Ensemble Internescionèl Sbeffeggiament Audiofiles

L’epoca delle vacanze è finita e si avvicina il momento di tornare alle occupazioni di ciascuno di noi. Niente di meglio che accostarvisi a cuor leggero: Il Sito Della Passione Audio, pur conscio dei suoi poderosi limiti, prova a facilitare la cosa col racconto di una bella fiaba.

Come tutte quelle che si rispettino, inizia anch’essa col c’era una volta. La tradizione narra che siano state inventate per tenere buoni i bambini, ma anche per dar loro un indirizzo, che in qualche modo possa aiutarli nella fase delicata della crescita, affrontata da loro senza esperienza alcuna.

La storia che andiamo a raccontare è da ritenersi frutto esclusivo della fantasia del suo ideatore, purtroppo ignoto. Ne ho trovato il manoscritto apocrifo, mezzo ammuffito e mangiato dai tarli, nella soffitta di una vecchia locanda, sperduta tra le montagne, dove ho trascorso qualche giorno di vacanza. Dopo averlo letto, più per curiosità che per altro, ho deciso di riportarlo qui.

Sembrerebbe destinata non ai bambini ma a individui forse più cresciutelli, anche se c’è chi insiste a trattarli come infanti. La cosa non sembra dare più fastidio di tanto alla maggior parte di loro: col tempo si sono abituati e l’accettano ormai di buon grado.

Da qui in poi il testo dell’antico manoscritto.

C’era una volta, in un tempo così lontano che nessuno riesce a ricordarlo più, l’Ensemble Internescionèl Sbeffeggiament Audiofiles. Era un “panel“, secondo la definizione pomposa e ambigua, nonché dagli evidenti contenuti neolinguistici, prescelta dai suoi ideatori. Per il suo tramite si poteva significare tutto e niente. Malgrado ciò, o forse proprio per questo, apparteneva al novero dei termini che erano più di moda. Fatti apposta per riempire la bocca con l’efficacia maggiore, così da disporre il cervello, o quel che ne rimaneva, all’assorbimento di un qualsivoglia concetto e alla successiva ripetizione, in automatico.

L’Ensemble lo si sarebbe potuto immaginare come un nutrito gruppo di persone che si riuniva, anno dopo anno, per decidere quali fossero le apparecchiature di ciascuna categoria da premiare con un ambito trofeo.

Sembra raccogliesse le riviste specializzate di tutto un continente, una o più per nazione, ciascuna delle quali designava a sua volta gli apparatchik della propria redazione più solerti e fedeli alla linea, editoriale sia chiaro, per dar loro in dote un bell’orticello ciascuno.

Chi annaffiava gli amplificatori, chi zappettava diffusori, chi toglieva le erbacce alle sorgenti digitali. Poi tutti insieme fecero una profonda buca e ci sotterrarono l’analogico, in modo non dissimile da quello che un contadino farebbe con delle patate.

Così ha ricicciato, proprio quando erano convinti di averlo seppellito, allora e per sempre. Già si preparavano a ricevere il buffetto di ricompensa e le parole di compiacimento ed elogio del padrone, che li premiò stringendo di un altro buco la fibbia del guinzaglio che sfoggiavano orgogliosi.

A ogni categoria di prodotti era assegnato il suo responsabile insomma, cui in assenza di notizie certe al riguardo, come vedremo meglio più avanti, forse si sarebbe potuto fare istanza affinchè il proprio fosse tra quelli ammissibili al grande concorso a premi.

Al seguito c’erano poi i coordinatori, i direttori, i facilitatori e tutto il resto di una gerarchia pletorica all’inverosimile. Al punto che non si capiva neanche più chi dovesse fare cosa. Proprio come per ogni organismo sovranazionale che si rispetti. E, come tale, non è dato sapere a chi risponda.

Stando all’espressione che assumevano nelle foto di gruppo a ricordo di ogni edizione del premio, sembravano parecchio compiaciuti di far parte di quell’augusto consesso.

Nessuno riuscì mai a capire bene su quali basi fosse assegnato il trofeo o le modalità con cui avvenissero la designazione e la scrematura tra i candidati, in mezzo ai quali si sceglieva il più idoneo. E neppure come si potesse avere accesso almeno al novero di essi, ai fini della cosiddetta nominèscion.

Men che meno da parte sua l’Ensemble si era sentito in dovere di specificarlo. Come sempre avviene del resto per gli organismi di tal fatta, che fanno vanto di operare nell’opacità più impenetrabile.

Ogni anno tuttavia, sul finire dell’estate, la riproduzione sonora andava finalmente a ricominciare i suoi rituali immutabili, quando i suoi seguaci erano li li per soccombere alla crisi di astinenza da hi-fi, conseguente alla stagione calda. Per scampare ad essa si sarebbero bevuti di tutto.

Proprio allora tra rulli di tamburo, rintronar di grancasse e gioiosi squilli di fanfare, nutrite con tanta generosità da sembrare persino fanfarone, si annunciavano i vincitori del premio ambitissimo.

La sceneggiata non era diversa da tutte quelle consimili: per ognuno dei vincitori di quella specie di Oscar dei poveri, dedicato al poco di hi-fi che si era salvato dalla furia devastatrice dei suoi addetti ai lavori, che da sempre l’esercitavano a propria insaputa, veniva diffusa un’astrusa formuletta. Doveva essere una sorta di spiegazione, se non di giustificativo, ma come si conviene alle situazioni del genere non voleva dire nulla, data la sistematica assenza di qualsiasi significato concreto o attinenza alla funzione reale dell’oggetto cui si riferiva.

Parole vuote, di circostanza, che si pretendeva assumessero rilievo solo per il contorno in cui erano pronunciate, tra i battimani e gli evviva degli astanti. Di fatto erano gli stessi che avevano deciso l’assegnazione dei premi e i rappresentanti dei costruttori e distributori dei prodotti cui di volta in volta arrideva il glorioso trofeo.

Anche per quello, sia chiaro, ci voleva del talento, che va riconosciuto: inventarsi una nuova supercazzola per ognuna delle apparecchiature premiate, anno dopo anno, non era assolutamente facile. Tantomeno era alla portata di tutti.

Proprio così sorgevano altri dubbi: a cosa veniva assegnato il premio, all’apparecchiatura o all’inventiva con cui si erano vergate le alate circonlocuzioni che ad essa si accompagnavano?

 

Una decisione sofferta

Solo per non rischiare di perdere la faccia, se avesse dovuto stabilire in proprio quali erano i prodotti effettivamente meritevoli di ricevere una menzione, qualsiasi persona un minimo coscienziosa si sarebbe sentita in dovere di verificare, tecnicamente e sul campo, una rosa sufficientemente significativa di prodotti consimili, per ciascuna delle categorie merceologiche cui assegnare il premio.

Data l’ampiezza dell’offerta su quello allora noto come mercato dell’hi-fi, per fare le cose con il minimo criterio si sarebbero dovuti prendere almeno un quindici – venti amplificatori, altrettanti diffusori, lettori digitali, convertitori D/A e via di seguito. I giradischi no, dato che l’analogico lo avevano sotterrato.

Per cominciare, li si sarebbe dovuti sottoporre a un attento esame degli aspetti tecnici, progettuali e realizzativi. E di seguito a una verifica ancora più accurata per le loro prerogative sonore. Effettuata ovviamente avendo cura di inserire ciascun prodotto in un sistema in grado di metterne in luce le rispettive caratteristiche, al meglio che fosse possibile.

Com’è immaginabile, per portare a termine una verifica davvero approfondita, quindi attendibile, volta a definire fino in fondo le vere doti di una singola apparecchiatura, e soprattutto scongiurare l’ipotesi di prendere qualche cantonata o solo di farsi un’idea che poi avrebbe potuto rivelarsi non essere quella giusta, ci vuole tempo.

Quanto? Data l’entità della posta in palio, non si sa se una o due settimane a candidato sarebbero bastate, anche per persone con una certa esperienza. Oltretutto l’ascolto, per forza di cose, non poteva essere continuativo: necessitava di fasi di riposo tali da deassuefare e lasciar riposare il sistema uditivo.

Altro tempo sarebbe servito per le necessarie riflessioni al riguardo, insieme a confronti e controprove, per non parlare di quello perduto con lo stacca e riattacca.

Moltiplicando tutto questo per il numero dei concorrenti in ciascuna categoria, si sarebbe arrivati facilmente a mesi di lavoro. Ma se la rosa dei papabili poteva essere formata soltanto da apparecchiature destinate a entrare in commercio a partire dall’autunno successivo, che facevano a malapena in tempo ad arrivare a destinazione nel più grande segreto, com’è possibile che tutto ciò potesse avere luogo?

Incertezze ancora maggiori riguardavano chi dovesse emettere il verdetto, a che titolo e soprattutto su quali basi. Si trattava di personale designato dalle riviste di settore, delle quali come abbiamo detto l’ente organizzatore era emanazione diretta e tanto doveva bastare.

Nel caso si fosse messo insieme qualche annetto di esperienza al riguardo, il dubbio sarebbe sovvenuto innanzitutto a tale proposito: i giurati erano davvero persone in possesso dei requisiti necessari? Chi lo poteva certificare? Non avrebbero potuto, invece, essere scelti con gli stessi criteri mediante i quali le pubblicazioni in questione cooptavano i loro collaboratori, ossia in base alla capacità di lasciarsi suggestionare e dare tutto per eccelso, per poi descriverlo con la narrazione e l’aggettivazione più condiscendenti e persuasive?

Ancor meno si sapeva dei concorrenti al premio, i nominati. Dato che se lo scopo era di proclamare i vincitori entro una cornice adeguatamente sfarzosa, tra luci psichedeliche, fumi e ballerine sculettanti debitamente svestite, per finire al taglio della torta che si celebrava a coronamento di tutta l’operazione, e pareva rappresentarne il simbolo più appropriato, di dare visibilità ai perdenti non sembrava proprio il caso.

Qualcuno infatti avrebbe potuto richiedere spiegazioni sui perché e i percome si fossero dimostrati tali. O persino organizzare una contro-verifica sul campo – quale onta! – e scoprire che non erano affatto peggiori del vincitore.

Se per una valutazione di qualche accuratezza non vi era il tempo materiale, come facevano i componenti del panel a designarli? Per estrazione a sorte o magari a rotazione? E perché non attraverso un’asta di beneficenza a favore di chi facciamo finta che non fosse importante?

Dato che le riviste sopravvivevano solo grazie alla pubblicità, e così riuscirono a tirare avanti anche quando, a forza di bestialità le più inverosimili, ebbero ridotto i loro lettori al lumicino, la quantità e la sostanza dei contratti siglati potevano avere un qualche rilievo al proposito?

Per puro caso, e ancor più remota ipotesi, non sarebbe potuto esistere una sorta di manuale Cencelli dell’hi-fi che dettasse pesi, misure, proporzioni e spartizioni in base a parametri precisi e misurabili, sicché nessuno avesse motivo di lamentarsi?

Non si sa. Comunque mai giunse notizia che qualcuno avesse avuto a che ridire. Sarebbe stato oltremodo disdicevole: in quei tempi lontani le decisioni di una giuria, specie quando era così prestigiosa, si accettavano, punto e basta.

Le domande tuttavia non finivano qui.

 

Quanto costava?

Per organizzare quello che più lo si osservava e più rassomigliava a un mistero buffo, genere di cose che in quei tempi lontani e in ogni racconto fantastico degno del suo nome era per nulla inconsueto, c’era bisogno innanzitutto di una lochescion adeguata. Non solo per la cerimonia finale di proclamazione e premiazione, ma anche per riunire a consesso i componenti del panel, che s’immagina solo in seguito a ponderose riflessioni e discussioni estenuanti riuscissero infine a produrre una designazione condivisa per il vincitore di ciascuna delle categorie.

In seguito arrivarono i sistemi di videoconferenza, disgrazia suprema dato che per anni e anni i componenti di un po’ tutti i paesi d’Europa si erano dati convegno nei luoghi più ameni e prestigiosi del continente. Tra di essi ce n’era uno in particolare, in cui si erano disputate diverse gare della Coppa del Mondo di sci alpino, i cui partecipanti non andavano certo a correre a Capracotta o a Ovindolo.

 

I componenti del “panel”, decine e decine di persone, con tanto di accompagnatori, non andavano soltanto trasferiti per l’andata e il ritorno, ma anche alloggiati, nutriti e accuditi. Certo non in bettole di quart’ordine, dato il prestigio del trofeo e dell’ente organizzatore, i cui componenti, inoltre, difficilmente riuscivano a campare d’aria.

C’erano poi le cerimonie di benvenuto e di arrivederci, oltre a quella della premiazione.

Dopodiché si passava alla diffusione: a che serviva assegnare un premio se poi nessuno lo veniva a sapere? Occorreva dare all’evento una copertura mediatica adeguata, tantomeglio se era la più chiassosa possibile.

In quella fase storica il sistema che si era attribuito il compito di diffondere l’informazione si stava trasformando in un mezzo di comunicazione, termine che potrebbe sembrare sinonimo del precedente ma non lo è affatto. L’informazione riporta gli accadimenti, per come si sono presentati e nella forma più neutra possibile, se non vuol essere allineata e attribuisce un significato sia pur vago al termine credibilità. La comunicazione dedica il suo spazio solo ai temi e ai concetti che interessano chi detiene il controllo dei mezzi tramite i quali viene diffusa.

Così le riviste che facevano parte dell’Ensemble al momento fatidico dedicavano pagine e pagine in quadricromia alla rassegna dei vincitori di ogni categoria, ciascuno dei quali era fotografato con la cura più grande, affinché le sue fattezze affascinanti fossero messe nel risalto migliore e più seducente.

Chiunque avesse la benché minima esperienza a livello editoriale aveva imparato che in una redazione si poteva fare quel che si voleva. A patto che si parlasse bene di tutto e non si toccasse il numero delle pagine. Dato che aggiungerne una soltanto avrebbe avuto costi insostenibili per un editore la cui attività preminente, fin dai tempi di Gutenberg, era il piangere miseria.

Però quando si trattava dei premi conferiti dall’Ensemble Internescionèl, di pagine se ne aggiungevano in abbondanza, a botte di trentaduesimi.

Come fosse possibile tutto ciò era un mistero della fede. Che si trattasse di una sorta di Miracolo della Moltiplicazione dei Pani e dei Pesci, audiofila ovviamente, salutata dai fedeli di quell’astuta religione con festosità e devozione, tra Alleuja e Agnus Dei?

Ancor più misterioso, a proposito del manuale Cencelli prima ipotizzato, era il fantomatico libriccino atto a elencare le testate di cui il panel era emanazione e da dove provenivano i membri della giuria. Con la descrizione dei curriculum editoriali, delle attività che svolgevano anche a livello collaterale, della diffusione nel Paese di pubblicazione, a mezzo di numeri come al solito taroccati, delle testate edite in parallelo e con a fondo pagina il tariffario per l’acquisto della pubblicità.

Una sorta di breviario non delle apparecchiature audio acquistabili dai comuni mortali ma delle riviste che ne discettavano. Nessuno lo vide mai in edicola, ma forse gli addetti ai lavori avrebbero potuto gradirlo, bisognosi d’ausilio com’erano nella ponderata e delicatissima ripartizione dei bilanci pubblicitari, anno dopo anno.

Eccoci dinnanzi a un nuovo arcano: idealmente, il premio istituito per attribuire il doveroso riconoscimento all’apparecchiatura migliore, si che all’appassionato ne risultasse più facile la scelta, era attività commendevole. Propria di chi poteva avere a cuore soltanto lo sviluppo del settore e si adoperava allo scopo con tutto sé stesso. Non è dato sapere cosa avesse a che fare con uno strumento del genere, che dal canto suo poteva far sorgere il dubbio, remotissimo sia chiaro, di essere parte di un marchingegno acchiappa-inserzionisti.

Assolutamente nulla, ci mancherebbe altro.

Infatti mai nessun appassionato lo aveva mai visto, secondo quello che pertanto è da catalogare come uno fra gl’innumerevoli Misteri della Fede Audiofila, concernente un presunto libello andergraund come l’Almanacco Continentale Delle Riviste Specializzate.

Qualora fosse esistito per davvero, come tutte le cose di quel mondo appartenente a un passato ormai remoto avrebbe avuto un suo costo.

 

Ancora e ancora

Anche la parte della redazione non direttamente coinvolta nell’iniziativa ne veniva resa partecipe. Vediamo in che modo.

Quando il direttore o chi per lui eseguiva l’assegnazione delle apparecchiature in prova mese per mese, tra le quali c’era sempre almeno un vincitore di categoria, debitamente segnalato dal bollino messo in bella vista sulla pagina di apertura o addirittura in copertina, non mancava mai di far presente la cosa al redattore cui ne affidava la recensione. Per l’occasione assumeva un’espressione grave, altera e ammonitrice al tempo stesso, più esplicita di mille parole.

Del resto per assolvere a determinati uffici, ricoprendone riverita carica, avere pronta per qualsiasi evenienza la faccia giusta, ovviamente ricoperta dal massiccio bronzo d’ordinanza, era requisito indispensabile.

Non c’era bisogno d’altro: il redattore si sentiva gonfiare il petto d’orgoglio, nel ricevere tale investitura. Manco a dirlo, era suo desiderio e interesse confermarla nel corso del tempo, quale titolo di merito e di superiorità rispetto ai condannati a trascinarsi nella banalità dei prodotti privi di cotanto pedigree.

Allo scopo nulla di meglio che tirar fuori un altro mezzo metro di lingua. La Natura del resto gliene aveva data una di lunghezza incalcolabile, con cui eseguire un’opera di lisciatura ancor più accurata, convincente e duratura. Oltre naturalmente a raschiare il fondo del barile dei superlativi assoluti, quelli relativi erano gravemente inadeguati, del tutto incuranti di essere arrivati a scavare il suolo sottostante.

Un ultimo elemento, da catalogarsi tra le varie ed eventuali, lo si poteva osservare a livello comportamentale: riguardava il sentirsi più realisti del re. Condizione che proprio lo svolgersi degli eventi di allora aveva mostrato fosse tuttaltro che inusuale, soprattutto quando si entrava a far parte di determinati organismi sovranazionali.

Arrivati a respirarne l’aria rarefatta, esperienza inebriante e particolarmente indicata ad accrescere la considerazione di sé stessi, forse per provincialismo, per complesso d’inferiorità o altrimenti secondo una sorta di coazione al gregariato, non mancavano mai quelli che si sentivano in dovere di dimostrare di essere i migliori di tutti e di gran lunga: dei veri e propri fenomeni. Di fronte a chi non è dato sapere, ma per forza di cose ne derivavano altri esborsi, generalmente sostanziosi.

Facendo la somma di tutto quanto, sia pure a spanne e molto probabilmente per difetto, usciva fuori una cifretta mica da ridere, anche se lo sfarzo, le risorse disponibili e il clamore mediatico, forse già allora non erano più quelli dei bei tempi andati.

In primo luogo proprio per via delle conseguenze materiali delle iniziative sovranazionali di ordine politico e amministrativo verificatesi in quel periodo, volte a creare un meccanismo tale da porre al riparo l’esercizio del potere, affinché il popolo non avesse più modo d’infastidirlo o d’interferire con esso.

Sulle prime il successo a ogni livello riscosso da quelle iniziative fu tale da causare una grande euforia e un ancora più sentito istinto di emulazione. Spinse così alla realizzazione di sovrastrutture assai poco verosimili che ne scimmiottavano le logiche e le apparenze più vistose. Era possibilmente questa l’origine concettuale dell’Ensemble come delle iniziative consimili nei diversi settori, comparse all’istante in numero rilevante. Tutte si adornavano di vessilli blu a stelle oro, sovente di dimensioni inusitate, che si potevano incontrare un po’ dappertutto, sotto ai quali ma soprattutto dietro, ogni attività poteva trovare terreno di coltura confacente.

Col tempo però, delle iniziative da cui tutto ebbe origine andarono fatalmente a materializzarsi gli effetti a lungo termine. Si rivelarono sistematicamente contrari a quelli che erano stati assicurati dai propagandisti incaricati di illustrare i loro contenuti. Promisero un benessere futuro prima inconcepibile – Si guadagnerà come lavorando un giorno in più ma lavorando un giorno in meno –  ma sapevano già che si sarebbe verificato l’esatto contrario. Carpirono così l’approvazione pressoché unanime di quanti, col tempo, avrebbero compreso di essere null’altro che le vittime sacrificali predesignate di quel meccanismo infernale. Il suo vero e unico scopo era l’impoverimento generalizzato, affinché fosse convogliata nelle mani di pochissimi, in via definitiva, tutta la ricchezza che in precedenza in quel Continente era suddividisa con un minimo di equità.

D’altronde un detto allora piuttosto noto spiegava che si poteva prendere in giro un certo numero di persone per tutto il tempo o tutte le persone per una parte di esso. Non era materialmente possibile però ingannare tutti e per sempre, dato che la realtà finiva presto o tardi col mostrare il suo volto, costringendo ognuno, da tiranna qual era, a osservarla.

Almeno fin quando non si trovò il sistema di far vivere ogni individuo nella realtà parallela che lo si era portato a costruire, a uso e consumo della sua tranquillità mentale.

A questo punto emerge con prepotenza la domanda fatidica.

 

Chi pagava?

Chi dovesse assumere in prima istanza gli oneri di funzionamento di tutta la baracca aveva un interesse relativo o addirittura nullo. Quel che è certo è che siccome in quell’epoca remota e primitiva, in cui tutto ruotava attorno al vile denaro, i bilanci dovevano chiudersi in attivo o almeno in pareggio, in qualche modo quei costi andavano ripagati.

A cura di chi, forse di quanti già si erano impegnati a tal punto per l’individuazione e la proclamazione dei vincitori? Improbabile. Neppure è pensabile che se ne dovessero far carico i premiati: prima gli diamo il trofeo e poi gli chiediamo i soldi indietro? Rimanevano solo i destinatari dell’iniziativa, quelli che comperavano le apparecchiature e dato il moltiplicarsi incessante dell’offerta avevano sempre più bisogno di consigli.

Nei loro prezzi, per un’ipotesi balzana e ancor meno verosimile, sarebbe stato del tutto impossibile includere la rispettiva quota parte, magari senza che nessuno se ne accorgesse?

Non è dato saperlo, ma se così fosse stato ancora una volta, ovviamente e come sempre per puro caso, tutto quanto adornato da una bandiera blu a stelle oro si sarebbe rivelato per quel che era: l’esatto opposto di quel che si voleva far credere, fonte di pretesti e mistificazioni a non finire, comunque basati sulla supponenza e l’olimpico sprezzo del buon senso altrui.

Ecco perché L’Ensemble Internescionèl lo si volle intitolare allo Sbeffeggiament degli Audiofiles: era realizzato prima col suo premio attribuito non si sa come e singolarmente rassomigliante a un’ennesima iniziativa di propaganda mascherata, e poi, forse, col far pagare loro anche il conto, bello salato, senza che se ne avvedessero.

Non sia mai infatti che le spese conseguenti a certe genialate le si paghino di tasca propria. Se ne doveva anzi trarre un profitto, proprio perché allora non si faceva mai niente per niente. Specie in affari.

Ogni concorso ha il suo premio e ogni premiazione una medaglia, che nell’arretratezza di quei tempi lontani aveva ancora due facce. Sul fronte prestigio e affermazione, ma sul retro? Forse poteva esservi un qualche legame, remotissimo, con l’ipotetico breviario per inserzionisti? Non vi è certezza al riguardo, per quello che senz’altro sarebbe stato comunque un utile ausilio. Per quanto al limite, e persino oltre quello delle ipotesi più inverosimili, avrebbe potuto assomigliare a una lusinga e magari chissà, persino a un avvertimento.

Del resto quella della carota e del bastone era nota già allora come una tra le leggi più antiche ed efficaci dell’universo.

Firma il contratto e vincerai il premio. Ma attento a rinnovarlo anno per anno, in caso contrario ti potresti trovare a non avere più spazio alcuno sulla stampa specializzata più importante e prestigiosa di tutta Europa.

Avere qualche decina di container sparsi per i porti di quel mondo antico, pieni di materiale in attesa di essere piazzato, poteva forse essere d’aiuto nella decodifica del messaggio?

Eccoci arrivati alla fine della favola. In realtà avrebbe anche un’appendice: narra degli appassionati, sempre di quel tempo remoto, e della loro profonda e irremovibile convinzione che tutto quanto avveniva nel settore da essi prediletto fosse in funzione, o meglio in omaggio, della loro passione, col fine di appagarla, sostenerla e glorificarla.

La racconteremo un’altra volta.

 

Ogni riferimento a persone, luoghi e fatti realmente accaduti è puramente casuale e frutto esclusivo della fantasia del suo ideatore, peraltro sconosciuto.

In questa sede si è provveduto esclusivamente a riportare il suo manoscritto, rivenuto per fortuita casualità.

 

 

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