Abbinare amplificatore e diffusori a costi abbordabili

Qualche giorno fa ho ricevuto una lettera da un appassionato, Giampaolo. Leggiamo cosa mi scrive:

Salve Claudio, complimenti per il suo sito.

Sono sincero quando le dico che comprendo solo in parte i suoi articoli essendo abbastanza ignorante in materia.

Sono un ormai sessantenne che ha di recente riscoperta l’antica passione per l’ascolto della buona musica. Ecco il punto: ho sempre messo l’aggettivo buono davanti “la musica” anziché davanti il termine “ascolto”. Ho sempre privilegiato l’aspetto artistico e creativo dell’autore, per i miei gusti si intende, alla qualità dell’impianto sonoro, pur entro certi limiti di decenza dell’impianto utilizzato.

Mio figlio l’anno passato mi ha regalato un Rotel A12 con il quale ascolto prevalentemente musica liquida, dalla fusion al country, dalla classica al progressive rock, con un paio di vecchie rcf che possedevo da giovane, che suonano in modo appena sufficiente.

Tempo fa ho deciso di fare il salto e mi illudevo di poter comprare dei discreti diffusori da pavimento con poco più di 500 Eur. Mi è bastato entrare in qualche negozio di HiFi per rendermi conto che con quella cifra non avrei mai e poi mai trovato nulla che potesse soddisfarmi. Ho alzato dunque il budget fino a mille ed anche oltre, prendendo in considerazione anche l’usato che in un primo momento avevo escluso. Ne ho ascoltate parecchie di varie marche e per lo più sono rimasto deluso.

Con quella cifra cosa pretende?

Questo è quello che mi sono sentito ripetere spesso. Dovrei, secondo loro, spendere almeno tre volte tanto!

Poi un negoziante della zona, provincia di Ascoli, mi ha proposto delle TANNOY HPD 295-8 con magnete in alnico e  tweeter coassiale a 1100 Eur, un po’ ammaccate all’esterno ma ben suonanti. Mi sono piaciute abbastanza ma il rock non mi sembrano il loro terreno migliore.

Ci ho fatto un pensiero, ma qualche giorno dopo ho avuto modo di ascoltare delle Infinity k 8.2i, in ottime condizioni alla stessa cifra (1.100), casse completamente diverse, me ne rendo conto, grandi e molto pesanti, che mi hanno impressionato. Il proprietario, chissà poi perché, le ha ulteriormente appesantite con un piedistallo in marmo.

All’ascolto ho però notato che evidenziano in modo notevole le pecche delle fonti sonore, come ad esempio una registrazione di non eccelsa qualità.

Alcuni cd originali in mio possesso hanno rivelato in quell’impianto della carenze che non avevo mai notato prima. Temo inoltre che il mio amplificatore non sia adatto, ma il timore maggiore è la resa sonora dei brani che generalmente ascolto in streaming (anche se di servizi come tidal o da registrazioni in flac).

Un suo parere, in particolare sulle Infinity e sul giusto amplificatore per farle rendere al meglio, sarebbe una luce nel tunnel oscuro della mia ignoranza.

Saluti, Gianpaolo

 

Ciao Gianpaolo,

grazie per l’apprezzamento e la considerazione.
Per spiegazioni su quello che non capisci, leggendo gli articoli pubblicati sul mio sito, non esitare a chiedere.

Per prima cosa rileverei che un impianto realmente in grado di dare soddisfazioni, e quindi che suona molto bene, riesce a rendere gradevole anche l’ascolto di musica che non piace. Cosa che ho verificato tante volte nella mia esperienza.

A questo proposito adopererei una certa prudenza nell’attribuzione alla musica di un connotato qualitativo, per quale che sia. In primo luogo essendo per sua natura sfuggente, nell’assenza di determinate condizioni. ma soprattutto perché è impalpabile la soglia tra la vera consapevolezza al riguardo e l’abito mentale tipico del corporativismo musicale. Ossia quello da cui deriva la convinzione che solo la classica è musica degna di considerazione, il vero jazz è esclusivamente quello eseguito per mezzo di strumenti acustici e rifacendosi a determinate ispirazioni ma assolutamente non ad altre e così via.

Sempre al riguardo va considerato che essendo il sistema di riproduzione tramite imprescindibile, la percezione della qualità della musica non può che essere legata alle sue qualità intrinseche. Con particolare riguardo all’efficacia nel portare alla luce ogni aspetto del materiale registrato, senza nulla aggiungere o togliere, o quasi.

Quindi la diversificazione e la conseguente contrapposizione tra ascolto della musica e ascolto dell’impianto è sostanzialmente un pretesto. Proprio perché il primo limite dell’impianto mediocre o inadeguato che dir si voglia è l’incapacità di riprodurre il fenomeno musicale nella modalità auspicabile per cogliere con un livello di completezza ragionevole le diverse prerogative della composizione e dell’esecuzione.

Al di là di questo aspetto, che reputo tuttavia molto importante, dato che alla mancanza di fondamenta solide a livello concettuale non può seguire un’azione di qualche validità, il problema dei prezzi è divenuto endemico.

Come molti altri, anche il mondo della riproduzione sonora di qualità ha ormai perduto ogni contatto con la realtà concreta, quella dell’uomo comune, e non è ipotizzabile possa riconquistarlo, almeno a breve o medio termine. Mentre nel lungo saremo tutti morti, come soleva dire John Maynard Keynes.

Questo lo ha già ridotto a una nicchia della sottonicchia, la cui rilevanza è men che trascurabile sotto qualsiasi aspetto, a iniziare da quello economico e commerciale. Al suo interno l’attività prevalente è quella legata al rituale immutabile delle beghe da cortile riguardanti la superiorità di un certo marchio o sistema nei confronti di tutto il resto, o altrimenti l’esistenza o meno di determinati fenomeni poiché non riportati dai Libri Sacri che regolano e definiscono ogni elemento della riproduzione sonora. E’ pertanto inammissibile solo considerarne l’ipotesi, per il Clero che sovrintende all’Ortodossia Liturgica dell’Evento Sonoro Riprodotto, come tale Portatore Unico del Verbo, e per ognuno dei suoi fedeli. Quando invece l’influsso che hanno sulle caratteristiche della riproduzione sonora assume non di rado contorni persino marchiani.

Ma non fa nulla, l’essenziale è negare, a oltranza. Proprio come d’abitudine per il traditore incallito, anche quando colto sul fatto dalla di lui consorte.

E’ in tale aspetto che si manifesta la vera contraddizione: se le persone che vi si dedicano usassero il loro tempo per ascoltare musica, con un minimo di concentrazione e tranquillità, quindi liberi da preconcetti, avrebbero buone probabilità di comprendere come stiano effettivamente le cose. A quel punto i motivi delle gazzarre che s’ inscenano instancabilmente e sempre uguali a sé stesse su forum e gruppi social di settore, in massima parte pretestuosi, verrebbero finalmente meno.

Come vediamo, pertanto. si tratta di un settore condannato senza appello all’estinzione, da qualunque lato lo si osservi. Il rinvio del momento fatidico si deve proprio alle persone come te, il cui solo desiderio è di ascoltare musica in maniera qualitativamente apprezzabile. La stessa prassi in esso vigente opera affinché ne siano respinte, per mezzo di limitazioni all’accesso primariamente di ordine economico, ma nello stesso tempo ci si lamenta della marginalizzazione che lo caratterizza in maniera sempre più inesorabile, proprio a causa della sua incapacità di coinvolgere nuova fasce di pubblico.

Dunque eventuali nuovi appassionati sono destinati a restarne fuori, a meno che non sborsino somme di rilevanza non trascurabile, come la tua esperienza dimostra in maniera cruda quanto lampante.

In parole povere, siamo al “O la borsa o l’ascolto”, e non da oggi.

Rivolgersi all’usato può essere un modo per aggirare quell’ostacolo, ma la crescita continua dei prezzi del nuovo ha un effetto di trascinamento inevitabile nei suoi confronti. Innesca oltretutto un effetto auto-alimentante, dato che prezzi troppo alti o comunque in aumento hanno quale prima conseguenza la riduzione degli esemplari venduti.

Tale riduzione comporta a sua volta l’aumento inevitabile della percentuale di costi fissi, incomprimibili, che va a gravare sul prezzo al pubblico del singolo esemplare, fino a diventarne parte preponderante, così da gonfiarlo ulteriormente.

S’innesca allora una spirale perversa dalla quale uscire è molto complesso. Lo è ancor più quando ci si trova in una congiuntura dominata dall’inflazione come quella attuale, che per decisioni di ordine politico è destinata già in partenza a non trovare riequilibrio alcuno in termini di retribuzioni e meno che mai per quel che riguarda la distribuzione della ricchezza.

Ancora peggio è quando l’inflazione non è causata da un’aumentata velocità della circolazione del denaro come avviene di solito, comunque sintomo di economie e società civili in buona salute, ma si deve a un aumento deliberato, e ben calcolato nelle sue origini e nelle conseguenze, dei costi dell’energia necessaria alla produzione e alla stessa sussistenza.

Ce ne stiamo accorgendo ora. E’ peraltro lo stesso gioco già eseguito negli anni 70, per chi se li ricorda, mediante il pilotaggio delle decisioni dell’OPEC, l’associzione dei paesi produttori di petrolio. Ora però è stato portato alle conseguenze estreme, come tutto quel che avviene in quest’epoca dominata da una crisi delle classi dirigenti che non ha precedenti, dovuta alla loro composizione pressoché esclusiva da parte di figuranti appositamente cooptati in funzione della loro manovrabilità.

Condizioni del genere danno luogo a un contesto una volta definito dal termine stagflazione, ossia da mercato stagnante, a causa della difficoltà del pubblico a pagare i prezzi richiesti per un qualsiasi prodotto. Invece di causare deflazione, ossia il calo dei prezzi conseguente in funzione della legge della domanda e dell’offerta,  vi si abbina una condizione inflazionistica, indotta nei modi che abbiamo visto.

Ora però anche quel termine è stato superato dagli eventi, proprio in quanto si è riusciti a mettere insieme l’inflazione non con la stagnazione economica, ma con una vera e proprio recessione. Condizione talmente assurda che neppure esiste un termine per definirla. La si sta usando come strumento ai fini del grande reset o della quarta rivoluzione industriale come viene definita negli ambienti che la auspicano. In primo luogo il World Economic Forum, il cui capo Klaus Schwab vanta pubblicamente il suo tenere tra le mani le redini delle figure politiche di spicco maggiore a livello mondiale.

Le vie d’uscita sono particolarmente complesse da trovare e ancor più da percorrere.

Nel nostro Paese il problema è raggravato ulteriormente dal calo delle retribuzioni medie che si è verificato negli ultimi 30 anni, unico in Europa e forse nel mondo, già nel loro valore nominale. A livello di potere d’acquisto effettivo poi è stato un vero e proprio tracollo, che di fatto ha prodotto una percezione completamente falsata, per eccesso, riguardo al valore del denaro.

Il calo in questione oltretutto è andato a sommarsi a retribuzioni medie storicamente più basse nel nostro Paese rispetto alla media continentale, oltretutto con spese fisse e costo della vita superiori.

Si devono essenzialmente alle privatizzazioni selvagge del trio Prodi-Bersani-D’Alema, che hanno messo il patrimonio dello Stato, e quindi dei cittadini, ma soprattutto i servizi da esso prestati in mano alla speculazione, con la lievitazione dei costi che ne è seguita. Ci si è dimenticati però di aggiornare il complesso normativo così da lasciarlo nelle stesse condizioni di estremo favore in cui lo Stato esercitava il suo monopolio, appunto giustificato dai servizi offerti a tariffe calcolate soprattutto in funzione del sostegno sociale e per conseguenza della crescita economica del Paese. In questo modo si sono instaurate le condizioni più indicate al predominio della forma di liberismo più selvaggia, anarcoide e redditizia per la speculazione, appunto grazie alla possibilità d’imporre tariffe mirate al profitto più sfrenato, anche e soprattutto per beni e servizi essenziali, ma entro un quadro normativo da monopolio di Stato.

Come ha detto Oswald Spengler, la sinistra ha sempre fatto il gioco del grande capitale, talvolta senza rendersene conto. Nella fattispecie eseguendo le politiche più oltranziste della destra finanziaria. Questa è mille volte più estremista di qualsiasi fascismo, in quanto del tutto insensibile o meglio refrattaria a ogni istanza o necessità di ordine sociale, in funzione dell’idolatria nei confronti dei mercati e del profitto che è la sua unica guida..

Da allora in poi la sinistra, o meglio il branco di rinnegati che vi s’identifica ha perso sistematicamente tutte le elezioni politiche. Malgrado ciò si è sempre trovato il modo di farla rimanere al governo e anzi di fare in modo che occupasse militarmente ogni posto di potere del Paese, dalla carica più alta alla bocciofila di quartiere, secondo il purissimo spirito democratico che la pervade.

Ora il crollo del valore dell’Euro rispetto alle monete principali, Dollaro, Franco Svizzero e Sterlina, è andato ad aggravare ulteriormente la situazione. Tantopiù nei confronti delle merci provenienti da fuori il continente, come lo sono in massima parte quelle che riguardano la riproduzione sonora.

Tra l’altro proprio questo è il motivo per cui secondo i cantori della moneta unica la Liretta faceva schifo e la si è dovuta abbandonare in favore dell’Euro, anche se ora fingono di dimenticare di aver sostenuto cose del genere. Oltretutto con la veemenza che conosciamo e pervicacia ancora maggiore.

La sola differenza è che la svalutazione dell’Euro è stata di gran lunga più veloce e rilevante di quelle conosciuta dalla nostra moneta nazionale, con un -20% nel giro di qualche mese. A perdere una percentuale del genere, alla Lira servivano almeno un anno o due, anche nelle sue fasi peggiori.

Tutto ciò ha prodotto una percezione ancor più falsata per il valore del denaro, abbinata oltretutto a una sua disponibilità sempre più scarsa, anche a causa degli ostacoli vieppiù numerosi che sono stati opposti alla sua circolazione. In sostanza si è agito come nei confronti di un’inflazione di tipo classico, andando quindi a renderne ancora più gravosi gli effetti concreti.

Ciò non toglie comunque che molti oggetti abbiano prezzi difficilmente giustificabili. In primo luogo rispetto alla capacità d’acquisto del pubblico medio.

Il fenomeno descritto ha le sue conseguenze non solo sul comparto della produzione, ma anche su quello della vendita al dettaglio. I negozianti, quei pochi che riescono ancora ad alzare la saracinesca ogni mattina, devono affrontare una quantità di costi fissi che non solo sono in crescita perenne, ma nell’immediato futuro hanno ottime probabilità di far loro interrompere l’attività.

L’assurdo è che è lo Stato medesimo, o meglio la sua amministrazione, a condurre al disastro il settore produttivo e quello commerciale del Paese, il quale non potrà che comportare la sua stessa dissoluzione. Appunto per mezzo dell’aumento a dismisura per i costi dell’energia, attraverso una speculazione di proporzioni inimmaginabili.

Nel primo semestre di quest’anno l’ENI, Ente Nazionale Idrocarburi, ha aumentato i suoi profitti rispetto all’anno scorso del 700% circa, portandoli a un valore di oltre 7 miliardi di Euro. In che modo? Facendosi pagare il gas che compra tuttora dalla Russia a prezzi stracciati, secondo accordi di durata decennale stipulati a suo tempo, ai prezzi correnti, stabiliti alla borsa di Amsterdam secondo il cosiddetto parametro TTF. Questi ultimi sono esplosi, a causa di una serie di questioni che tralasciamo per motivi di spazio, ma dovute sempre alla onestissima speculazione finanziaria, ossia alle conseguenze della pretesa di creare denaro dal denaro e al potere enorme acquisito da chi è in grado di controllare quei meccanismi. Grazie alla conseguenze di liberismo e austerità è da tempo nelle condizioni di dettare l’agenda agli Stati un tempo sovrani e alle loro istituzioni governative.

Cassa Depositi e Prestiti e Ministero dell’Energia, oggi definito della transizione ecologica, con evidente intento neolinguistico e dai significati ottemperanti alle direttive emanate dalle entità summenzionate a cui risponde, che ormai non hanno più nulla a che vedere con il popolo costituzionalmente sovrano, insieme controllano il 30,6% di Eni. Ne sono pertanto l’azionista di gran lunga maggiore.

Se avesse voluto, pertanto, lo Stato avrebbe potuto fermare fin dal suo insorgere questa deriva ed evitare il disastro incombente. Non lo ha fatto, per motivi che sarebbe interessante conoscere, nella latitanza ormai abituale delle istituzioni e in particolar modo degli organi e delle figure di garanzia.

Stando ai media allineati la colpa sarebbe esclusivamente di Putin. Il prezzo del gas tuttavia, e in conseguenza quello dell’elettricità, hanno iniziato a salire ben prima dell’azione militare russa.

Non solo: pur lamentando la carenza di materia prima, peraltro inesistente, ENI ha aumentato l’esportazione di gas di circa il 360% rispetto al periodo corrispondente dello scorso anno, proprio per lucrare il più possibile sulla situazione contingente. Ciò è del resto il fine di qualsiasi società di capitali, mostrando nella sua realtà più cruda le conseguenze ultime delle cosiddette privatizzazioni, che portano lo Stato a comportarsi come il più spregiudicato e insaziabile degli speculatori.

Ora però chi le ha volute ed eseguite chiede ancora il voto a tutti gl’italiani, paventando disgrazie indicibili in caso di rifiuto. La stessa data delle elezioni, del resto, ha tutta l’aria di essere stata fissata in maniera tale da portare gl’italiani al voto prima che possano rendersi conto delle conseguenze dell’ennesimo tradimento che gli organi dello Stato hanno perpetrato nei loro confronti.

Per fronteggiare la crisi energetica, molti Paesi tra cui il nostro e la Germania, hanno iniziato a bruciare carbone in quantità enormi, il combustibile inquinante per antonomasia, alla faccia dell’ambiente. Per conseguenza anche il suo prezzo è andato alle stelle (grafico sotto).

L’aspetto forse più curioso della faccenda però è che se fino a qualche tempo fa Greta ci ha rimproverava con le sue dichiarazioni e prese di posizione, regolarmente diffuse a livello globale a reti unificate, ora resta completamente in silenzio e si guarda bene dal lanciare i suoi strali.

Dunque è lo Stato che va all’attacco di sé stesso e dei suoi sudditi, parlare di cittadinanza ormai è del tutto illusorio, oltreché fuori luogo. Lo fa secondo la logica intrinseca e irreversibile del capitalismo reale, del quale è il primo ostaggio.  Come ho scritto molte volte, se vuole sopravvivere il capitalismo deve divorare tutto quanto gli capita intorno. Per conseguenza, andrà fatalmente a fagocitare anche sé stesso.

Non prima di aver passato tutti noi nel tritacarne.

 

Un discorso demenziale

Riguardo al tuo racconto, il dettagliante cui ti sei rivolto non avrebbe potuto darti risposta peggiore. Oltre a non brillare per acume e senso degli affari, illustra nel modo più efficace l’indole propria del bottegaio.

Invece di spiegare sia pure per sommi capi i perché e i percome della situazione, cosa per la quale occorre almeno un minimo di sale in zucca, di volontà d’osservazione e di tempo, ha preferito andare per le spicce e far passare l’avventore per matto, proprio in quanto pretenderebbe chissà cosa.

Quando invece, in funzione delle retribuzioni medie oggi corrisposte in questo Paese che le sue stesse istituzioni stanno portando consapevolmente alla devastazione, la richiesta è assolutamente plausibile.

La psichiatrizzazione dell’altro, chiunque egli sia e per quale che sia l’istanza di cui si fa portatore, è appunto il sintomo di un sistema sociale in disgregazione avanzata. Ai fini della quale, chi assume determinati atteggiamenti opera in maniera tale da cooperare, che se ne renda conto o meno.

Quel dettagliante inoltre, restando sul terra-terra, ha perso una vendita, colpendosi voluttuosamente sugli attributi per dimostrare non si sa bene cosa. Forse che detesta chiunque sia colpevole di non apportare una quota di contante che ritenga suffciente?

Ancora una volta lo ha fatto a propria insaputa ed è proprio questo l’aspetto più desolante.

Lui non li ha in casa, e forse nemmeno li prenderebbe indietro a fronte di una vendita, ritenendo il margine ricavabile da essi non sufficiente a coprire le incertezze, i tempi di attesa e tutto il resto delle voci di spesa che deve affrontare per far si che la sua attività resti operativa, ma diffusori da pavimento usati e di costo adeguato a quello che ti sei prefissato di affrontare esistono eccome.

Sono oltretutto molto validi e non hanno, seppure, assolutamente nulla da invidiare quelli che ti sono stati proposti. Anzi, nelle condizioni del tuo impianto è molto probabile che diano risultati migliori, proprio in quanto meglio proporzionati al contesto in cui andrebbero a inserirsi.

Tornando solo per un istante al rivenditore cui ti sei rivolto, per completare il discorso al riguardo, fondamentale per comprendere la realtà in cui ci troviamo, in particolare per quel che riguarda l’aspetto commerciale, sembra ritenga necessario dedicarsi al prodotto più appariscente, o altrimenti dotato di un carisma e un pedigree significativo, che possa fare da richiamo.

Come per quei Tannoy coi magneti in alnico, che pur se malmessi a livello di ebanisteria grazie a tale prerogativa ritiene possano giustificare una richiesta pari o superiore ai 1.000 euro. Quella che oggi, probabilmente, si trova al limite più basso del prodotto commerciabile, affinché se ne possa ricavare un margine di qualche interesse.

Il problema è che ancora oggi troppe persone, al termine di un mese intero di lavoro, quei mille euro li vedono col cannocchiale.

Entrando più nello specifico, come scrivo con una certa frequenza e specie riguardo ai diffusori, andare su modelli più raffinati, e quindi di prestazioni più elevate, può riservare anche sorprese non così positive.

Un diffusore di maggior efficacia è tale in primo luogo perché in grado di eseguire un’indagine meglio approfondita nei confronti del segnale presente ai suoi morsetti d’ingresso. Questo vale sia per gli aspetti confacenti al miglioramento dell’esperienza d’ascolto, sia per quelli che lo sono meno, come le magagne da cui quale più quale meno, tutte le apparecchiature sono gravate.

Non è stato ancora inventato infatti un diffusore capace di far passare e dare il maggiore risalto solo a quel che preferisce il suo utilizzatore. E’ improbabile peraltro che ciò avverrà mai.

La pubblicistica di settore, viceversa, fa un punto d’onore nel sostenere a oltranza che più l’oggetto acquistato è costoso e prestigioso e più se ne ricaveranno benefici e soddisfazioni. Cosa che purtroppo non è di questo mondo e meno che mai al giorno d’oggi, in cui il prezzo di vendita è divenuto una variabile indipendente dai costi di produzione e commercializzazione. Così facendo, pertanto, si genera soltanto confusione.

E’ convinta di fare i propri interessi, agendo in quel modo, senza rendersi conto che invece si riduce all’irrilevanza. Riesce a salvarsi solo grazie al ricambio generazionale, portatore di sangue fresco su cui può eseguire ad libitum la sua supercazzola nel modo più agevole e spregiudicato.

Causando appunto confusione e smarrimento, in particolare tra gli appassionati di minor esperienza.

Le cose in realtà stanno al contrario, poiché più gl’impianti e i loro componenti sono grandi e più danno luogo a problemi di dimensioni crescenti e più difficili e costosi da risolvere, secondo un andamento esponenziale.

L’amplificatore che ti è stato regalato con ogni probabilità non è all’altezza di diffusori come gl’Infinity, prestigiosi e possenti fin quanto si vuole, ma che hanno un difetto insormontabile, come tutti i sistemi realizzati in modo simile: per dare il meglio pretendono amplificazioni di grosse dimensioni. Sono innanzitutto molto più costose, ma soprattutto enormemente più difficili da far suonare davvero bene, per una serie di motivi tecnici che un tempo erano di dominio comune, ma che poi sono andati a finire nel dimenticatoio. Sorte condivisa per forza di cose anche dai canoni che contraddistinguono il vero bel suono, che non è mai quello tronfio, goffo e carico di effetti da controreazione da cui è caratterizzata in genere quella tipologia di apparecchiature, sempre per l’intercessione di una pubblicistica di settore decisa a parlare sempre e soltanto bene di qualsiasi cosa.

Per conseguenza, allora, non solo allestire un impianto intorno a quei diffusori comporta spese molto più rilevanti, se non proibitive per tanti appassionati, ma a cose fatte ci si può ritrovare persino ad avere qualcosa che suona peggio rispetto a sistemi allestiti con maggiore buon gusto, consapevolezza e soprattutto senso della misura.

In particolare se si attribuisce l’importanza maggiore agli elementi qualitativi della riproduzione invece che a quelli quantitativi. Cosa oggi sempre più rara, se non addirittura dimenticata.

Tutti o quasi oggi guardano al numero dei dB emissibili, a quello dei watt in uscita o delle vie del diffusore, all’abbondanza delle basse frequenze e più in genere a tutti i parametri legati all’aspetto quantitativo. Ad esso si ricorre quando a mancare è proprio la qualità, facendo si che ne sia penalizzata per prima.

Oggi è proprio l’andazzo dominante, che purtroppo è quello che è, a rendere il senso della misura e quello delle proporzioni espressioni prive di ogni significato e pertanto a spingere sempre più sulla quantità. Ancora una volta grazie all’azione della pubblicistica di settore, ridottasi volontariamente al non essere più neppure in grado di scindere le due cose.

I motivi li abbiamo affrontati diverse volte in passato. Non mi sembra il caso di ripeterli ancora e neppure ne ho voglia, ma questo è.

Pertanto ritengo la tua impressione fondamentalmente corretta. Coi Tannoy, sia pure percependo la loro impossibilità di spingersi a determinati livelli prestazionali, intesi soprattutto sotto il profilo quantitativo, si è avuto con ogni probabilità il risultato conseguente a un maggiore equilibrio con l’amplificatore chiamato a pilotarli.

L’equilibrio del resto è un fattore d’importanza tanto capitale quanto trascurato. Lo ripeto da tempo immemore e malgrado ciò le cose sotto questo aspetto vanno sempre peggio. Non mi aspetto certo che la mia voce sia ascoltata, è evidente e inevitabile che vada a perdersi nel rumore di fondo quando le fonti contrastanti sono in numero tanto maggiore da essere incalcolabile e in grado di battere sulla grancassa in maniera a tal punto assordante. Al confronto la mia è ancora meno di un sospiro.

Tuttavia resto sempre colpito quando osservo che la modalità di abbinamento dei componenti separati, ai fini della realizzazione di un impianto, non abbia ormai nemmeno il più remoto elemento di progettualità e di consapevolezza, per somigliare sempre più a un’accozzaglia informe, i cui risultati non possono che essere conseguenti.

Del resto se tutto va bene e anzi meglio, come pretende la pubblicistica di settore, è inevitabile che qualunque cosa debba abbinarsi alla perfezione con qualsiasi altra. Dunque le accortezze un tempo all’ordine del giorno riguardo alla combinazione dei componenti dell’impianto non hanno più alcun motivo di essere. E i risultati si vedono, innanzitutto in termini di buon gusto.

Comunque diffusori da pavimento acquistabili per una cifra pari o di poco superiore ai 500 euro esistono. Ce ne sono oltretutto di ottimi, come i B&W CDM 7. Sono oltretutto facili da pilotare e come tali adatti anche all’abbinamento con il tuo amplificatore. Con ogni probabilità non li porrà nelle condizioni di esprimere tutto il loro potenziale, ma di sicuro formerà un’accoppiata che sarà in grado di darti soddisfazione. Poi, nel caso, a crescere si farà sempre in tempo, dato che l’appetito viene mangiando.

Quando la spesa che si può affrontare è alquanto limitata, rivolgersi a diffusori da piedistallo può essere una scelta indovinata. Si rinuncia a un po’ di estensione e di potenza in gamma bassa, parametri squisitamente quantitativi, ma si guadagna sotto il profilo della ricostruzione dell’immagine stereofonica, della coerenza di emissione e della sua dispersione in ambiente, aspetti di tipo qualitativo. A questo riguardo i CDM 1 di B&W sono quanto di meglio si possa scegliere. Non solo perché si tratta di un progetto particolarmente indovinato, ma anche perché affidano la gran parte della loro emissione a un altoparlante di caratteristiche ineguagliate, come il woofer mid da 16 cm con membrana in kevlar.

Raccomandabile è il ricorso a esemplari della prima serie, meno costosi da acquistare e più equilibrati nel loro comportamento. Se poi li si ottimizza, per mezzo del rifacimento del crossover, del cablaggio e della coibentazione interna, non alla come viene ma secondo indicazioni precise, si ottiene un diffusore che ha pochi rivali, in qualsiasi ordine di prezzo e non solo tra quelli da piedistallo, mantenendo la spesa affrontata a livelli alla portata di molti.

Vediamo a questo punto l’altro aspetto che hai affrontato nella tua lettera, inerente il comportamento degl’Infinity e la loro attitudine a mostrare quella che potrebbe apparire la realtà delle registrazioni riprodotte per il loro tramite.

Forse non te ne rendi conto, ma si tratta di un problema complesso, nelle sue varie implicazioni.

Da come lo descrivi ci si fa l’idea che dal tuo punto di vista si tratti di un difetto, quando invece è un pregio. Come abbiamo detto sopra, è tipico dell’apparecchiatura di maggior efficacia il porre in evidenza le caratteristiche della registrazione, per quali che siano. Quella mediocre invece tende a far suonare tutto nello stesso modo, secondo il piattume conseguente alle sue caratteristiche.

Come vediamo, allora, già il riconoscere un pregio o un difetto per quello che sono realmente non è facile. Tanto è vero che ho sentito un numero di volte fin quasi infinito scambiare gli uni per gli altri, anche da parte di appassionati presumibilmente in possesso di buona esperienza.

Questo in primo luogo a causa di un retroterra culturale, a livello di riproduzione sonora, basato sulla carenza. Per conseguenza, qualsiasi elemento della sonorità si possa cogliere, non verificato nella situazione precedente, sarà osservato come un pregio e un miglioramento. Quando invece potrebbe trattarsi di un difetto, oltretutto marchiano, conseguente a distorsioni o altro.

Ancora più difficile è attribuire a un difetto, posto che sia realmente tale, la sua origine in modo corretto. Ecco perché tanti appassionati detestano alcune tipologie di diffusori: a dir loro sarebbero caratterizzati da sonorità sgradevoli. In realtà quei diffusori hanno un solo problema, se tale lo si può definire: la troppa efficacia nell’emettere il segnale presente ai loro morsetti d’ingresso in funzione delle sue reali caratteristiche, tale da porle fin troppo in evidenza nel bene e nel male.

Quindi quegli appassionati, in realtà, stanno solo asserendo che il loro impianto, in particolare per sorgenti e amplificazioni, causa tali e tante magagne da produrre un segnale penalizzato al punto da risultare sgradevole nell’emissione di diffusori di qualche valore. Ancora una volta tutto questo avviene a loro insaputa, dato che la pubblicistica di settore li ha assicurati oltre ogni ipotesi contraria che quelle apparecchiature sono invece il meglio del meglio che si possa desiderare.

Del resto a loro basta cambiare diffusori, andando su esemplari meno selettivi nei confronti del segnale che vi viene presentato, e il problema si risolve. Come tale allora, secondo la loro prospettiva ristretta, il problema non può che risiedere in quelli tolti di mezzo, quando invece avevano ottime probabilità di essere l’unico componente dell’impianto che si salvava.

C’è poi un altro aspetto, inerente la qualità del segnale registrato. Andando avanti con l’esperienza, e quindi con un vero perfezionamento dell’impianto, ci si accorge che le registrazioni che danno l’impressione di suonare male sono sempre in numero minore, fino a sparire quasi del tutto.

Non solo, anche quando si procede a spostamenti per così dire laterali, ossia che non comportano un reale miglioramento per le modalità di emissione ma solo una variazione delle sue caratteristiche, ci si accorge che le registrazioni dall’ascolto più gradevole non sono più quelle di prima e il loro posto viene preso da altre.

Questo significa che il problema non sta nelle registrazioni, ma nel mezzo con cui le si riproduce. In sostanza allora, quelle che si definiscono cattive registrazioni sono solo quelle che per via delle loro prerogative riescono meglio di altre a far emergere i problemi dell’impianto. Tanto è vero che una volta che li si elimina, o solo li si minimizza nei loro effetti, quelle stesse registrazioni diventano a un tratto ben più ascoltabili, se non addirittura le preferite.

Questo al netto dei problemi indotti dai sistemi di somministrazione di tracce audio da remoto, la cosiddetta liquida, che per quanto mi riguarda è consigliabile non prendere in considerazione alcuna. Ai fini delle doti sonore dell’impianto, e per la propria indipendenza d’ascolto, dato che se si possiede il supporto fonografico, lo si può ascoltare quanto si vuole senza dover pagare per esso all’infinito. Ossia quello che avviene con i servizi di somminstrazione da remoto, che per conseguenze, nel momento in cui non puoi pagare non ascolti più nulla.

A quel punto l’impianto, per il quale si sono spesi tanti denari e si sono fatti ancor più sacrifici, diventa un costoso soprammobile, o meglio ancora un catafalco intitolato alla distruzione materiale della propria passione, eseguita in prima persona. E come sempre a propria insaputa.

Il ricorso alla somministrazione da remoto induce inoltre modalità d’ascolto che sono la negazione stessa della fruizione musicale legata a un qualsiasi retroterra culturale, a causa del saltabeccare tra spezzoni di brano diversi, della durata di pochi secondi ciascuno che induce in via sistematica. Viene negata così una qualsiasi fruizione organica dell’evento musicale, ridotto a intrattenimento frammentario, privo di qualsiasi connotazione o finalità culturale. Inoltre il servizio stesso, per sua costituzione è quanto di più distruttivo possa esistere nei confronti della produzione di musica.

In quell’affare ci si buttano in tanti, facendo di tutto per accaparrarsi il cliente, proprio perché si tratta di quanto più profittevole si possa immaginare: repertori acquisiti a costo zero e fatti pagare in denaro sonante, mese per mese e virtualmente per l’eternità, ma soprattutto all’infinito per ogni nuovo ascolro: si può immaginare qualcosa di meglio? E’ il bengodi del fornitore del servizio.

Ecco perché il vero appassionato di musica, che non ha passione solo per il suo ascolto, ma per il fenomeno che costituisce nella sua interezza, a livello culturale, d’ispirazione, composizione, esecuzione, produzione e inevitabilmente per la sopravvivenza dell’artista e delle figure professionali che vi ruotano attorno, non può che aborrire quei sistemi: proprio in quanto lo allettano offrendogli la grande abbuffata, stante nell’offerta virtualmente illimitata di brani, a discapito di tutto quanto fa in modo che di musica si continui a comporne, eseguirne e produrne, essendo dediti espressamente ad affamare tutto quanto riguarda quegli aspetti, in quanto sta esattamente in quello la fonte primaria della loro profittabilità.

Senza contare, infine, che troppe volte mi sono trovato ad ascoltare tracce sommistrate da remoto fatte passare per codificati linearmente, ma che avevano il suono tipico di quelle compresse, oltretutto in maniera pesante, con perdita di dati.

Da che mondo è mondo, del resto, quantità, oltretutto abnormi, e qualità non sono mai andate d’accordo.

Al di là di questo, ancora non sono riuscito a trovare un impianto basato su sorgenti che riproducono file somministrati da remoto in grado di avvicinare la qualità d’ascolto basata sul supporto fisico. Al di là delle doti pretese riguardanti la cosiddetta alta definizione, che si dimostra per quello che è, l’ennesimo pretesto. Del resto, se ancora non si è riusciti a far emergere fino in fondo le vere doti della codifica digitale di base, quella del formato CD, puntare su un aumento del numero dei dati somiglia parecchio a un nonsenso, attuato per i soliti motivi di ordine propagandistico.

La liquida pertanto è il sistema più efficace di penalizzazione per le qualità sonore di un qualsiasi impianto. Come tale, metterla in liquidazione come merita una volta e per tutte, nel modo più spiccio e definitivo, è la cosa migliore che si possa fare.

Non solo per i motivi elencati fin qui, ma anche perché alla riproduzione musicale si è attribuita storicamente la funzione di apripista per le condizioni che si prevede di realizzare nel futuro di medio termine. Oggi il digitale predomina in ogni aspetto della vita quotidinana, tanto da tagliare fuori persino nel rapporto con le istituzioni e per l’esercizio dei propri diritti chiunque non sia in grado di padroneggiarne le tecniche di utilizzo, spesso cervellotiche, come avviene per tanti anziani. A questo proposito ricordiamo che il digitale, a livello di massa, ha avuto la sua prima espressione proprio nel CD, oltretutto reclamizzato con ostinazione e pervasività del tutto inimmaginabili solo poco tempo prima.

La liquida ha tutta l’aria di ricoprire le medesime funzioni, in quanto precorritrice del Non possiederai più nulla e non sarai mai stato così felice che è appunto lo slogan adottato dal World Economic Forum per il grande reset che ha intenzione di rendere pienamente operativo per l’anno 2030.

Per allora le oligarchie globali hanno intenzione di toglierci l’incombenza causata dal detenere ogni nostra ricchezza. E senza chiederci nulla in cambio, nella loro grandissima magnanimità. Di tutto quel che avremo bisogno non si dovrà far altro che prenderlo in affitto, da loro, ovviamente a titolo oneroso.

La musica liquida, ossia la somministrazione da remoto di tracce audio dietro abbonamento mensile, in apparenza conveniente ma che in realtà lo è solo per il prestatore del servizio, ricalca con precisione inqietante le linee di quel progetto. Non solo, ne costituisce anche la sperimentazione pratica, ora per una cosa ritenuta priva d’importanza come l’ascolto di musica, ma che probabilmente vedremo nel prossimo futuro allargarsi a macchia d’olio per tutte le forme di attività umana, proprio come avvenuto per il digitale.

Pertanto, chi ambisce a restare con una mano davanti e l’altra dietro da qui a pochi anni, per poter arricchire ancor più le élite che già detengono la stragrande maggioranza delle risorse esistenti su questo pianeta, e per conseguenza hanno acquisito un potere storicamente inaudito, si accomodi pure.

Nell’adagiarmi in tale condizione, una riflessione la farei: nel momento in cui si saranno appropriate di tutte le ricchezze di ciascun individuo, siamo sicuri che le predette élite riterranno conveniente mantenerlo in vita, in particolare considerando i fini di conservazione del pianeta di cui si sono fatte sostenitrici ai limiti del fanatismo, non prima di averlo lordato coi veleni e i rifiuti peggiori ai fini del loro arricchimento a dismisura, ma soprattutto la necessità di approntare servizi di mantenimento ipotizzabilmente molto complessi nella loro ideazione prima ancora che nel loro esercizio concreto?

Ricordiamo a questo proposito le parole dell’ormai ex ministro Cingolani, il quale a suo tempo ha sostenuto in pubblico che l’umanità è composta da “inutili parassiti”. Altri della sua risma, in forma più moderata, hanno parlato di mangiatori inutili: il comune denominatore sembra proprio l’inutilità che attribuiscono e il consumo di risorse di cui accusano chiunque non faccia parte dei loro circoli impenetrabili, abituati a spostarsi con jet personali e imbarcazioni simili a transatlantici privati.

Per non parlare dell’assimilazione che eseguono riguardo agli esseri umani, al livello d’insetti o peggio, che forse non è proprio indice di un equilibrio psichico particolarmente affidabile.

Come diceva il presentatore della TV, facciamoci una domanda e diamoci una risposta.

 

 

 

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2 thoughts on “Abbinare amplificatore e diffusori a costi abbordabili

  1. Ciao Claudio, mi ricollego alla lettera di Giampaolo. Condivido la tua disamina esaustiva , contestualizzata al periodo storico che aimè stiamo vivendo.
    Penso che con la cifra stanziata da Giampaolo, restando nell’ usato , si riesca ad assemblare un impiantino ben suonante , anche se per alcuni negozianti se non spendi almeno 5000 euro per il diffusore a la page manco ti ascoltano.
    Personalmente ascolto con soddisfazione utilizzando una coppia di diffusori di 40 anni fa, fatti ricappare e un amplificatorino integrato da una ventina di watt rimanendo abbondantemente sotto i 1000 eu. Ovvio che c’è di meglio , ma come dici tu Claudio a volte da più soddisfazione un impianto scelto con equilibrio piuttosto che un’accozzaglia di brand famosi assemblati alla rinfusa.
    Ultima riflessione sul costo di dischi e cd (la liquida non la prendo minimamente in considerazione) . Dischi che fino a 10 anni fa si trovavano a cifre ancora affrontabili , oramai sono triplicati, parlo dell’usato. In Italia poi come al solito tutto è piu caro.
    Scusa se sono stato prolisso.
    Cordiali saluti.
    Gianluca.

    1. Ciao Gianluca, grazie dell’attenzione.
      Non hai motivo alcuno di scusarti.
      Il nostro amico aveva intenzione di spendere 500 euro non per tutto l’impianto ma per i diffusori. Con meno di quella cifra una persona di mia conoscenza ha appena acquistato una coppia di B%W 804 Matrix praticamente perfetta. Si è fatto un viaggetto di qualche centinaio di chilometri tra andata e ritorno, ma ne è valsa senz’altro la pena.
      Quanto denaro serve oggi per acquistare un diffusore nuovo di caratteristiche paragonabili, ammesso e non concesso che lo si trovi? Ho ascoltato roba che costa 10 volte tanto e non regge il paragone nemmeno alla lontana.
      Ovviamente bisogna sapere cosa cercare e dotarsi di pazienza.
      L’equilibrio non dà maggior soddisfazione di roba scelta alla rinfusa solo qualche volta, lo fa praticamente sempre, anche se la spesa affrontata è inferiore. Proprio perché è la caratteristica essenziale di qualsiasi assemblaggio in grado di funzionare come si deve, non solo in campo audio.
      Parlare di dischi e CD in genere non ha molto senso, purtroppo. L’elemento essenziale sono i titoli: più decade la qualità media della produzione discografica, più quelli storici e più ancora i non facilissimi da reperire vanno su, è la legge del mercato.
      Molto poi dipende anche dalle edizioni. Certe prime stampe ad esempio erano inaccessibili già venti e più anni fa, quando si stava appena ricominciando a parlare di LP e molti si stavano ancora liberando delle loro collezioni. Quindi di materiale ce n’era tanto e a buon mercato, mentre la sua attrattiva era assolutamente lontana da quella di adesso.
      Poi sembra che la situazione venutasi a creare negli ultimi tempi sia stata come un colpo di pistola per gli appetiti di ogni tipo, che non aspettavano altro per dare la stura alla volontà speculativa di tanti.
      Almeno per i beni voluttuari li si lasci pure a baloccarsi coi loro sogni di gloria, tanto prima o poi un’occasione a prezzi decenti si trova.
      Fondamentale a mio avviso è non cedere alle tentazioni della grande abbuffata, apripista dello spossessamento generalizzato da tempo in agenda. Dati i compensi vergognosi che i servizi di somministrazione da remoto di file audio riconoscono agli aventi diritto, tanto vale abbeverarsi ai torrenti. Poi se una cosa piace si avrà modo di acquistarla, in maniera oltretutto più consapevole.
      A risentirti presto.

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