Analogico a lettura ottica e altre prelibatezze

Roberto mi scrive:

Buondi’ Sig. Cecchi.

scrivo per ringraziarla degli articoli sul “giradischi” veramente interessanti, anche se avrei aggiunto parimenti trattatazione teorica (semmai come link).

Comunque di seguito la mia domanda: con il ritorno all’analogico si è andata completando la piu’ completa disalfabetizazione di ascolto musicale negli ultimi cinqunt’anni. Prima il passaggio al digitale comunque e dovunque, ora il ritorno al “ANALOGICO” finto (se non sbaglio oggi tutta la musica è registrata in digitale, non piu’ tramite i vecchi REVOX a 19 cm/sec.), certo a livello professionale, ed ad alto bit rate, ma dell’analogico cosa resta?

Ero stato intrigato in tutto questo, dalle nuove cartucce ottiche, sperando, ma sono rimasto deluso per il modo primitivo che ne caratterizza l’ingegnerizzazione.

Troppo banali, e neanche sfruttare i criteri d’interferenza, con l’elettronica di oggi semplicissimi da usare.

E poi i prezzi da pura follia…

Lei cosa ne pensa ?

 

Buongiorno Roberto, grazie dell’apprezzamento.

Per quanto ne sappia non esiste una trattazione teorica, nel senso che ritengo tu abbia voluto attribuire alla definizione, di completezza apprezzabile. In particolare alla luce delle esperienze compiute sul sistema analogico nel corso degli ultimi anni, ossia a partire dal ritorno d’interesse nei suoi confronti e quindi della consapevolezza che ne è derivata.

In parallelo agli altri suoi portati, l’era del digitale ha visto svolgersi una trasformazione epocale, a livello del sistema d’informazione, le cui finalità hanno subito una vera e propria metamorfosi, per divenire di mera comunicazione.

Si tratta di una differenza sostanziale e inconciliabile, che comporta l’eliminazione di qualsiasi componente divulgativa, e come abbiamo visto nell’articolo pubblicato subito prima di questo, ha le sue cause di fondo nel capovolgimento delle finalità del sistema d’informazione, adibito a strumento di mera comunicazione a esclusivo favore degl’interessi di chi ne detiene il controllo. Ne sono conseguite la rimozione e poi l’inevitabile inesistenza del personale adatto, date le scelte che quella trasformazione ha indotto per la composizione delle redazioni, oltre ai costi necessari per la pubblicazione di contenuti volti alla divulgazione.

Ormai il solo messaggio trasmissibile da quelle fonti è l’induzione all’acquisto. Portata a un’esasperazione tale da spingerla a livello parossistico, compulsivo.

Non penso sia una caso che proprio alcuni esponenti delle redazioni più seguite abbiano ritenuto indispensabile dichiarare pubblicamente si tratti della modalità d’approccio con cui si pongono nei confronti della riproduzione sonora e dei prodotti ad essa correlati.

E’ evidente pertanto che in condizioni simili possa passare tutto e tutto il suo contrario, in termini di qualità: realizzative, funzionali e soniche, mentre il prezzo di vendita vada a perdere ogni addentellato con le peculiarità del prodotto cui viene associato. Proprio giocando sulla compulsione, che in quanto tale impedisce ogni valutazione basata non dico sul senso della misura, ormai del tutto sradicato dalla concezione stessa della mente umana, innanzitutto quale limite primario all’acquisto di un qualsiasi prodotto, al di là delle sue prerogative, ma almeno sulla logica.

Anche questa del resto sta diventando un’illustre sconosciuta. Non può essere altrimenti nel momento in cui si persegue un modello di società basato sul controllo di ogni attività umana e sulla delega della sua esecuzione a dispositivi elettromeccanici.

Dall’induzione della compulsività consegue inoltre la perdita della capacità di operare il benché minimo discrimine, parlare di critica è ormai del tutto irrealistico, proprio in funzione dell’attrazione irresistibile esercitata dal prodotto, per quale che sia, nei confronti di chi era un tempo chiamato a osservarlo col minimo di raziocinio e di capacità di mantenere un contatto con la realtà concreta.

Inevitabile allora il tenore assunto dalle recensioni delle apparecchiature, che ormai sono di pura idolatria, ai fini dell’incitamento all’acquisto, sempre e comunque, in assenza del benché minimo discrimine.

Dunque, se queste sono le avanguardie del settore, ossia quelle che dovrebbero sintetizzare i concetti e gli atteggiamenti che poi vanno a diffondersi a livello del pubblico, appunto la funzione che un tempo avevano i mezzi d’informazione, è inevitabile che esso vada incontro alla perdita di qualsiasi regola e di ogni limite, a qualsiasi livello. Cominciando da quelli inerenti i prezzi.

 

Link e fonti

Tornando alla tua richiesta di link a quella che definisci trattazione teorica, non può esservi in primo luogo poiché a livello tecnico non c’è accordo su nulla. A cominciare dal modo stesso di far girare il piatto, così da poter estrarre le informazioni contenute nel supporto analogico.

Figuriamoci per il resto.

Quindi quelle che fornisco sono le mie idee, determinate da decenni di esperienza riguardante la riproduzione sonora e l’analogico.

Approfitto dell’occasione che mi hai dato, della quale ti ringrazio, per osservare un fenomeno alquanto diffuso, tipico dei sostenitori della superiorità del sistema più antiquato, complesso, difficoltoso da tenere in efficienza e per forza di cose costoso. Caratteristica quest’ultima che dal mio punto di vista non trova a livelli di risultati concreti elementi atti a giustificarne l’impiego, quello della puleggia.

Spesso costoro, quando devono riferirsi al sistema concorrente dalle caratteristiche del tutto contrarie a quello che prediligono utilizzano la definizione di “cinghietta”, con evidente finalità derisoria e di delegittimazione.

Da che mondo è mondo, chi si trova nell’urgenza di muovere una critica ma non è capace di fondarla su argomentazioni concrete e comprensibili, ma soprattutto plausibili, utilizza appunto l’arma della derisione e del discredito. Crede di avere così partita vinta, senza discussioni, senza rendersi conto di aver ottenuto il solo risultato di aver messo nell’evidenza migliore la sua statura intellettiva e umana. Quantomeno agli occhi di chi ha ancora un residuo barlume di materia grigia funzionante, all’interno della scatola cranica.

Ciò è ancora più vero in quanto così facendo si usa il modello tipico delle comunicazione attuale, a senso unico dall’alto verso il basso, probabilmente senza rendersene conto. Quello della singola parola, come tale facile da memorizzare, e distruttiva come null’altro per la capacità di sintesi di un qualsiasi concetto di senso compiuto, da utilizzarsi poi rigorosamente in automatico ripetendola a pappagallo. La sua valenza non differisce in modo alcuno, in linea di principio, da altri vocaboli di tenore simile: complottista, disfattista, no-vax, visionario, antisemita e così via.

Lo scopo di quei termini è essenzialmente repressivo, dissuasorio innanzitutto nei confronti della sintesi e dell’adozione di concetti su modalità personali e indipendenti, secondo una logica di stampo tipicamente fascistoide e induttore di squadrismo. Proprio perché con la facilità di utilizzo della parola stessa, e della suggestione in essa insita, se ne induce e facilita l’utilizzo come fosse un manganello, da parte di masse depensanti, il cui scopo è innanzitutto delegittimare chiunque si azzardi a ragionare, peggio ancora se in maniera ritenuta non conforme, sulla base di una valutazione del tutto arbitraria e secondo le modalità più genuine della violenza verbale.

Questo spiega anche come quella del linguaggio sia una vera e propria arma, congegnata in modo che, non comprendendone la reale valenza, gl’individui la utilizzino puntandola contro sé stessi, per poi fare fuoco con grande voluttà ed evidente istinto autodistruttivo.

Se tali sono le premesse, e tante altre se ne potrebbero fare, a iniziare da quella inerente le idee diffuse a livello della purezza del pedigree riguardante le registrazioni immortalate sul supporto analogico, va da sé che quello che chiedi non possa esistere.

In secondo luogo seppure vi fosse, la letteratura che desideri, deriverebbe da siti allineati. Come tali aderiscono, o meglio ancora si sottomettono innanzitutto a livello ideologico, ai dogmi della materia, che come abbiamo appena visto sono sintetizzati e utilizzati secondo i crismi dell’oltranzismo para-religioso. Ciò li rende pertanto sostanzialmente inutili o meglio fuorvianti.

In ogni caso hanno la loro reperibilità cui chiunque lo desideri può accedere.

E’ del tutto evidente pertanto che un sito non allineato come questo non possa, non debba e non voglia in alcun modo contribuire alla loro visibilità. Non per motivi di futile contrapposizione, ma semplicemente perché non avrebbe senso alcuno un collegamento a fonti che per quanto mi riguarda non possono che essere dannose, nei confronti delle finalità per le quali la serie di articoli in questione è stata messa in linea.

A questo proposito ritengo che sarebbe bene, forse, continuare a tenere a mente che i grandi luminari della materia, la cui opera immagino sia tra quelle cui desideri riferimenti, sono andati avanti per anni a sostenere che dalle modalità realizzative del giradischi non possa derivare alcun influsso a livello sonico. Quindi di cosa stiamo parlando?

Negli articoli che ho pubblicato i principi di base sono descritti, oltretutto con un approfondimento difficile da incontrare nella pubblicistica in rete del giorno d’oggi e, se i precedenti sono quelli appena menzionati, nella stragrande maggioranza di quella del passato, su supporto cartaceo. Svariati altri elementi esaminati in questa sede, inoltre, non sono proprio stati presi in considerazione a qualsiasi livello e comunque hanno modalità d’analisi inedite in raffronto all’ortodossia della materia, se ne esiste una.

Soprattutto, quegli articoli sono basati sui risultati, ottenuti in decenni di sperimentazione, a livello personale, i costi della quale sono stati coperti in maniera altrettanto personale. Oltretutto entro un contesto caratterizzato in primo luogo da limiti economici a dir poco poderosi, inevitabili per chiunque si ponga in posizione critica nei confronti dell’ordinamento liberal-capitalista e adotti un atteggiamento per quanto possibile coerente a tale riguardo.

Quindi i risultati ottenuti sono da considerare tanto maggiori, in relazione a chi invece ha potuto affrontare la stessa materia senza dover confrontarsi con limiti di spesa altrettanto stringenti, potendo contare anzi su un supporto pressoché illimitato da parte degli operatori di settore, per riuscire solo a dimostrare di non averne capito nulla, sia pure per gli aspetti più intuitivi. Quel che è peggio, a sua insaputa.

Le castronerie spinte oltre il limite del surreale con cui certi personaggi hanno infarcito i loro scritti, per i quali il pubblico si è visto richiedere denaro sonante, essendo contenuti in pubblicazioni da acquistarsi in edicola, sono passate alla storia. Come tali sono facilmente reperibili ed elencabili.

Ma in quel caso tutti zitti e genuflessi, perché si trattava del contenuto dei grandi giornaloni, e quindi scritto dai grandi giornalistoni, che dal canto loro hanno eseguito un’opera distruttiva come poche altre, nei confronti di quel che si dava a intendere di voler sostenere, ma in realtà si è utilizzato come strumento atto a facilitare la propria arrampicata sociale.

Ai fini della quale, stante l’indole di chi l’ha eseguita, non si è esitato a compiere bassezze incommentabili.

Proprio così gli autori di quelle solenni e innumerevoli corbellerie sono diventati grandi esperti in materia di analogico, più che mai agli occhi di un pubblico incapace di comprendere non l’inganno e le vere e proprie prese in giro di cui è stato fatto bersaglio, ma persino l’ovvio. Forse perché, come ebbe a dire un tempo il Cardinale Carrafa, pretende innanzitutto di essere ingannato e quindi si ritiene necessario farlo. In particolare nel momento in cui se ne ricava un tornaconto.

Del resto è ben noto che il chirurgo più bravo e capace non sia certo quello che ha la collezione più ampia di bisturi d’oro. Di essi, anzi, il vero clinico non solo non saprebbe cosa farsene, ma li troverebbe giustamente d’impaccio per la sua attività.

Anche concetti tanto ovvi, tuttavia, risultano incomprensibili nel piccolo mondo della riproduzione sonora. Quanto alle motivazioni, ciascuno potrà valutarle per conto proprio.

Per conseguenza, quel che è stato messo a disposizione in questa sede non è assolutamente poco. Tantopiù se si considera che è stato offerto in maniera del tutto gratuita. Questo purtroppo comporta il dover chiamare in causa un atteggiamento ben diffuso nel pubblico, in base al quale sembra convinto che quanto gli viene offerto non sia mai abbastanza, forse nella convinzione che tutto gli sia dovuto.

Inoltre, non avendolo dovuto pagare, vi attribuisce una considerazione minore, forse a causa della difficoltà di riconoscere un valore prescindendo dai parametri quantitativi e di carattere venale, giuste le parole d’ordine più in voga nel nostro tempo.

Del resto proprio quello descritto è l’atteggiamento più diffuso in tanti pollai audiofili, deprecabili nella loro stessa esistenza già per la visibilità che attribuiscono a un modello concettuale e comportamentale di tenore simile, che come tale va a indurre regressione, non a caso il portato maggiore alla materia di nostro interesse da essi indotto, che per forza di cose ne costituisce la caratterizzazione primaria.

In quegli ambiti chiunque faccia qualcosa si trova regolarmente messo in discussione da chi non fa mai nulla, tranne compulsare una tastiera, e proprio per questo è convinto sia suo dovere imprescindibile mettersi in cattedra per giudicare tutto e tutti.

Giacché siamo in discorso, darei uno sguardo anche a quella che è divenuta un’abitudine dei nostri tempi, quantomai indicativa della regressione che li caratterizza. Quando si affronta un qualsiasi argomento, invariabilmente c’è qualcuno che salta su con la richiesta delle fonti.

Questo rispecchia un abito mentale distorto, o meglio bacato e supponente. Innanzitutto se si vogliono le fonti, le si può cercare per conto proprio. Per quale motivo imperscrutabile le dovrebbe fornire, oltretutto gratis, chi si è già impegnato abbastanza per diffondere dei contenuti?

A qual fine poi, per dimostrare a chi se ne sta comodamente seduto in poltrona o sbracato sul divano che quelle che si sono scritte non sono tutte corbellerie? Se si parte da un presupposto del genere, perché mai si perde tempo con quel che è stato deciso di pubblicare?

A nessuno viene in mente che chi invece si dimostra sempre così generoso nel fornire le fonti, ancor più nell’attuale contesto dominato dal capitale, dove per forza di cose nulla può essere gratis, abbia tutti i motivi per farlo a proprio uso e consumo?

Un abito mentale siffatto è tale inoltre poiché basato su un pretesto, oltretutto plateale. Diffuso a suo tempo al punto di renderlo irrinunciabile proprio affinché a nessuna fonte non mediaticamente certificata, ossia non appartenente al cosiddetto mainstream, i cui criteri funzionali non hanno più bisogno alcuno di essere illustrati stante il loro asservimento agl’interessi prevalenti, sia attribuibile una qualche plausibilità.  Questo a sua volta è un elemento essenziale ai fini della possibilità di diffondere quel che si ritiene opportuno, ovviamente secondo i criteri della malafede. Proprio perché presuppone la necessità di comprovare le proprie tesi con qualcosa già esposto in  precedenza e approvato dalle autorità preposte. Chi le ha nominate e a che titolo?

Come vediamo si tratta dell’ingrediente primario da un lato per la formazione e l’imposizione del pensiero unico e dall’altro per la costruzione di un contesto generale dominato da un disorientamento totale e definitivo, eseguito da chi sulla menzogna ha costruito un impero globale e, proprio come il lestofante di professione che conosce perfettamente il modo migliore di farla franca, grida al ladro nei confronti di ogni passante che per caso si trovi a transitare in quel momento sul luogo del misfatto che egli stesso ha compiuto.

La richiesta delle fonti rappresenta innanzitutto un controsenso in sé: chi ci assicura che quelle cui si fa riferimento siano effettivamente nel giusto? Forse il numero in cui si riesce a elencarle? Da quando in qua l’opinione giusta è tale solo perché supportata dal maggior numero di persone? Siamo sicuri che tutte le fonti che si elencano in così gran numero riguardino davvero l’argomento in discussione? Chi si prende la briga di verificarlo? Soprattutto, le loro posizioni sull’argomento in discussione sono davvero incontrovertibili e basate sul principio di terzietà? Nel caso chi lo decide e su quali basi?

Senza pensare che chi detiene il controllo sul sistema d’informazione, e i mezzi ad esso necessari, quelle fonti è in grado di farle e disfarle a proprio piacimento e le sostituisce di volta in volta in funzione delle opportunità del momento.

L’aspetto più grave tuttavia è che se in assenza di fonti nulla può essere non dico accettato ma solo considerato, va da sé che qualsiasi posizione inedita o solo sgradita, scoperta, invenzione, semplice analisi personale eseguita in autonomia, prima di tutto ideologica, nei confronti di un fatto qualsiasi non possa più essere verosimile. Proprio in quanto manchevole, inevitabilmente, delle fonti necessarie.

Su dette fonti inoltre ci si adagia, in modo tale che non sia più possibile pervenire in via personale, attraverso ragionamento, esperienza e deduzione a stabilire l’attendibilità di un qualsiasi discorso. Il che significa, in parole povere, azzeramento dell’attività cerebrale, totale e definitivo.

Guardacaso, proprio quel che è perseguito da chi ha le maggiori possibilità di controllo sul sistema d’informazione, in quanto vuole essere libero di diffondere le panzane più inverosimili. Le quali, facciamoci caso, sono regolarmente corredate da un apparato di riferimenti poderoso.

In definitiva pertanto, la necessità delle fonti, resa ormai irrinunciabile, altro non è che un attacco alla libertà di pensiero e della sua espressione di portata devastante. Si cerca di nasconderlo dietro il dito costituito dalla necessità di difendere il pubblico dalla pretesa disinformazione, che a sua volta, e in realtà, è la definizione di neolingua che chi detiene il potere attribuisce, bollandolo, a tutto quanto gli suona scomodo.

Non penso sia una concidenza che di recente l’UE abbia varato una legge apposita allo scopo, basata sui criteri più genuini della distopia e della tirannide, come d’altronde inevitabile per ciò che alla costruzione della distopia e della tirannide è istituzionalmente preposto.

Inevitabile osservare infine che una richiesta tanto semplice e immediata da formulare da poterlo fare in automatico, e infatti bastano appena tre parole: “e le fonti?”, così da sembrare inoppugnabile, per analizzarla sia pure in maniera superficiale come qui abbiamo fatto, occorra un blocco di testo di dimensioni tali che molti non inizierebbero neppure a leggerlo.

Ecco a cosa serve diffondere l’incapacità alla concentrazione, anche solo nei confronti di qualche centinaio di battute, precursore di massima efficacia della regressione mentale, probabilmente irreversibile. Per pura coincidenza, la maggioranza schiacciante dei testi messi in linea sui social da chi ad essi partecipa, arriva difficilmente a una ventina di parole.

Magari solo nel timore di vedersi bollare qualsiasi cosa appena più lunga, e quindi ponderata, con l’epiteto di “pippone”.

La richiesta delle fonti, dunque, eseguita peraltro nella forma ossessiva del giorno d’oggi, non è altro che un attacco deliberato alla libertà di pensiero, di parola e peggio ancora di ragionamento autonomo. Congegnato in modo tale, ossia mimetizzato dietro una richiesta apparentemente giusta, che chi esegue tale attacco materialmente non si renda conto di quel che in effetti sta facendo. Ovvero minare la libertà fondamentale dell’essere umano, facendolo a propria insaputa ma con risultati concreti assai ben tangibili.

Privato di essa, l’uomo regredisce inevitabilmente allo stadio animale, giustificando per conseguenza i criteri zootecnici di gestione delle masse cui spesso si fa riferimento in questa sede, sulle cui origini e finalità abbiamo così un ulteriore elemento di valutazione.

Sistemata una volta e per tutte, almeno spero, la questione delle fonti, affrontiamo un punto essenziale, riguardo al quale mi sono già espresso più volte su questo sito.

 

La “purezza” dell’analogico

L’ho scritto già molte volte e non ho nessun problema a ripeterlo, ogniqualvolta si riveli necessario. Il contrapporre d’amblé l’origine delle registrazioni poi fissate su vinile, tra analogiche e digitali così come lo si fa oggi, quasi si trattasse di due fazioni o tifoserie calcistiche, e pretendere poi di dire che con quelle di origine digitale l’analogico perda la sua purezza, come se si trattasse di questioni di pedigree da mostra canina, e in funzione di un corporativismo che difficilmente potrebbe essere più evidente, non ha senso alcuno.

La diffusione che ha acquisito questo pseudo-concetto, che non a caso si sente ripetere dappertutto, e quindi secondo la teoria resa famosa da un certo Joseph Goebbels tende inevitabilmente a trasformarsi in realtà, è forse l’indice più attendibile dell’analfabetismo di ritorno che oggi caratterizza l’approccio della stragrande maggioranza degli appasionati alla riproduzione sonora da sorgente analogica.

Il controsenso della questione sta inoltre nel fatto che spesso i sostenitori della necessità di un pedigree analogicamente impeccabile siano proprio quanti si sono avvicinati alla riproduzione sonora e hanno costruito la loro esperienza per mezzo del formato digitale.

Forse è per questo che sfugge loro una realtà storica incontrovertibile: già nell’epoca in cui l’analogico ha toccato le sue vette più alte, a livello di qualità sonica, molte registrazioni erano digitali, nella ripresa o solo nel mastering, casi tipici e più vistosi quelli dei dischi Denon PCM e della GRP.

Nondimeno suonano in maniera eccellente, per un motivo tanto semplice quanto difficoltoso da afferrare nell’abbrutimento cognitivo del giorno d’oggi, ossia che allora il digitale lo si utilizzava in funzione e ai fini delle prerogative e dei risultati ottenibili per mezzo dell’analogico, in considerazione dell’estetica sonora che lo caratterizza.

A tale riguardo non si tiene presente, inoltre, che l’analogico fonda le sue prerogative non soltanto sulle modalità di produzione del supporto fonografico, ma anche e soprattutto sui dispositivi di riproduzione ad esso adibiti, contraddistinti da soluzioni tecniche esclusive del sistema in generale e oltremodo caratterizzanti proprio a livello sonico.

Fermo restando che se le modalità di registrazione digitali fossero così distruttive, per il destino qualitativo della riproduzione analogica, a maggior ragione dovrebbero esserlo quelle di produzione delle sonorità da registrare, qualora allo scopo si siano impiegati strumenti funzionanti secondo i principi del digitale.

Di questo però non si parla mai, o meglio non ci si fa proprio caso, a dimostrazione ennesima della pretestuosità della questione, almeno nelle modalità con cui la si pone.

Il vero problema sta nella presunzione, o meglio nella vera e propria frenesia, anche questa indotta dalle modalità funzionali dei pollai audiofili, di mostrarsi per grandi intenditori della materia. Quando invece l’esperienza su cui si può contare mostra lacune evidenti già a livello di consapevolezza storica. Ossia quelle che se rese non così evidenti, già da sole contribuirebbero a far apparire meno vistose le lacune ancora più profonde di cui si offre ampia dimostrazione a livello tecnico, nel momento in cui si fanno certi discorsi.

Del tutto diverso è il caso delle riedizioni attuali su LP, riprese sbrigativamente da master in origine analogici e poi digitalizzati in funzione delle limitazioni che un tempo si ritenevano proprie dell’analogico, quando invece lo erano solo delle modalità allora proprie della sua utilizzazione più diffusa. Come tali sono stati brutalizzati ai fini dell’inseguimento dell’estetica propria del digitale. Non era solo fuori luogo e concettualmente priva di basi verosimili, ma soprattutto distruttiva nei confronti di qualcosa che, se era stato fatto in un certo modo, esistevano probabilmente delle buone ragioni. Dunque errata già nei suoi fondamentali.

Il fine concreto era quello di rendere di nuovo profittevole il repertorio a suo tempo registrato in analogico, per mezzo di un’azione scriteriata ma necessaria di riciclaggio, atta ad adeguarlo alla regressione indotta dal digitale e propria di quest’ultimo sistema, che andava a imporre un dominio privo di basi concrete a livello sonico e come sempre in casi del genere fondato su una propaganda asfissiante. Indirizzata in primo luogo al discredito dell’antagonista, a livello di dispositivi ma non di rado spintasi a porre in discussione le stesse attitudini di chiunque azzardasse a riconoscere la superiorità del formato che si era deciso di soppiantare.

E’ evidente che riportando in analogico roba del genere, a suo tempo violentata su misura dei problemi indotti dal digitale, non possa che derivarne un disastro, in termini di qualità sonica, che contribuisce soltanto a screditarlo. Non è da escludere che tale discredito possa essere negli interessi di chi si appresta a operazioni del genere, in funzione soprattutto di affermare la nuova gallina dalle uova d’oro, genere di cose che è d’uso facilitare nella loro riuscita iniziando col togliere di mezzo, delegittimandola, ogni concorrenza potenzialmente fastidiosa.

Mi riferisco in questo alla musica liquidata che come tale, e l’esempio appena fatto mostra nella maniera migliore, tende a liqudare insieme ad essa anche i concetti, le menti e le capacità analitiche di quanti più o meno consapevolmente ne fanno il gioco.

Come al solito non vi è traccia dell’adozione, o solo del rendersi conto dell’esistenza di un discrimine tale nell’ambito della pubblicistica allineata. Si tratta d’altronde di concetti troppo profondi per essa, e quindi men che meno può trovare spazio nelle discussioni tra appassionati, segno ancora una volta dell’inconsapevolezza, un po’ a tutti i livelli, nei riguardi della materia di cui si vorrebbe discettare. Sempre mettendosi in cattedra e con tanto d’indice alzato, come dagli usi e costumi migliori che derivano dal diffondersi dei pollai audiofili. I quali, per conseguenza inevitabile, altro non possono produrre se non del pollame.

In particolare quello del tipo che si possa spennare con la facilità maggiore.

Del resto i criteri di carattere squisitamente zootecnico con cui si è deciso di condurre le moltitudini umane non sono certo una novità. Quei pollai sono solo uno tra gli strumenti adibiti allo scopo.

Inevitabile allora che le distinzioni tra l’analogico prodotto digitalmente ai fini delle sue qualità oggettive e quello di risulta proveniente dalla trasformazione in digitale di tutto il repertorio preesistente, ai fini di una sua migliore rispondenza ai canoni estetici che quest’ultimo ha imposto, per poi essere riportato tale e quale sul supporto vinilico, siano proprio fuori dalla portata dei redattori e per conseguenza del pubblico.

Proprio da quest’ultimo del resto essi provengono sempre più spesso, abituati come sono a farsi installare in un recinto o nell’altro dei soli appositamente predisposti all’interno dei pollai già menzionati, dai quali è d’uso prelevarli. Lo scopo di quei recinti non è di conoscenza ma di mera contrapposizione, su motivazioni del tutto ininfluenti e il più delle volte, se non sempre, del tutto pretestuose. Condizione in presenza della quale chi ne ha i mezzi può dominare con l’agio maggiore.

 

Analogico a lettura ottica

Il discorso relativo alle cartucce per lettura ottica altro non è che una delle chimere prodottesi con l’ubriacatura da digitale e delle falsificazioni che ne sono derivate, date per anni sul punto di materializzarsi e d’imporsi persino, fin dalla fine degli anni 80 con l’allora noto Finial, più altro per la sua disfunzionalità.

Dal mio punto di vista si tratta di uno dei miraggi causati dal progresso tecnologico, per mezzo dell’idolatria indotta nei suoi confronti, attraverso la quale si può perdere ogni punto di riferimento, anche quelli più evidenti e fuori discussione, della materia di cui ci s’interessa.

In questo caso quell’idea è semplicemente priva di senso, se non appunto al fine di sfruttare l’onda di consenso causata dal digitale, o meglio dal battage propagandistico asfissiante che ha finito con l’imporlo, con le buone o le cattive. Più precisamente riguardo al suo sistema di lettura, ritenuto allora non d’avanguardia ma un vero e proprio miracolo della tecnologia, quindi particolarmente adatto per catturare i più suggestionabili, contribuendo di pari passo a imporre la neo-religione basata sullo scientismo.

Al di là della loro efficacia più o meno concreta, è evidente che di cose simili non vi sia bisogno alcuno, nel momento in cui si ha già un sistema di lettura valido e del quale oltretutto ancora oggi non si è arrivati a valutare pienamente i limiti, figuriamoci allora. Tantopiù se affiancato da un sistema di mantenimento del supporto che per mezzo dei metodi attuali di lavaggio, in particolare quello a ultrasuoni, permette una conservazione in condizioni ottimali. Sia pure con un certo impegno da parte dell’utilizzatore, senza chiamarlo a spese troppo significative, specie se possiede il minimo di manualità.

Ritengo che proprio questo sia uno tra gli aspetti su cui si è tentato di far leva, ossia sull’idea che il sistema di lettura tradizionale rovini inevitabilmente il supporto, cosa che eliminando il contatto fisico con esso si andrebbe a superare.

In realtà sono proprio i sistemi di pulizia attuali a dimostrare che il supporto che ritiene rovinato, i nella stragrande maggioranza dei casi sia in realtà solo sporco.

Dunque è un sistema di pulizia efficace a rivelarsi essenziale, prima di tutto il resto. Essendo destinato all’appassionato di analogico si presume che questi sia disponibile e soprattutto conscio di doversi applicare almeno un minimo, manualmente e prima ancora a livello razionale, stante il fine di ottenere quanto nei suoi desideri. Venendo poi ripagato dall’acquisizione di una consapevolezza e dal mantenimento di capacità a loro volta portatrici dell’attitudine all’atteggiamento attivo completamente negato dall’automazione spinta al parossismo che un certo sistema fa di tutto per portare in casa del suo pubblico, per poi spingerlo a utilizzarlo in esclusiva. Così da tenerlo quanto più possibile inchiodato al divano, o meglio incatenato, in genere con grande comodità che per conseguenza finisce spesso con lo sfociare in un vero e proprio stato di dormiveglia e nell’incapacità che ne consegue.

Condizione più adatta, e non è un caso, a far passare tutto e tutto il suo contrario, innanzitutto a livello commerciale.

La tecnica di realizzazione dei fonorivelatori oltretutto ha compiuto progressi notevoli negli ultimi decenni, rendendo disponibili testine di grandi qualità e doti soniche a prezzi non del tutto impossibili, il che rende certe trovate ancora più prive di senso. Penalizzate oltretutto da un anacronismo persino peggiore di quello che a suo tempo si è cercato con ogni mezzo di affibbiare all’analogico.

Il tutto va inoltre inquadrato nel contesto che gli compete, ossia nel tentativo di sfruttare l’onda dominante a fini di profitto. Come noto è sempre maggiore nel momento in cui si riesce a imporre un cambiamento drastico e di sistema, rispetto al perfezionamento graduale di quanto si possiede già, nei confronti del quale non a caso non vi è interesse.

La propaganda di settore ne è di esempio: non spinge mai a perfezionare quel che si ha, ma a cambiare di continuo e con la cadenza più elevata. Sarà un caso?

Di sicuro non lo è che un numero di persone sempre maggiore cada nel tranello.

Dunque il messaggio che si diffonde è unico: quello del consumo, possibilmente portato, come abbiamo visto prima, a livelli parossistici di vera e propria compulsione. Il vanto che si fa di esserne vittime, anche da parte di alcune tra le firme più note della propaganda di settore, è la riprova di quanto si sia caduti in basso anche a livello di diffusione dei concetti.

 

Un po’ di storia

La lettura ottica del supporto analogico è un sistema le cui origini risalgono all’inizio degli anni 1970.

Come tale, in realtà, precede addirittura la riproduzione digitale, della quale in genere lo si ritiene figlio. Nel 1976 furono concessi i primi brevetti ai dispositivi di lettura ottica destinati all’analogico, che con ogni probabilità dal diffondersi del digitale sono stati in realtà ostacolati.

In primo luogo per le capacità finanziarie, tecniche e produttive dell’industria imbarcatasi nell’impresa dell’audio a codifica numerica, e poi per le maggiori potenzialità di profitto insite in un sistema del tutto nuovo, che come tale permettesse non solo la vendita dei riproduttori, ma anche quella del supporto con cui utilizzarli, con ben altre potenzialità lucrative.

Si parla tanto di progresso, di tecnica e di scienza, ma quello che ne decide i percorsi rimane sempre e comunque la logica del capitale. E di conseguenza del profitto.

Come diceva Von Hayek, economista ultraliberista della scuola austriaca, forse senza comprenderne le implicazioni ultime, in quanto contrarie alle stesse basi ideologiche da cui muoveva, “Chi possiede tutti i mezzi determina tutti i fini”. I propri, ovviamente. A dimostrazione che nel momento in cui il capitalismo, generatore ineluttabile di monopoli di proporzioni incalcolabili, arriva a materializzare le sue conseguenze, non può far altro che affermare e imporre la sua realtà totalitaria.

Se nella sua fase iniziale all’analogico a lettura ottica il digitale ha reso la vita difficile, nella fase successiva, ossia quella avviatasi dopo l’affermazione globale del CD e delle macchine adibite alla sua lettura, gli ha fatto invece da apripista.

Innanzitutto per la diffusione e il conseguente abbattimento dei costi di produzione propri dei dispositivi di lettura ottica, e poi per l’affermazione che quella tecnologia ha avuto presso il grande pubblico, sulla base di una contraddizione di termini alquanto vistosa.

Da un lato l’associazione tra la tecnica di lettura ottica del supporto e la pretesa perfezione del digitale, della quale costituiva un ingrediente primario, dall’altro i limiti evidenti in termini di qualità sonora del digitale stesso, appunto quelli atti a suggerire che se si fosse riusciti a combinare il meglio dei due mondi, ossia la lettura priva di contatto meccanico con il supporto fonografico, e le doti di realismo e naturalezza riguardo alle quali l’analogico manteneva intatto il suo primato, alla faccia della pretesa perfezione del digitale, ne sarebbe potuto derivare un sistema vincente su tutta la linea.

Questo in particolare secondo la mentalità a compartimenti stagni tipica di quanti hanno alle spalle il percorso accademico che permette loro di accedere a determinati contesti. In particolare quelli della cosiddetta ricerca e sviluppo, e di mantenere in tale ambito una maggioranza schiacciante, così da rendere improbabile l’approccio a una qualsiasi materia contraddistinto da un maggior addentellato con la realtà.

Secondo il meccanismo mentale che ne deriva e le è tipico, tendente a osservare solo un lato delle questioni, quali che esse siano, tutto l’armamentario adibito alla lettura meccanica del supporto e alla successiva trasduzione in segnale elettrico sarebbe null’altro che un coacervo di limitazioni, tanto a livello fisico, quindi meccanico, quanto per quello elettrico.

Se in realtà ciò è vero, lo è ma solo in parte. L’altra, quella che l’abito mentale conseguente a determinati percorsi, inerente la visuale selettiva che spinge a tenere conto solo di ciò che fa più comodo ai fini dell’affermazione delle proprie tesi, trascura minuziosamente di osservare, è che proprio quel dispositivo sede del coacervo di limitazioni appena menzionato ha ottime probabilità di essere anche quel che ha conferito all’analogico parte significativa delle sue doti soniche, tuttora ineguagliate.

Anche e soprattutto nella concretezza del mondo reale, caratterizzato da una complessità e una variabilità di condizioni materiali non riproducibile all’interno dei laboratori in cui i ricercatori trascorrono comodamente il loro tempo, al caldo d’inverno e al fresco d’estate, al punto di rifiutare per principio ogni opportunità di verifica delle loro teorie sul terreno della realtà concreta.

Forse perché consapevoli che con ogni probabilità sarebbero confutate in maniera clamorosa?

La vicenda di cui stiamo parlando ne è l’ennesima riprova.

Il problema di fondo, a questo riguardo, è che la perfezione, o almeno quella che si ritiene di riconoscere come tale, conduce inevitabilmente all’assenza di carattere, nel dispositivo che ne è contraddistinto, quale che esso sia.

E, per ciò stesso, riporta fatalmente al non perfetto.

Nell’ambito musicale l’esempio più lampante è quello dell’organo Hammond, strumento innalzatosi ai massimi livelli dell’apprezzamento e soprattutto pressoché all’unanimità, proprio per via della sua sonorità caratterizzata da una serie di irregolarità e difetti marchiani, che per una somma di probabilità non calcolabili a priori sono proprio quelli che gli conferiscono il suo suono, così unico, inconfondibile e amato a livello fin quasi viscerale da ogni vero appassionato di musica. Lo stesso vale in campo fotografico, dove le ottiche più perfezionate sono quelle che in un primo momento vengono innalzate ai vertici del gradimento e poi altrettanto in breve ne sono estromesse, appunto per la mancanza di carattere che non solo impedisce di attribuire la personalità necessaria alle immagini prodotte per il loro tramite, ma le rende inevitabilmente un po’ tutte uguali le une alle altre. Dato che la perfezione è e può essere solo una.

Lo stesso per le auto: cosa dà più soddisfazione, una alimentata da un sofisticatissimo sistema a inieizione elettronica, dal quale tutti i parametri sono calcolati al miliardesimo, e quindi obbliga a subire invariabilmente le scelte fatte dal fabbricante o chi per lui, o una bella batteria di carburatori, uno per cilindro: macchinosi, imperfetti, difficili da tenere a punto, ma in grado di conferire al rendimento del propulsore e quindi all’intera vettura il loro carattere unico? Passando al livello di assetto e sospensioni: che gusto c’è, dopo il primo momento di sorpresa, a guidare un’auto che sempre per via del controllo da parte dell’elettronica percorre ogni tracciato senza scomporsi di un millimetro, rispetto a una che invece scoda, derapa e permette, volendo, di fare le curve di traverso. Obbligando all’impegno personale e allo sviluppo delle proprie capacità di coordinamento e azione per trarne le prestazioni migliori, con il conseguente senso di soddisfazione quando vi si riesce, anche se poi magari si va più piano?

Tutte cose, queste, tanto reali quanto aborrite dal tecnocrate, il quale ha nella personalissima lista delle cose più detestabili in assoluto quanto diverga sia pure in maniera impercettibile da ciò che è scritto nei testi sacri a partire dai quali ha accettato di farsi praticare il lavaggio del cervello, in funzione della propria ambizione di dominio a livello economico e sociale.

Prima ancora, sono per costui incomprensibili, appunto in funzione e per connseguenza del candeggio delle meningi che ha scelto di subire per scopi a tal punto nobili e disinteressati.

Dunque un sistema tanto raffinato, come quello della lettura ottica, in quanto privo delle limitazioni o comunque di quelle che s’intendono come tali, è talmente perfetto da rivelarsi inutilizzabile, in abbinamento ai supporti fonografici del mondo reale.

Tutti i sistemi operanti su quel principio, infatti, iniziando dal già menzionato Finial al successore ELP e poi agli altri che vi hanno fatto seguito, si sono scontrati con un problema, di banalità plateale ma ugualmente insormontabile. Riguarda le impurità che per forza di cose vanno a depositarsi nel solco del supporto analogico e meglio ancora vi si trovano già dal momento della sua produzione. Per il semplice motivo che avviene ancora una volta nelle condizioni tipiche del mondo reale, caratterizzata dai contaminanti che si trovano dispersi nell’aria, dalle imperfezioni di stampaggio e dal permanere dei residui dei prodotti chimici atti a facilitare il distacco del vinile dalla pressa che imprime in esso la conformazione dei solchi, in funzione del segnale musicale che su di esso s’incide.

Tale è la perfezione del sistema ottico che anche un disco pulito in maniera assolutamente impeccabile, secondo i canoni di una riproduzione tradizionale, finisce con il risultare comunque troppo affetto da impurità, che a loro volta si ripercuotono sulle condizioni dell’ascolto, al punto da renderlo insopportabile.

Al di là del monito insito nella questione stessa, secondo cui la ricerca esasperata della perfezione conduce sovente ai risultati peggiori che si possano immaginare, fino alla totale inutilizzabilità del dispositivo tanto perfezionato.

Non solo a livello tecnico ma anche per quello economico, stanti i capitali che si sono dilapidati per arrivare a un siffatto tonfo epocale, che ad ogni buon conto è stato necessario ripetere più volte, stante la durezza di comprendonio così diffusa in certi ambienti: eccoci di fronte a un’ulteriore dimostrazione delle conseguenze concrete della mentalità a compartimenti stagni propria del tecnocrate.

In quanto tale, è incapace di comprendere che sono proprio le imperfezioni del sistema di lettura tradizionale a metterlo in grado di funzionare nel modo che sappiamo e del quale abbiamo avuto modo di sperimentare le vette di musicalità che è in grado di produrre. Genere di articolo estremamente infido, in quanto non accetta di essere costretto all’interno dei numeri e delle tabelle entro i quali costui pretende di racchiudere tutto lo scibile conosciuto e l’intero universo entro il quale si manifesta.

Ciò accade in primo luogo perché le limitazioni fisiche, ossia dimensionali dello stilo, quello che legge le modulazioni del solco, sono tali da non permettergli di rilevare se non in parte le impurità presenti nel solco stesso, consentendo così una lettura sufficiemente fedele ma nello stesso tempo abbastanza libera dai problemi da esse causati.

E’ evidente che ciò avviene secondo una modalità squisitamente casuale, nei suoi presupposti quanto nelle sue conseguenze, cosa da cui il tecnocrate rifugge più di ogni altra, in quanto convinto che la scienza che crede di padroneggiare, quando invece ne è dominato, o meglio ancora reso schiavo, permetta di prevedere ogni possibilità e di oltrepassare qualsiasi ostacolo, in conseguenza della condizione di idolatria para-religiosa con la quale si pone nei suoi confronti.

Così non è, diversamente da ciò che dà l’ìmpressione di avvenire nel calduccio del suo laboratorio, come pone in evidenza la quotidianità del mondo reale, nel quale il successo e la disfatta, il capolavoro e quanto buono per la spazzatura hanno una componente significativa di casualità e imponderabilità. Oltreché di rispondenza più o meno adeguata ai tempi che corrono e quindi alla ricettività del momento, come l’esempio di Van Gogh ha insegnato ai suoi posteri.

Non solo, quello stilo vergognosamente inadeguato ai canoni di perfezione che sono i soli accettabili a determinati livelli, riesce inopinatamente a funzionare anche come dispositivo anti-rumore da contaminante, da un lato spostandone le componenti durante il suo tracciamento, come farebbe idealmente la prua di una nave con la superficie del mare, e dall’altro comprimendole verso zone del solco che la sua stessa conformazione fisica non gli permette di esplorare a fondo.

Ora, ragionando sulla questione, quante probabilità vi sono che all’atto della sua ideazione tali funzioni venissero calcolate fino in fondo e quante invece che nel momento che si è fatto funzionare il dispositivo, e dopo il tempo necessario a valutarne le effettive capacità materiali, se ne sono comprese anche queste prerogative diciamo così accessorie?

In sostanza, allora, vediamo che l’inarrivabile perfezione tecnica del progresso scientifico oggi idealizzato come e peggio di una religione monoteistica deve fermarsi ignominiosamente dinnanzi a questioni di una banalità altrettanto assoluta, come quella inerente la presenza di polvere in una qualsiasi eventualità del mondo reale.

Forse è proprio per questo che la propaganda di settore, con un pretesto o un altro, ha sempre evitato di occuparsi della materia inerente la lettura ottica del supporto analogico: la lezione che ne consegue è quanto di più distruttivo per i falsi principi che è chiamata a diffondere e a rendere inoppugnabili agli occhi delle masse o meglio ancora delle sue vittime.

 

Un ultimo tentativo, ibrido

Non paghi della batosta subita, si è cercato allora di aggirare il problema utilizzando una soluzione di compromesso, quella cui immagino il nostro amico voglia riferirsi, riguardante la cartucce ottiche una delle quali è ritratta nell’immagine d’apertura.

Come accede spesso, però, il compromesso è in grande misura peggiore delle contraddizioni che hanno spnto ad accettarlo.

Il funzionamento delle testine in questione non riguarda più la lettura ottica diretta del solco inciso, ma del movimento da esso impresso a un equipaggio mobile di tipo tradizionale. Quindi composto da stilo + cantilever,

Il cantilever da cui è equipaggiata va a prolungarsi all’interno del corpo testina per mezzo del cosiddetto wand, termine che il traduttore di google indica equivalere a bacchetta magica. Secondo il fabbricante il suo movimento sarebbe rilevato da un sistema ottico, incaricato poi di trasformare le informazioni così rilevate in segnale elettrico.

A questo punto, sinceramente, non arrivo più a capire la realtà delle cose. Il sistema di lettura basato sulla testina ottica obbliga innanzitutto ad accettare che rientri dalla finestra quel che si era voluto far uscire dalla porta. Ossia il braccio, con tutto il corredo di problemi e irregolarità indotto dalla sua stessa presenza.

Già solo per questo il concetto della testina ottica a me sembra un’idea fuori da qualsiasi plausibilità, ma andiamo avanti.

Per quale motivo poi dovrei imbarcarmi in un sistema del genere, con tutte le incognite che ne derivano e delle quali sarò io, utilizzatore a dovermi far carico in ultima istanza, se poi devo sopportare tutti i problemi derivanti dall’esistenza di un equipaggio mobile meccanico?

A iniziare dal consumo dello stilo e dalle incertezze conseguenti alle modalità di ristilaggio, per non parlare dell’intrinseca fragilità che lo espone alle conseguenze più tragiche nella malaugurata ipotesi di un utilizzo malaccorto o di un semplice movimento errato dovuto a sbadataggine, che possono avere le note conseguenze esiziali, anche per il supporto?

Il tutto poi ai costi astronomici del sistema, lamentati dal nostro amico, che a questo punto è inevitabile rilevare.

Fermi restando i problemi di sopravvalutazione della moneta così diffusi nel nostro Paese, di cui abbiamo già discusso, in conseguenza di una serie storica di torsioni a livello politico, economico, sociale e istituzionale difficilmente eguagliabili, succedutesi nel corso dell’ultimo mezzo secolo, in effetti i prezzi di vendita dei fonorivelatori ottici e dei preamplificatori necessari al loro impiego sono decisamente sostenuti.

Forse più di quanto il loro contenuto effettivo, in termini di tecnica e materiali giustificherebbe: un conto è realizzare un sosfisticato sistema elettromagnetico, spesso a partire da materiali nobili e su componenti di proporzioni infintesimali tali da renderne difficoltosi la fabbricazione e l’assemblaggio, e un altro è mettere all’interno la bacchetta di prolunga del cantilever e renderne il movimento rilevabile per mezzo di un dispositivo ottico, oggi alquanto banale.

Certo la componente di magia insita nel termine wand non può che indurre i suoi costi, ma fino a che punto?

In realtà andrebbe osservata anche la valenza di costi siffatti, magari alla luce di una realtà postasi in evidenza ancora una volta in modalità del tutto casuale.

Avendo bisogno di un’immagine per l’apertura dell’articolo me la sono andata banalmente a procurare sul sito del fabbricante dell’oggetto. Era però molto piccola, insufficiente per l’impiego che intendevo farne. Così ho utilizzato un applicativo per funzioni fotografiche, la cui capacità è appunto quella di aumentare il numero dei pixel che formano l’immagine digitalizzata, mantenendo al minimo i problemi che derivano dall’effettuazione di tale funzione attraverso strumenti meno specialistici.

Ora, quell’applicativo, per motivi inerenti l’efficacia dell’ingrandimento, ha un sistema di riconoscimento delle origini dell’immagine, se da fotocamera, da realizzazione artistica o infine da sintesi computerizzata.

Guardacaso, l’immagine resa disponibile dal fabbricante, o almeno dal presunto tale, sembra appartenere proprio a quest’ultima tipologia, quando s’immagina che ne abbia a disposizione almeno un certo numero di esemplari, da ritrarre nel modo più opportuno. Invece ne ha costruito al computer l’immagine relativa. Poi, dato che si propone di venderle a un prezzo così alto, non mi sembra che mettere un’immagine microscopica sul sito adibito allo scopo sia la scelta ideale. Molto meglio un’immagine reale, di grande formato e pari impatto.

Sempreché l’oggetto da ritrarre esista realmente.

Come disse un noto politico reso famoso dalla sua abilità, tale da permettergli di rimanere in sella da prima ancora che finisse la guerra al golpe degli anni 90 eseguito a mezzo di una magistratura che ha giurato di servire l’interesse dello Stato e poi ne ha sovvertito l’ordinamento su mandato proveniente dall’esterno, a pensare male si fa peccato ma spesso s’indovina.

Sulla base di questo monito e degli altri indizi emersi fin qui, il prezzo proibitivo potrebbe assolvere a una funzione duplice: da un lato affermare l’esclusività della tecnologia, e pertanto restringere la diffusione potenziale dell’oggetto al segmento riguardante l’hi-fi per oligarchi, attribuendo al prodotto i crismi dell’esclusività più assoluta. Dall’altro invece potrebbe funzionare da deterrente per evitare che s’indaghi troppo a fondo sulla sua reale esistenza.

Riguardo ad essa non devono esistere dubbi, e a tale proposito basta procurarsi l’augusta recensione affidata al membro più illustre del Coro Degli Entusiasti A Prescindere, quantomeno per il settore dell’analogico.

Chi mai potrebbe mettere in dubbio le sue dotte e ispiratissime parole?

Resta il movente, che è lo stesso dietro al dipanarsi pluridecennale del sistema di lettura ottica dedicato al supporto analogico: dare una giustificazione alla dilapidazione di capitali nella quale ha dimostrato fin qui la sua efficacia maggiore, com’è d’uopo per qualsiasi idea altrettanto balzana. In un giro di soldi tanto cospicuo vuoi che qualche biglietto di banca non rimanga appiccicato alle mani, di sicuro a propria insaputa?

Un conto infatti è aver buttato quel denaro dalla finestra per incapacità ad ottenere un risultato che già la storia ha decretato come remotamente possibile, un altro è l’essere stati costretti a porre in vendita il marchingegno a un prezzo troppo elevato, per carità giustificato dallo sforzo tecnico profuso per la sua realizzazione, che poi per una somma di congiunture astrali negative non è riuscito a trovare l’apprezzamento del pubblico cui si rivolgeva.

Agli occhi di chi ha anticipato i fondi necessari, e di chi eventualmente chiamato a deliberare sulla faccenda, la differenza potrebbe rivelarsi essenziale.

Certo che se sul sito atto al richiamo delle allodole ci metti una fotella microscopica derivante da un’immagine realizzata al computer, invece di una foto in carne e ossa dell’oggetto in tutto il suo splendore, possibilmente accompagnato da una serie di file audio atti a illustrare nel concreto le potenzialità dell’esclusivo sistema di lettura, i risultati pratici potrebbero essere molto diversi.

Cosa fatta capo ha, dice il saggio, e per quanto ci riguarda non rimane che prendere atto di una serie d’incongruenze tali da far almeno sospettare che la mancata diffusione del sistema sia un risultato desiderato, e che la fissazione di prezzi di vendita così fuori da ogni ragionevolezza sia uno strumento, invece che una conseguenza di peripezie tecniche e realizzative particolarmente dispendiose.

 

Le mie conclusioni, personalissime

Chi mi segue con maggiore vicinanza sa perfettamente che il mio approccio alla riproduzione sonora si rifà da vicino al mondo delle corse di auto, settore che mi ha attratto fin dalla più tenera età, come molti della mia generazione. L’ho scritto del resto tante volte e nel loro piccolo le mie realizzazioni credo rispecchino quest’inclinazione.

Tale settore ha in effetti vari addentellati con quello della riproduzione sonora e ora ne andiamo a vedere un esempio.

Nel mondo di quelli che Ferrari si ostinava a chiamare garagisti, e che pure le hanno suonate tante di quelle volte alle sue macchine, ossia quello delle scuderie inglesi misuratesi nella massima formula, vige una massima, in pratica da sempre. Dice che è sempre più conveniente impegnarsi per migliorare il più possibile quello che si ha, piuttosto che imbarcarsi in avventure dagli esiti quantomeno imprevedibili e che il più delle volte si rivelano disastrosi.

Pertanto dal mio punto di vista l’atteggiamento migliore è quello di dedicarsi nel perfezionamento di quello che abbiamo già a disposizione, del quale oltretutto è riconosciuto che non si sia arrivati ancora a esplorare i limiti, invece che andare allo sbaraglio sulla base di presupposti che non sembrano dare particolare affidamento.

Ancor più nel momento in cui quel miglioramento è possibile ottenerlo senza dover muovere alla conquista di chissà cosa, bastando un po’ di buonsenso e di buona volontà.

Tempo fa scrissi delle mie convinzioni riguardo la contrapposizione tra testine a magnete mobile e a bobina mobile, con la pubblicistica di settore che all’unanimità attribuisce la palma delle vincitrici assolute alle seconde. Casualmente le più costose e di gran lunga.

Essenziale a tale riguardo è che si metta da parte la mentalità che tende a considerare le prime come una sorta di vorrei ma non posso, in osservanza all’opinione più diffusa, per attribuirgli invece le prerogative che meritano, tali da poter eseguire un confronto per quanto possibile sullo stesso piano.

In quell’occasione fui assalito da uno tra gli esponenti più in vista dei pollai audiofili, guai a mettere in discussione gli oggetti su cui fondano il loro orgoglio, e più che mai il prestigio che sono convinti di detenere sui loro simili. Non sapendo come contraddire il mio punto di vista, finì col ricorrere alla banalità del calabrone, che secondo le leggi della fisica non potrebbe volare, ma siccome lui non lo sa vola lo stesso.

D’altronde ha dichiarato di essere possessore di una delle testine a suo tempo più costose e osannate dalla critica, e quindi anche dal pubblico. Vederla messa alla stregua di quelle che nella sua idea, ancora una volta confortata dalla propaganda di settore, sono roba per poveracci e incompetenti, dopo lo sforzo economico che ha dovuto affrontare, dev’essere stata ai suoi occhi un’offesa troppo grande. Di qui, possibilmente, la sua reazione veemente.

Ora, chiunque abbia compreso la realtà delle cose, anche in misura parziale, sa perfettamente che più ci s’inoltra sul sentiero del perfezionamento e più il dispositivo che ne è caratterizzato per mostrare le sue doti di superiorità ha bisogno di essere tenuto nelle condizioni ideali e di essere messo a punto come si conviene. Inevitabile chiedersi allora quanto tempo fosse che non ne puliva a fondo lo stilo, il che non significa fargli il solletico col pennellino, ma agire in modo che i contaminanti prodotti durante il tracciamento siano rimossi dalla sua superficie, sulla quale restano appiccicati. O meglio, vanno proprio a cuocersi, solidificandosi.

Il loro effetto, causato da un’accumulazione di grande gradualità, tende a passare inosservato. Si rende evidente, in maniera oltretutto plateale proprio per le doti sonore della testina, nel momento in cui lo si rimuove con le modalità adatte, di cui si è parlato in occasione dell’articolo dedicato ai fonorivelatori.

Questo senza fare riferimento alcuno alla magnetizzazione delle bobine, che con ogni probabilità non è stata neppure presa in considerazione, quando invece si tratta di un altro elemento esiziale per le doti sonore della testina, in particolare le bobina mobile, che necessita oltretutto di un trattamento piuttosto frequente.

Nelle condizioni di trascuratezza tipiche dell’appassionato che spende molta parte del suo tempo nei pollai audiofili, invece di dedicarsi alla cura del suo impianto e all’esecuzione delle azioni che permettano di trarre il meglio delle sue potenzialità, sia pure concedendo un margine di superiorità alla testina da lui posseduta rispetto a una pur valida magnete mobile, messa nelle condizioni di operare nel modo più acconcio, quante possibilità vi sono che tale superiorità possa dare luogo a una vera differenza nelle condizioni d’impiego reale?

Ben poche, purtroppo.

Questo ovviamente non serve quale spunto polemico, oltretutto nei confronti di una persona ben provvista di passione e di buona volontà ma forse non di altrettanta consapevolezza riguardo ai metodi di gestione dell’impianto e di estrazione delle sue potenzialità migliori.

Del resto le fonti da lui seguite non gliele spiegano, essendo impegnate a tempo pieno nell’induzione del compra-compra eseguita più o meno consapevolmente. Derivano invece dal comprendere che è del tutto inutile inseguire chimere magari suggestive, rese tali dalla narrativa recensoriale come sempre specializzata nel ricamare le cronache rosa delle estasi onaniste di quanti la costruiscono. Ai fini della qualità delle sensazioni d’ascolto si rivela ben più efficace l’impegno personale, eseguito ovviamente sulle basi della minima consapevolezza.

Viceversa, se ci si azzarda a dire: “Ho una testina niente di che ma grazie all’impegno e alla messa a punto che pian piano ho eseguito dovreste sentire come sono riuscito a farla rendere, forse persino meglio di quella destinata ai benestanti”, si viene catalogati d’ufficio nel reparto visionari & mitomani, in omaggio alla psichiatrizzazione di cui oggi viene doverosamente fatto bersaglio chiunque osi deviare dal tracciato costruito mediante l’utilizzo dei media.

Conseguenza più probabile, è l’essere bersagliati da lazzi, sberleffi e insulti vari, in conseguenza dell’abito mentale che porta a pensare “Come si permette costui di contraddire l’ordine delle cose scritto nei Comandamenti diffusi dalla propaganda di settore”, sul quale oltretutto riposa la tranquillità mentale della stragrande maggioranza degli appassionati, confortata dal sapere che, invariabilmente, tanto spendi e tanto hai.

Ai fini di tale tranquillità è appunto necessario che la minima consapevolezza di cui sopra non vi sia, e al riguardo si fa di tutto. Altrimenti come si potrebbero indurre stimoli all’acquisto sempre nuovi e che soprattutto si rivelino produttivi agli scopi coi quali li si diffonde?

Certo, mettere mano al portafoglio e sborsare una certa somma è molto più sbrigativo e pagante sia in termini di orgoglio personale, sia del prestigio ottenibile presso i pollai audiofili più blasonati dicendo “io ho la testina tal del tali”, giustamenti sicuri che dalla pubblicazione di un messaggio di tenore simile non potrà che derivare un coro osannante di Ooohhh e Aaahhh.

Del resto, restringendo la propria attività nel contesto di pollai e cortili, la qualità della riproduzione diventa non un aspetto secondario, ma proprio privo di senso, secondo la torsione a mo’ di cavatappi che l’attività di quelle piattaforme determina nella gerarchia valoriale della materia. Essa pertanto non serve più all’ascolto della musica nelle modalità più gradevoli che sia possibile, ma a far chiacchiere, polemica, stimolare il proprio istinto di autogratificazione e pubblicare foto del proprio impianto, col fine di incassare il numero più elevato di mi piace e di faccine con la bocca aperta.

 

Soluzioni facili e alla portata

Secondo la logica del miglioramento graduale di quanto si possiede già, che ha tutte le probabilità di dimostrarsi la strada più efficace ed economica per il miglioramento delle doti sonore dell’impianto, anche se forse non permette di pavoneggiarsi con altrettanta efficacia nei pollai di settore, in ambito analogico una delle scelte più indicate riguarda il preamplificatore fono.

Non solo è l’elemento di gran lunga più critico dell’intera catena analogica, ma è anche il solo portato che l’ubriacatura digitale ha reso in favore di quel che è andato provvisoriamente a soppiantare.

Nel momento in cui gli stadi fono sono andati a sparire dall’equipaggiamento di amplificatori integrati e preamplificatori, il loro impiego è diventato indispensabile per chiunque volesse continuare ad ascoltare il giradischi senza disporre di un’amplificazione d’epoca.

In particolare i modelli sonicamente più efficaci hanno messo in evidenza una realtà fino ad allora non compresa, quella che erano proprio gli stadi fono interni, realizzati per forza di cose al risparmio essendo inseriti in apparecchiature destinate anche ad altre funzioni, a causare gran parte delle limitazioni attribuite all’analogico in termini di sistema.

Questo spiega meglio di qualsiasi teoria il significato del Principio Numero Uno della riproduzione sonora di qualità elevata: la massima specializzazione di qualsiasi componente dell’impianto. Ogniqualvolta questo principio venga meno, non solo la resa dell’impianto ne viene gravemente penalizzata, ma di fatto si rende impossibile l’ottenimento di risultati in linea con le potenzialità delle apparecchiature che ne fanno parte.

Le sue conseguenze inoltre possono essere tali da indurre grossi abbagli, come appunto quello inerente le qualità attribuite all’analogico. Se i preamplificatori fono di qualità fossero esistiti già all’epoca dell’esordio del digitale, è possibile che questo avrebbe avuto una vita ancora più difficile e travagliata di quel che è già stata.

Volendo migliorare l’efficacia della propria catena pertanto, è essenziale investire su tale componente, che a seguito di una scelta oculata e persino in assenza di giradischi e testina di grande rilievo è in grado di dare risultati inattesi.

Anche perché spesso avviene l’esatto contrario, ossia negli impianti di molti appassionati, a giradischi e testine costosissimi corrispondono pre fono largamente o del tutto inadeguati, segno di una sottovalutazione della loro funzione, a sua volta origine di risultati sonici che potrebbero essere parecchio migliori.

Si dice che l’analogico sia una specialità fin troppo costosa, specie al giorno d’oggi, cosa senz’altro vera ma non per questo inappellabile.

A questo specifico aspetto ho ritenuto di dare un mio contributo, con la realizzazione di un pre fono capace di doti sonore di prim’ordine e in grado di ben figurare in qualsiasi impianto, ma che nello stesso tempo avesse un prezzo alla portata di quasi tutte le tasche.

Capace inoltre di far andare le MM in modo tale che la mancanza di una più blasonata MC, e di tutte le complicazioni che porta con sé, sia molto meno sentita, se non del tutto ininfluente.

E’ nato così il Microsolid, fratello minore del Minisolid che realizzo già da qualche tempo e ha rivelato doti soniche di prim’ordine. L’intento era proprio quello di mantenere il più possibile le prerogative del modello superiore, ma in una veste tale da ridurne i costi, nei limiti del possibile.

Questo è stato ottenuto essenzialmente in due modi: il primo riguarda l’impiego di contenitori in materiale sintetico, ferma restando la realizzazione in due telai, soluzione tipica di elettroniche dal prezzo di molte volte superiore. L’altro si basa su una semplificazione realizzativa, riguardante essenzialmente la realizzazione dell’elettronica interna secondo una topologia stereofonica, anziché dual mono di una circuiteria per il resto invariata.

I risultati sono stati di grande rilievo, come ho potuto verificare di persona qui da me, e poi in occasione di prove sull’impianto di alcuni appassionati.

In una in particolare si è potuto osservare come anche in un contesto di poche pretese, a parte una coppia di diffusori Tannoy Eaton, che però da soli non erano assolutamente in grado di risollevare il destino di un impianto dai limiti ben evidenti, l’innesto del Microsolid abbia avuto conseguenze imprevedibili anche per me.

E’ stato abbinato a una sorgente molto economica, come lo è il giradischi Pro-Ject Debut, equipaggiato con una testina Ortofon Blue, che collegato allo stadio fono incluso in un integrato Sony d’epoca dava luogo a sonorità sostanzialmente rinunciatarie e prive di significato, l’innesto del Microsolid ha permesso di apprezzare una sonorità di ben altro rilievo, non solo finalmente capace di dar vita a una sonorità da grande impianto e quindi far comprendere il vero significato dell’analogico.

Di sicuro non espresso ai suoi massimi livelli, per forza di cose, ma altrettanto in grado di rendere un ascolto finalmente significativo, gradevole, degno di essere ricordato e soprattutto descrittivo per le doti di naturalezza e realismo che lo rendono ineguagliabile da parte del digitale.

 

Come dicevo, il salto di qualità ottenuto ha sorpreso anche me, che pure conoscevo già le ottime doti musicali del Microsolid, avendolo potuto utilizzare sul mio impianto e senza rimpianto alcuno nei confronti di pre fono neppure paragonabili per prestigio, costo e dispendio di materiali.

A ulteriore dimostrazione che quando le cose girano per il verso giusto, magari per motivazioni del tutto casuali, anche confronti che si reputerebbero improponibili possono dar luogo a risultati oltremodo confortanti.

In certi contesti si parlerebbe di ammazzagiganti, termine che al pari di esoterico, nero infrastrumentale e simile paccottiglia neolinguistica personalmente detesto. Rimane comunque una realtà ben tangibile, e che mi rende da un lato orgoglioso e poi consapevole del fatto di essere riuscito nel mio piccolo, che in realtà è infinitesimale, a  contribuire in maniera concreta a favore di quello per cui mi sono sempre battuto, anche nei periodi in cui sembrava irriemediabilmente superato. Ossia l’analogico, per il quale a suo tempo ho tentato quanto mi è stato possibile affinché non lo si dimenticasse e si tenesse viva la consapevolezza degli appassionati nei suoi confronti, e oggi rendendone possibile il suo utilizzo più proficuo, a livello di qualità sonica e delle sensazioni che se ne possono ricavare, senza obbligare a spendere cifre troppo importanti. Sia a livello di giradischi e testine che, appunto di preamplificatore fono.

Quindi il mio consiglio a Roberto e agli appassionati che desiderano utilizzare l’analogico con risultati significativi è proprio quello di non inseguire chimere magari affascinanti, la cui caratteristica più spiccata è quella di funzionare da spennapolli di grande efficacia, ma di seguire l’insegnamento delle corse: migliorare per quanto possibile quel che c’è già, con l’impiego di componenti economici ma che hanno rivelato la loro grande efficacia e possono rivelarsi utili per estrarre un potenziale dal proprio giradischi e impianto che probabilmente non s’immagina neppure.

Il rimando a questo punto è alla pagina che ho dedicato al Microsolid, in cui sono incluse anche le considerazioni di un paio di appassionati che hanno potuto apprezzarne le caratteristiche.

Buona lettura

 

 

2 thoughts on “Analogico a lettura ottica e altre prelibatezze

  1. Sono capitato per caso sulla domanda di Roberto e ho cominciato (non posso dire di più) a leggere la sua risposta. A meno della metà ho cambiato pagina. La risposta è stata un libro, la domanda non meritava il pistolotto. Per carità, interessante e sicuramente pieno di conoscenza ma troppo lungo e proprio per questo difficile da seguire.

    1. Ciao Pietro, grazie dell’attenzione, sia pure parziale e originata da motivi del tutto casuali.
      Che gli articoli pubblicati sul mio sito siano troppo lunghi me lo hanno detto e ripetuto praticamente tutti.
      Malgrado ciò continuo a pubblicarne secondo le modalità consuete per un motivo semplicissimo: il criterio primario per un qualsiasi scritto è a mio avviso l’esaustività, che come tale necessita del suo spazio.
      In secondo luogo ritengo essenziale anche entrare nello specifico dei diversi aspetti legati all’argomento di cui si parla, molti dei quali potrebbero sfuggire a un approccio più superficiale.
      Trovo del resto senza senso quei siti che pubblicano esclusivamente contenuti privi di qualsivoglia contenuto, e anche se sono la maggioranza schiacciante, o meglio relegano alla marginalità tutto quanto non segua quel criterio, e riscuotono l’apprezzamento di una maggioranza del pubblico se possibile ancora più schiacciante, a me non interessa proprio.
      Innanzitutto perché il mio sito non è indirizzato all’accumulazione delle visite o dei cosiddetti click, e poi perché se praticamente tutti i siti sono tali non avrebbe senso metterne in linea uno indistinguibile da essi. Così facendo anzi il mio sito si differenzia profondamente da tutti gli altri riguardanti gli stessi argomenti, il che in un’epoca attuale dove il dominio della massificazione e dell’indifferenziazione è assoluto e inattaccabile, non mi sembra proprio un risultato da poco.
      A questo punto occorrerebbe rivolgere l’attenzione all’incapacità del pubblico a concentrarsi per più di qualche istante su un qualsiasi elemento e sui risultati che ne derivano un po’ a ogni livello.
      Il processo è andato avanti al punto tale da determinare il netto rifiuto per tutto quanto non si attenga al comandamento della banalità e della superficialità, che nel momento in cui un individuo si trova di fronte a qualcosa di difforme parte in automatico la definizione di “pippone” o “pistolotto” che dir si voglia.
      Di questo si è parlato nell’articolo che stiamo commentando, il quale tra l’altro, se lo si legge col minimo di attenzione, contiene già tutte le risposte alle tue valutazioni.
      Il punto diventa allora la capacità di comprendere quanto si legge e fino a che punto si è in grado di farlo. Le statistiche al riguardo sono storicamente sconfortanti e in continuo peggioramento. Va da sé allora che in condizioni come queste sia enormemente più facile far passare di tutto e tutto il suo contrario da parte di chi ne ha le capacità e l’interesse, proprio perché si trova di fronte un uditorio in larga parte incapace di entrare nello specifico e di eseguire un’analisi indipendente su tutto quanto gli viene proposto.
      Dal mio punto di vista condizioni come quelle attuali sono state ricercate e concretizzate scientificamente, proprio per poter esercitare una forma di dominio pressoché assoluta su masse non in grado di rendersi conto del livello di sudditanza cui sono costrette.
      Ci sarebbe molto altro da dire al riguardo e in risposta al tuo messaggio, del quale comunque ti ringrazio dato che mi permette di dare ulteriore rilievo a un articolo che ho scritto a suo tempo proprio sull’argomento, intitolato La questione della sintesi.
      E’ anch’esso molto complesso, come complessa del resto è la materia di cui si occupa e numerosi sono gli addentellati che la riguardano. Tocca comunque elementi minuziosamente trascurati dal sistema di (dis)informazione allineato e permette di farsi un’idea riguardo a tanti aspetti su cui difficilmente ci si sofferma, ma che sono essenziali appunto nel rapporto individuale nei confronti dei messaggi che ci vengono indirizzati e per la comprensione delle modalità con cui si utilizza la semantica, sempre più spesso alla stregua di una vera e propria arma anche nel settore di nostro interesse.
      Si tratta anche in questo caso di un articolo “difficile da seguire”, ma del resto tutto quanto non sia di una superficialità assoluta è ormai destinato a essere tale, proprio in funzione della regressione indotta a livello di massa, per i motivi che abbiamo visto in breve qualche riga fa.

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