Hi-Fi, prezzi folli e le apparecchiature che non usiamo

Stefano mi scrive:

Buon pomeriggio Claudio.

Non ci conosciamo, il mio nome è Stefano.

E’ davvero tanto tempo che la leggo e in ogni occasione capisco elementi fondamentali in un ambito tecnico che non mi appartiene.

La ringrazio per questo.

Rimango, ad ogni modo, un ascoltatore e lettore a livello musicale.

Il mio impianto è dedicato ai vinili, nonostante abbia anche diversi supporti digitali. E’ stato costruito e ha subito modifiche con il passare del tempo, anche grazie ad opportunità di acquisto che non ho necessariamente perseguito, sono soltanto capitate.

In ordine di anzianità, alla base c’è il piatto (da quasi quaranta anni), un Thorens TD 160 Super con un rognosissimo SME III e una Shure V15 III (con iperellettica della nipponica Jico), un binomio pre/finale NAD, C160/C270 (qui gli anni sono una ventina, credo) e una coppia di Focal Aria 948 (decisamente recenti).

Nonostante manchi un elemento necessario e, soprattutto, il piatto necessiti di seri interventi di manutenzione/restauro, l’ascolto mi soddisfa.

Non ho un ambiente dedicato, il tutto è dislocato nel salotto di casa, poco superiore ai 30 metri quadrati (purtroppo con disposizione a L – componenti in linea su un lato e i diffusori su quello adiacente).

Al momento è questo, nella speranza di poter trovare una soluzione abitativa differente. Sono quasi quindici anni che vivo in affitto.

Non troppo tempo fa, avrei voluto contattarla per chiederle cavi per diffusori e questa, seguendo la prospettiva di interventi sul mio sistema, era priorità 1.

E’ poi accaduta una cosa inaspettata, senza cercare ho trovato una persona che voleva vendere dei componenti GRAAF, fuori da canali più o meno noti.

Un GM 100 e un GM 13.5 B II, che ho potuto “ascoltare” e controllare esternamente/internamente (per quanto possibile), dopo un viaggio decisamente lungo.

Precedentemente, ho avuto occasione di poter sentire quello che ha chiamato il brutto anatroccolo, senza un preamplificatore altrettanto modenese. Per la mia esperienza è stato sbalorditivo, confermata dalle sensazioni percepite durante l’ultima prova.

Ora anche questo binomio è in mio possesso e devo ammettere che, fortunatamente, non l’ho pagato uno sproposito, anzi. Sarà un effetto del dare e avere, non so.

Mi piace pensare che possano verificarsi scambi di questo tipo anche successivamente a determinate occasioni pregresse, una delle quali è stata regalare ad una amica un piccolo ma prezioso amplificatore a stato solido con un paio di diffusori, entrambi in disuso. Lei aveva un piatto e i dischi ma non la possibilità di acquistare il resto, quindi, perché lasciare dei componenti a prendere polvere in cantina (che è anche il peggior posto dove metterli).

Scritto questo, riguardo gli interventi da affrontare, la prospettiva di sistema devo modificarla e implementarla, con i tempi e le disponibilità del caso. L’unico elemento che può attendere, nonostante quale ferita, è il piatto.

Mi piacerebbe, possibilmente, procedere riguardo ai cavi, di potenza e di segnale (al momento di tipologia XLR), così come per il Minisolid (se un pre phono era già una necessità, la mancanza della terra sul B II del GM 13.5 lo ha reso un elemento indispensabile), tutto questo non prima di una verifica dei due elementi GRAAF.

Potrei andare avanti (sono affascinato dal Risonatore di Schumann) ma dovrò obbligatoriamente rispettare le mie effettive possibilità.

Tutto questo per renderle un quadro generale.

Sarebbe interessante poter parlare di persona, abito a nord della capitale e posso muovermi.

La ringrazio in anticipo,

Inviato a Stefano il doveroso grazie per l’apprezzamento e la considerazione, rileviamo che il titolo dell’articolo dedicato al Graaf GM 100 era “Il bell’anatroccolo”.

L’itinerario da lui prospettato è di sicuro percorribile e apporterebbe una crescita significativa per la qualità sonora del suo impianto, anche nella composizione aggiornata. Più ancora rispetto a situazioni di maggiore ordinarietà e in misura considerevole: migliori sono le qualità di partenza della catena, più elevata è la sua sensibilità nei confronti di qualsiasi intervento di messa a punto. Anche e soprattutto di quelli che in impianti meno prestanti apparirebbero del tutto insignificanti.

Il motivo sta nella grossolanità del loro comportamento, gravati come sono da problemi di rilevanza considerevole, che lasciano emergere con difficoltà gli effetti prodotti dagl’interventi di messa a punto e solo in parte. I più fini inoltre li rendono del tutto inudibili, malgrado siano quelli che in ultima analisi fanno la differenza tra un impianto valido ma ordinario e uno di grande raffinatezza.

Pertanto, avendo a disposizione un impianto di rilievo, è ancora più importante l’adozione di certi accorgimenti, proprio perché gli effetti che ne derivano migliorano a livello esponenziale quel che si otterrebbe applicandoli a catene di livello inferiore, dando luogo a risultati a priori inimmaginabili in termini di qualità sonora.

La lettera inviata da Stefano offre anche altri spunti interessanti.

Uno in particolare mi sembra meritevole di menzione e soprattutto di analisi, alla quale ci apprestiamo.

Social e gruppi specializzati sono una fucina inesauribile in perenne sovrapproduzione di corbellerie, assurdità e negazioni della realtà, persino di quella meglio tangibile e più plateale. In questo modo costruiscono una sorta di microcosmo parallelo, riguardo alla cui veridicità sempre più persone non solo sono pronte a scommettere, ma non hanno dubbio alcuno sulle leggi stravaganti che lo regolerebbero.

Torna così ancora una volta alla ribaltà la celebre frase di Jacques Attali, storico cameriere delle élite mondialiste: “Cosa credeva la plebaglia europea, che l’euro fosse fatto per la loro felicità?”. Parafrasando potremmo dire: “Cosa credevano i frequentatori dei social di settore, che i gruppi in cui s’incontrano fossero fatti perché possano ascoltare meglio?”.

E’ altrettanto vero però che quegli stessi social forniscono uno spaccato piuttosto esauriente, riguardo ad abitudini, tendenze e mentalità dell’appassionato medio di oggidì.

Da tempo ormai in tale ambito è invalsa l’abitudine di fare menzione a secondi, terzi e talvolta quarti impianti. Tali menzioni sono da dare per buone, essendo fondamentale a questo riguardo partire dalla presunzione che tutti nei loro interventi dicano la verità. Non potrebbe essere diversamente, anche se poi talvolta accade che la pubblicazione di cose assimilabili a voli di fantasia, o agli effetti di un’inclinazione quasi impercettibile alla mitomania, non sia così sporadica. Dunque è consequenziale porsi alcune domande sul tema.

Prima ancora degli spazi necessari alla loro installazione, e a permettere ad essi di operare in ambienti tali da non comprometterne in maniera troppo pesante le doti soniche, le persone che li possiedono dove troveranno il tempo di utilizzarli?

I ritmi della vita attuale del resto sono quelli che sono, e si fa sempre più fatica già ad ascoltarne a fondo solo uno, d’impianto. Figuriamoci gli altri due o tre di cui molti vantano il possesso. Stando a certi discorsi, e poi ponendoli dinnanzi a una valutazione realistica ci si potrebbe fare l’idea che l’esistenza di questi ultimi sia teorica, almeno in parte.

Magari i loro componenti li si possiede realmente, ma non sono installati, forse nell’attesa di spazi, tempi e disponibilità che si spera arrivino, un bel giorno, ma è anche possibile che per una serie di concause non si presentino mai.

Dall’altra parte ci sono le lamentele, incessanti e per larga parte ben fondate, riguardo ai prezzi delle apparecchiature hi-fi. Ferma restando l’ampia sovrastima da parte degl’italiani per il valore della moneta che li si è costretti a utilizzare, quei prezzi si stanno sempre più allontanando dalle possibilità di spesa degli acquirenti potenziali e ancor più da qualsiasi concezione riguardante il senso della misura.

Come è stato rilevato più volte, quella che vi fa riferimento è una formula ormai priva di significato e peggio dal legame inesistente col vissuto personale di tanti, per non parlare del senso comune per come oggi lo s’intende.

I motivi li abbiamo analizzati più volte: riguardano in primo luogo l’eliminazione dei punti di riferimento economici conseguente al passaggio alla moneta unica, che già di per sè è stata concepita come una valuta dal doppio corso. Da un lato i costi della vita in ascesa perenne e la rapida e costante perdita di valore della moneta, sia pure di fronte all’imposizione di un’immagine basata su una stabilità mai esistita nei fatti. Dall’altro c’è quel che ha rappresentato come unità di misura in termini retributivi. A tale proposito i salari sono rimasti intoccati e intoccabili nei loro valori anche in euro, dopo la traduzione nell’un tempo nuova valuta, secondo i criteri fissati dalla BCE.

Anzi, in Italia sono persino andati al ribasso, come spiegano i dati Eurostat pubblicati più volte in questa sede.

Altro del resto non poteva essere, dato che in caso contrario sarebbe venuto meno uno tra i principi di fondo a fini dei quali la moneta unica è stata imposta: disciplinare i ceti salariati, in particolare quelli residenti nei Paesi che si era stabilito dovessero farsi carico di tutti i suoi costi,  abbattendo di conseguenza il valore reale e in pari misura il potere d’acquisto delle retribuzioni.

In realtà non si è trattato solo di questo. Prima per il suo tramite si è imposta una deflazione salariale oltremodo pressante, poi, ottenuto il risultato si è dato il via a un’inflazione galoppante, quella che ci dicevano fosse colpa esclusivamente della miserabile Liretta. Si è sferrato così il colpo finale a ceti salariati già enormemente impoveriti, quale trionfo finale del grande capitale.

Notoriamente la moneta unica ha trovato i suoi più convinti e irriducibili sostenitori proprio nei partiti di sinistra, oltreché nelle loro appendici sindacali, che per decenni hanno fatto orecchie da mercante di fronte al grido di dolore proveniente da chi masochisticamente ha continuato a pagare mese per mese la propria tessera. A mezzo di trattenuta diretta in busta paga, segno marchiano della combutta tra sindacati e padronato.

Il crollo del potere d’acquisto dei ceti salariati è stato tanto più vero in Italia, Paese in cui l’incidenza di quelli a cui piace in maniera irresisitibile fare i fenomeni, soprattutto in termini di zerbinaggio o anche solo di obbedienza agli ordini che arrivano dall’alto, è storicamente rilevante.

Tutto ciò non poteva che portare a una sperequazione sociale del tutto inconcepibile, ai tempi delle monete nazionali, prima conseguenza della quale è appunto la perdita di ogni senso della misura, in un verso o nell’altro, in funzione del lato in cui ci si trova rispetto alla voragine che si è voluta creare allo scopo.

Comunque la si metta, e per quali ne siano le cause, il fenomeno dei prezzi folli esiste ed è sempre meglio tangibile. Le cause le abbiamo analizzate a fondo, fin nei loro precedenti storici ormai remoti, e quindi possiamo dire di conoscerle a menadito.

Ad essi corrisponde una realtà in cui una percentuale significativa di appassionati possiede più apparecchiature di quelle che sarebbero necessarie. Sono state acquistate generalmente in periodi in cui il cappio era stato stretto in via provvisoria attorno al collo di un numero molto minore di italiani, rispetto a quel che accade oggi, e fanno parte appunto dei secondi, terzi e quarti impianti. Installate e funzionanti effettivamente in proporzione difficilmente valutabile, o comunque parcheggiate in cantine, soffitte, librerie, soppalchi e in ogni altro genere di ricovero più o meno adatto allo scopo.

Come ci dicono le stesse dichiarazioni dei loro possessori, il numero di tali apparecchiature più o meno inutilizzate è rilevante. Si trovano oltretutto in condizioni di conservazione generalmente buone, data l’affezione nei loro confronti e più in generale in virtù della tendenza all’usura nel corso del tempo meno significativa rispetto ad altri beni durevoli.

Quindi abbiamo questi due fenomeni: quello dei prezzi folli da un lato e quello della quantità non indifferente di apparecchiature dormienti dall’altro. Dei primi tutti si lamentano, mentre delle seconde un numero sempre maggiore di appassionati mena vanto.

Come si potrebbero mettere in relazione tali elementi?

Sappiamo perfettamente che sempre più persone tendono a lamentarsi, e ne hanno tutte le ragioni. Al dunque però è difficile che si vada va oltre quello. Per mancanza di volontà, perché il sistema di vita attuale vi offre scarso sbocco a livello concreto, anche se in termini di canalizzazione del malcontento si dimostra assai generoso. Proprio in considerazione dell’ottima efficacia nell’evitarne materializzazioni più tangibili, potenzialmente in grado di mettere in difficoltà i manovratori, cosa che ovviamente preferiscono evitarsi.

Ciò equivale a maggiori possibilità di mantenimento delle condizioni date, ai fini delle quali vi sono interessi ben noti e altrettanto se non più rilevanti tra quelli che un motivo o per l’altro ci sfuggono.

D’altra parte lamentarsi e basta lascia sostanzialmente il tempo che trova. Si, viene manifestata una condizione di malessere più meno condivisibile, ma poi?

Altre volte non ci si lamenta proprio, almeno non in pubblico, data la valenza deprecabile attribuita alla lamentela, grazie al cosiddetto pensiero positivo, che prima lo si è introdotto come una tendenza condivisibile, ma altrettanto pretestuosa, per poi trasformarla in un precetto, come sempre avviene in questi casi.

Rispettarlo è essenziale, per i motivi che abbiamo osservato qualche settimana fa nell’articolo dedicato all’esperimento di Asch. E poi anche per quelli inerenti la Teoria dell’Esistenza Commerciale, laddove a ciascuno è fatto sostanzialmente obbligo, a livello sociale, di vendere sé stesso come e meglio di un qualsiasi prodotto.

Ben più indicato sarebbe agire, in qualche modo, nei confronti delle cause di quel che ci crea problemi, non dico al fine di neutralizzarlo, ma almeno di dar vita a un’alternativa, che magari per via indiretta possa in qualche maniera fargli da ostacolo.

Come abbiamo visto, nel settore di nostro interesse, c’è un’offerta di prodotti che per i motivi che abbiamo analizzato nello scorso articolo è sempre meno in grado di soddisfare le vere necessità della clientela cui si rivolge. A questo sopperisce una propaganda ormai portata ai limiti del parossimo, tanto per la sua pervasività, dato che porta il suo attacco ormai da ogni lato, inventandone persino di nuovi, quanto per i suoi contenuti, deliranti al punto di essere andati  oltre il livello del surreale.

Sono frutto anch’essi, in ultima analisi, alla corsa all’abbattimento delle retribuzioni, che nel medio-lungo termine non può produrre altro che l’incapacità, totale e definitiva, agli scopi e alle attività per cui il personale viene reclutato, a sua volta causa di disfunzionalità che finiscono col divenire strutturali. Quel sistema continua malgrado tutto a funzionare, per il contemporaneo declinare delle capacità cognitive e di analisi dei suoi destinatari, da un lato perché il sistema educativo li ha messi nelle condizioni di non essere più in grado di comprendere le contraddizioni logiche e i veri e propri paradossi da cui è infarcita quella retorica, e dall’altro dall’assuefazione che deriva da un’esposizione a tal punto continuativa al fenomeno.

Lo si spinge oltre ogni limite anche con funzioni di verifica, proprio per vedere fino a che punto possano arrivare le capacità di assorbimento da parte del pubblico nei confronti delle panzane che si raccontano, per quanto siano grossolane, monumentali o persino inverosimili. A questo riguardo sembra non esistere limite alcuno, mentre nello stesso tempo il fenomeno funziona da veicolo d’induzione di un’abitudine ancora più radicata.

A fronte di tutto questo vi è una richiesta di entrare a far parte di questo settore, destinata a restare insoddisfatta per larga parte. Da un lato per i costi d’ingresso, ormai inaccessibili per i più, e dall’altro per via della difficoltà concreta di operare una scelta, basata su elementi che dall’esterno appaiono criptici, tantopiù in una fase come quella attuale in cui la regressione la fa da padrone, anche a livello analitico e cognitivo.

Ad essa si aggiunge il rarefarsi dei luoghi nei quali farsi un’idea delle cose, quali i negozi fisici, presso i quali è sempre più difficile accedere per un ascolto senza impegno e comunque a seguito del quale è probabile sentirsi fare richieste del tutto impossibili in termini economici.

Tutto questo verrebbe meno qualora le apparecchiature messe a riposo ma in grado di funzionare, non dico perfettamente ma almeno in maniera accettabile, tornassero a lavorare.

Lo potrebbero fare nel momento in cui venissero cedute a titolo gratuito al potenziale utilizzatore, nello stesso modo in cui ormai da tempo si fa con i libri, che si lasciano a bella posta nei luoghi pubblici, affinché chi lo desidera possa leggerli per poi passarli a qualcun altro con le stesse modalità.

Il diffondersi di una scelta del genere, sull’esempio di quanto fatto dal nostro amico Stefano, avrebbe una serie di effetti benefici non indifferente.

In primo luogo contribuirebbe all’ascolto della musica in condizioni degne, attività dai valori educativi e culturali fuori discussione, che non hanno bisogno di essere analizzati ulteriormente.

Con ogni probabilità, anzi potrebbero contribuire in qualche modo a un recupero dal degrado sociale che negli ultimi tempi sta assumendo contorni un tempo inimmaginabili.

Potrebbe avere un suo ruolo anche per calmierare i prezzi, tanto del nuovo quanto dell’usato, appunto in funzione di un’offerta a titolo gratuito che una volta raggiunta e superata la soglia di massa critica non potrebbe che indurre i suoi effetti nella contrapposizione tra domanda e offerta.

Questo in ultima analisi diverrebbe anche un compenso a favore di chi ha dato vita e poi alimentato la tendenza, cedendo prima a titolo gratuito oggetti certamente vendibili e da cui trarre un ricavo, che in ogni caso non cambierebbe granché nella sua condizione economica, per poi ritrovarsi nelle condizioni di acquistare prodotti a prezzi calmierati, proprio per effetto del fenomeno cui ha contribuito.

Agire in questo modo sarebbe anche un ottimo antidoto contro la grettezza e l’avidità propri del nostro tempo, diretta conseguenza dell’aver accettato che al denaro si sia attribuita l’importanza suprema, al di là di ogni valore sociale, dell’etica, sia pure nella sua concezione più remota, e del semplice buon gusto.

Stare lì a contare il centesimo, sia pure in un contesto di difficoltà economiche oggettive e rese deliberatamente sempre più stringenti per motivi di ingegneria sociale palesi per chiunque abbia intenzione di osservarli, difficilmente può renderci individui migliori. Lo si è invece nel momento in cui ci si predispone e poi si procede al dono, di un qualcosa che comunque conserva un suo valore, magari anche nei confronti di uno sconosciuto.

Questo anche in funzione di antidoto nei confronti di un’atomizzazione sociale i cui effetti sono anch’essi ben visibili, a fronte della quale ricostruire una rete di rapporti interpersonali. Tanto più necessaria in una fase storica in cui un numero fin troppo elevato e sempre crescente d’individui ha i soli contatti con l’esterno intermediati da uno schermo, sia quello del telefono, del PC e della mai abbastanza deprecata musica in liquidazione, tra i cui portati di maggiore importanza c’è appunto quello di acuire l’isolamento individuale, favorendone l’esercizio.

Dovendo spesso procedere non solo a regalare ma anche a spiegare il funzionamento delle apparecchiature cedute a titolo gratuito, aumenterebbe la possibilità di stringere legami personali concreti e non esercitati attraverso uno schermo che si vuol rendere vieppiù indispensabile, fino a farlo divenire una mera appendice del nostro corpo. Secondo un percorso che in seguito non potrebbe altro che trasformare quest’ultimo un’appendice di quello stesso schermo e dei dispositivi che sovrintendono al suo funzionamento.

Un’attività del genere pertanto avrebbe risvolti che vanno oltre le semplici dinamiche del mercato riguardante le apparecchiature destinate alla riproduzione sonora. Sia pure nel suo piccolo potrebbe fare da ostacolo al progetto ultra-distopico che l’élite mondialista ha intenzione di eseguire su tutti noi, e ce lo racconta ogniqualvolta mentre insistiamo a fare orecchie da mercante, riguardante quello che definisce transumanesimo.

Diffondendosi potrebbe acquisire una risonanza tale, proprio per via del cedere a titolo gratuito oggetti di un certo valore, con il conseguenze effetto-sorpresa, da contribuire insieme ad altre attività consimili che potrebbero prendere piede seguendone l’esempio, a mettere in moto un circolo virtuoso. Capace infine di porre un serio ostacolo ai progetti appena menzionati e renderli infine imperseguibili. Come e meglio di mille manifestazioni di piazza, notoriamente funzionanti sul principio del “passata la festa gabbato lo santo”. Non a caso è il metodo da sempre preferito dalle sinistre, nate, cresciute, decadute e ormai in via di estinzione, proprio in funzione degl’interessi del grande capitale che hanno favorito in ogni modo, in maniera sempre più smaccata nell’assenza di qualsiavoglia remora.

 

La lezione dell’analogico

A questo riguardo della lezione impartita dalla storia dell’analogico va fatto tesoro.

Soprattutto per effetto di un battage propagandistico asfissiante, il digitale era diventato dominatore incontrastato. Non solo in termini tecnico utilizzativi, ma proprio di mentalità, come ho potuto verificare personalmente nel corso della mia attività professionale. Tale da far si che i pochissimi ancora convinti non dico della superiorità, che è tale e tuttora permane dell’analogico ma almeno delle sue buone qualità, fossero divenuti oggetto della sufficienza e persino dello scherno degli arroganti saliti di gran carriera sul carro di quello che allora sembrava il vincitore. Assoluto e irreversibile.

E come tali sordo-ciechi, nella boria tipica di chi convinto di aver vinto per distacco incolmabile vuole anche stravincere, contando sulla forza di dati cartacei in apparenza inoppugnabili. Quindi del tutto impassibili agl’inviti a non trascurare l’analogico operati da chi insisteva ad attribuire fiducia ai sensi donatigli da Madre Natura, rispetto ai quali i provvisori trionfatori si ritenevano superiori, insieme al feticco che idolatravano. In nome della modernità e del progresso di cui erano convinti di essere gli alfieri, ma nel concreto preda un accesso di antropocentrismo talmente esasperato da convincerli di poter migliorare quanto fatto dalla Natura. Degno come tale non solo del medioevo più oscurantista, ma concreto antefatto del delirio di onnipotenza di cui le élite mondialiste e i loro esponenti alla Schwab o Harari credono di poter distruggere il mondo e tutto quanto lo abita, per poi “ricostruirlo meglio”. Appunto secondo il loro motto farneticante “Build back better”.

Se avessero ascoltato quegl’inviti, a dedicare uno spazio, magari piccolo, magari solo una volta ogni tanto, all’analogico, quegli eccelsi luminari della $cienza della riproduzione sonora non si sarebbero condannati alla figura miserevole che poi si sono ritrovati a fare. Affontata e risolta in maniera più che brillante, è doveroso rilevarlo, grazie alla faccia del bronzo più spesso esistente in natura di cui sono fisiologicamente muniti, con tendenza all’ostentazione per non parlare di vero e proprio esibizionismo.

Dunque hanno ricominciato a occuparsi di analogico dopo un ventennio come se nulla fosse, incapaci di ammettere il loro perseverare interminabile in quell’errore grossolano. Quasi come se non lo avessero vissuto in prima persona ma lo avessero trascorso in coma, il che per certi versi è vero. In particolare quello di tipo etilico, stante appunto l’ubriacatura da digitale verificatasi nel corso del suo boom.

Hanno definito così con la miglior chiarezza la loro statura umana, prima di quella intellettiva e più ancora dell’effettiva competenza riguardo alla materia su cui hanno discettato tanto a lungo, percependo retribuzioni principesche ma senza essere stati in grado neppure di comprendere ove ne risiedesse l’ABC.

Paradosso ennesimo di un settore che, come abbiamo visto ormai in occasioni innumerevoli, proprio nella loro produzione ha trovato l’efficacia di gran lunga maggiore.

Invece quell’analogico che si era convinti di essere riusciti a uccidere e a sotterrare una volta e per tutte, anche in funzione prodromica della distopia attuale basata proprio sull’impero dell’uno e dello zero, inteso non solo in senso informatico ma della riduzione della nostra percezione e della nostra capacità di astrazione e cognizione al solo concepire nero o bianco, per conseguenza destinati poi a diventare indistinguibili l’uno dall’altro, ha continuato a covare sotto le ceneri.

Il portato distopico della possibilità di lasciar esistere, e di conseguenza comprendere, solo uno e zero, sia pure accelerati a velocità mostruose, ci viene spiegato dal degradare della cosa pubblica, arrivato a livelli inimmaginabili solo pochi anni fa.

Si è verificato appunto in funzione e in conseguenza del bipolarismo, scelta politica essenziale a questo riguardo e non a caso caratteristica in pratica da sempre delle Nazioni storicamente più avanzate nel percorso che ha portato il capital-liberismo al suo dominio assoluto.

In sostanza non solo costringe a schierarsi in un ambito che non è assolutamente il proprio, ma alla lunga e come sempre produce assuefazione alla cosa. Lasciando solo due alternative alla soluzione dei problemi e alla conduzione dell’interesse pubblico quando invece ve ne potrebbe essere molte altre. Quindi in sostanza va a costituire non solo una chiusura di spazi percorribili, magari anche solo a livello di pensiero o di analisi, e come tale di concreta censura, ma produce anche una rassomiglianza sempre maggiore tra le due fazioni cui si è permesso di restare in campo, fino al punto che divengano indistinguibili.

Questo accade oggi nella politica italiana, laddove chiunque abbia la maggioranza in Parlamenti ormai esautorati di ogni potere che non sia quello di avallo delle scelte governative, e poi approdi al governo conduce politiche perfettamente sovrapponibili e mai come ora rispondenti non all’interesse di chi di fatto conferisce ad essi il mandato, ma a quello di entità sovranazionali composte dai non eletti da nessuno.

Non solo, ne consegue inoltre uno spossessamento di rappresentatività per strati della popolazione sempre più ampi e ormai ampiamente maggioritari. Si realizza di fatto un superamento della democrazia liberale per quelli che sono i suoi tratti fondamentali, in favore di una forma di totalitarismo morbido ma non per questo meno efficace, anzi lo è semmai di più, nel quale gl’istituti della fu democrazia restano in piedi ma con funzione indistinguibile da quella che ha in teatro il fondale di cartapesta.

A questo e non altro porta il dominio dell’uno e dello zero ma ancora non basta, dato che vedremo presto cosa ci riserva un futuro che si è deciso debba essere basato sulla digitalizzazione a oltranza di tutto il digitalizzabile. In funzione del controllo da remoto di qualsiasi azione umana e persino delle funzioni del nostro corpo.

A fronte di tutto questo, gli estimatori dell’analogico diciamo così irriducibili non si sono curati di quanto avveniva intorno a loro e pur affiancandovi il digitale non hanno mai smesso di tenerlo in funzione, curarlo e apprezzarlo. Dando vita così in maniera inconsapevole ai primi passi di un fenomeno che col tempo ha ricominciato a crescere, per poi superare il livello di massa critica, così da tornare a essere dominante, come nella realtà attuale, innanzitutto a livello culturale.

Nei confronti del digitale e più che mai del nichilismo tipico del liquido, atto primariamente a rendere tale anche l’intelletto di chi ne cade preda.

Non solo, l’analogico è stato l’unico fenomeno inerente la riproduzione sonora capace di uscire dai limiti angusti che la caratterizzano per affermarsi a livello del pubblico generalista. Quel che più importa con le sue sole forze, quindi non in seguito al bombardamento propagandistico che fa da apripista a quanto presente nei desiderata e nelle agende del grande capitale.

I mezzi di comunicazione a tale riguardo hanno avuto una funzione squisitamente passiva: si sono limitati a riprendere a parlarne nel momento in cui si sono visti costretti, per non rischiare di essere tagliati fuori da una tendenza ridiventata dominante.

Questo sancisce innanzitutto l’importanza della disobbedienza. Se gli utilizzatori degli LP non avessero disobbedito a quel che si fece di tutto per issare a Primo Comandamento delle Sacre Tavole Della Riproduzione Sonora, ossia la superiorità incontrovertibile del digitale, stante la sua perfezione inesistente ma proprio per questo innalzata al rango di articolo di fede, oggi avremmo ancora un analogico, tanto più nelle dimensioni che ha assunto?

La disobbiedienza dunque, ben ponderata e motivata, è elemento primario di realizzazione della propria razionalità e capacità di discernimento, anche di fronte a un attacco senza precedenti, come lo è stato storicamente e sotto tutti gli aspetti quello a favore del digitale. Iniziando proprio dall’enormità delle risorse economiche messe in campo per imporne l’affermazione, in contemporanea all’eliminazione di tutto quanto potesse dargli fastidio.

Riguardo ad essa evidentemente si dubitava, altrimenti non ci si sarebbe dati a quelle spese folli e a quella lotta senza quartiere. Combattuta innalzando la bandiera di una perfezione mai esistita, come ha certificato la storia successiva, appunto costellata da una serie infinita di iniezioni tecnologiche atte a renderlo via via meno inadeguato. Dimostrazione prima e inoppugnabile del realismo e della credibilità delle affermazioni roboanti della $cienza. Prima caratteristica della quale è appunto il possedere una fessura sul suo lato meno in vista, ove va inserita la moneta che la fa funzionare e per conseguenza ne decide l’orientamento.

Quell’esperienza che tutti noi abbiamo vissuto non va dimenticata, ma anzi custodita tenendone sempre a mente l’insegnamento: anche se partita dal basso e per mezzo di un numero insignificante di persone, condannate oltretutto all’invisibilità, sulla quale il sistema di comunicazione aveva fatto giuramento e che ha mantenuto fino e oltre i limiti del possibile, qualsiasi tendenza può infine prendere il sopravvento, in funzione delle sue qualità.

Per conseguenza anche lo scambio e la cessione di apparecchiature a titolo gratuito possono acquisire il loro rilievo, a maggior ragione per la rilevanza dei significati e dei sottintesi che assume e diffonde in una società ormai conformata a misura del riconoscimento della sola legge del denaro.

Attivando una pratica che di esso non si cura, e anzi ne fa un elemento del tutto insignificante ai propri fini, si materializza l’alternativa migliore al suo dominio in apparenza invincibile: non attraverso proclami lanciati da persone più o meno interessate, ma proprio attraverso una pratica che partendo dal basso e andando a diffondersi ha tutte le prerogative per affermare una serie di valori incompatibili con il degrado apparentemente irreversibile venutosi a determinare.

Qualcuno potrà dire: “Si, ma perché devo cominciare io?” Perché il tempo delle deleghe è terminato, ormai da parecchio, e proprio la politica lo certifica nel modo più plateale. Altri penseranno:”Ci potrebbe essere qualcuno che voglia approfittare di tutto questo, accaparrandosi apparecchiature che poi provvederà a rivendere, tradendo la fiducia dei donatori”.

A parte che il male è spesso negli occhi di chi guarda, questo è effettivamente possibile ma solo in una prima fase, durante la quale si possono attivare le precauzioni opportune. In seguito sarà lo stesso affermarsi della tendenza a inibire le possibilità di commercio di apparecchiature recuperate in modo simile, data l’ampia disponibilità di quelle reperibili a titolo gratuito.

Quelle apparecchiature, oltretutto, una volta riportate in esercizio rischiano concretamente di realizzare una pietra di paragone fin troppo scomoda per la produzione attuale. Proprio perché un tempo certa roba la si realizzava proprio affinché suonasse il meglio possibile, magari non riuscendoci tutte le volte ma almeno ci si provava.

Oggi invece le finalità sono completamente altre e la qualità sonora è ormai relegata tra le varie e eventuali. Ammesso e non concesso che sia tenuta ancora in considerazione, cosa alquanto improbabile.

Dare la sveglia a un settore arroccatosi entro le mura del virtuale, così da interrompere una corsa effettivamente fonte di continue spese ma anche sola motivazione concreta alla prosecuzione della sua esistenza, al di là delle questioni puramente finanziarie, non potrebbe fare altro che del bene. Riporterebbe la qualità sonica al centro dell’interesse della riproduzione sonora, cosa che in prima istanza si darebbe per scontata, ma in ottemperanza al mondo capovolto che stiamo vivendo si trova agli ultimi posti della lista delle sue priorità.

A questo punto, grazie anche a Stefano che l’ha suggerita, l’idea la rilancio: ora sta ai tanti, forse troppi possessori di apparecchiature inutilizzate che meritano di tornare a suonare, trasformarla in realtà, in funzione della quale offro la mia collaborazione personale. Innanzitutto per evitare abusi e poi fare da tramite, solo ed esclusivamente a livello di contatti: per tutto il resto se la vedranno tra loro gli scambisti.

Taluni si mostreranno probabilmente restii. Da un lato a cedere i loro cimeli che non usano più e tengono in uno stato di abbandono, ma poi anche ad agire in prima persona nel tentativo di arginare il fenomeno dei prezzi folli, per il nuovo che poi si trascina dietro anche l’usato, di cui però non esitano a lamentarsi. A costoro viene offerta quantomeno una possibilità di alternativa, sia pure in embrione. Lasciandola cadere, costringeranno sé stessi a restare passivi, quindi a pagare e zitti, per avere in cambio le grandiose e costosissime ciofeche che il mercato della riproduzione sonora confeziona appositamente per loro.

 

 

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