Naim e la setta delle prese DIN – Resto del Mondo

Uno tra gli elementi che reputo più interessanti nella gestione di un sito internet riguarda la corrispondenza che si riceve da parte di lettori e appassionati in genere. Da essa infatti spesso e volentieri si ricavano spunti interessanti per discutere e approfondire diverse questioni riguardanti la riproduzione sonora e i suoi addentellati con quanto avviene a livello della società civile.

Il suo contributo inoltre è da ritenersi fondamentale per avere il polso di quanto avviene nel microcosmo che ruota attorno alla riproduzione sonora, secondo un criterio massimamente fedele che neppure 1000 prove tecniche e di ascolto delle più svariate apparecchiature riuscirebbero a dare.

A sua volta quel microcosmo costituisce una rappresentazione sufficientemente attendibile di quanto avviene a livello più ampio, diciamo così del pubblico generalista, riguardo alle sue idee, attitudini, abitudini, valori e idiosincrasie.

Un esempio che mi sembra piuttosto significativo viene del messaggio inviatomi da un appassionato di nome Massimo, che riporto qui di seguito. Vediamo dunque cosa mi ha scritto, insieme alla risposta che come di solito gli ho inviato.

‘questo tipo di dinamiche mi sembrano più indicate per sette alla Scientology’

Gentile signor Checchi,
come appassionato di audio e redattore di riviste forse sarebbe il caso che sapesse che le prese DIN sono state lo standard per le connessioni di segnali audio in Europa per decenni, che le prese RCA non hanno la corretta impedenza (mentre le DIN sì), e che le RCA sono nate per altro impiego.

Il perché siano diventate universali (o quasi, grazie al cielo) come connessione di segnale audio provi a domandarlo a fabbricanti di cavi speciali.

Per decenni tutti gli apparecchi europei – Philips, Grundig, DUAL, SABA.. – hanno avuto solo prese DIN e nessuno si è mai lamentato. Ora ci sono le RCA, elettricamente meno adatte, e sono tutti felici.

Stia bene
Massimo

 

Buongiorno Massimo,
grazie dell’attenzione.

Dal tono del suo messaggio traspare un risentimento piuttosto evidente che sinceramente non comprendo.
Questo le causa un’urgenza denigratoria nei miei confronti che la spinge ad affermazioni e illazioni senza senso. Non sono soltanto fuori luogo ma denotano una comprensione e una conoscenza storica degli argomenti che ha posto in discussione quantomeno lacunose.

Ciò ovviamente al di là dell’infantilismo ancor più evidente in questo atteggiamento, oggi peraltro diffuso e diventato fin quasi una prassi. In particolare tra quanti non sono in grado di porre nulla di meglio a sostegno delle loro “tesi”, che altrimenti userebbero.

Detto questo, osserviamo che se qualcuno decide di costruire un amplificatore e dotarlo di prese DIN sono affari suoi e ne è perfettamente libero, come qualsiasi osservatore lo è altrettanto di esprimere un parere al riguardo. Possibilmente argomentando le sue valutazioni in maniera fondata e plausibile.

Tuttavia, nel momento in cui si va non solo ad attribuire un elemento di superiorità al prodotto sulla base di una scelta del genere, e peggio si procede a trasformarlo in strumento di manipolazione del pubblico o di una frangia di esso, le cose non vanno più bene.

Anzi sono inaccettabili.

Innanzitutto sotto il profilo etico, per tralasciare la scorrettezza di ordine commerciale.

In particolare perché con quel modo di fare si approfitta della credulità altrui, facendo leva sul desiderio di un ascolto migliore. Nello specifico si è tentato persino di organizzare un movimento di pensiero che col tempo, l’aizzare il fanatismo dei seguaci, del quale il suo messaggio è esempio paradigmatico, e l’ulteriore soffiare sul fuoco da parte di chi ha organizzato la messinscena lo si è trasformato in una setta.

Appunto la Scientology delle prese DIN.

I suoi effetti concreti sono il plagiare i suoi adepti al punto tale da farli sentire in dovere d’inviare missive di tenore simile a chiunque si azzardi a dissentire in merito ai suoi Comandamenti, in funzione della capacità di osservare le cose per quello che sono.

A quel punto è compito di qualsiasi critico degno di questo nome riportare la questione nel giusto alveo e descrivere il tentativo di manipolazione per quello che è: uno strumento grossolano atto a carpire la fiducia di chi già in partenza desidera credere, per i motivi più vari e che nel nostro ambito conosciamo fin troppo bene.

Proprio come per la clientela di maghi, chiromanti, santoni e fauna consimile.

Viceversa tutte le fonti allineate non hanno fatto altro che avallare asserzioni di tenore simile e le derive che ne sono conseguenza, dando credito e visibilità a quella forzatura così teatrale, allo scopo di compiacere il fabbricante e/o il suo distributore sul territorio di pertinenza.

Come forse avrà notato, sul frontespizio del mio sito è indicata in maniera chiara l’indisponibilità all’accettazione di dogmi, per quali che siano. E’ evidente pertanto che proprio sulla linea predetta vada a svolgersi l’attività in quella sede.

Dunque se si avesse innanzitutto la compiacenza di leggere, e poi la buona educazione di farlo prima di chiedere, oltretutto con modi simili, cose che già hanno avuto la loro risposta, si potrebbero comprendere certe questioni senza troppe difficoltà.

Nel suo “Arte della guerra”, Sun Tzu, filosofo, generale e stratega cinese vissuto probabilmente tra il VI e il V secolo A.C. ha scritto: “Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura. Se conosci te stesso ma non il nemico, le tue probabilità di vincere e perdere sono uguali. Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia.”

Un concetto del genere lo si potrebbe applicare non solo alla gestione di conflitti bellici ma, coi dovuti adattamenti, a una serie di altri ambiti tra cui anche il rapporto e lo scambio interpersonale.

A tale riguardo si potrebbe dire: “Se conosci il tuo interlocutore e te stesso, la tua probabilità di avere uno scambio costruttivo è sicura. Se conosci te stesso ma non il tuo interlocutore, le probabilità di avere uno scambio costruttivo o meno sono equivalenti. Se non conosci il tuo interlocutore e nemmeno te stesso, non riuscirai mai ad avere uno scambio costruttivo. Se poi oltre a non conoscere il tuo interlocutore e te stesso non hai le basi minime della materia di cui vuoi discutere, ma proprio perché non conosci te stesso sei convinto di esserne questo grande esperto, è quantomai probabile che dirai una serie di cose prive di senso”.

E’ vero che purtroppo la qualità media dei recensori di siti e riviste è crollata ai minimi storici ormai da tempo, tuttavia mi chiedo come si faccia non dico a tacciare, ma solo a pensare che un qualsiasi redattore attivo già in una fase storica che presupponeva criteri del tutto incompatibili con quelli attuali, possa non conoscere le prese DIN, le loro origini, i motivi concreti della loro scomparsa e poi la tipologia di apparecchiature e i marchi che le hanno utilizzate.

Prima ancora che infantile, la cosa francamente mi sembra fantascientifica o meglio ancora pretestuosa, proprio ai fini del tentativo la delegittimazione che lei ha ritenuto di compiere nei miei confronti, avendo io osato mettere in discussione quel che lei stesso dà l’idea che appaia intoccabile ai suoi occhi, come un idolo o più precisamente un feticcio.

Di qui la sua reazione, tipica di quanti vivono nella realtà parallela che si sono costruiti a uso e consumo della loro tranquillità mentale, i quali reagiscono notoriamente in maniera violenta nei confronti di un qualsiasi elemento tenda a riportarli su un piano di minore illusorietà.

Come si può credere che, negli anni in cui ho iniziato la mia attività professionale in questo settore, si potesse avere non dico un ruolo ma solo accesso in una qualsiasi redazione di rivista specializzata se privi dei rudimenti minimi della materia?

Più probabilmente non aveva ben compreso ciò di cui stava parlando o meglio era intenzionato a parlare, oltretutto accecato dalla rabbia suscitata dall’essersi sentito dire le cose come stanno, cosa a cui gli appassionati di riproduzione sonora sono storicamente disabituati e in larga maggioranza refrattari. Proprio in quanto assuefatti alle panzane propinate loro dal sistema di (dis)informazione di settore e dalle corbellerie ancora più inverosimili che recuperano e producono in proprio nei pollai costituiti da forum e social a loro dedicati.

Se prima di avventarsi sulla tastiera del PC avesse avuto la compiacenza di informarsi maggiormente riguardo alla mia persona e alla cronistoria della mia attività professionale, cosa per nulla difficile essendo il link presente nella pagina di apertura del mio sito, forse non le sarebbe stato difficile comprendere che quanto si accingeva a scrivere, ancor prima che offensivo, oltretutto per moventi tanto futili, è privo di addentellato alcuno con la realtà.

Quindi destinato esclusivamente a placare la sua sete di vendetta.

E’ vero che in tempi di dissociazione totale e generalizzata come quelli attuali la necessità di un legame con la realtà è niente altro che un optional, seppure, ma se avesse dedicato solo qualche istante a cercare di capire almeno un minimo chi è il suo interlocutore si sarebbe probabilmente risparmiato la fatica d’inviare la sua missiva.

Senza considerare il tempo che è stato necessario a me per leggerla e poi per rispondervi, facendo finta che non valga nulla. Del resto, proprio tra quanti s’interessano di riproduzione sonora abusare del tempo altrui è abitudine diffusa.

Sarebbe bastato quel poco per comunicarmi semplicemente, e in forma decisamente più consona e molto meno arrogante, il suo disaccordo col mio punto di vista, impostando così la sua proposta di scambio di punti di vista su canoni meglio distinguibili da quelli tipici di ultras da stadio di calcio o di cercatori della lite a ogni costo.

Riflettendo un minimo, prima di partire lancia in resta, e più ancora se si fosse accertato di aver compreso il significato della frase che tanto l’ha irritata nella sua completezza, non solo ne avrebbe probabilmente afferrato il senso e le motivazioni, del resto ho sempre nutrito grande fiducia nel prossimo, ma avrebbe anche evitato d’incorrere in una tra le abitudini più deprecabili del nostro tempo. Appunto quella di estrapolare singole parti di un discorso per poi attribuirgli un significato a piacere, di solito col fine di accusare di cose inesistenti qualcuno verso cui non si nutre grande simpatia, o peggio col proposito di costringerlo a giustificarsi per aver adempiuto alla propria funzione.

Cosa, questa, indice di una profonda malafede.

Correttezza vorrebbe, altro elemento ormai incomprensibile nel tutti contro tutti favorito da chi intende trarre ogni vantaggio dal dividi e impera, che non solo si eviti di estrapolare alcune parole da una frase altrui, ma anche che si consideri detta frase nell’intero suo contesto.

Non solo per intrattenere un rapporto minimamente costruttivo con il proprio interlocutore, ma anche per aiutarsi a comprendere meglio ciò che egli ha inteso dire.

Invece lei ha preso la parte della frase che più le ha dato fastidio per disinteressarsi completamente del resto. Forse perché in tal caso quel messaggio non avrebbe più avuto motivo di esistere? O solo perché le sue illazioni nei miei confronti sarebbero state ancor più prive di senso?

Se avesse osservato il minimo di precauzione, si sarebbe risparmiato di scrivere cose a tal punto fuori luogo. Quanto scrive, inoltre, mostra in quale misura le sfugga che quando i marchi da lei elencati commercializzavano  apparecchiature corredate da prese a norme DIN, come da normativa in vigore nel Paese d’origine e in quelli ad esso satelliti, queste costituivano un’eccezione o per meglio dire una curiosa stravaganza, essendo l’impiego delle connessioni RCA già da tempo prassi affermata e di gran lunga dominante.

Di fatto, pertanto, tali apparecchiature sono state penalizzate, in maniera grave, da quella scelta sostanzialmente forzata, nelle loro possibilità di diffusione e anche nelle loro capacità prestazionali, in vari casi non disprezzabili. Non a caso tutti quei marchi hanno trovato un responso quasi soltanto da parte del pubblico di lingua tedesca, in maniera da ritenersi per nulla casuale.

Dati i presupposti è necessario osservare che le loro prerogative si dovevano non certo all’impiego di quelle prese, tra l’altro scomode, cervellotiche e disfunzionali come storicamente si è dimostrata qualsiasi cosa emani da un organismo arrogatosi l’imporre una qualsiasi norma, ma alle scelte tecniche individuate in sede di progetto e realizzazione.

Già allora chiunque avesse tentato di far credere il contrario sarebbe stato un esempio di cialtroneria degno di menzione. Qualora vi avesse costruito attorno un movimento d’opinione non avrebbe eseguito altro che una forzatura plateale, a uso e consumo dei suoi privatissimi interessi economici.

Le sfugge inoltre che è proprio il suo sentirsi in dovere di rilevare i precedenti storici, tra l’altro marginali, della scelta che tanto le sta a cuore, a manifestarne l’inadeguatezza sostanziale e più che mai l’obsolescenza a livello temporale, tale da sollevare il dubbio che sia stata un mezzo, grossolano, atto in mancanza di meglio a ricavarsi maggiore visibilità. Anche con l’ausilio di campagne di stampa mirate alla parte del pubblico più vulnerabile.

Basterebbe poi il minimo di capacità di pensare con la propria testa per farsi una domandina ancor più che semplice, proprio terra terra: se fosse vero che le prese DIN sono in grado di attribuire alle apparecchiature che le utilizzano questo vantaggio così importante, per quale arcano motivo dopo l’esempio di Naim più nessun altro ha ritenuto di utilizzarle, neppure per le apparecchiature indirizzate al pubblico più sensibile nei confronti degli aspetti inerenti la qualità sonora?

Ma non sia mai detto che ci si affatichi a recuperare le funzioni di qualche sparuto neurone, molto meglio sparare a zero e tacciare dell’inverosimile chiunque si azzardi a rilevare le contraddizioni, peraltro marchiane, che gravano sul vitello d’oro che si è deciso di adorare, non si sa in base a quale criterio e a seguito di quali impulsi da remoto.

Inevitabile rilevare, a seguire, come la questione da lei sollevata dei cavi cosiddetti speciali non abbia nulla a che vedere con la diffusione dei connettori RCA. Al riguardo c’è solo da domandarsi dove si possano pescare informazioni a tal punto prive di fondamento. Nonché di senso compiuto, che dovrebbe far comprendere all’istante di trovarsi di fronte all’ennesima fandonia.

Le cose stanno esattamente al contrario, sono proprio i connettori DIN a rendere impossibile l’impiego di conduttori di qualità, per evidenti limiti di conformazione, il che denota inoltre il suo confondere cause ed effetti al punto di capovolgere completamente la realtà, anche questo tanto diffuso oggidì e non di rado usato in maniera strumentale. Finiscono pertanto, in ultima analisi, non col migliorare ma col penalizzare in maniera sensibile le capacità prestazionali delle apparecchiature che per loro sfortuna sono gravate da tale scelta.

Si dà il caso infatti che l’impiego di conduttori di qualità adeguata abbia iniziato a diffondersi nella seconda metà degli anni 70, quando gli RCA erano la scelta primaria già da parecchio. Avendo inoltre i loro ingombri non per una mera casualità, si rendono necessari per un motivo semplicissimo: il trasporto del segnale utile dall’una all’altra delle apparecchiature che fanno parte dell’impianto di riproduzione, purtroppo, non acquisisce la necessaria efficacia per opera dello Spirito Santo e nemmeno per l’intercessione del Patrono degli appassionati di riproduzione sonora, qualora ne esista uno.

Per conseguenza, chiunque per sua scelta personale, per intolleranza a quel genere di prodotti o per qualsiasi altro motivo ritenga di trascurare la qualità dei conduttori, non fa altro che penalizzare gravemente le condizioni del suo ascolto e per l’appunto va a porre l’impianto che utilizza in una condizione di grave trascuratezza, quindi nell’impossibilità di esprimere il suo potenziale tecnico e sonoro.

Con questo la saluto e le auguro buoni ascolti.

Fin qui la mia risposta a Massimo.

Tra i numerosi aspetti da porre in discussione, quello riguardante il senso della misura, la sua abolizione e la perdita conseguente per la cognizione stessa del significato attribuito a tale definizione mi sembra meritevole di precedenza assoluta.

Gli elementi storici e le modalità con cui si è arrivati a quell’abolizione li abbiamo analizzati più volte e non è il caso di soffermarsi ulteriormente su di essi, dato che in caso contrario il testo si allungherebbe a dismisura, destando le ire di quanti sono ormai assuefatti ai contenuti privi di qualsivoglia contenuto, tipici e ormai largamente predominanti della comunicazioni eseguita per mezzo della rete.

Di recente qualcuno si è lamentato dell’eccessiva lunghezza del testo di un mio articolo, che ha paragonato addirittura a un libro. Forse senza rendersi conto di aver evidenziato così quali siano le sue reali attitudini nei confronti della lettura, e poi di aver fatto un grande complimento al mio lavoro, che invece era sua intenzione bocciare. Quantomeno dal punto di vista diciamo così letterario, anche se è una parola fin troppo grossa.

Oggi purtroppo l’incapacità di concentrazione e di reale comprensione di un qualsiasi testo scritto è ai minimi storici e non è certo un caso. Conseguenza, la pretesa concreta che tutto quanto viene pubblicato ottemperi a tale realtà e se possibile la favorisca. Che poi proprio così facendo si sia arrivati a risultati tanto dilaganti quanto distruttivi, dei quali si costituisce per propria sfortuna prova materiale, non sembra essere d’interesse per i portatori di certe “idee”, secondo i quali evidentemente tutto ciò non costituisce un problema.

Altrettanto curioso è che commenti del genere pervengano regolarmente a seguito della pubblicazione di contenuti di un certo tenore, volti a mostrare l’assurdità di cose che riscuotono il consenso maggiore o solo l’abitudinarietà tipica delle masse, rispetto alle quali si è fatto e si continua a fare di tutto al fine di renderle depensanti.

In sostanza avviene così che il portatore di una limitazione pretenda che tutto quanto in cui s’imbatte, ossia alla lunga l’intera realtà, debba rispettarla o meglio conformarsi ad essa, secondo i dettami del politicamente corretto dei quali a questo punto cogliere la palese illogicità, o meglio la spinta regressiva di portata devastante, diventa persino scontato.

In questo il punto di contatto con il messaggio inviato da Massimo è evidente: qualora il proprio punto di vista si discosti dalla realtà, o meglio dall’ordine naturale delle cose, dev’essere quest’ultimo a cambiare. Per adeguarsi alla narrazione ritenuta da ciascuno più confortevole, in funzione dei suoi interessi o solo delle sue limitazioni, ma soprattutto dell’indisponibilità a prendere atto delle condizioni proprie del mondo reale.

Dunque l’incapacità di seguire un testo, per quanto minimamente complesso, sarebbe colpa di chi lo ha scritto e non di chi non è in grado di applicarsi ad esso, in funzione della tendenza a una delle numerose forme assumibili dal cosiddetto analfabetismo funzionale, oggi dilagante persino tra quanti hanno conseguito i diplomi scolastici di grado più elevato.

Così un testo di 6-7000 caratteri lo si definisce un “libro”. Ammesso che sia tale, si tratterebbe di un genere di prodotto con cui in genere è possibile entrare in contatto solo a fronte di una spesa, più o meno modica. Qui invece lo si riceve gratis, ma si trova comunque il modo di lamentarsi.

Senza contare che, notoriamente, se per scrivere una corbelleria bastano un istante e quattro parole, per dimostrare che è tale e soprattutto osservarne origini, addentellati e conseguenze, cosa indispensabile volendo comprenderne appieno la valenza concreta, di spazio ce ne vuole parecchio.

Tornando al messaggio iniziale, a mio avviso è ancora una volta la perdita del senso della misura a indurre idee come quelle del nostro amico, più o meno esperto ma forse non moltissimo come ce ne sono tanti. E’ convinto di mettersi in cattedra, come ha fatto, nei confronti di qualcuno che per caso, fortuna, ricerca, attitudine personale o qualsiasi altra cosa si vuole ha avuto la possibilità e forse il privilegio, inteso come qualcosa che non capita a tutti, d’intraprendere un’attività che gli ha permesso di accumulare una quantità di esperienza, e soprattutto una sua qualità, piuttosto difficile da ottenere per un qualsiasi appassionato.

A maggior ragione nel momento in cui non si riesce a cogliere la sostanza effettiva che si cela dietro determinati messaggi, come appunto quello che ha tentato di far passare le prese DIN per quel che non sono, non sono mai state e non saranno mai.

Non è del tutto peregrino anzi il sospetto che data la fase temporale in cui ha avuto luogo l’operazione Naim, la scelta ad esse relativa sia dovuta possibilmente a un’offerta tanto conveniente che non fosse possibile rifiutarla, essendo già allora quello standard di collegamento andato da tempo in disuso. Quindi i fondi di magazzino esistenti attendessero un compratore che, proprio per l’inutilizzabilità concreta del prodotto, se li portasse via anche per una cifra simbolica, pur di evitare i costi e i grattacapi connessi al suo smaltimento.

Questo peraltro sarebbe perfettamente in linea sia con il livello realizzativo tipicamente al risparmio fin quasi proverbiale per i prodotti Naim, del quale un buon esempio abbiamo avuto nell’articolo dedicato ad alcuni di essi a sua volta inserito perfettamente nella vocazione alla spartanità tipica della produzione inglese di quel periodo e non solo.

Se come disse un politico che si è dimostrato capace di salire in sella quando ancora le truppe tedesche avevano pieno controllo della maggior parte del suolo italiano e di restarvi fin quando avvenne l’operazione condotta su più livelli che produsse il golpe bianco meglio noto col nome di Tangentopoli, “A pensar male si fa peccato ma spesso s’indovina”, a quel punto restava un solo problema: far digerire agli appassionati qualcosa che non solo era divenuto fortemente inusuale all’epoca della sua immissione sul mercato, anche se la parola più indicata è obsoleto, ma soprattutto li obbligava a subire una scomodità e peggio a sacrificare le possibilità soniche del loro impianto, per di più penalizzandone l’affidabilità.

Le prese DIN infatti, per loro stessa conformazione e con particolare riguardo per le connessioni volanti necessarie a terminare i cavi di cui rendono necessario l’utilizzo, sono le più vulnerabili nei confronti di falsi contatti potenzialmente esiziali per le apparecchiature che ne sono dotate o solo vi vengono collegate. In particolare a seguito delle sollecitazioni derivanti dal passare del tempo e di ripetute disconnessioni e riconnessioni.

Non esistendo motivazioni concrete al riguardo, o meglio essendo innominabili, l’unica era mettere in piedi un’affabulazione tale da convincere almeno la parte più sensibile a certi discorsi che si trattasse di una scelta ponderata, in funzione di determinati risultati. La stampa di settore sta lì proprio per quello e basta mettere in campo il necessario per trovare chi si presti all’operazione.

La tendenza al derivativo tipica di ogni Paese e di ogni popolo che rinuncino alla loro sovranità, anche e soprattutto in termini culturali e di tradizioni, per lasciare da parte gli aspetti politici ed economici della questione, fa poi il resto. Si tratta di un aspetto fondamentale, per il semplice fatto che se in casa propria non si è padroni non si può essere altro che vassalli, o meglio ancora servi, condizione più indicata per indurre a scimmiottare tutto quanto arrivi dal Paese dominante, o meglio ancora per la fattispecie attuale dal centro dell’Impero.

Sottoprodotto ne è l’attitudine a ripetere pappagallescamente soprattutto i tratti più deteriori di una qualsiasi materia, che trova applicazione particolarmente diffusa, o meglio ancora endemica proprio a livello di stampa, tanto generalista quanto specializzata, per l’abitudine dei travet che costituiscono l’ossatura del settore ad “attaccare il cavallo dove vuole il padrone”. Nella fattispecie si tratta dell’editore, a sua volta ammanettato alla committenza della pubblicità palese che pubblica attraverso le sue testate, cui è giocoforza corrispondere con quella dissimulata, e pertanto più efficace in maniera immisurabile, nell’insinuarsi nelle menti dei lettori per mezzo dei testi redazionali.

Non a caso questi sono improntati da sempre all’approvazione incondizionata per il prodotto che pretenderebbero di analizzare. Era tale già ai tempi dei Naim e in seguito ha raggiunto le vette d’inverosimiglianza e di rifiuto di ogni logica arrivate oggi al loro massimo splendore, da cui la valanga che ha travolto il senso critico e la consapevolezza di un numero di appassionati in crescita perenne. Dunque, tutto quanto preso in esame di volta in volta presso quelle sedi sarebbe incommensurabilmente migliore di qualsiasi altra cosa e nessuno si chiede come diamine sia possibile.

L’appassionato infatti, per sua stessa vocazione, a tutto questo ci crede. Proprio perché è intenzionato, o meglio ancora vocato, a credere, essendo il suo scopo un ascolto migliore e quindi una superiore qualità sonora. Poi, come disse Mark Twain, è molto più facile ingannare qualcuno rispetto al fargli comprendere col “solo” ausilio della logica e dei dati di fatto, non a caso derubricati tra le varie & eventuali, che è stato vittima di un inganno.

D’altronde prendere atto della realtà lo costringerebbe ad ammettere il suo errore, che nell’accezione attuale non è più il metodo più efficace di costruzione dell’esperienza, qualora l’errore si riesca a comprenderlo nelle sue cause e nei suoi effetti, ma solo ed esclusivamente la dimostrazione di essere dei babbei.

Questo è funzionale all’ordinamento dominato dal capitalismo anarcoide da cui discende la pseudo-etica vigente, quella della Vanna Marchi che dallo schermo urla “i coglioni vanno inculati!”.  E’ volta primariamente alla cancellazione del diritto, dove se sei stato ingannato, in genere a fini di profitto, la colpa è solo tua che non sei stato sveglio abbastanza. Ovviamente già a priori nessuno vuole passare per tale, specie nella realtà di oggi in cui la proiezione di sé nell’arena del virtuale ha assunto un’importanza maggiore della valenza concreta di ciascuno di noi sul piano del reale.

Il risultato di tutto questo è appunto la costruzione di una platea numericamente dominante, e di gran lunga, indisponibile a comprendere che esista qualcuno in possesso di maggior competenza rispetto alla propria per qualsiasi argomento compreso nell’intero scibile umano. Degenerazione tipica, ricercata e attuata coi mezzi che la tecnologia informatica ha messo a nostra disposizione, di quello che un tempo si usava definire come popolo di 50 milioni di allenatori della nazionale.

A tal fine importanza imprescindibile ha avuto la valenza “culturale” assunta dal motto dell’ognuno vale uno, proprio dell’inganno pentastallatico, che come ogni elemento spinto al massimo del deteriore ha avuto presa immediata su un numero particolarmente elevato di individui. Anche e soprattutto facendo leva su precedenti storici innegabili, stanti nell’inclinazione della politica, a suo tempo gonfiata a dismisura dai media, a perseguire primariamente i propri interessi e quelli di quanti sono in grado di influire sui suoi meccanismi, per poi piantarsi irrevocabilmente nel modo di sentire e di agire di tante persone.

In origine è servito a far passare e poi ad affermare il concetto di opposizione fantoccio, di per sé assai peggiore di quello di governo fantoccio, così usuale nei Paesi un tempo indipendenti ma privati ormai di qualsiasi sovranità, in quanto asserviti in un modo o nell’altro alla prassi imperialista. E’ tale proprio in quanto tendente a dimostrare, coi fatti, che a un governo che non risponda più al popolo costituzionalmente sovrano ma a entità quasi sempre esterne al Paese e come tale sia un governo fantoccio non vi sia alternativa.

Questo concetto è a sua volta fondamentale per la decostruzione di qualsiasi prospettiva politica, quindi per l’affermazione dell’inevitabilità stessa del governo unico mondiale dominato in forma assoluta e irrevocabile da non eletti da nessuno, per la quale si ritiene necessaria la resa della dissidenza più o meno organizzata. Ossia proprio quanto desiderato dai mandanti del fellone che per trenta denari ha tradito e venduto per l’ennesima volta il suo stesso popolo.

Da cotanto servigio reso ha guadagnato uno sputtanamento totale e definitivo, da cui deriva il non potersi più far vedere in pubblico, non solo per questioni inerenti la sua credibilità artistica.

Ecco cosa deriva dal farsi servi, sempre a proposito di sovranità, sia pure in seguito alle promesse suadenti di chi proprio col non mantenere la parola data ha acquisito il ruolo che si ritrova.

Ne consegue inoltre precipitare il proprio Paese in una crisi di classe dirigente senza precedenti. Per suo effetto persino il Presidente della Repubblica è costretto/acconsente di buon grado a farsi il secondo mandato, a dispetto che la Costituzione, ossia la legge cui devono corrispondere tutte le le leggi o almeno dovrebbero, neghi tale possibilità. Se l’illecito s’incista già ai vertici istituzionali, non può che derivarne, a cascata, un’illegalità mai così profonda e pervasiva a ogni livello, mentre a livello di cariche politiche sono andati esauriti tutti i burattini e i possibili attori delle parti in commedia, ormai anche quelli di quart’ordine, in un trentennio o poco più. Tanto è durato l’ultimo atto di quella farsa iniziata appunto nel 1992.

Inevitabile allora tornare ancora una volta a Pasolini, profetico e di chiarezza ineguagliabile nell’individuare e illustrare con decenni di anticipo e con la più grande crudezza le derive da cui sarebbe stato travolto il nostro Paese, in funzione delle dinamiche consumistiche e delle conseguenze inerenti il degrado del tessuto sociale che ne sarebbero conseguite, del quale politica e istituzioni sono l’espressione, causa prima della fine che gli è stata riservata.

Il potere tecnocapitalistico “non si accontenta più di un uomo che consuma, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie di quelle del consumo” (…) Nei confronti di quanti rifiutino di osservare la sua essenza totalitaria, in funzione della cornice pseudo-democratica dietro la quale si cela, è pronta la risposta: “Esso ha deciso di essere permissivo perché soltanto co una società permissiva può essere una società di consumi”. La sfera dei diritti, pertanto, viene allargata a dismisura nel campo individuale e intimo, ossia quello relativo ai cosiddetti diritti civili, rispetto ai quali è ora in via di sdoganamento persino la pedofilia. Il colpo d’avvio, a seguito del quale la tendenza ha acquistito un momento inerziale via via più poderoso, lo si è dato per mezzo di un partito-fantoccio ante litteram, come lo è stato quello Radicale. Dimostrazione di come l’intero meccanismo politico non sia più da tempo nel controllo del popolo, ma nelle mani di forme di potere che si mantengono celate alla vista dei più, per motivi di opportunità e in modo tale da poter dare del complottista a chiunque vi faccia riferimento.

I diritti sociali per contro, inerenti innanzitutto la dignità individuale, l’etica e la qualità della vita, avendo un costo innanzitutto politico che lo Stato non ha intenzione e forse più neppure la possibilità di sobbarcarsi, sottoposto com’è avvenuto nel corso degli ultimi decenni alle necessità e alle pretese di una finanza assurta a vero potere assoluto, sono di fatto cancellati. A fronte vi è invece una sfera pubblica in cui il paradigma è quello della sorveglianza totale e assoluta, del pensiero unico, della repressione delle idee e dei principi renitenti all’ ordine biopolitico/biocratico neo-autoritario.

Compito tra l’altro attribuito a quanti ne sono vittime come, vediamo in questa sede, sia pure per questioni inerenti elementi d’importanza marginale ma non meno emblematici per le dinamiche assunte da questo dispositivo d’imposizione del pensiero unificato.

Le conseguenze dell’ideologia consumistica, intesa nella sua forma più estremizzata e oltranzista, e del credo nei confronti del prodotto, concepito come unico terreno per l’affermazione di sé stessi, che di essa è effetto primario e imprescindibile nella missiva inviatami dal nostro amico diventano persino paradigmatiche.

L’acquirente non è più solo l’elemento verso cui si rivolge la sua opera di fascinazione e conquista, quindi vittima e insieme propugnatore della logica consumista. Una volta quell’opera è giunta al suo scopo, lo si coopta di fatto a guardiano dell’onorabilità del prodotto e come tale si sente nel diritto-dovere di salvaguardarlo, al di là della sua adeguatezza e sue caratteristiche reali, da qualsiasi elemento di critica possa minarla.

Non importa assolutamente se quell’elemento sia davvero esistente, del resto è la stessa ideologia consumistica a trascendere o meglio a essere intollerante nei confronti di qualsiasi differenziazione tra vero e falso, tra assurdità e concretezza, tra reale e immaginario.

Ne consegue la supponenza di chi non tollera più in modo alcuno di vedere descritte le cose per quello che sono e pur di continuare a credere alla narrazione in cui ripone la propria fiducia e tutte le sue speranze di emancipazione, ovviamente falsificata, non esita a sparare a zero. Senza curarsi assolutamente, tra l’altro che gli argomenti utilizzati allo scopo abbiano un fondamento o meno. Del resto i suoi simili, che sono il vero uditorio cui si rivolge, non ne comprenderebbero la differenza.

L’essenziale allora è credere, cui consegue per forza di cose l’obbedire e il combattere, che il proprio interlocutore, appositamente trasformato in bersaglio, sia effettivamente come ci si affanna a descriverlo, appunto in base a una totale noncuranza per ciò che è vero, ciò che non lo è e ciò non può esserlo, in maniera a tal punto marchiana.

Ecco dunque di fronte a noi il risultato ultimo dell’atto di manipolazione del pubblico eseguito con scopi commerciali: un ultrà sfegatato, pronto a scagliarsi contro quello che individua come un nemico, del tutto indistinguibile da un tifoso di una qualsiasi squadra di calcio. Determinato ad azzuffarsi con quello della squadra avversaria, o meglio non vede l’ora di farlo, essendo la sua tifoseria un pretesto per dare sfogo a pulsioni che evidentemente non riesce a neutralizzare in altro modo. Oppure, in alternativa, quello prodotto dalla manipolazione con finalità politiche, secondo i sistemi tipici dell’autocrazia.

A questo riguardo è consigliabile la visione del film “L’onda”, che spiega in maniera comprensibile a chiunque i metodi atti a metterla in pratica e i risultati che ne derivano.

Sola differenza è l’esecuzione di quelle metodiche non per finalità politiche nel senso stretto del termine, ma con scopi volti all’induzione del consumo e alla salvaguardia della coartazione parossistica che ne è conseguenza ultima, stante la funzionalità degli strumenti via via più raffinati ed efficaci che si sono adottati al riguardo.

Denominatore comune è invece la violenza, verbale o fisica non fa alcuna differenza, la cui espressione dipende esclusivamente dalla qualità del terreno su cui la si va a praticare, che la condizione di manipolati porta a scatenare per motivi ancor meno che futili, direi fin quasi inesistenti.

Una sola parola chiave può essere più che sufficiente allo scopo, così da farla funzionare come una sorta di detonatore. A questo riguardo ritengo essenziale la lettura dei numerosi resoconti riguardanti le sperimentazioni effettuate nel corso dei decenni secondo il progetto denominato MK Ultra o dei numerosi consimili, condotti dai servizi segreti di praticamente tutte le potenze mondiali, nell’ambito di quella che i cinesi Qiao Liang e Wang Xiangsui hanno definito “Guerra senza limiti”, titolo del libro da loro pubblicato, che nell’edizione italiana è stata curata dal generale Fabio Mini.

Nella fattispecie il movente resta sempre lo stesso: l’opportunità di generare conflitti a non finire e a ogni livello, a iniziare da quello interpersonale, perché proprio nelle condizioni che ne derivano riesce agevole imporre il proprio dominio, da parte di chi ne ha le possibilità.

In tutto questo non manca l’elemento paradossale o meglio ancora surreale. Risiede nella pretesa, dell’appassionato appositamente privato di ogni prospettiva storica, quindi incapace di comprendere persino che quanto scrive a livello della genesi dei connettori RCA è un assurdo, innanzitutto a livello storico e temporale.

A suo dire sarebbero stati realizzati apposta per quelli che definisce pappagallescamente “cavi speciali”, termine la cui genesi non differisce in nulla da quello mai abbastanza deprecato di esoterico e dagli altri consimili, volti a giustificare l’esistenza, l’utilizzo e la diffusione del prodotto mediocre e perciò inadeguato fin dalle basi, che l’industria di settore ha imposto per la sua esclusiva convenienza.

In forma implicita pertanto quei termini tendono a suggerire che tutto quanto esuli da tale mediocrità sia inevitabilmente una truffa, e come tutto ciò sia un ulteriore motivazione a mettersi in cattedra per dare lezioni a chi ha speso più di qualche decennio a livello professionale nell’ambito di questa materia.

Tutti o quasi sono d’accordo nel riconoscere che la dissociazione dalla realtà è uno tra gli aspetti comportamentali dominanti nella società odierna, ma ci sarà un limite, da qualche parte?

Eccoci pertanto ancora una volta, o per meglio dire proprio trascinati al suo cospetto, alla questione dell’eterno presente e alle sue conseguenze materiali. Il sistema di (dis) informazione di settore la induce per mezzo della sua heavy rotation di stile radiofonico che consiste nella sarabanda incessante di recensioni di apparecchiature tutte identiche l’una alle altre, nello stile, nei termini utilizzati, nelle valutazioni, nelle conclusioni e soprattutto nelle finalità, come sempre condotta al grido di “E’ il lettore che ce lo chiede!

Le sue conseguenze, inevitabili soprattutto dopo decenni di martellamento continuato, sono appunto quelle rese evidenti dalla missiva inviata dal nostro amico, ossia la privazione di qualsiasi consapevolezza storica e, seppure un barlume riesca a salvarsi, l’incapacità di porre il singolo evento nella sua corretta prospettiva temporale, in modo tale da renderlo del tutto inutile ai fini pratici. Eliminato il concetto del passato, è inevitabile perdere qualsiasi capacità di proiezione nei confronti del futuro, sia pure quello di termine più breve, così da porre l’individuo in una condizione priva di qualsiasi punto di riferimento temporale, dopo averlo spossessato di quelli di ordine ideologico, etico, valoriale e di consapevolezza di sé proprio in quanto individuo.

Ne fuoriesce una sorta di marionetta, flessibile e utilizzabile a qualsiasi scopo l’ordinamento consumista escogiti o ritenga opportuno.

Un altro aspetto che mi sembra rilevante ai fini della questione è la cancellazione e la seguente riscrittura della Storia secondo i canoni di maggior comodo che permettano d’imporre scelte, modalità di vita e di pensiero a livello collettivo. In un momento come quello attuale, in cui questo modello sta dilagando un po’ a tutti i livelli, è inevitabile che vi sia anche chi lo fa proprio sul piano individuale, non è dato sapere se in funzione di una scelta ponderata oppure senza rendersi bene conto di quello che sta facendo.

A tutto questo si applica poi il bispensiero orwelliano di cui abbiamo parlato tante volte, riguardante il sottile e raffinato autoinganno che consiste nel compiere un’azione, appunto la cancellazione e la riscrittura della storia a uso e consumo delle proprie convinzioni o di quelle che si ritengono tali, per poi negare immediatamente dopo di averlo fatto.

E’ evidente tuttavia che a seguito di tale azione permanga in fondo la cognizione di averla compiuta e che per conseguenza occorra lottare con sé stessi per reprimerne la consapevolezza e il senso di responsabilità che ne derivano. Pertanto, nel pieno di quella battaglia interiore che la manipolazione eseguita dall’esterno porta a combattere contro sé stessi, come una sorta di malattia autoimmune, il momento in cui un elemento esterno vada a rendere palese l’aver compiuto tale azione, e quindi a vanificare lo sforzo fin li compiuto, la reazione non può che essere sproporzionata, come appunto sono stati i toni della missiva inviatami dal nostro saccente amico.

Di qui l’intolleranza, nei confronti di qualsiasi cosa che al riguardo abbia una logica e un senso compiuto,  e quindi l’istinto di censura, non più caduta dall’alto, ma demandata alle sue stesse vittime e quindi eseguita ancora una volta sul livello da pari a pari. Conseguenza inevitabile, il tentativo di manganellaggio secondo una prassi che chiunque lo desideri, e conservi occhi per vedere, ha modo di osservare nel suo svolgersi sempre uguale a sé stesso nelle aree di discussione pubblica.

In esse, proprio per effetto di quanto appena descritto, si può osservare anche la nuova forma di squadrismo, indotta dal coalizzarsi di più persone che condividono questa forma d’intolleranza, nei confronti di chiunque azzardi a esprimere un’opinione difforme da quelle consentite.

Ne deriva una forma di violenza ben palpabile, che rimane sul piano del virtuale unicamente in funzione del terreno su cui va a esplicarsi, ma che probabilmente, se ne fosse data la possibilità, non avrebbe difficoltà a passare su un livello di ben altra concretezza. Soprattutto ha conseguenze che vanno ben oltre il virtuale, delle quali ci si ostina a non  voler prendere atto, malgrado soprattutto tra le giovani generazioni, tra le quali spesso il virtuale assume un’importanza maggiore della realtà concreta, dinamiche del genere siano addirittura causa di suicidio.

Come vediamo, allora, è estremamente facile indurre il “tutti contro tutti” portato alle conseguenze più estreme, per mezzo del quale si possono dominare con agio incommensurabilmente maggiore masse umane di dimensioni a piacere, secondo le leggi del “dividi e impera”.

Basta avere a disposizione i mezzi atti a diffondere in maniera sufficientemente ampia cose prive di senso e un numero sufficiente di individui che abbocchino all’amo. Magari procurandoseli devastando i sistemi didattici com’è guardacaso avvenuto nel corso degli scorsi decenni da parte di una politica e di istituzioni rispetto alle quali sarebbe interessante sapere ancora una volta a chi rispondessero. A quel punto è sufficiente procurare un terreno di scontro, appunto le aree di discussione pubblica o solo i siti che permettano ancora un contatto diretto tra chi li cura e i loro destinatari, e il gioco è fatto.

Tutto questo sarebbe comprensibile, benché giustificabile se eseguito in nome di un valore, di un’idea, di una prospettiva di vita. Ma in funzione di un prodotto o di qualche sua caratteristica, tra l’altro marginale in termini pratici, anche se non per la manipolazione che è possibile eseguire per il suo tramite, assolutamente no.

C’è anzi da rimanere con gli occhi sgranati ogniqualvolta ciò avvenga.

Quindi, se possibile, evitiamo di farci plagiare da un sistema di comunicazione pronto a qualsiasi bassezza, le peggiori delle quali sono quelle che compie a sua insaputa, in primo luogo per inadeguatezza etica e concettuale del personale di cui si serve.

Non a caso, figure ben inserite all’interno di quel sistema vantano pubblicamente di essere preda di una vera e propria compulsione, nei confronti della riproduzione sonora e delle apparecchiature ad essa correlate. Quali avanguardie del settore, in particolare della parte più deprecabile ma come oggi è d’uso largamente maggioritaria di esso, è inevitabile che il loro atteggiamento si ripercuota, moltiplicato, nel rapporto con esso intrattenuto dagli appassionati, in particolare quelli più sensibili nei confronti di certe sirene.

In condizioni simili, è pressoché inevitabile non fermarsi di fronte a nulla per rendere più fluido il processo di estrazione del profitto. Nulla di strano, allora, se allo scopo si cerchi di annichilire in ogni modo e con i pretesti più vari le vittime designate, ovvero gli appassionati e in particolare la parte più sensibile nei confronti di determinati stimoli, appunto per mezzo di un’opera certosina di decostruzione del reale, a vantaggio di una narrazione imperniata  sulle virtù di un preteso bengodi entro il quale la tentazione d’immergersi sia in sostanza irresistibile.

L’unica allora è cercare di non essere parte di esse, appunto tentando di conservare il necessario contatto con la realtà. Primo elemento, a tale riguardo, è chiamare le cose con il loro nome e un certo modo di fare e di raccontare ne ha uno ben noto: cialtroneria. Impariamo a riconoscerla e a diffidare, di essa e soprattutto di chi la pone in atto.

 

 

2 thoughts on “Naim e la setta delle prese DIN – Resto del Mondo

  1. Buongiorno Claudio,

    francamente l’intervento del lettore mi lascia alquanto perplesso, per le motivazioni che hai già esaminato ampiamente. Prima di utilizzare un tono supponente, fuori luogo peraltro, dal momento che questo è un sito di informazione e confronto reciproco, volto alla crescita personale del lettore stesso, avrebbe dovuto informarsi sull’interlocutore, onde evitare sonore cantonate. Onestamente non capisco dove volesse andare a parare.
    Per non parlare dell’altro commento da te menzionato, dove vieni criticato di aver scritto un pistolotto. Viene da chiedersi se il tenore dell’osservazione sarebbe stato diverso nel caso in cui l’articolo fosse a pagamento. Probabilmente, quando non si deve mettere mano al proprio portafogli, le cose non si apprezzano.
    A presto!

    1. Ciao Alberto, grazie del commento.
      Non penso che il nostro amico fosse poco informato rispetto alla mia attività passata. Anche in quel caso, comunque, colmare la lacuna non sarebbe stato difficile, essendo presente nel sito una pagina dedicata alla mia presentazione.
      Per come la vedo io, penso si sia trattato di una reazione, più o meno stizzita, dovuta all’aver toccato, da parte mia, un argomento tabù.
      Ogni giorno s’impara qualcosa, spesso da fonti che non s’immaginerebbero. In questo caso è stato offerto lo spunto per una riflessione riguardo a un fenomento trascurato ma che ritengo alquanto diffuso e anche quello a ben guardare non è poco.
      In merito all’altro commento è innegabile che i miei articoli siano troppo lunghi, in maniera persino esagerata rispetto alla superficialità dilagante che oggi predomina ed è da ritenersi apprezzata.
      Un altro atteggiamento oggi diffuso è il ritenere che tutto e tutto il suo contrario siano dovuti, in egual misura e nello stesso tempo, come sempre più numerosi sono i modelli che sembrano suggerirlo. A questo riguardo c’è poco da fare, se non prendere atto e provare a illustrare le ragioni per cui la banalità viene privilegiata a tal punto.
      Magari si potrebbe destare qualche curiosità oppure spingere a farsi qualche domnanda, il che sarebbe già un bel risultato.
      Grazie ancora e alla prossima 🙂

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