Possibilmente anche la bicicletta, una batteria da cucina, stoviglie, materassini gonfiabili a forma di coccodrillo, isola tropicale o pescecane. E poi provviste a volontà e tutto il resto dell’equipaggiamento necessario per immergersi in un ambiente idilliaco come quello della foto d’apertura e trascorrervi una bella vacanza con una certa comodità, insieme alla propria famigliola e magari con l’aggiunta di qualche amico o parente.
Ne verrà fuori molto probabilmente un bel ricordo, che ci porteremo dietro a lungo e magari per tutta la vita. Quindi tutto bene? Saremmo portati a dire di si, tranne che per un particolare del tutto insignificante in un contesto del genere: al mezzo con cui abbiamo trascorso una così bella vacanza, difficilmente potremo chiedere delle prestazioni, nel senso stretto del termine, del tipo di quelle che potremmo aspettarci da uno di connotazione sportiva più o meno marcata, idealizzato non solo dal pubblico italiano nelle sembianze di auto come quelle che portano il marchio del cavallino rampante.
Grazie, penserà qualcuno, chi mai ancora in possesso del minimo indispensabile di facoltà mentali si sognerebbe di chiedere a un camper o all’auto adibita al traino di una roulotte delle prestazioni da sportiva o almeno sportiveggiante? Nessuno, s’immagina, proprio perché è ben compresa l’inconciliabilità tra i due aspetti.
Per avere le prestazioni migliori, come comunemente le s’intende occorrono motori potenti, corpi vettura leggeri, telai, sospensioni e freni di prim’ordine allo scopo di adattarsi nel modo migliore e di percorrere più rapidamente i tracciati stradali dall’andamento vario, con grande divertimento sia pure in un contesto di sicurezza quantomeno adeguata.
Ammesso e non concesso che sia possibile, con un mezzo delle dimensioni e del peso di un camper, ottenere qualcosa di lontanamente paragonabile comporterebbe un dispendio di mezzi tecnici e di carburante enormemente maggiore, proprio per la sua inadeguatezza di fondo all’impiego che ci proponiamo di farne.
Con il camper dunque potremo divertirci in pari misura, o forse anche di più, ma su un piano completamente diverso e svolgendo attività che nulla hanno a che fare con quelle proprie di un’auto sportiva, a parte lo spostamento da un luogo all’altro, svolto peraltro con tempi, modalità, spirito e predisposizione mentale completamente all’opposto.
Un concetto del genere, nell’ambito dei mezzi di trasporto è considerato del tutto intuitivo, al punto che non c’è neppure bisogno di spiegarlo, è qualcosa che va da sé.
Tutto questo, però, cosa ha a che fare con il mondo della riproduzione sonora? Assolutamente nulla, tanto è vero che per molti appassionati una differenziazione come quella appena esemplificata non è neppure concepibile, se applicata al settore di nostro interesse.
Eppure anche in questo l’aspetto prestazionale ha un rilievo sostanziale, se non assolutamente predominante. Prima tra le differenze è che i parametri che lo caratterizzano non sono soltanto meno comprensibili e compresi, a livello generale, ma sono anche in massima parte inadeguati, tali pertanto da non essere assolutamente in grado di dare un’idea, sia pure di massima, dell’effettivo comportamento sul campo di un amplificatore, una coppia di diffusori, un lettore CD o un giradischi.
Per rendersi conto di come vadano effettivamente, l’unica è provarli. Con un’ulteriore insidia, data dal fatto che qualsiasi componente non all’altezza nell’impianto in cui andremo a inserire l’una o l’altra di quelle apparecchiature potrà essere compromissoria al punto di impedirci di capire quale sia l’effettivo comportamento dell’oggetto che sottoponiamo a esame.
Sotto questo aspetto c’è poi l’insidia dell’insidia, stante nella tendenza innata ad attribuire un insieme di caratteristiche derivanti per forza di cose dall’abbinamento più o meno efficace tra i diversi componenti dell’impianto all’oggetto verso il quale stiamo focalizzando la nostra attenzione.
Solo con l’esperienza, e tanta, ci si riesce a districare un minimo in quel ginepraio, anche se non è raro attribuire all’oggetto di nostro interesse prerogative che nel bene o nel male sono date invece da un altro componente o al limite anche dalle caratteristiche di installazione, della messa a punto e delle componenti di contorno del sistema. Ferma restando l’ulteriore difficoltà tipica di condizioni del genere, stante nei problemi così diffusi nel prendere le cose per quelle che sono, ossia un difetto o un pregio come tali. Non di rado infatti si assiste al loro capovolgimento: il difetto, peraltro marchiano per certuni diventa un pregio e il pregio un difetto, persino inaccettabile.
E ancora non basta, perché al punto in cui ci troviamo al giorno d’oggi anche gli aspetti più normali legati alla funzionalità di una qualsiasi apparecchiatura possono essere travisati. In particolare nell’ambito dell’analogico, dove l’analfabetismo di ritorno determinato dai decenni di predominio del digitale, invece di attenuarsi con il graduale ritorno d’interesse nei suoi confronti, come si riterrebbe fin quasi ovvio, va sempre più approfondendosi.
Forse per via del tempo sempre maggiore che separa ogni giorno che passa la realtà attuale da quella in cui l’analogico si trovava nella fase del suo massimo splendore e, per forza di cose, le scelte allora proprie degli appassionati di maggiore esperienza non potevano che essere il frutto di un’evoluzione graduale, quindi meglio interiorizzabile, che ha avuto luogo nel corso dei decenni precedenti, fondata appunto sulle esperienze accumulate durante il loro svolgersi.
Così oggi sono più di moda e predominano soluzioni che all’epoca gli appassionati non soltanto rifiutavano, ma non volevano vedere neppure in cartolina, proprio sulla base di un tracciato di esperienze che aveva potuto assumere il suo sviluppo più armonico, invece di essere affossato da un’interruzione tanto lunga che non solo ha causato la perdita di tante abilità e conoscenze, ma ha prodotto un vero e proprio cambiamento epocale nello stesso pubblico, al di là del cambio generazionale.
Laddove un tempo gli appassionati avevano avuto modo di avvicinarsi alla riproduzione sonora per mezzo dello stesso analogico, imparando gradualmente a misurarsi coi suoi pregi e difetti e così a trarre il meglio da quanto avevano a disposizione, oggi ci troviamo di fronte a una realtà quasi del tutto imbastardita, nella quale il pubblico che si dedica all’analogico ha fatto il suo esordio e ha maturato le sue esperienze col digitale. Come tale va alla ricerca anche in tale ambito delle prerogative tipiche della riproduzione basata sulla codifica binaria da cui ha tratto il suo imprinting.
Inconsapevole di tutto ciò o comunque non essendo in grado di osservare questa realtà, e pertanto di trarne le dovute conclusioni, va poi a impelagarsi in una contraddizione ancora più stridente, come quella legata al pedigree del disco LP con particolare riguardo alle sue modalità di produzione. Laddove tutto quanto derivante da registrazione o solo da un mastering digitale non sarebbe più degno di essere ascoltato.
Qui le conseguenze dell’analfabetismo di ritorno che affligge l’analogico un po’ in tutti i suoi aspetti, e a questo punto è lecito pensare che non solo non se ne libererà più ma andranno a gravarlo in misura sempre maggiore, assumono le proporzioni più vistose, innanzitutto e proprio per le lacune proprie di gran parte del pubblico che vi si dedica, non solo a livello tecnico ma ancor più storico.
Se così non fosse, quel pubblico saprebbe che nella fase precedente al suo diffondersi in ambito amatoriale, il digitale era utilizzato già di frequente a livello di produzione, sia pure finalizzato all’estetica e soprattutto alle necessità del supporto analogico, allora ben note e facenti parte del bagaglio tecnico e culturale di qualsiasi addetto ai lavori in tale ambito, così da produrre registrazioni assolutamente impeccabili e non di rado migliori di quelle che invece potevano vantare una purezza razziale al di sopra di ogni sospetto.
Ben diversa è la situazione attuale, in cui si vanno a ricavare stampe analogiche da materiale già devastato per mezzo della ricerca di sonorità innaturali come quelle a suo tempo ritenute irrinunciabili per il recupero di materiale realizzato in e per l’analogico, ai fini di un suo riciclaggio sul supporto digitale. Una volta che il risultato di quelle brutture e vere e proprie violenze, figlie come sempre dell’assenza di cultura e di cervello, da cui la presunzione di aver capito tutto per chi è privo di qualsiasi traccia di retaggio storico o solo forma di rispetto per l’opera d’arte, viene riportato in analogico, è inevitabile che la naturalezza e il realismo che di questo sono gli elementi di spicco maggiore pongano i risultati ottenuti attraverso un’azione tanto scriteriata in tutta la loro evidenza penosa.
Anche questo oggi è quantomai difficile da capire e da parte mia non mi stanco di ripeterlo. Così si discetta di purezza del pedigree proprio del supporto analogico per quel che attiene le diverse fasi che portano alla riproduzione dei suoni, senza curarsi assolutamente del modo con cui in origine sono stati prodotti.
Se nella riproduzione da analogico l’assenza di qualsiasi elemento legato al digitale ha l’importanza che gli si attribuisce al giorno d’oggi, a maggior ragione la si dovrebbe riconoscere alle modalità con cui si è dato vita alle sonorità che ci si accinge a riprodurre. Ora, si dà il caso che gli strumenti operanti in digitale e soprattutto i sistemi di manipolazione del suono, come i delay digitali utilizzati già quando l’audio digitale e il CD erano ancora non solo sconosciuti ma addirittura neppure previsti a livello di progetto, erano già parecchio diffusi.
Caso tipico, quello di Jaco Pastorius e dei suoi solo passati alla leggenda che eseguiva nel bel mezzo dei concerti dei Weather Report, la cui esecuzione, in particolare per i diversi strati di ritmica che preparava in tempo reale di fronte al pubblico, sui quali poi andava a eseguire la sua azione solista impareggiabile, erano possibili solo grazie all’impiego dei già menzionati delay digitali. Eppure il pubblico così attento a che nessun elemento di digitale possa alterare la purezza assoluta dell’analogico che si accinge ad ascoltare, di certe cose non si cura proprio, anzi sono al di fuori della sua portata visiva.
Di esempi se ne potrebbero fare tanti altri, ma già il più eclatante basta e avanza.
Tornando alle prestazioni, si potrebbe immaginare che quelle relative ai mezzi di trasporto individuali e alla riproduzione sonora siano del tutto inconciliabili e non abbiano punto di contatto alcuno in comune. Del resto l’impianto non deve correre su una strada o una pista ma starsene ben fermo al suo posto. Anzi, proprio dall’immobilità effettiva, durante il suo funzionamento, derivano elementi in grado d’influenzarne il rendimento.
Dunque?
Anche restando immobile, l’impianto o meglio quel che ne fuoriesce deve comunque percorrere un tracciato, quello descritto dall’informazione sonora, comunemente detto inviluppo. Non solo è particolarmente complesso, assai più dell’andamento della strada più tormentata che sia possibile immaginare, ma è continuamente variante, nel suo continuo divenire. La strada invece, nel suo tracciato, quella è e quella rimane, al netto di interventi di ammodernamento che ormai appartengono più che altro alla leggenda tramandataci dai nostri avi, dato lo stato d’incuria già per la semplice manutenzione spicciola cui è abbandonata qualsiasi infrastruttura viaria, fino a renderla molto più pericolosa e potenzialmente mortale. Da parte di uno Stato che è ormai il primo e più implacabile nemico dell’individuo e non esita a fare cassa per somme enormi se non incalcolabili e ad applicare imposte draconiane e tasse sulle tasse su ogni aspetto legato alle necessità di movimento personale. Legate in primo luogo a esigenze di lavoro e quindi di stretta sopravvivenza, tranne poi tacciare le stesse vittime di tale sopruso di essere degli evasori incalliti e irrecuperabili.
Di quel tracciato talmente complesso al punto che risulta impossibile solo a descriverlo, come dimostrano le capacità in continuo accrescimento per l’estrazione di informazioni in particolare dal supporto analogico, al punto tale da far dichiarare a chi è addentro alla fabbricazione di giradischi e bracci che il limite in tale ambito rimane tuttora inesplorato, l’impianto è chiamato a dar conto nel modo più accurato possibile.
Come immaginiamo vi riuscirà meglio, se conformato a mo’ di camper, o meglio ancora di autoarticolato motrice + bilico oltre le 70 tonnellate in ossequio alle tendenze al gigantismo vieppiù diffuse nel settore, nonché osannate da una critica giunta ormai a livelli d’incompetenza siderali e per conseguenza dal pubblico che da essa è influenzato, oppure in modo tale da risentire il meno possibile dell’inerzia e quindi poter seguire con maggiore facilità le variazioni anche più repentine per l’andamento del segnale?
Ancora, cosa ha le probabilità maggiori di mantenere il segnale nelle condizioni il più possibile simili a quelle di partenza, ossia quando si trova ancora sul supporto: costringerlo a passare in un percorso irto di ostacoli oppure cercare di rendergli la strada fino all’orecchio dell’ascoltatore la più semplice e fluida possibile?
In ambito motoristico, e in particolare nell’agonismo, la ricerca di prestazioni migliori non avviene in primo luogo per mezzo di incrementi di potenza che sono invece i più osannati a livello commerciale per motivi di comprensibilità da parte del pubblico, bensì attraverso la riduzione del peso. Questo perché un motore più potente tende a pesare e, al di là del suo rendimento termodinamico che ha comunque limiti invalicabili, a consumare di più. Da cui l’esigenza di maggiori quantità di carburante che vanno a rendere inutile o meglio ancora a inghiottire già in partenza buona parte del miglioramento ottenuto in tal modo. Senza contare che un mezzo più pesante e di maggior potenza è quasi sempre più complesso da portare al limite rispetto a uno più leggero e maneggevole.
Nel momento in cui per esigenze commerciali e di propaganda, sempre più basata sulla diffusione di immagini il più possibile convincenti, le apparecchiature devono risultate piene zeppe di controlli, comandi e lucine sui loro frontali e di componentistica al loro interno, perché se costano ormai prezzi folli almeno che vi sia un corrispettivo in termini di circuiti e componenti al loro interno, i quali inoltre devono sempre dare l’idea di riuscire a entrare negli spazi concessi dai contenitori solo grazie a sforzi sovrumani, cosa avremo ottenuto, l’equivalente dell’autoarticolato o del mezzo il meno gravato possibile dalla forza d’inerzia?
Le conseguenze di tali dispositivi sono del tutto equiparabili a quelle che un maggior peso comporta su un qualsiasi mezzo di trasporto.
Da questo punto di vista le apparecchiature che siamo soliti osservare danno più l’idea di essere destinate ad adattarsi nel modo più repentino a qualsiasi variazione per l’andamento del segnale o a compiacere la vanteria della loro clientela usuale, inseguendo il plauso scontato a priori delle fonti recensorie che nel loro insieme non possono che far parte del Coro Degli Entusiasti A Prescindere?
Del resto se non lo fossero, o solo si rivelassero non perfettamente adeguate a manifestare nella forma più teatrale e azzerbinata il loro scontato entusiasmo per la qualunque, perché mai un qualsiasi fabbricante o distributore dovrebbe affidare loro gli esiti commerciali degli oggetti che produce o di cui cura la diffusione?
Componenti elettronici, passivi e attivi, interruttori, selettori, potenziometri, controlli, relè, lucine, sono tutti elementi che costituiscono un’interruzione e/o un ostacolo al passaggio del segnale. Come lo sono le piste di circuito stampato lungo le quali li si dispone, le saldature con cui li si pone in contatto con esse, ciascuna caratterizzata dalla sua differenza di potenziale, i cablaggi necessari al collegamento dei circuiti con gli elementi di controllo posti sul frontale o sul retro.
Ciascun componente inoltre non svolge solo la propria funzione, ma è caratterizzato anche da altri aspetti. Un condensatore ad esempio ha anche la sua resistenza e la sua induttanza, così come una resistenza ha la sua componente capacitiva, la sua induttanza e così via. Ognuno di essi pertanto, al di là dell’efficacia intrinseca con cui esegue la sua funzione primaria, apporta inevitabilmente elementi secondari in varia misura. Va da sé allora che maggiore è il numero di componenti e più elevata è la rilevanza di quelle componenti spurie che in ultima analisi vanno a influenzare in maniera sensibile il comportamento dell’apparecchiatura nel suo complesso. Così da renderlo in buona misura conoscibile solo dopo averne provato in concreto la funzionalità effettiva.
Questo, a livello di apparecchiatura elettronica o di trasduttori, è quanto di più simile si possa immaginare agli effetti del peso o meglio ancora della zavorra nel mezzo di trasporto.
Allora perché mai sono sempre le apparecchiature più inzeppate di roba, talvolta fino all’inverosimile, le più osannate, quando è così evidente che non si possano chiedere le prestazioni di una Ferrari se si caricano la canoa, la suocera e pure il cane, trainando la roulotte acquistata per andare in vacanza e portarsi appresso mezza casa? Per quello ci vogliono il camper o la station wagon, che così sovraccaricate finiranno col fornire prestazioni inferiori persino a quelle di un’utilitaria.
Le apparecchiature conformate a immagine e somiglianza di camper e autoarticolati sono per questo motivo volte più a compiacere il senso della vista della loro clientela usuale e a figurare bene nelle immagini pubblicate in sede di recensione che non a raggiungere veri obiettivi in termini di qualità sonora. Anzi, proprio con la loro diffusione contribuiscono a diffondere un’idea di qualità sonora sempre meno attendibile. I loro fabbricanti invece, insieme a quanti le lodano incondizionatamente, fanno credere che l’autoarticolato con le prestazioni della Ferrari non sia solo possibile ma del tutto naturale e persino ovvio.
A molti fa comodo crederci, almeno altrettanti non riescono a capire la differenza e così sono sempre gli stessi marchi, o comunque le stesse modalità realizzative centrate su una ridondanza sempre più esasperata che continuano a predominare, grazie al loro effetto visivo innegabilmente efficacissimo su ogni propaganda di settore, che si svolga attraverso i mezzi canonici della pubblicità o attraverso i meno palesi e pertanto ancor più efficaci come la recensione o i social. D’altronde è proprio quello che viene richiesto dal mercato o comunque si fa di tutto affinché lo richieda.
Vulgus vult decipi, ergo decipiatur.
Cardinale Carlo Carafa 1517-1561
Buongiorno Claudio, ci siamo sentiti tempo fa in merito ad un Nad 302. Credo che questo simpatico articolo, con le sue all’apparenza scombinate analogie, abbia in realtà colto nel segno proprio per le inconfutabili ovvietà nel messaggio tecnico.
Espressione la mia da leggersi esclusivamente in senso positivo.
Ma ecco che, se quel messaggio lo riferisco al mio attuale impianto, non posso che annotare una sua (dell’impianto) evidente contraddizione, pur essendone io soddisfatto.
Mi spiego: ho un amplificatore integrato che, se lo si osserva internamente attraverso la sua grata superiore, appare pressoché vuoto e scarno nei circuiti (Primare i21) mentre, all’opposto, i filtri crossover dei diffusori (Harbeth P3esr) sembrano andare verso tutt’altra direzione. Forse che i due estremismi si bilanciano a vicenda?
Un cordiale saluto.
Andrea
Ciao Andrea, ben trovato e grazie per l’apprezzamento.
La riprova di quanto scritto nell’articolo si ha proprio dagli amplificatori come il tuo, scarni e privi di tutto quanto non è strettamente indispensabile e proprio per questo capaci di prestazioni insospettabili e comunque irraggiungibili dagli esemplari di maggior ridondanza.
Per quanto gli amplificatori essenziali abbiano iniziato a diffondersi ormai quasi mezzo secolo fa, tanti appassionati non hanno tuttora il coraggio di servirsene, temendo di non poter fare a meno di tutto l’armamentario tipico di quelli dalla più ampia dotazione comandi. Questa in genere è presente sulle apparecchiature che in sua assenza non ce la farebbero a produrre una sonorità degna di rilievo, quindi in ultima analisi non fa altro che contraddistinguere i prodotti più scarsi, per quanto alcuni di essi siano molto costosi.
Il problema è che per capire certe cose è necessario fare le esperienze del caso, il che non è possibile se sprovvisti del coraggio di fare il grande passo.
Una volta che lo si è fatto, di solito non si torna indietro, particolare che già di per sé mi sembra indicativo.
I tuoi diffusori dispongono di un crossover che include le reti di compensazione necessarie a linearizzare la risposta degli altoparlanti
e per questo appaiono più complessi di quanto si riterrebbe necessario.
Si tratta di un approccio che personalmente non condivido, in quanto ritengo più producente utilizzare altoparlanti caratterizzati già all’origine da un comportamento tale da non necessitare dell’ausilio di dispositivi siffatti, i quali per forza di cose si ripercuotono sul segnale che è costretto a passare attraverso di essi e ne viene penalizzato in maniera sensibile.
Questo però non è possibile per gli esemplari che vanno a ricalcare in maniera più o meno fedele alcuni tra i progetti più famosi del passato.
Purtroppo allora i due estremi non si bilanciano vicendevolmente come sarebbe sperabile e per quanto i piccoli Harbeth abbiano molti estimatori, è assai probabile che con l’impiego di diffusori progettati in maniera più razionale il miglioramento possa essere parecchio consistente.
Nello stesso modo, sostituendo i componenti dei crossover con altri di qualità maggiore, lasciandone invariata la topologia, per poi aggiungere un’altra serie d’interventi di cui non entro nei particolari, le doti sonore dei tuoi diffusori migliorerebbero in maniera ben percettibile, potendo esprimere il loro potenziale in maniera ben più compiuta.
Un saluto
Claudio
Grazie molte Claudio, il fatto è che seppure in apparenza questo estremismo appaia paradossale, l’esito finale mi aggrada molto e non sento la necessità di un miglioramento. Poi lo sappiamo tutti che c’è sempre di meglio e non lo metto in dubbio, ma dopo tante sostituzioni, prove e modifiche credo di aver finalmente trovato il giusto equilibrio. O forse ho solamente imparato l’arte del francescanesimo…
Di nulla, ci mancherebbe.
In tutta sincerità non riesco a cogliere l’elemento di estremismo cui ti riferisci e quindi neppure il suo aspetto paradossale.
Migliorare il trasferimento del segnale, tra l’altro in un elemento particolarmente critico al riguardo quale è il crossover presente all’interno di un diffusore, rientra proprio nel tema discusso dall’articolo che stiamo commentando.
I suoi effetti non influiscono tanto sull’allineamento timbrico del diffusore, e quindi sull’equilibrio generale della riproduzione, al quale si deve in prima istanza il gradimento nei confronti della sonorità dell’impianto da parte del suo ascoltatore. Anzi, se si fanno le cose come si deve rimane perfettamente invariato.
A cambiare in meglio, di gran lunga, è quel che va a definire gli aspetti più schiettamente qualitativi del segnale e quindi della sonorità complessiva prodotta dall’impianto.
Ciò avviene in maniera se vogliamo non dissimile dal cambiamento derivante dal passaggio a un’amplificazione essenziale, provenendo da una che obbliga il segnale a passare attraverso una lunga serie di elementi che ne pregiudicano le caratteristiche essenziali, penalizzandole oltremodo.
Una volta compiuto quel passaggio e comprese le sue implicazioni, si tende a non tornare più indietro.
Nello stesso modo, dopo aver fatto l’esperienza con un diffusore dotato di un crossover realizzato a partire da componenti di qualità maggiore, e poi messo a punto in maniera congruente, passando a uno di classe più elevata anche di molto, nei confronti del quale non dovrebbe esserci possibilità alcuna di confronto, si percepisce invariabilmente la presenza di vari elementi che non vanno, tali da rendere la riproduzione insoddisfacente appunto sotto l’aspetto qualitativo. Proprio in conseguenza delle scelte tipiche della produzione su larga scala, in merito alle quali ritengo utile la lettura di uno in particolare tra gli articoli che ho dedicato all’argomento.
Emerge così, infine, che sia io a dover ringraziare te, in quanto mi hai fornito sia pure indirettamente lo spunto per ampliare e approfondire il discorso affrontato in quest’articolo, così da migliorarne la completezza.