stati responsabili anche sotto l’aspetto economico, e quindi avessero dovuto pagare di tasca propria i danni causati dalle manovre scriteriate in cui indulgevano, avrebbero tirato dritto senza curarsi di nulla come hanno fatto, si sarebbero invece convinti ad adoperare qualche cautela in più o magari avrebbero proprio messo da parte la procedura?

La risposta più immediata resta la solita: è sempre facile fare i fenomeni con il Lato B altrui, specialità che taluni sono capaci di portare a livelli d’eccellenza senza il benché minimo sforzo.

Gli amplificatori fatti saltare in aria in quel modo barbaro, con una scelleratezza che col GM 200 ha toccato l’apoteosi, di fatto sono state le vittime sacrificali della megalomania di quanti soffrivano della coazione all’imporsi a qualsiasi costo come i numeri uno indiscussi del settore, secondo una prospettiva possibilmente influenzata anche da una certa tendenza mitomane.

Chissà come, si erano convinti che quel metodo bislacco fosse il più indicato per arrivare al loro scopo.

Misteri della scienza e della tecnica.

Imperscrutabile del resto è l’origine della convizione di assurgere alla carica di numeri uno delle materie legate alla riproduzione sonora attraverso la distruzione deliberata del maggior numero di appparecchiature destinate allo scopo, in questo caso amplificatori.

Più di qualche volta sono stato testimone diretto del sacrificio supremo alle divinità crudeli e inflessibili dell’oltranzismo misuristico, la cui origine concreta risiedeva nella necessità di stabilire senz’ombra di dubbio cosa e soprattutto chi potesse vantare di avercelo più lungo di tutti gli altri.

Al verificarsi del sacrificio i suoi officianti restavano regolarmente impietriti, come travolti dagli eventi. O meglio, terrorizzati dal dispiegarsi tanto repentino delle forze che tanto incautamente avevano scatenato, da apprendisti stregoni quali erano nei fatti.

Così almeno una volta sono stato io, con reazione che per quanto rapida in questi casi è sempre tardiva, dato il fulmineo precipitare della situazione, a staccare la corrente all’amplificatore messo sul banco delle torture. Evitando  guai peggiori, nel momento in cui si è reso percepibile il rumore sinistro, seguito pressoché all’istante dalla fatidica fumata bianca, e non di rado allo scoppio e alla fiammata, che segnava il termine del supplizio cui si era voluta sottoporre la vittima di turno.

Da rilevare peraltro che quei sacrifici disumani si tenevano senza osservare la benché minima norma di sicurezza: in un locale chiuso e privo di finestre, di uscite di sicurezza manco a parlarne, per stendere un velo pietoso sulla quantità considerevole di materiale infiammabile nelle immediate vicinanze, a cominciare dagli stessi imballi delle apparecchiature destinate a immolarsi.

All’assalto, miei prodi kamikaze!

E senza fare prigionieri!

D’altronde si era già avviata la fase del ricambio generazionale all’interno della redazione e della società editrice, in funzione della quale a figure di supponenza oltre l’immaginabile e l’umanamente tollerabile, ma almeno in possesso di una preparazione tecnica di una certa solidità, a livello teorico, si sostituì personale raccogliticcio, a suo tempo cooptato proprio per l’incapacità palese di dare fastidio alla dirigenza. Data la consapevolezza della propria origine e delle proprie capacità era determinato soprattutto a compiere il suo personale assalto alla diligenza. O meglio, a quel che ne rimaneva.

I componenti di quella sorta di Armata Brancaleone condividevano soprattutto un’ambizione sfrenata, pari solo alla presunzione che li ha portati a credere di ricoprire ruoli dirigenziali senza non dico le doti necessarie ma neppure un’idea di quel che fosse necessario al riguardo.

Con quei presupposti, una volta arrivati alla stanza dei bottoni non hanno tardato a scatenare una lotta intestina, vera e propria guerra per bande a fini di predominio, i cui esiti non solo furono evidenti sul materiale pubblicato, caratterizzato da un decadere rapido quanto vistoso, ma accelerarono ulteriormente il precipitare degli eventi verso il loro epilogo, inevitabile.

Invece di dedicarsi alla riuscita delle attività ereditate, che soffrivano visibilmente dalle condizioni venutesi a creare e di quelle accumulatesi in passato, moltiplicarono il numero delle testate da mandare in edicola, affinché ciascuno avesse il suo orticello personale. Ripercorsero così pari pari la scelta suicida che aveva costretto la società d’origine, formata dai loro predecessori, a portare i libri in tribunale. Senza comprendere però i suoi effetti che pure erano rimasti tanto a lungo sotto i loro occhi.

Men che meno furono in grado di capire che non erano più i tempi, e tantomeno le stature individuali, per imbarcarsi in avventure del genere.

Chi si fece la rivistina di astronomia, chi di vela, chi di chissà cos’altro, che su tali basi e prive di contenuti reali quali erano, andarono a scatafascio nel tempo più breve. Risolvendosi sostanzialmente in una dilapidazione di denaro tuttaltro che irrilevante.

Di tecnica poi manco a parlarne, per quanto alcuni di essi fossero in grado di riempire pagine e pagine di questioni teoriche, che tuttavia non avevano capacità alcuna di riportare all’attuazione pratica. Bastava del resto un ascolto di quanto da loro realizzato in concreto, anche a livello di mero allestimento, per comprendere le enormi lacune da cui erano gravati. Innanzitutto per le fondamenta concettuali riguardanti la riproduzione sonora dotata di una sia pur remota efficacia.

Malanga docet, ancora una volta.

A dirla tutta, anzi, non c’è mai stato verso di ascoltare qualcosa di decente in quella sala d’ascolto. Eppure di materiale adatto ce n’era in gran quantità, nei magazzini, costituito dal meglio del meglio della produzione mondiale. Certo occorreva la capacità di combinarlo, installarlo in modo acconcio e poi di valutarne i risultati alfine di mettere in piedi un insieme realmente efficace. Personalmente non sono mai riuscito a vedere nulla di lontanamente simile, in circa vent’anni di collaborazione.

E’ altrettanto vero che in quelle sedi si andava in brodo di giuggiole per cose assolutamente inadeguate. Ne ho già parlato a suo tempo ma forse è il caso di tornarci per un istante.

Un giorno arrivo in redazione, mi dirigo nella sala d’ascolto e ci trovo tutti i redattori al culmine della loro estasi onanistica, prodotta da un’amplificazione pluritelai di gran nome, tra l’altro costosissima, ma di resa palesemente inadeguata. Mi venne spontaneo dire pressoché all’istante, con l’istintività propria del mio tratto caratteriale: “Ma… non sentite quanto è moscio?”, tanto era evidente quel difetto.

D’un tratto quelle paia d’occhi sembrarono volermi trafiggere tutte insieme con frecce al curaro: se ne avessero avuto l’opportunità immagino che non si sarebbero lasciati sfuggire l’occasione. In ogni caso l’odio suscitato dalla mia uscita si tagliava col coltello. D’altronde avevo guastato il loro rituale idolatrico proprio sul più bello, per mezzo di un’osservazione intollerabile proprio in quanto coglieva in pieno nel segno.

Ecco, in sostanza era come sempre una questione di parametri, in funzione di quelli che ciascuno riesce a costruirsi. A tal fine l’esperienza è elemento sostanziale, che non può essere sostituito in alcun caso da altre capacità sia pure spiccate, alle quali è comunque doveroso dare il giusto riconoscimento.

C’è chi è capace di gonfiare a dismisura cose e soluzioni tecniche, nonché la positività delle relative valutazioni, chi è particolarmente ferrato nel ricamo delle cronache rosa, appunto riguardanti le sue estasi onaniste, ma in assenza delle basi che ci si costruiscono col tempo, richiedono una sensibilità e un’inclinazione che nessuna scuola può insegnare, e non c’è numero che possa descrivere, si tratta solo di fuffa. Tantomeno vi si può supplire con la sola forza del denaro, come qualcuno ha ritenuto possibile, pervenendo a risultati credibili solo per chi al non capire nulla della materia abbini problemi di udito grossolani.

Riempire con roba del genere pagine a decine e centinaia, oltretutto per anni e a volte persino per decenni, è cosa che richiede anch’essa capacità spiccate. Anche se non è dato sapere quanto confacenti alla realtà degli argomenti di cui si vorrebbe discettare.

Come il susseguirsi degli eventi non ebbe difficoltà a dimostrare, gli esecutori dell’assalto alla diligenza summenzionato cercarono di coprire le loro lacune con un’attività che fosse il più possibile chiassosa. Non a caso è stato quello il periodo delle copertine letteralmente ricoperte dagli “strilli”: se da un lato sono state un fenomeno che a suo tempo valuteremo nei suoi diversi aspetti, dall’altro erano significative di una realtà concreta che forse si voleva nascondere ma purtroppo sempre piu palese, com’era inevitabile: quella del molto fumo e niente arrosto, abbinato per maggior sicurezza a un continuo pestare acqua nel mortaio.

Presi com’erano dalle loro beghe, delegarono vieppiù al personale assolutamente inadeguato, in primo luogo a livello culturale, su quello umano meglio stendere un velo pietoso, di cui si erano circondati. Nello stesso tempo provvidero a emarginare i pochissimi che avevano dimostrato un vero attaccamento all’attività primaria della testata e alla testata stessa, in quanto colpevoli di esprimere apertamente il proprio dissenso, quel che è peggio supportato da dati di fatto innegabili.

Quei pochissimi per di più avevano la macchia inemendabile dell’aver contribuito in misura rilevante a salvare il salvabile, al momento fatidico, ossia la diligenza di cui subito si poté andare all’assalto. Ciò li rese ancora più scomodi e dunque fu necessario fare terra bruciata attorno a loro.

La vera specialità del personale inadeguato di cui sopra era lo sparare corbellerie oltre ogni limite di verosimiglianza ma con estrema convinzione, oltre al coalizzarsi contro chiunque azzardasse esprimere dubbi al proposito, in funzione dell’autorevolezza della testata e delle conseguenze che un andazzo del genere avrebbe portato inevitabilmente, e non hanno tardato a palesarsi.

Non ho difficoltà a confessare di essere arrivato, in quella fase, al punto di provare vergogna che il mio nome comparisse fianco a fianco a quello di gente del genere, tale era il livello cui avevano ridotto quella pubblicazione. Per non parlare del bell’ambientino che avevano allestito attorno ad essa e al suo interno, in conformità alla sua testata. Fu così il Laido Deppiù.

Non che prima fosse questo chissaché, ma gli assaltatori e la loro ciurma resero nel tempo più breve l’aria semplicemente irrespirabile, con la loro doppiezza, malignità, cortigianeria e assenza di scrupoli. Tali da accusare in pubblico, nella consapevolezza di diffondere il falso, i loro antagonisti di quel che essi stessi commettevano in maniera abitudinaria.

Per quanto fosse evidente che stessero correndo verso il precipizio, in quella fase sembravano avere il vento in poppa, così da rendere naturale e in buona sostanza obbligatorio, per chiunque ritenesse necessario continuare a sguazzare in quella cloaca, salire sul carro di quelli che almeno in apparenza erano i vincitori.

Riflettendo sulla questione, in realtà buona parte delle preoccupazioni di chi osservava lo scadere di tono del prodotto editoriale e tentava di contrastarlo, non aveva motivo di essere.

Non perché non fosse palese, ma in quanto nessuno o quasi era in grado di percepirlo, come hanno dimostrato gli eventi. E anche qualora lo fosse stato, non aveva intenzione di avvedersene e ancor meno di accettarne le conseguenze. Ha prodotto comunque i suoi effetti nel medio termine, tanto che le rovine ancora in piedi, qualche disperato che ha bisogno di farsi pubblicità lo si trova sempre, sono ridotte già da tempo all’irrilevanza.

 

Il ritorno della portaerei

Finalmente, dopo tanto tempo, La Portaerei è di nuovo nella mia abitazione. Anche se non è più quella di allora e anzi dista da essa un numero di chilometri non indifferente.

Se n’è parlato già in passato ma forse un po’ di storia, riguardo alla genesi di questo finale così fuori dal comune non penso farà male.

Sul finire degli anni 70 e poi nel corso degli anni 80 si ebbe l’affermazione definitiva delle amplificazioni a stato solido, anche e soprattutto nell’alto di gamma e per quelle a più telai. A questo proposito va rilevato che proprio Giovanni Mariani è stato il responsabile tecnico della filiazione europea di SAE, marchio che forse oggi ricordano in pochi, e infatti ricorre di rado nelle cronache del vintage, ma che in quel periodo ha goduto di grande popolarità e contribuito come pochi altri all’affermarsi delle amplificazioni a transistor di potenza elevata.

Nel giro formatosi intorno a Mariani tuttavia, quello che in seguito sarebbe divenuto il Gruppo Ricerche Audio Alta Fedeltà, non tutti erano convinti dell’efficacia di determinate soluzioni, forse a cominciare da lui stesso. Per conseguenza la discussione riguardante le prerogative dello stato solido e dei tubi a vuoto, nonché la loro contrapposizione ai fini dell’ottenimento dei risultati migliori, in termini di sonorità, teneva banco.

Constatata la difficoltà di arrivare a un verdetto condiviso all’unanimità, si decise di realizzare un progetto che fosse in grado di mettere un punto fermo sulla questione. Ci si orientò sulla scelta delle valvole, quali componenti attivi, ma coniugata tenendo conto dei vantaggi tipici delle soluzioni impiegate per lo stato solido.

In particolare per quel che riguardava l’eliminazione dei trasformatori d’uscita e nel legare i diversi stadi circuitali in forma diretta, senza l’interposizione della componentistica passiva utilizzata in genere nelle elettroniche valvolari.

Nacque così il primo OTL Graaf, sperimentale, che pertanto non è mai arrivato sul mercato. Venne battezzato col nome di GM 400: era un amplificatore monofonico caratterizzato dall’impiego di una sezione finale basata su ben 32 valvole di uscita, anch’esse di tipologia alquanto fuori dagli schemi tipici delle amplificazioni per utilizzi audio. Allo scopo si faceva ricorso alle PL 504, in genere impiegate quali amplificatori di riga negli apparecchi TV.

Se tanto mi dà tanto, il GM 400 doveva essere qualcosa di assolutamente incredibile. Purtroppo però a mia conoscenza non ne esiste più alcun esemplare funzionante.

Il GM 200 OTL è la sua derivazione diretta, stereofonico e con sole 16 valvole su ciascuna delle sezioni di uscita che lo compongono, per una potenza grosso modo dimezzata rispetto al predecessore, pari ai 200 watt per canale da cui trae la sigla.

La sezione di linea utilizza una 12AV7, doppio triodo cui fa seguito una coppia di pentodi EFL 500. Ci sono infine due EL 81, occhi magici come li si definiva un tempo, adibiti alla visualizzazione del livello del segnale.

Al centro del telaio, a pianta quadrata, è posizionato il contenitore cilindrico in cui alloggia il trasformatore di alimentazione, circondato da quattro ulteriori elementi riguardanti i condensatori di capacità maggiore utilizzati dall’elettronica.

A copertura e protezione delle valvole di uscita ci sono due griglie metalliche, removibili, mentre quelle di segnale lavorano in aria libera.

Denominatore comune di tutti gli OTL è la gran quantità di calore che sviluppano nel loro funzionamento, già a vuoto. Il GM 200 non fa ovviamente eccezione e dopo pochi istanti dalla pressione del pulsante di avvio la temperatura nelle sue vicinanze sale in maniera ben percettibile, in conseguenza delle quantità considerevoli di energia assorbita dalla rete.

Se due serie da 16 valvole hanno i loro costi per la loro sostituzione, anche in considerazione della necessità di un numero di esemplari più che doppio ai fini di una selezione adeguata alle necessità dell’amplificatore, elemento fondamentale per qualsiasi OTL, va rilevato che la loro durata è considerevole e si prolunga per diversi anni di utilizzo frequente.

Dato il loro numero, può accadere di non accorgersi che qualcuna è andata fuori uso, anche perché l’amplificatore continua a lavorare senza soverchi problemi. A questo riguardo è presente un indicatore luminoso nelle vicinanze di ogni valvola, proprio a segnalare l’eventuale anomalia.

Ancora oggi il GM 200 è un amplificatore sostanzialmente privo di rivali. Le difficoltà maggiori in termini di gestione e manutenzione sono dovuti innanzitutto alla reperibilità e ai costi delle valvole di uscita.

Per il primo aspetto non ci sono, al momento attuale, problemi insormontabili. I costi sono quelli che sono, dovuti essenzialmente al numero dei componenti attivi utilizzati dagli stadi finali. Anche in considerazione della necessità di eseguire una selezione all’altezza delle esigenze, parecchio stringenti a questo riguardo, tipiche degli amplificatori OTL.

Proprio il loro numero, tuttavia, insieme alle caratteristiche intrinseche del progetto, fa si che gl’intervalli di sostituzione siano parecchio diradati, quindi le spese relative sono a fronte di un potenziale di utilizzo ben prolungato nel tempo.

Dati i prezzi attuali delle amplificazioni paragonabili, almeno idealmente, la scelta di un GM 200 può rivelarsi conveniente dal punto di vista economico. Persino molto, se il confronto lo si esegue con certi esemplari dai costi esorbitanti che sono diventati la norma tra le amplificazioni di alto bordo.

E’ da vedere poi se per quel che riguarda la qualità sonora queste ultime possano reggere il confronto, cosa da non dare assolutamente per scontata e anzi dalla probabilità alquanto remota. Questo già nei confronti di un esemplare in tutto e per tutto conforme all’origine.

Se poi il confronto si ha intenzione di farlo con un esemplare da cui siano stati rimossi gli elementi limitativi consistenti nella componentistica passiva disponibile all’epoca, e nelle concezioni da essa derivanti, quindi possa avvalersi a tale riguardo di un prodotto in linea coi tempi di oggi, diventa semplicemente improponibile.

A quel punto infatti il divario diventa persino troppo, e per molti versi impietoso. Ennesima dimostrazione che quando il corso della storia prende una certa piega, la conseguenza inevitabile è il regresso.

Proprio per questo allora la necessità di una propaganda tanto asfissiante quanto menzognera si rende ancor più sentita. Il suo scopo è il confondere e se possibile cancellare del tutto una realtà assolutamente distruttiva per quanto riguarda i proclami relativi a progresso e modernità, che la fanno da padroni in qualsiasi settore sia legato più o meno da vicino alla tecnologia.

Per quanto possa apparire inconcepibile, date le sue prerogative soniche oltre l’eccellenza già in origine, anche il GM 200 trae vantaggio dall’impiego di componentistica moderna, cosa che potrebbe sembrare in contraddizione con quanto asserito nei capoversi precedenti ma non lo è assolutamente.

Infatti alcune tipologie di componentistica passiva hanno migliorato grandemente le loro caratteristiche, ma il contesto generale di oggi è quello che è. Per conseguenza, se già alla sua epoca la realizzazione in serie limitata di un amplificatore come il GM 200 poteva costituire un azzardo, in particolare in termini economici e commerciali, oggi è di fatto improponibile.

Un’eventuale scelta a tale riguardo dovrebbe per forza di cose orientarsi verso soluzioni già in partenza più limitative. A quel punto la componentistica può fare poco, dato che un conto è porre in evidenza le sue qualità positive, cosa che le riuscirebbe senz’altro, tuttaltro invece è chiederle di colmare un divario rilevante a tal punto, cosa peraltro scorretta già a livello concettuale.

Oltretutto nulla vieta di utilizzarla anche su apparecchiature che in origine ne erano sprovviste, proprio come in questo caso, ristabilendo così il divario di partenza. Anzi, così facendo lo si rende ancor più abissale, proprio perché potendo usufruire di condizioni di contorno migliorate, soluzioni tecniche di fondo già di per sé stesse votate all’eccellenza e di fatto impareggiabili, possono avvalersi di un tramite ancora più efficace per materializzare le loro potenzialità, risultando quindi ancor meglio percettibili e fruibili.

Dunque il vero limite, dal punto di vista di chi possa permettersi l’acquisto e il mantenimento di un’amplificazione di classe a tal punto assoluta, è la difficoltà con cui sono reperibili gli esemplari di GM 200 tuttora in circolazione. In primo luogo perché non è stato prodotto su numeri consistenti, e poi perché chi lo possiede se ne separa a malincuore e il più delle volte di venderlo non gli passa manco per l’anticamera.

Del resto basta ascoltarne uno in condizioni di forma almeno discrete per rendersi conto del motivo. Se poi ci s’imbatte in un esemplare curato e aggiornato sulla base di quello che oggi è disponibile sul mercato della componentistica di qualità maggiore, si rischia davvero di non trovare nient’altro, in seguito, capace di dare soddisfazione. Riproponendo in sostanza le medesime sensazioni provocate dal GM 200 nel periodo in cui era in produzione: da un lato la vera e propria meraviglia conseguente alla percezione di doti energetiche tanto spiccate, abbinate a doti di raffinatezza e precisione persino oltre i limiti dell’assoluto.

Dall’altro palesano le conseguenze dell’esposizione a condizioni siffatte, che per forza di cose portano a osservare tutto il resto con occhi oltremodo più critici. Proprio per via dell’innalzamento dell’asticella inerente i propri parametri, che a seguito di un’esperienza del genere, tantopiù se non occasionale ma prolungata almeno un minimo nel tempo, va a restituire la giusta considerazione per tutto quanto non riesca ad assurgere a livelli a tal punto stratosferici, col relativo disincanto, in una misura probabilmente inimmaginabile in precedenza.

Questo è, purtroppo, come nella natura delle cose e nella stessa indole umana, che proprio in funzione delle esperienze condotte va a costruire la propria consapevolezza e il senso critico che ne deriva.

Stando la realtà concreta in questo modo, le conclusioni cui ho avuto modo di arrivare tanti anni fa restano valide ancora oggi: se l’ascolto di un’elettronica come il GM 200, inserita in un contesto adeguato costituisce senz’altro un’esperienza memorabile nella sua unicità, sotto un altro aspetto è quanto di più pericoloso. Proprio perché dopo aver ascoltato roba simile il rischio che non ci sia più verso di farsi piacere niente altro è molto ma molto concreto.

 

 

 

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