Hi-Fi, istruzioni per l’uso. Che cos’è l’impianto e a cosa serve

In un’epoca ormai lontana esistevano ancora un’etica e dei valori, già allora esposti all’attacco senza quartiere del consumismo, del quale vediamo oggi gli effetti di mercificazione totale e assoluta nei confronti di qualsiasi cosa si trovi sulla faccia della Terra. In conseguenza l’informazione nel suo insieme, e ancor più quella di settore, aveva intrapreso il cammino che l’avrebbe trasformata in mera comunicazione, elemento essenziale allo scopo.

In quel periodo mi stavo avvicinando alla riproduzione sonora e la stampa di settore tentava ancora di spiegare quali ne fossero i principi di base, insieme ai rudimenti della tecnica necessari affinché si avesse almeno una minima infarinatura riguardo ai processi che la governano. Per poi dare luogo, nel bene e nel male, ai risultati pratici ottenibili da un qualsiasi appassionato alle prese col suo impianto.

Questo aveva costi non indifferenti, già a livello di stampa: la carta costa e così l’inchiostro, per non parlare dell’apparato iconografico che allora si riteneva indispensabile affinché il lettore potenziale non si trovasse di fronte a quella che nell’ambiente si definisce tuttora, con un misto di orrore e repulsione, colata di piombo: già nell’aspetto capace di dissuadere dall’impresa concernente l’imbarcarsi nella sua lettura.

Oggi la si riterrebbe improponibile.

Non era scorrevole, neppure gradevole, ancor più secondo i criteri attuali, e meno che mai rapida, due, tre minuti al massimo come ormai si ritiene essenziale. Così da ottenere come risultato collaterale, o forse è proprio quello in cima alla lista degli obiettivi, la diffusione a livello capillare dell’incapacità alla concentrazione. E per conseguenza alla comprensione di tutto quanto esuli dai concetti più terra-terra.

Appunto i soli che è possibile condensare nei due o tre minuti di lettura accordati in funzione di una legge non scritta, applicata al grido di “E’ il pubblico che ce lo chiede!”, il cui effetto primario è stato quello di instaurare e poi radicare il monopolio dei contenuti privi di qualsivoglia contenuto.

La cosiddetta colata di piombo acquisiva le sue prerogative proprio perché andava a indagare, con un minimo di profondità, principi di assimilazione non semplicissima. Soprattutto esigevano cose ormai dimenticate, come l’appena menzionata capacità di concentrazione e poi quella inerente la comprensione dei concetti che si andavano a divulgare.

Al di là della necessità di un pubblico disponibile a imparare qualcosa, ancor prima di esserne in grado, quel tipo d’informazione votato alla divulgazione richiedeva personale all’altezza: gente formatasi in anni o meglio ancora in decenni di studio e più ancora di attività pratica insostituibile, della quale era fondamentale inoltre saper cogliere l’insegnamento, cosa più difficile di ogni altra.

Stiamo parlando di roba che già allora costava parecchio e con ogni probabilità oggi sarebbe inavvicinabile. Soprattutto necessita di tempi lunghi affinché si renda disponibile, presupponendo quindi una retribuzione degna.

Tutte cose inconcepibili nella realtà attuale, votata al consumo trionfante. Per sua natura dev’essere rapido, profittevole e tale da esaurire il ciclo del prodotto con la rapidità maggiore, proprio affinché si possa passare a quello successivo senza soluzione di continuità e il sistema costruito su di esso possa conseguire la sua efficacia maggiore.

Per quei fini insomma era necessario quanto di più lontano dal personale prelevato direttamente nei pollai audiofili di maggior chiasso, in funzione della capacità di sollevare i polveroni più vistosi, capacità figlia innanzitutto dell’incompetenza e dell’impossibilità non di comprendere, sia pure superficialmente, ma proprio di avere l’idea più pallida riguardo alla natura stessa dell’argomento con cui ci s’intrattiene.

Di esso si discetta con la nota e usuale supponenza, figlia come sempre della consapevolezza che ciascuno di quei personaggi ha in cuor suo di non essere a livello del ruolo attribuitogli con tanta leggerezza. Si trova quindi costretto a barcamenarsi con gli strumenti che ha a disposizione.

Ancora più lontano, per forza di cose, quel modo di fare infomazione è dal compra! Compra!! COMPRA!!! che è il solo messaggio diffuso dalla pubblicistica di settore attuale e degli ultimi due-tre decenni.

Altro d’altronde non può fare, proprio in conseguenza delle leggi del consumo e del capitale, che hanno alla voce numero 1 l’abbattimento dei costi, progressivo e immutabile, quale via primaria all’aumento dei profitti. O almeno per evitare il loro crollo nei momenti di crisi come questo, tanto più gravi nei loro effetti in quanto indotte artificialmente nei modi che abbiamo visto.

Il modello di comunicazione volto esclusivamente a stimolare l’acquisto lo s’intende ormai in una forma tanto esasperata da trasformarlo in compulsione. Della quale, non a caso, il personale più in vista delle fonti che lo utilizzano e diffondono ha ritenuto indispensabile fare pubblico vanto, credendo oltretutto di dimostrare chissà cosa.

Quel modello può essere indicato forse per tenere i conti in attivo, ma è del tutto inconciliabile con qualsiasi altra cosa non sia numeri, il più delle volte fittizi e manipolati com’è del resto nella loro natura, da incolonnare su pezzi di carta a cui viene poi attribuita la pomposa definizione di bilanci.

Vediamo così, nell’ennesimo addentellato tra ciò che avviene nel piccolo mondo della riproduzione sonora e realtà sociale, che per obbedire alle proprie leggi il capitalismo è costretto a evolvere in continuazione, e quindi a divorare tutto quanto trova lungo il suo cammino. Fin quando arriverà fatalmente a fagocitare anche sé stesso, ovviamente non prima di aver banchettato con tutti noi.

Questo lo si definisce progresso, a sua volta artefice del comandamento principale oggi in auge, quello della modernità. Entrambi sono colonne portanti e insieme arieti di sfondamento dell’ordinamento capitalista, che come vediamo meglio ogni giorno che passa non è in grado far altro che causare una regressione priva di ogni limite apparente.

La nasconde dietro i muri di carabattole che fa produrre a lavoratori ridotti sempre più in condizioni di schiavitù e poi fa pagare a costi sempre più elevati, acquistati appositamente per esserne ingannati. Mentre gli Stati un tempo sovrani si prendono la loro percentuale, definità fiscalità, e quindi vedono di buon occhio l’intero meccanismo.

Gli Stati tuttavia non la usano più, quella fiscalità, se mai lo hanno fatto, a favore della cosa pubblica, non a caso ridotta ormai a uno sfacelo plateale e irrecuperabile, ma per foraggiare chi li controlla dall’alto o meglio ancora li tiene per il collo, giusta la sua indole, e li dirige verso un’azione autodistruttiva sempre più marcata che per forza di cose ha le prime vittime nei popoli che ne abitano i territori.

Le seconde non potranno che essere le classi di sottogoverno che si sono piegate a tutto questo, per la legge vecchia quanto il mondo secondo cui il servo che ha esaurito il suo compito si congeda con un calcio nel didietro.

Tuttavia danno l’impressione di non comprenderlo e marciano a ranghi serrati e passo di corsa verso il loro destino inevitabile.

Col tempo oltretutto diviene sempre più chiaro, come mostra la fine fatta da un numero sempre maggiore di ultrà della narrazione pandemenziale e di artefici della sua attuazione pratica, che quel moloch non ha ritegno alcuno a mettere nel tritacarne anche chi lo ha servito fedelmente. Spesso e volentieri prima degli altri, secondo un’attitudine al momento difficile da spiegare, almeno per me, se non con l’intenzione di mostrare il suo potere, assoluto e irrevocabile.

Malgrado ciò trova sempre nuova manovalanza pronta a servirlo, secondo i canoni di una programmazione apparentemente di grande efficacia. Del resto a suo tempo è stata messa su anche una scuola, quella dei cosiddetti giovani leader globali, dalla quale sono uscite tutte le figure politiche più importanti in carica, oggi come ieri. Sono proprio quelle che mettono Klaus Schwab nelle condizioni di dichiarare pubblicamente e con sussiego di avere nelle sue mani i principali governanti di tutto il mondo. Ultimo esempio, quello della capo di governo mostratasi in pubblico con occhi vacui mentre si toccava il naso secondo un gesto usuale per chi lo ha usato per rifornirsi non solo di ossigeno ma anche di altro.

Così fan tutti è stato scritto dal grande musicista ormai qualche secolo fa, e fin qui siamo tutti d’accordo. Quali sono invece i motivi per cui ci si ritiene in dovere di darne pubblica ostentazione? Chi o cosa lo richiede?

 

 

Il sasso e lo stagno

Un tempo, dicevamo, la stampa specializzata aveva anche una sua funzione divulgativa. Così, quando qualche articolista si metteva in testa, o riceveva istruzione, di spiegare i rudimenti della riproduzione sonora finiva regolarmente a fare l’esempio del sasso lasciato cadere nello stagno. In seguito al suo impatto con la superficie dell’acqua, che prima si trovava in stato di quiete, va a produrre una serie di onde, destinate a propagarsi in maniera concentrica.

Tale esempio serviva a comprendere, sia pure a grandi linee, la produzione e il diffondersi del suono in forma di onde, per sua natura invisibile, anche se in seguito si è trovato il modo di visualizzarne gli effetti sulla materia, per mezzo di un evento percepibile con il senso della vista. Quindi ritenuto più facilmente assimilabile.

Proprio questo potrebbe essere il peccato originale del sistema d’informazione legato alla specialità, e quindi inevitabilmente della specialità stessa: il voler rendere meglio comprensibile il suo funzionamento, che notoriamente interessa l’udito, utilizzando il senso della vista.

Forse allora non è per caso che una delle degenerazioni più in voga, nell’ambito della riproduzione sonora, e di frquente eseguita dalle sue vittime a loro insaputa, sia quella dell’ascoltare con gli occhi.

Attività che nel corso del tempo ha acquisito una diffusione particolarmente ampia, pur se a insaputa di quanti la eseguono immancabilmente, proprio in funzione di quanto appena detto. Una volta aperta la strada alla prima incongruenza, quelle che le fanno seguito ci passano in maniera sempre più agevole.

Così ormai ci ritroviamo nelle condizioni in cui sempre più spesso si ascolta per mezzo del portafogli, ovvero del prezzo di listino delle apparecchiature. Si tratta di un’abitudine diffusa da tempo in forma endemica, a iniziare proprio dagli addetti ai lavori della pubblicistica di settore, secondo un’inclinazione vista con favore particolare da chi di essa tira le fila, per ovvi motivi di carattere economico inerenti la raccolta pubblicitaria.

Si ascolta poi per mezzo delle targhette che riportano il marchio del costruttore, del numero dei controlli presenti sul frontale delle apparecchiature e dello spessore di quest’ultimo nonché del materiale da cui è costituito. In quest’elenco non si può trascurare l’ordine mediante il quale i componenti sono distribuiti nello spazio disponibile all’interno del telaio e poi la loro densità, che dev’essere la più alta possibile. Giustificando così il prezzo di vendita, a dimostrazione definitiva di quanto l’appassionato medio abbia compreso i principi alla base della riproduzione sonora e della fabbricazione delle apparecchiature ad essa adibite, cosa che non gli compete ma della quale sarebbe utile avere un’idea, per quanto vaga.

Del resto nessuno gli ha mai spiegato la funzione di quei componenti, le conseguenze derivanti dal loro utilizzo e più che mai la differenza esistente tra una manciata più o meno generosa di componenti elettronici e un’apparecchiatura fatta e finita, possibilmente capace di suonare e persino in possesso di una qualche affidabilità. Lì neppure l’organo visivo, che dovrebbe rendere evidente già a colpo d’occhio la differenza tra le due cose, sembra in grado di arrivare.

Segno che l’abdicazione all’uso dell’intelletto, conseguenza primaria del dominio assoluto delle apparenze, figlio a sua volta dell’abuso spinto al parossismo delle stimolazioni sensoriali rivolte all’organo della vista, può portare a risultati imprevedibili e al di là di ogni attesa. Chi avrebbe scommesso, qualche decennio fa, sul diffondersi di un siffatto abito mentale?

Ulteriore esempio e tra i primi in assoluto per ordine di diffusione è non a caso l’ascolto a mezzo dei Vu-meter del più bel blu dipinto di blu, del resto immancabili, ormai, su qualsiasi apparecchiatura, nonché per il tramite delle loro dimensioni. Tanto è vero che il campione assoluto della particolarissima specialità, guardacaso il marchio di gran lunga più diffuso, apprezzato, venerato e agognato nell’alto di gamma, malgrado la sonorità delle sue apparecchiature abbia margini di miglioramento così sostanziosi, è riuscito a trovare il modo, o meglio il pretesto, di metterli persino su un giradischi. Nello stesso tempo non si lascia scappare l’occasione d’ingrandirli sempre più sui frontali delle elettroniche che realizza.

Ti dicono che servano a misurare la potenza in uscita, quegli arnesi, ma in realtà sono induttori d’ipnosi di massa dall’efficacia senza confronti, come la realtà appena descritta certifica impietosamente.

 

Parametri

L’elenco degli strumenti per mezzo di quali si esegue l’ascolto dell’impianto si è ampliato sempre più col passare del tempo, andando a comprendere per ovvie ragioni le tabelle delle caratteristiche tecniche, le recensioni immancabilmente a senso unico, le misure di laboratorio e così via.

Inevitabile che, al moltiplicarsi degli strumenti alternativi, il ricorso all’udito non abbia potuto che passare di moda, andando sempre più a rarefarsi. Come del resto è nell’ordine delle cose, man mano che si presentano sistemi più pratici, sbrigativi e soprattutto di utilizzo più immediato.

Infatti cos’è più semplice, valutare a colpo d’occhio adeguatezza della colorazione e dimensioni di un Vu-meter, ripetere a giaculatoria i numeri di una tabella insieme alle corbellerie e le vere e proprie fandonie del recensore di turno, che quando va bene diffonde le cronache rosa delle sue estasi onaniste, oppure acquisire col tempo, la fatica e soprattutto le spese oggi precluse alla stragrande maggioranza, necessarie a un’esposizione di frequenza adeguata agli eventi reali, una vera educazione all’ascolto? Ossia quella che permetta di capire, per conto proprio, cosa è giusto e cosa è sbagliato della caciara furibonda che sempre più spesso esce dagl’impianti domestici e peggio da troppi di quelli esposti nelle mostre di settore.

Però danno l’esempio, che i frequentatori di tali rassegne prendono per forza di cose per buono o meglio per oro colato. Inevitabile allora che i bassi a peto di vacca frisona, o di ordinaria e cornutamente plebea bufala nostrana, per gl’impianti dozzinali cui è precluso il cosmopolitismo vantato dai ceti abbienti, siano il traguardo più agognato. Naturalmente fin quando non le avranno tolte tutte di mezzo per i noti e pretestuosi motivi di sostenibilità ambientale.

A quel punto, venuto meno l’esempio per motivi tanto nobili, chissà cos’altro si riuscirà a scovare.

Ai fini di quel basso dalle prerogative così distinte e distintive ci si sentono chiedere somme più indicate per l’acquisto di un appartamento. Guai a chi ha da ridire, perché contro di lui si scateneranno i bambocci compulsivi di cui sopra e ancor più gli aspiranti tali, pronti a tutto pur di realizzare le loro ambizioni. Quindi anche ad accusarlo, dalle colonne dei pollai audiofili più generosi di becchime, di essere solo un invidioso, in preda a livore esasperato dovuto alla personalissima incapacità di spendere certe somme per oggetti simili, sinonimo del fallimento esistenziale più eclatante.

Per non parlare dei medi da motosega scarburata, oggi più in voga che mai. L’argomento del giorno è infatti la necessità improrogabile di abbattere le foreste come mezzo più efficace di salvaguardia ambientale, secondo il procedimento garantito nelle sue metodiche e finalità dalle aziende foraggiate dall’onnipresente Billy the killer, quello che di cognome fa Gates.

Ai tempi del selvaggio West spopolava invece Billy the Kid: ogni epoca ha gli eroi che si merita.

Quelle motoseghe non possono che funzionare con motori a scoppio: quale sarà l’inquinamento da esse causato? Inesistente, perché di sicuro saranno tutte almeno Euro 6, proprio come prescritto dalle regioni Piemonte e Veneto, che vogliono il blocco di tutto quanto abbia un motore meno virtuoso a livello ambientale. A Milano invece occorre registrarsi, per entrare nella zona B.

Anche le istituzioni entrano così nel filone ricchissimo del data mining. Diviene ancora più profittevole, quell’affare, quando i suoi costi li paga qualcun altro. Ossia chi prima è stato espulso dai centri storici, aumentando a dismisura i prezzi delle abitazioni e degli affitti, e ora dopo aver dovuto subire la cacciata si vede imporre un balzello per poter recarsi a un lavoro che invece ha retto perfettamente l’aumento dei prezzi degl’immobili, in conseguenza dello stesso meccanismo capitalista, volto a spostare progressivamente la ricchezza verso l’alto.

Dopo il danno anche la beffa, perché ora si scopre che il pendolarismo di tutta la gente che si è buttata fuori dalle città non è ambientalmente sostenibile.

Che poi il veicolo medio per motivi di conquista dei mercati, eseguita vellicando la vanteria dei suoi acquirenti e facendo leva sui loro complessi, si sia moltiplicato nei suoi pesi e dimensioni, obbligandolo a bruciare più carburante per compiere lo stesso tragitto alle stesse velocità, fanno tutti finta di non notarlo. Per conseguenza la Fiat 500 degli anni 50 e 60, che costava poco, non consumava niente e per questo ha motorizzato l’Italia, oggi è considerata un’inquinatrice pestilenziale. Viceversa il SUV che somiglia sempre più a un carro armato, ha dimensioni e pesi pari a quelli di un TIR e consuma come una petroliera, è un mezzo sostenibilissimo e ambientalmente colmo di virtù.

D’altronde se le auto consumassero poco come farebbe uno Stato che sui carburanti impone tasse per il 70% del loro importo alla pompa, e poi cerca di coprirsi accusando tutti di essere degli evasori irrecuperabili?

Ancora una volta, della solenne presa in giro nessuno si accorge e tutti obbediscono all’ordine di restare perennemente indebitati a causa della follia devastatrice e calcolata al miliardesimo con cui le istituzioni decidono i loro provvedimenti.

I loro reggitori, invece di essere messi in manicomio criminale, vengono sempre più insigniti di cariche e onorificenze. Oltre a godere di retribuzioni prive di ogni senso della misura, come sempre leva più efficace per l’induzione di comportamenti a piacere. Proprio perché oltre certi limiti il peso del privilegio diviene troppo gravoso per le spalle di un qualsiasi singolo, tantopiù quando l’impoverimento di massa viene diffuso a tal punto.

Dunque, i principi alla base della corruzione oggi governano l’assetto istituzionale a qualsiasi livello. In mancanza potrebbe rivelarsi complesso convincere i primi cittadini a rinchiudere quelli che li hanno eletti nei campi di concentramento del ventunesimo secolo, ovvero le “città dei 15 minuti dalle quali si potrà uscire solo dietro esibizione di un permesso e in un numero di volte rigorosamente contingentato. I tentativi dei sindaci di Milano, Roma, Torino eccetera vanno proprio in tale direzione. Sono l’antipasto di quel che accadrà propinato come sempre in dosi impercettibilmente crescenti, secondo il noto principio della rana bollita.

Sempre in tema di mobilità, chi deve andare a lavorare sa perfettamente che coi mezzi pubblici accumulerebbe solo lettere di richiamo fino al licenziamento, dati i loro ritardi, disservizi e più che mai la loro inadeguatezza già alla richiesta attuale, figuriamoci a quella che per forza di cose andrà a generarsi. La macchina nuova non si può comprare stanti i costi della vita, mentre i salari sono inferiori a quelli del 1990 (dati Eurostat), quindi si può tranquillamente morire. Se possibile alla svelta e senza far chiasso.

Dunque lo Stato preclude di fatto la libertà di movimento a chiunque commetta il reato di non acquistare l’auto che esso ha deciso, coi criteri ben noti. Su quell’obbligo poi impone altre tasse, sempre in nome della libertà e della democrazia.

Se la mia auto la sceglie qualcun altro, lo stesso che poi impone di pagare una tassa semplicemente in virtù del suo possesso, posso ragionevolmente sostenere che quell’auto sia effettivamente mia? O forse in realtà appartiene a qualcun altro, che se ne impossessa senza pagarla e anzi facendo pagare a tal fine?

D’altro canto se tutti acquistassero l’auto decisa dallo Stato, questo si troverebbe costretto a inventare altri parametri di blocco dando così nuovo rilievo alla pretestuosità dell’intero meccanismo.

Sul tema riguardante il crollo deliberato per il potere d’acquisto delle retribuzioni voglio segnalare il bel libro di Pasquale Cicalese, “50 anni di guerra al salario”, reperibile presso tutte le librerie a prezzo modico, 13-14 euro.

D’altronde l’eliminazione dei ceti salariati, ormai inutili agli scopi di profitto stanti i progressi enormi compiuti dall’automazione, è al primo posto dei desideri delle onnipotenti élite globalizzate. Proprio ad esse rispondono ossequiosamente i politici di qualsiasi colore, etnia o programma, facendo gara oltretutto di platealità nel loro zerbinaggio.

Tuttavia insistono a richiedere il mandato a ciascuno di noi attraverso la farsa definita con l’appellativo di elezioni. Il vero problema è che c’è ancora qualcuno che glielo concede, credendo agli unicorni, alla favola degli asini volanti o in alternativa a quella dell’uomo nero, che resta sempre la più apprezzata, essendo buona per per ogni occasione.

Dopo i già menzionati bassi a peto di vacca e medi da motosega scarburata, il cerchio si chiude con gli acuti trapananti. Proprio come gli strumenti atti a fissare sulle facciate delle nostre case i materiali pestilenziali, dati  i metodi della loro fabbricazione e lo sbriciolamento cui vanno incontro già nel breve termine, stante l’intervento degli eventi atmosferici. Malgrado ciò sono indispensabili per adattare le abitazioni al dettato delle leggi UE volte alla salvaguardia ambientale, ideate apposta per favorire l’espropriazione degli edifici di proprietà privata.

Tanto quelli pubblici li hanno già svenduti tutti e ormai ci restano giusto il Colosseo, Fontana di Trevi e poco altro, che presto troveranno il loro destino. Occorre quindi saccheggiare la proprietà privata, in particolare quella di chi non può difendersi.

Totò, nella sua interpretazione che forse più di tutte si è rivelata profetica, col grande Nino Taranto a fargli da spalla, la voleva vendere all’emigrato di ritorno dal nome di Deciocavallo, ansioso di trovarsi “un bel business”. Ennesima dimostrazione che la Storia si presenta prima in farsa e poi in tragedia, al contrario di quel che ci siamo sempre sentiti ripetere da un sistema scolastico che a tutto serve tranne a quello che gli compete.

Ricordiamo ancora una volta, al proposito delle leggi sulle “emissioni degli edifici” e dell’esproprio di massa che ne conseguirà, la necessità di coprire con beni reali un cumulo di derivati e titoli tossici per un controvalore che supera di 50 volte il PIL annuo mondiale, escluso il debito da carta straccia fatta passare per moneta, e rischia di deflagrare in misura maggiore ogni giorno che passa.

Per chiunque non rispetti il dettato di quelle “leggi”, indebitandosi in via definitiva per somme impagabili secondo un iter che le fonti allineate definiscono “aiuto a mettersi in regola”, c’è chi sta spingendo affinché si preveda la galera e così andrà a finire, con ogni probabilità.

Grandioso, poi, è l’occhiello, secondo cui “il Parlamento sarebbe pronto ad avviare i negoziati al riguardo”. indicativo dell’olimpico sprezzo nei confronti dell’intelligenza dei sudditi, che non a caso proprio i media allineati hanno contribuito come nessun altro a ridurre al lumicino affinché la si possa meglio calpestare. Del resto se insisti ancora a leggere La Stampa e similari come vuoi essere considerato? Denota poi il degrado delle istituzioni, arrivato a renderle interpreti di simili vergognosi teatrini, e peggio di ridurle a complici del più immane ladrocinio di massa che la storia ricordi.

Ti orinano in testa e neppure vengono più a raccontare che stia piovendo. Spiattellano in faccia a tutti noi proprio quello che vanno facendo, e in tutta tranquillità, tale è la sicurezza negli effetti dell’azione di inebetimento di massa condotta nel corso degli ultimi decenni.

In Italia questa misura avrà costi sociali enormi, in quanto si tratta di uno dei Paesi col maggior numero di persone proprietarie dell’abitazione in cui vivono.

Teoria del complotto? Forse. Ricordiamo però che un certo Speranza voleva far arrestare chi non rispettasse l’obbligo, illegale sotto ogni aspetto, di andare in giro imbavagliato come un qualsiasi rapinatore.

D’altronde c’era il virus, quello che mai nessuno è stato capace di isolare e alle oltre 200 richieste di esibirne le prove, le autorità sanitarie di tutto il mondo non hanno saputo dare una risposta che sia una.

Il suo successore detiene un cospicuo tesoretto investito nelle azioni delle ditte che commercializzano il siero magico. Ulteriore dimostrazione che l’inganno della pandemenza è stato prima di tutto un giro d’affari colossale per chiunque vi sia stato coinvolto, a qualsiasi titolo.

Inevitabile che ora ci vogliano riprovare: troppo graditi e lucrosi sono gli effetti dell’emergenza. Più che mai quando è pianificata a uso e consumo delle proprie finalità.

Ma voi mi raccomando, credeteci e soprattutto obbedite a tutte le direttive emanate da chi l’emergenza la delibera e l’organizza, per poi trarre a sé i profitti enormi che genera.

Poi, se qualcuno riesce a spiegare come mai il Ministero di competenza, in occasione del discorso pronunciato dai suoi vertici all’evento sulla copertura sanitaria universale tenutosi all’ONU, si senta in dovere di pubblicare un tweet che indirizza specificamente all’attenzione del solito Billy the killer e della di lui moglie Melinda, è il benvenuto.

Ecco a chi rispondono, nel concreto, i governanti e le istituzioni.

L’Unione Europea sarà un inferno, fu il monito di chi si fece diventare icona della corruzione politica che proprio nell’UE ha trovato la sua espressione massima. Lo certificano gli SMS tra la sua presidenza e i capi di big farma con cui si sono accordati su prezzi, modalità e quantità delle forniture degli pseudo-vaccini che si sono ricattate centinaia di milioni di persone a lasciarsi inoculare.

Poi quegli SMS li si è cancellati, come se nulla fosse, e chi lo ha fatto non sta all’ergastolo ma ricopre tuttora la sua carica. Oggi l’UE è la punta più avanzata dell’Occidente nell’esecuzione delle sue pratiche totalitarie, pretendendo si tratti invece della democrazia più avanzata e compiuta che si possa immaginare.

Il fascismo non ha mai immaginato neppure lontanamente di chiudere in casa l’intera popolazione italiana, con la minaccia di arresto per chiunque non obbedisse. Men che meno di obbligarlo a fare da cavia a pratiche sperimentali, col ricatto della cacciata dal lavoro e susseguente revoca dello stipendio, che oggi si devolve anche ai carcerati. Questo ha significato la cancellazione della Costituzione e, peggio, l’abrogazione del patto sociale, eseguita unilateralmente da uno Stato messosi al servizio dell’industria farmaceutica.

Tutto questo lo ha fatto il democraticissimo PD, col pretesto di un’emergenza progettata a tavolino e sperimentata nel corso dell’esercitazione Event 201, nell’ottobre del 2019. Per rendere più verosimile quell’emergenza non ha esitato ad ammazzare e far ammazzare nei modi più crudeli migliaia e migliaia di persone, scelte tra i più deboli e indifesi.

Per mera combinazione, il PD insieme alla corte dei miracoli che gli ruota attorno è quello che grida dalli al fascista contro chiunque sia reo di psicoreato, ovvero non la pensi nel modo che prescrive.

 

Ritorno ai fondamentali

In condizioni come quelle descritte fin qui, la scelta più efficace potrebbe essere ripartire dalle basi.

Nel momento in cui in un qualsiasi ambito lo svolgersi degli eventi è andato verso il degrado, inoltrandosi a tal punto nel suo tragitto, si usa appunto dire che occorra tornare ai fondamentali.

Oggi ve n’è un bisogno estremo, non solo nel settore di nostro interesse ma a tutti i livelli. In primo luogo delle istituzioni: un tempo si riteneva dovessero essere esempio di civiltà e coesione sociale, oggi sono avanguardia di scelleratezza e il più efficace e invincibile induttore dello sfacelo comandato a distanza.

Nella consapevolezza della realtà attuale è proprio il ripartire dai fondamentali che ho intenzione di fare. Evitando però l’esempio del sasso nello stagno per andare su qualcosa di più concreto e soprattutto legato più direttamente agli ingredienti necessari alla riproduzione sonora e alle finalità cui col loro impiego si perviene.

Dunque la riproduzione sonora, in particolare quella domestica, si concretizza mediante l’impiego dell’impianto audio, a sua volta costituito da una serie più o meno ampia di apparecchiature dalle funzioni specifiche, dispositivo attraverso il quale ci si propone di ascoltare una o più voci e uno o più strumenti che eseguono musica. O almeno qualcosa che le rassomigli.

Nel suo insieme la specialità ha preso già diversi decenni addietro la denominazione di Hi-Fi, abbreviazione dell’inglese High Fidelity che in italiano si traduce con alta fedeltà.

Certo non alla moglie, fidanzata, amante o amicizia che non s’intende tradire e neppure ai propri ideali e valori, sia pure se posti a un livello superiore di vari gradini rispetto a quello di cui ci stiamo occupando. Così che col tempo e le comodità che il progresso ci ha portato siamo diventati sempre più pigri e incapaci, al punto da ritenerli troppo difficili da raggiungere per poi tralasciarli e infine dimenticarli.

Tantomeno fedeltà alla linea, per quale che sia, tradita del resto dagli stessi che a suo tempo l’hanno dettata. Probabilmente a uso e consumo degli allocchi che intendevano ingannare, con lo scopo di spingerli a fare quel che desideravano ma senza che se ne rendessero conto.

Dunque l’impianto è ad alta fedeltà o almeno così si dice. Riguardo ai desideri del suo possessore, stabiliti nei modi che abbiamo visto prima, o forse all’evento originario che per il suo tramite si va a riprodurre?

Personalmente propenderei per la seconda ipotesi anche se, e anzi proprio per quello, ci è stato ripetuto per decenni dalle fonti definitesi le più autorevoli che ciò non è possibile.

Eppure certi impianti sono effettivamente in grado di dare la sensazione, almeno quella, che l’evento reale si stia svolgendo di fronte a noi.

Cosa li rende tali? Di sicuro non il loro prezzo, non è necessario infatti che costino un occhio della testa, più importanti sono le modalità con cui li si fa funzionare, ossia la messa a punto e le condizioni di contorno. Entrambe sono frutto soprattutto dell’impegno personale, proprio quello che la comunicazione di settore spinge da sempre a ritenere del tutto ininfluente, o meglio superfluo. Del resto è finalizzata esclusivamente a massimizzare le vendite e quindi a decantare la perfezione del prodotto, che come tale di null’altro deve abbisognare, essendo fornito di quanto gli è necessario dalle sue stesse doti intrinseche.

A messa a punto e condizioni di contorno sarà dedicata la seconda puntata di questa serie.

 

L’evento da riprodurre, il milite ignoto della riproduzione sonora

Per poter esprimere una qualsiasi valutazione dalla minima probabilità di verosimiglianza, riguardo a un dispositivo adibito alla riproduzione di un evento che ha avuto luogo in precedenza, è necessario innanzitutto avere un’idea dell’evento in questione.

Potrebbe sembrare una banalità o peggio, ma se ci soffermiamo su questo concetto, quali fonti, a livello d’informazione, si sono soffermate almeno per un istante su quest’aspetto?

Personalmente, in vari decenni di frequentazione del mondo della riproduzione sonora, non mi è mai capitato d’incontrare nessuno che facesse riferimento alla cosa o di leggerne sulle pagine di qualche rivista o sito.

Tutti hanno rivolto la loro attenzione sempre e solo alle apparecchiature, in una forma di autoreferenzialità non solo estremamente concreta e inscalfibile, ma tale da cozzare in maniera teatrale contro il concetto stesso di riproduzione sonora. Di essa tutti si sono riempiti la bocca, attività notoriamente di grande efficacia per condizionare la funzione cerebrale. Fino ad assopirla completamente, in modo tale da trascurare, non è dato sapere quanto minuziosamente, che se si parla di ri-produzione, da qualche parte dovrà pur esistere un modello che poi si va appunto a ri-produrre.

Magari qualcuno ci avrà pensato e possibilmente ne avrà anche parlato, per vedere se fosse possibile trarne lo spunto per una discussione finalmente atta alla crescita dei suoi partecipanti, attivi o passivi che siano.

Con ogni probabilità sarà stato severamente redarguito o meglio ancora deriso, essendo lo scherno l’elemento più efficace per impedire a una persona di porre in atto deterninati progetti o comportamenti. Sono le apparecchiature e il loro commercio quel che dà da mangiare e per forza di cose è solo di essi che ci si deve occupare.

Quindi apparecchiature, apparecchiature e ancora e soprattutto solo apparecchiature. In modo tale che ciascun componente del Coro Degli Entusiasti A Prescindere possa esercitarsi sempre più a fondo, e quindi diventare sempre più abile, nel ricamare le cronache rosa delle estasi onaniste che si procura nel loro impiego o talvolta solo nell’immaginazione di esso. Sono essenziali ai fini della conquista del lettore e della sua induzione all’acquisto del nuovo prodotto, in maniera doverosamente compulsiva.

Va da sé che a furia di battere su quel tasto, e sempre e solo su quello, ossessivamente e nel corso di svariati decenni, le prime vittime di tale azione non possano che essere gli stessi esecutori di tale azione, seguiti a ruota dai destinatari del loro messaggio.

Conseguenza inevitabile è che tutto il mondo che ruota attorno alla specialità perda infine, o meglio ancora in breve a causa delle condizioni date, la consapevolezza della sua stessa funzione e persino della sua essenza, per forza di cose legata al concetto di ri-produzione. Così da trasformarsi in un qualcosa di completamente svincolato da quel che ci si propone di ri-produrre e diviene sempre più astratto. Al punto di perderne ogni contezza e per conseguenza indirizzando tutta l’attenzione su quel che rimane a livello concreto, ossia l’apparecchiatura.

Questa oltretutto, per i motivi propri della pratica editoriale, viene considerata come singolo elemento e mai come facente parte di un insieme, a sua volta strutturato e determinato nelle sue caratteristiche e potenzialità da una serie di sotto-insiemi.

Inevitabile chiedersi quali risultati potranno derivare da un approccio non lacunoso, seppure a tal punto, ma determinato a trascurare ogni elemento che non si attagli a perfezione alle necessità dell’azione propagandistica. La risposta infatti è semplice: sono quelli che vediamo ogni giorno di fronte ai nostri occhi, la cui sublimazione è data appunto dai pollai audiofili in cui lo spreco di tempo, di parole, di banda, di polveroni, di contrasti, illazioni e insulti reciproci raggiunge l’apice dell’universo conosciuto, oltretutto per mezzo della contrapposizione sempre sugli stessi argomenti senza che si riesca mai ad arrivare a un qualche punto fermo.

O meglio, un punto fermo ci sarebbe, quello della contrapposizione tra i sostenitori di una cosa e quelli del suo opposto, destinata a trascinarsi in eterno, secondo un meccanismo assai somigliante al moto perpetuo.

Ora, assimilato finalmente il concetto di ri-produzione e della sua necessità ineliminabile di rifarsi a un modello verificatosi in passato, dal momento che viviamo più o meno consapevolmente in un mondo capitalista, giunto peraltro alle sue conseguenze estreme, è inevitabile riguardo a quell’evento chiedersi innanzitutto quanto costi.

Anche solo in termini degli strumenti che sono coinvolti nell’esecuzione e senza considerare i compensi degli artisti e più ancora le spese sostenute per la loro educazione e per il raggiungimento del livello di destrezza che sfoggiano durante il suo svolgimento.

Non parliamo poi delle spese inerenti l’organizzazione materiale dell’evento e tutta la logistica a supporto.

Andiamo sull’economico, prendendo ad esempio un classico trio jazz composto da pianoforte, contrabbasso e batteria. Solo di pianoforte può non bastare qualche centinaio di migliaia di euro, poi abbiamo il contrabbasso, genere di strumento che notoriamente migliora il suo timbro con l’età, talvolta ultrasecolare e quindi già di per sé non prezzabile. Infine la batteria, anche la più tipica delle Gretsch, sia pure in una forma non particolarmente espansa, diciamo cassa, tom e rullante, più piatti, Zildjan o Paiste e hi-hat, che qui da noi chiamiamo charleston.

Ce ne sono di tutti i prezzi, ma spenderci sopra un 10 mila euro non ci vuole niente, mentre per i piatti diciamo sui 7-800 euro l’uno.

Guardando ai rocchettari, una Stratocaster degli anni 50 è facile pagarla 50 mila euro, e se si va un tantino sul più raffinato una Gibson SG del 61, l’arcinota “diavoletto” va vicina ai 40 mila.

Una ES 175 semiacustica, tipica del chitarrismo jazz, prodotta nel 1962 viene via per 25 mila euri, un vero crollo dei prezzi.

Un Fender Jazz Bass del 1969 lo si prende a circa 8000. Poi naturalmente ci sono gli amplificatori, ma lasciamo andare. Un Marshall a valvole in buono stato lo si paga comunque un bel po’ di soldini.

Se ci rivolgiamo all’acustico e parliamo di un quartetto d’archi, dove anche lì gli strumenti dalla timbrica migliore hanno qualche secolo di vita, oltre a celare nella loro realizzazione segreti che i liutai dell’epoca non avrebbero confessato manco in punto di morte, quantificare il prezzo della sola attrezzatura necessaria è un esercizio che può portare a somme da capogiro.

Inevitabile, a questo punto, ricordare che le multinazionali attive nella somministrazione da remoto di brani audio, meccanismo alla base delle cosiddetta musica liquida, per ogni ascolto pagano qualche centesimo lordo al creatore dell’opera, quando va bene. Diviene allora inevitabile, per i cultori della specialità mai abbastanza deprecata, stanti gli effetti della loro stessa adesione a quel sistema, rassegnarsi ad ascoltare per mezzo dei loro costosi impianti musica fatta con strumenti di plastica. Anche quelli hanno comunque un costo, che pertanto obbliga alla peggiore mercificazione del prodotto realizzato per quel tramite.

Sordi a qualsiasi monito, oltreché per gli effetti concreti di quel sistema, i suoi cultori giurano sulla grande passione che nutrono e per forza di cose non può che essere messa in liquidazione insieme alla musica.

Fin qui abbiamo parlato di piccoli ensemble, ma quando il numero dei musicisti aumenta, la spesa va di pari passo, mentre il costo dell’impianto rimane sempre lo stesso, per quanto mostri spesso maggiori difficoltà dovute proprio al programma registrato decisamente più complesso.

Questo già al livello di big band, estintesi nel corso dei decenni proprio per i costi necessari a tenerle insieme. Di un’intera orchestra, poi, non ne parliamo proprio.

Dunque l’impianto, se ben composto e installato, riesce a dare un’impressione di realismo riguardo a strumenti ed ensemble che costano diverse volte il suo prezzo. Questo non mi sembra assolutamente poco, anche se non viene mai considerato.

Andrebbe rilevato inoltre che un impianto può imitare in pratica qualsiasi suono, mentre lo strumento reale può fare il suo e basta, sia pure nelle infinite sfumature prodotte dal modo con cui viene toccato dal musicista, ma sempre all’interno delle sue peculiarità timbriche.

Un altro aspetto dell’impianto riguarda la ripetibilità dell’evento riprodotto praticamente all’infinito e a costo zero, quantomeno nel momento in cui si è in possesso del supporto fisico. Questa possibilità viene meno nel caso della musica liquidata, ai fini della quale è necessario pagare un canone mensile anche per ascoltare sempre le stesse cose. Tipo di evento che si verifica con la frequenza maggiore, a dispetto dei proclami inerenti la disponibilità di un repertorio infinito, che quasi mai è effettivamente tale, e cose del genere.

In sostanza, allora, si pretende di far riprodurre al nostro impianto, con fedeltà apprezzabile, sonorità che ai fini della loro materializzazione concreta presuppongono spese enormi. Per poi lamentarsi che ognuno dei suoi componenti costi troppo.

Questo è assolutamente vero nei confronti del salario medio, la dinamica del quale abbiamo osservato tante di quelle volte che non sembra il caso di ripeterlo ancora, anche se a tanti gioverebbe.

Tuttavia, se si sposta il punto di osservazione del fenomeno all’aspetto che più di ogni altro è di sua pertinenza, per il semplice motivo che l’impianto serve innanzitutto a ri-produrre sonorità, preventivamente realizzate per mezzo degli appositi strumenti musicali, e se possibile nella maniera più fedele, appunto in omaggio alla specialità che si concretizza mediante il suo impiego, si giunge alla conclusione che sia molto economico. Anzi fin troppo.

Potrebbe sembrare un concetto banale ma non lo è assolutamente, come dimostra la realtà dei fatti, quelli attuali in primo luogo ma anche quelli passati.

Per essere tale, la riproduzione sonora, occorre innanzitutto che qualcuno la produca, quella sonorità.

Come abbiamo visto invece, la si è sempre intesa, e a ogni livello, come una realtà a sé stante. Al livello degli appassionati ha comportato che in maggioranza schiacciante lo siano appunto di Hi-Fi, intesa in senso lato o meglio ancora astratto, perdendo ogni legame con il significato stesso delle parole da cui trae origine quella sigla. Quindi appassionati primariamente di apparecchiature, rispetto alle quali s’imparano a memoria caratteristiche e giudizi pubblicati dai recensori di turno, ma poi di dischi in casa se ne hanno ben pochi.

Ecco dunque arrivare in soccorso la liquidazione della musica, che una volta di più pone in evidenza il suo vero significato, sganciando l’ascolto e la fruizione dell’evento musicale dal possesso di una raccolta sufficientemente ampia di supporti fisici. E quindi dalle sue conseguenze, in termini di educazione e substrato culturale.

Si elimina così alla radice uno tra gli elementi grazie ai quali è stato possibile fino a qualche tempo acquisire una reale profondità di legame nei confronti della musica, che proprio per il diffondersi del sistema di somministrazione da remoto perde definitivamente le sue peculiarità di arte, per ridursi irreversibilmente a prodotto mercificato, destinato al consumo.

Questo almeno in teoria, in pratica invece va da sé che chi ricorre alla musica liquidata, liquidando senza rendersene conto anche un’altra lunga serie di aspetti ed elementi, non abbia nessun interesse concreto nei suoi confronti e la veda essenzialmente come un impaccio. Purtroppo necessario all’esercizio della sua vera passione, quella per l’impianto, ma che se fosse possibile toglierebbe volentieri di mezzo.

Proprio perché di ostacolo al perseguire il suo vero obiettivo: l’adorazione dell’impianto alla stessa stregua di un totem dedicato agl’ideali falsi e fuorvianti della tecnologia, della modernità e del progresso, e poi del sentirsene all’altezza. Corrispondendo in tal modo alle leggi fissate dalla Teoria dell’Esistenza Commerciale, quella che impone all’essere umano di mercificare innanzitutto sé stesso, in prima persona, per risultare gradito al numero maggiore dei propri simili.

A livello delle fonti di comunicazione non è che le cose stiano molto meglio, anzi. Iniziamo proprio dal discorso riguardante la compulsività, di cui abbiamo visto prima l’esempio plateale. A parte gli effetti di tale compulsività sul tenore dei giudizi che poi si vanno diffondere, in rete o sulla carta stampata, guardacaso non è mai diretta all’acquisto di musica, e stendiamo un velo pietoso sugli esempi portati quando ci si sente costretti a farlo, ma delle apparecchiature atte a riprodurla. Necessariamente svincolate dalla loro dipendenza e quindi subordinazione ad essa e, per forza di cose, viste in primo luogo come entità fin quasi autonome, mentre la musica necessaria per il loro funzionamento finisce con l’essere relegata tra le varie e eventuali.

Quando la decadenza dei costumi, e quella dell’intelletto che per forza di cose la precede, non erano arrivate a limiti tanto estremi, in quei contesti le apparecchiature le si vedeva soprattutto in funzione dei proventi che era possibile ricavare elencandole, esaminandole una per una e per conseguenza facendo loro pubblicità, in forma dissimulata prima ancora che per mezzo di quella palese.

Per alcuni esempi poi la ricerca di un’affermazione di tipo personale che era possibile concretizzare per mezzo di quell’attività assumeva non dico la preminenza, dato che l’aspetto affaristico della questione aveva sempre e comunque precedenza su tutto, anche e soprattutto sulla decenza. ma è andata quantomeno di pari passo.

Di tutto questo posso fornire una testimonianza diretta, avendo trascorso tanti anni in quei begli ambientini e avendo potuto osservare coi miei occhi quale fosse la realtà concreta al loro interno.

Nessuno o quasi ha mai messo al primo posto la musica, innanzitutto in funzione di forma d’arte e meno che mai dell’elevazione culturale e spirituale che per il suo tramite è possibile conseguire. Si, c’era chi di tanto in tanto ne parlava, ma sempre in funzione secondaria all’aspetto tecnico della questione.

Inevitabile allora che si creino tali e tante distorsioni, già per la semplice presa d’atto della gerarchia insita nell’ordine stesso delle cose per come è nella realtà concreta, a livello degli organi di comunicazione.

Di conseguenza la loro attività non può che esserne profondamente influenzata e come tale va a ripercuotersi, se possibile, in maniera ancora più profonda, nei rispettivi destinatari, per l’appunto quanti compongono la platea degli appassionati, che proprio in funzione di tale esempio non possono far altro dall’acquisire una visione irrealistica del fenomeno.

Questa a sua volta non può che condurre alle modalità d’esercizio che ne sono figlie. E, per non farsi mancare nulla, sono ulteriormente gravate della costruzione dell’eterno presente in cui il sistema di comunicazione di settore è perennemente e febbrilmente affaccendato.

Solo in quel modo del resto gli è possibile operare e facilitare la ripetizione a oltranza della finzione inerente una realtà in evoluzione continua ma che di fatto va alla replica perenne di sé stessa, degradandosi a ogni nuovo passaggio, con la continuità basata su un’invarianza di contenuti pressoché inattaccabile.

Questo è possibile proprio precipitando il pubblico nell’eterno presente appena menzionato, in modo tale che perda i suoi riferimenti essenziali innanzitutto a livello temporale, riguardo alla storia passata, e poi alla possibilità di proiezione e astrazione a livello del futuro, tali da produrre infine perdita di consapevolezza persino a livello della concezione di sé stessi.

La cancellazione del passato è a questo proposito essenziale, e per il suo tramite i capisaldi tecnici e utilizzativi conseguenti all’esperienza accumulata nel corso del tempo siano dimenticati e infine vanificati. Così da permettere d’imprimere al divenire delle cose l’andamento platealmente regressivo di cui a quel punto non ci si accorge più, ma che diverrebbe palese all’istante qualora di quel passato esistessero una consapevolezza e più ancora la capacità di porre in prospettiva il corso del suo divenire.

Non a caso Orwell ha scritto “Chi controlla il passato controlla il futuro, chi controlla il presente controlla il passato“.

Dunque è dalla musica che occorre ripartire: solo avendo ben chiara la sua realtà, nelle innumerevoli sfaccettature dalle quali è caratterizzata, è possibile acquisire un rapporto realistico e oggettivo nei confronti della sua riproduzione.

Proprio per questo le fonti di comunicazione non hanno mai fatto cenno alla cosa. Hanno spiegato sia pure a grandi linee come funziona l’impianto ma non a cosa serve realmente: sarebbe troppo poco conveniente per l’accettazione di quel che diffondono, per i loro interessi, e soprattutto di quelli propri dei loro finanziatori.

Ora questa lacuna è colmata, almeno per quei pochi stoici che insistono ancora a frequentare il mio sito.

 

 

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