Sansui AU 888

Il modo con cui si guardano gli oggetti del passato credo costituisca un indicatore tra i più attendibili dell’età reale di un individuo. Il giovane riconosce immediatamente gli elementi della loro obsolescenza, che gli risultano estranei e quindi sostanzialmente incomprensibili. Col crescere dell’esperienza invece, quegli stessi elementi sono osservati in maniera meno critica, se non fin quasi con affetto, proprio perché appartenenti a un’epoca vissuta in prima persona, nei confronti della quale c’è spesso il ricordo, se non un fondo di nostalgia.

Le contraddizioni di un oggetto come quello di cui ci stiamo interessando sono ben evidenti, se lo si guarda con occhio consapevole. E’ altrettanto vero che sono proprio quelle ad attribuirgli una personalità che per gli oggetti di oggi non si arriva neppure a concepire. Abbinata a scelte estetiche ben calibrate, ne fanno un oggetto a cui tutti i miei più o meno coetanei cui l’ho mostrato hanno guardato con concupiscenza.

Ne hanno ben donde: il nero lucido del frontale, le scritte in oro dei comandi, la tonalità calda dell’involucro di legno che circonda il contenitore e le dimensioni compatte, sempre favorevoli ai fini del senso estetico,  fanno dell’AU 888 un oggetto di cui è facile desiderare il possesso.

Si potrebbe forse eccepire sulle manopole di tonalità contrastante, che negli anni successivi sarebbero divenute anch’esse nere, con solo lo spigolo lucidato: proprio in quanto tali significano l’appartenenza dell’integrato alla fase forse più eroica della riproduzione sonora, quella in cui si apprestava a trasformarsi in un fenomeno di massa. Si era nei primissimi anni 70, quando la stragrande maggioranza dei sapientoni di oggi non era nata o se lo era non aveva neppure idea dell’esistenza della riproduzione sonora di qualità.

In quel periodo un 50 watt per canale come l’integrato in questione costituiva un traguardo ambitissimo, dato che la media degli amplificatori più diffusi, anche se allora parlare di diffusione secondo il significato che le attribuiamo oggi era un eufemismo o meglio un’ambizione, si attestava tra i 20 e i 30 watt per canale. Se eccezione vi era, era più verso i 15 o addirittura i 10 watt, per canale, che non nel versante opposto.

Che la situazione fosse effettivamente quella descritta lo suggerisce già la sigla dell’integrato: il suo 888 sta appunto a significare l’appartenza all’alto di gamma dell’epoca. La dotazione del frontale lo testimonia ulteriormente, essendo fornita di tutto e di più: selezione per tre coppie di diffusori, controlli di tono a tre bande, con punto d’intervento selezionabile per le frequenze medie, filtri per bassi e acuti, loudness, muting, modalità di ascolto stereo, stereo rovesciato, mono solo canale sinistro, solo canale destro e somma dei canali, monitor per due registratori e possibilità di riversamento tra di essi in entrambe le direzioni. Proprio quest’ultimo controllo è un altro indicatore per l’età dell’integrato: è definito “tape to tape reprint”, a significare che la dizione “dubbing” ancora non era entrata nell’uso comune.

Come se non bastasse, sul retro ci sono gl’ingressi per due microfoni, il selettore per l’impedenza d’ingresso dello stadio fono e la separazione tra sezione pre e stadi finali.

 

Della dotazione tipica dell’alto di gamma di allora manca soltanto la doppia barra di segnale, atta a consentire l’ascolto di una sorgente diversa da quella che s’inviava alle uscite del registratore: trovò la sua diffusione qualche anno dopo e, secondo le convinzioni dell’epoca, segnò la differenza tra ciò che era consigliabile acquistare e quel che invece sarebbe stato meglio lasciare sugli scaffali dei rivenditori. Come vediamo era basata in massima parte sull’avere, una dotazione sempre più ridondante quanto inutile e dunque dannosa, oltreché costosa, piuttosto che sull’essere, un oggetto in grado di compiere il suo lavoro nel modo più efficace, tra l’altro secondo concezioni che in quel momento erano ancora di là da venire.

L’equipaggiamento dell’AU 888 comporta un aspetto indubbiamente ricco e di sicura seduzione per l’osservatore dell’epoca. Con gli occhi di oggi, e con la consapevolezza maturata nel frattempo è inevitabile chiedersi che razza di sonorità avrebbe potuto esibire quell’integrato, una volta liberato degl’interruttori, dei selettori e dei metri di cavo necessari per organizzare la funzionalità di quella serie di controlli destinata già in partenza a rimanere inutilizzata.

Il suo scopo primario, del resto, non era ampliare le possibilità operative dell’amplificatore di cui faceva parte, ma connotarlo in maniera tale che fosse inconfondibile già a prima vista la sua appartenenza a una classe di prodotti di livello superiore, senza conoscerne il prezzo o la potenza di targa.

Da una dotazione tanto generosa traeva lustro anche la reputazione del possessore di un amplificatore siffatto, dato che per l’osservatore comune il significato di quelle funzioni era del tutto incomprensibile. Dunque chi avesse saputo districarsi tra di esse acquisiva all’istante, in primo luogo di fronte a sé stesso, un’immagine d’intenditore, all’altezza della tecnologia più avanzata e raffinata di quell’epoca e in buona misura oscura per i non iniziati.

La componente di lusinga e d’incentivazione dell’autostima ha avuto probabilmente un ruolo significativo nelle politiche commerciali volte alla conquista dell’acquirente, finendo con l’imporre la modalità realizzativa delle apparecchiature stesse. Nel momento in cui un approccio del genere dettava legge, e rinunciare a certe cose non era solo impensabile ma anche elemento originatore di paure fin quasi ancestrali nell’utilizzatore, per buttarsi tutto ciò dietro le spalle e andare in direzione completamente opposta, mediante la realizzazione di apparecchiature essenziali, nelle quali la stessa eliminazione di tanta zavorra era il primo e più efficace elemento migliorativo per la qualità sonora, oltretutto in misura parecchio significativa, ci voleva un certo coraggio.

Insieme naturalmente alla capacità di rischiare capitali come quelli necessari innanzitutto a concepire e poi a realizzare una nuova generazione di apparecchiature, quelle grazie a cui in definitiva si è realizzato il passaggio all’età matura della riproduzione sonora. Non a caso fu definita rinascimento, essendo finalmente caratterizzata dalla presa di coscienza che la qualità d’ascolto non si gioca sulle possibilità d’intervento nei confronti del segnale, o peggio su uno smanettamento in larga parte scriteriato, e ancora più spesso volto a colmare le deficienze soniche delle apparecchiature, sia pure solo in apparenza, ma sulla capacità di portare alle uscite il massimo possibile delle prerogative che il segnale presenta in ingresso.

Detta così, e sulla base delle concezioni attuali, può sembrare una banalità, ma allora non lo era assolutamente. Si trattò infatti di una svolta epocale che costrinse a un vero e proprio capovolgimento per il modo di pensare e di approcciarsi alla riproduzione sonora.

Iniziò così il periodo del suo massimo splendore, che ebbe però vita breve, in quanto chi si trovò a essere spodestato anche solo in parte dalle posizioni di dominio assoluto che aveva presidiato a lungo, e sulle quali esercitava un monopolio sostanziale che presumeva inattaccabile, cercò ovviamente di trovare il modo per mettere fuori gioco quelli che considerava usurpatori. Tantopiù fastidiosi quanto dimostravano coi fatti di avere ragione, almeno nei segmenti di mercato ritenuti fondamentali.

Se la strada della semplificazione mostrava la capacità di produrre un tale rivolgimento, ed era il terreno più adatto per antagonisti sempre più pericolosi e in numero crescente, la risposta non poteva che riguardare un ulteriore spostamento per l’asse dello sviluppo verso la complicazione. Spinta però a un punto tale che fosse semplicemente impenetrabile per quello che si considerava un parvenu, o meglio ancora un intruso, e giocata non più sul fronte della dotazione ma proprio su quello inerente il nucleo funzionale del sistema.

Il digitale e poi il multicanali furono particolarmente congruenti allo scopo: il primo lasciò ancora qualche spazio agli artefici della semplificazione, previo pagamento di onerosa tangente, leggi royalties, alla triade Philips-Sony-Sanyo per i diritti di utilizzo del formato e l’acquisizione delle meccaniche e dei sistemi di controllo e di elaborazione del segnale digitale, che era impensabile realizzare in proprio, dati i costi connessi con un’operazione del genere.

In questo campo si ebbe una prima rivincita per i marchi della tradizione, dato che il prodotto dei semplificatori difficilmente risultò all’altezza, proprio in quanto il nuovo formato non lasciava spazio, all’interno delle apparecchiature, per l’applicazione della loro ricetta. O meglio, lo spazio, volendo, ci sarebbe anche stato ma non era praticabile dal punto di vista dei costi di produzione. Non va dimenticato infatti che i semplificatori potevano contare su un bacino d’utenza potenziale ben più limitato, e prima ancora su capacità di produzione neppure paragonabili a quelle dei mostri sacri. Pertanto si trovavano per larga parte esclusi dai cospicui vantaggi in termini di economie di scala appannaggio di questi ultimi.

I marchi del gotha d’altronde erano ben consapevoli dei loro effetti e per conseguenza spinsero ancor più sul pedale della massificazione e dell’unificazione del prodotto, scelta discutibile in un contesto come quello di nostro interesse, che avrebbe mostrato le sue conseguenze. In particolare nel lungo termine.

La seconda rivincita fu propiziata dal multicanali, che non a caso per diversi anni ha monopolizzato i segmenti di mercato di maggior diffusione e in buona parte anche quelli dell’alto di gamma a indirizzo meno specialistico. Per conseguenza, infatti, le amplificazioni stereofoniche di segmento medio e medio alto scomparvero del tutto e insieme ad esse le possibilità dei semplificatori di continuare ad affermare il loro prodotto.

Una volta che rilevai l’accaduto, guarda un po’ la combinazione, alla rivista con cui collaboravo pervenì una lettera il cui testo era una sequela di accuse, in larga parte pretestuose e ancora più aggressive, nei miei confronti. Fu regolarmente pubblicata sul primo numero raggiungibile, ovviamente senza darmene notizia così che avessi potuto almeno rispondere. Seppi della sua esistenza solo quando il numero in questione era stato pubblicato ormai da tempo. Riprova della realtà esistente in quei begli ambientini e della statura etica e intellettiva di quanti operavano al loro interno nel ruolo di decisori.

A dispetto di certuni, comunque, le amplificazioni stereofoniche tornarono in breve a ricoprire il loro posto sul mercato. Ciò avvenne non appena il multicanali fu travolto dal suo destino, segnato già in partenza date le sue incompatibilità con la stragrande maggioranza delle abitazioni in cui si proponeva di entrare.

Gli artefici della semplificazione ne vennero proprio tagliati fuori, non solo per la complicazione delle apparecchiature che rendeva sostanzialmente impossibile il ricorso a determinati accorgimenti, ma ancor più per i costi connessi con l’acquisizione delle tecnologie necessarie e della componentistica a elevato grado di integrazione ad esse legata.

Il colpo finale venne dato dal DVD, allora salutato dal consueto battage martellante come innovazione epocale, finalmente in grado di dischiudere i destini magnifici e progressivi connessi al digitale, ma che oggi nessuno ricorda più.

In sostanza quella che si è svolta sotto i nostri occhi, senza che ce ne rendessimo conto, è stata una guerra. Commerciale ovviamente ma combattuta senza fare prigionieri come e peggio di quelle vere. Volendo oltretutto far credere che i suoi diversi capitoli fossero le tappe successive di un progresso inarrestabile per definizione, tendente a fornire la soddisfazione massima al consumatore. Invece si è trattato soltanto di uno scontro dettato dalla volontà di di controllare in esclusiva un mercato potenzialmente molto ricco. Come tale, in grado di portare profitti ingentissimi una volta che si fosse riusciti a reimpossessarsene nel modo desiderato.

Come in ogni conflitto degno del suo nome non ci si è fatti mancare nulla, innanzitutto a livello di lotte intestine nelle fazioni a confronto. Soprattutto in quella dominante per mezzi e strapotere finanziario, ossia laddove le questioni d’interesse hanno dimensioni maggiori e a volte soverchianti. Esempio tipico la separazione tra Sony e Philips che trasformò i due ex collaboratori in rivali irriducibili, proprio alla vigilia della presentazione ufficiale del loro lavoro in comune, il CD.

Il marchio olandese per conseguenza si trovò privo delle apparecchiature da pubblicizzare e da inviare ai rivenditori proprio al momento cruciale, sicché quello che all’improvviso era diventato il suo peggior concorrente ebbe campo libero per il tempo necessario a costruirsi un vantaggio che in seguito non è stato più colmato. A questo ha fatto seguito un’altra serie di scelte suicide, spinte a un livello tale di autolesionismo che piuttosto di lasciare qualche spazio all’avversario, per una convivenza senz’altro possibile e in potenza persino proficua, si è preferito devastare il settore, portandolo in sostanza a quello che è oggi: una nicchia della sottonicchia.

Così facendo si sono trascinati a fondo nel destino che è stato deciso per esso anche i suoi frequentatori, come suggeriscono le diatribe penose che si trascinano sempre uguali a sé stesse su forum e gruppi social dedicati all’argomento.

Una tattica autolesionista, insomma, che ha prodotto qualcosa di molto peggiore di una semplice vittoria di Pirro. Tanto è vero che dei nomi più celebri e celebrati di allora non ne rimane praticamente nessuno, mentre i pochissimi che si sono salvati fanno ormai parte d’imperi finanziari all’interno dei quali non contano nulla. Per conseguenza hanno perduto ogni autonomia, in primo luogo a livello concettuale, e così sono ridotti a reiterare le medesime logiche, secondo una mera imitazione di sé stessi che di giorno in giorno si fa più ripetitiva e priva di contenuti, al punto di divenire una sostanziale allegoria.

La natura però non tollera il vuoto e ogniqualvolta la scelleratezza di certi umani ne produce uno va immediatamente a colmarlo. Non potendo materialmente replicare la qualità di ciò che è stato, mancando ormai il personale della caratura necessaria, si tenta di sopperire con la quantità.

Abbiamo così un vero e proprio nugolo di marchi senza storia né memoria che ha preso piede nel nostro settore, appunto secondo le consuetudini oggi in voga. Riguardano in particolare la realizzazione di prodotti privi di ogni personalità, di merito neppure a parlarne, che come i marchi che li presentano vivono un giorno o forse meno.

Tanto dura l’impeto della presentazione/esaltazione che ne viene fatta dai media di settore, o per meglio dire perpetrata, secondo la logica inflessibile della heavy rotation di stile radiofonico coi suoi ritmi forsennati. Ieri non esistevano, oggi sono sulla cresta dell’onda ma già domani saranno dimenticati. Sostituiti da altri che ancor prima di nascere sono segnati dalla stessa sorte.

Inutile quindi affannarsi a profondere una qualsiasi prerogativa in oggetti del genere, non avrebbe proprio senso alcuno. A spingerli ci pensano comunque i meccanismi della propaganda, previa oliatura dei relativi ingranaggi, per quel poco che possono durare. Per tutto il resto prevale la logica del Prendi i soldi e scappa, come Woody Allen ha intitolato profeticamente uno dei suoi primi film, se non il primo in assoluto, nell’ormai lontano 1969.

Forse nemmeno lui ha immaginato che la sua provocazione sarebbe diventata non una consuetudine ma proprio un dettame da cui affrancarsi è sempre più arduo e inconcepibile. Dimostrazione ennesima del punto a cui è arrivato il capovolgimento del mondo che siamo abituati a conoscere: un tempo si diceva che la storia si ripete, presentando i suoi accadimenti prima in tragedia e poi in farsa. Da un certo punto in poi, ossia da quando il liberismo nichilista anarcoide ha preso definitivamente il sopravvento, abbiamo potuto osservare che gli eventi sono andati sovvertendo sempre più spesso il ciclo che hanno rispettato per secoli, così da presentarsi prima in farsa e poi in tragedia.

Del resto quando la ragionevolezza viene meno, si finisce col perdere anche il senso del ridicolo: inevitabile a quel punto ritrovarsi nelle condizioni di procurare i guai peggiori, dei quali non si riesce più neppure a comprendere le cause, conseguenza stessa dello smarrimento del più blando freno inibitore.

 

A cavallo tra antico e moderno

Se dall’esterno l’AU 888 denuncia la sua epoca d’appartenenza a qualsiasi occhio minimamente attento, osservandone le modalità realizzative si rilevano le scelte di carattere transitorio a cui sono uniformate. Da un lato, quello inferiore, si rifanno alla fase precedente, quella delle connessioni punto-punto e all’apparente disordine che ne deriva, in realtà caratterizzate dall’efficacia funzionale di gran lunga maggiore. Sono però indicate a modalità di assemblaggio esclusivamente manuali e come tali limitative per i volumi di produzione cui si è deciso di arrivare nel momento in cui il settore si avviava verso la sua massima espansione.

Sul versante opposto invece, quello cui si accede rimovendo la copertura di legno, si ha l’impressione di trovarsi di fronte a un oggetto di grande modernità, come suggeriscono le circuitazioni alloggiate su schede distinte, montate per mezzo di connessioni a pettine sulla scheda madre destinata ad accoglierle. Sembrerebbe quasi una costruzione da personal computer ante litteram, ai fini della quale la produzione di grande serie stava iniziando a imporre le sue leggi.

Ne deriva una disposizione dei componenti molto più piacevole per l’occhio, ma che come abbiamo rilevato tante volte non va quasi mai d’accordo con l’orecchio. E’ quella cui la pubblicistica di settore inneggia in maniera incessante ormai da decenni, esaltando l’ordine della realizzazione interna come elemento primario per qualsiasi apparecchiatura. In gran parte perché non è in grado di dire altro al riguardo, stabilendo così un ulteriore luogo comune, doverosamente ripetuto a pappagallo dagli appassionati che seguono quelle fonti in maniera indefessa.

Quel preteso ordine non è indice di superiorità realizzativa, semmai è il contrario: per le conseguenze che comporta in termini di allungamento dei percorsi di segnale e di moltiplicazione dei punti di dispersione e creazione di dannose differenze di potenziale, nonché di aumento, non di rado abnorme, a cui costringe riguardo al cablaggio interno.  Soprattutto è la conseguenza delle tecniche di produzione in grande serie, a favore delle quali, e della loro economicità su larga scala, si è ritenuto necessario chiudere un occhio e più spesso tutti e due riguardo alle conseguenze pratiche che ne conseguono. In termini di funzionalità e soprattutto di sonorità.

Come diceva Carl Gustav Jung, pensare è faticoso, anche quando i termini della questione sono così evidenti per qualsiasi occhio intenzionato a osservare. Quindi la stragrande maggioranza tende a giudicare, rigorosamente secondo i criteri del luogo comune più deteriore, stigmatizzando tutto quanto non vi aderisca. Ancor più dopo un martellamento corbellatorio che va avanti da tanto tempo e quel che è peggio, senza capire il reale significato di ciò che sostiene con tanta veemenza e sincronicità indefettibile.

D’altronde la media degli appassionati vuol vedere i componenti allineati e coperti come tanti soldatini, mentre il cablaggio interno deve essere rigorosamente nascosto, come se non esistesse. Lo detesta, nella stessa misura e con la medesima logica secondo cui le rispettive consorti aborrono vedere i cavi dell’impianto correre sul pavimento nel salotto buono.

Del resto l’assetto visivo che ne deriva è così appagante… Per l’occhio ovviamente, dato che ormai è lui che comanda e se il senso dell’udito ne viene penalizzato chi mai potrà accorgersene? Proprio per quello del resto il Coro Degli Entusiasti A Prescindere è in servizio attivo permanente, e col ricamare le cronache rosa delle sue estasi onaniste non ha difficoltà alcuna nel mettere a tacere qualsiasi dubbio, nell’ormai remota ipotesi che si presenti.

Purtroppo l’AU 888 pervenutomi aveva il potenziometro del volume non funzionante, a causa della rottura dell’alberino che collega meccanicamente le due sezioni da cui è costituito. Quindi non è stato possibile ascoltarlo nelle condizioni in cui si trovava. Le apparecchiature consimili ne utilizzano di provvisti delle prese necessarie al funzionamento del loudness, che oggi purtroppo si trovano con grande difficoltà.

La sostituzione è avvenuta per mezzo di un esemplare del tipo a resistenze commutate, che non solo è molto più preciso nelle attenuazioni conferite a ciascun canale, ma ha anche il pregio di suonare in modo migliore. A questo proposito va tenuto conto che proprio la qualità del potenziometro è fondamentale per le doti timbriche dello stadio di preamplificazione, che a sua volta influisce in maniera significativa sul comportamento all’ascolto dell’integrato nel suo insieme.

Il difetto di questi componenti è che sono piuttosto ingombranti, quindi il loro impiego non è sempre possibile. Lo spazio all’interno dell’888 per fortuna non mancava e così non ci sono state soverchie difficoltà, almeno per questo intervento.

Il resto del lavoro di revisione si è concentrato come al solito sulla sostituzione integrale della componentistica più esposta all’usura, che data l’età dell’integrato era esausta già da tempo.

Come rilevato più volte, un lavoro del genere non permette soltanto di recuperare l’affidabilità per forza di cose venuta meno, ma anche di dare all’insieme una nuova vitalità in termini di qualità sonora, migliorandola oltretutto in maniera ben percettibile, in particolare se si fanno le scelte giuste.

Dunque la preferenza va a dirigersi verso la qualità del prodotto, anche se questo comporta una spesa maggiore. Sarà un’idiosincrasia, un vezzo dovuto magari all’abitudine maturata a suo tempo di confrontarmi coi nomi allora usuali nel panorama della componentistica, ma di rivolgermi al prodotto dei marchi improbabili già nella loro pronuncia, che denota origini inequivocabilmente cinesi, e standard manifatturieri ignoti, proprio non mi riesce. Anzi mi viene istintivo il rifiuto nei loro confronti.

A volte, ma non sempre, i loro prezzi sono allettanti. Il risparmio che permettono, moltiplicato per le decine di componenti che di solito si vanno a sostituire può apparire significativo. A mio avviso comunque non vale le incertezze, soprattutto in termini di sonorità, ma anche di affidabilità soprattutto a termine medio-lungo, che deriva dalla loro adozione.

In genere i componenti di qualità hanno dimensioni alquanto più generose degli altri, malgrado ciò quando s’interviene sulle apparecchiature di età simile a quella dell’AU 888 è sorprendente osservare come a parità di valori di capacità e sovente anche con tensioni sopportate maggiori, siano decisamente più compatti di quelli di un tempo. Un occhio pignolo ma disattento potrebbe sospettare si sia voluto lesinare su di essi quando invece si è fatto l’esatto contrario, proprio a causa delle caratteristiche tipiche della componentistica attuale rispetto a quella di un tempo. Basta aguzzare la vista fino a leggere i valori di ciascun componente per capire come stanno le cose. Anzi, per i condensatori di filtraggio se possibile si cerca sempre di aumentarne il valore, sia per capacità che per tensione, favorendo così le doti energetiche dell’apparecchiatura e il loro mantenimento nel corso del tempo.

Un ultimo tocco ha riguardato la sostituzione del cavo di alimentazione, sia pure nell’impossibilità di montare una presa tripolare IEC che avrebbe offerto la massima libertà a questo riguardo. Si è però deciso di non intervenire in maniera invasiva come si sarebbe reso necessario, quindi si è optato per un cavo di buona generosità, senz’altro più adeguato rispetto a quello striminzito di primo equipaggiamento, che oltre all’effetto degli anni sulla copertura esterna aveva il conduttore con segni evidenti di ossidazione.

E’ evidente che in condizioni simili l’amplificatore non potesse operare se non a discapito delle sue prestazioni ma soprattutto dell’affidabilità e delle condizioni minime di sicurezza.

Dal cambio trae vantaggio ovviamente anche l’afflusso di energia, che lo si voglia o meno è direttamente responsabile del comportamento dell’amplificatore, anche e soprattutto a livello sonico.

Terminato il lavoro con la rimozione dell’ossido formatosi sui connettori d’ingresso, operazione che già da sola produce risultati significativi, era ora di riaccendere l’AU 888. Ha messo in evidenza una sonorità chiara e di nitidezza considerevole, in particolare tenendo presente la sua origine, in un contesto realizzativo che resta comunque penalizzato dalla dotazione ridondante. Anche il dettaglio si è rivelato più che soddisfacente, considerando quanto appena detto, paragonabile a qualsiasi amplificatore moderno e abbinato a un’assenza di metallicità e asprezze che nelle realizzazioni moderne non è da dare per scontata.

Per quel che riguarda l’erogazione di energia, i 50 watt per canale dell’888 hanno dimostrato di essere di una razza ben solida, permettendogli di pilotare allegramente la coppia di JBL L100 di cui abbiamo parlato tempo addietro. Non solo lo ha fatto, ma ha permesso ai diffusori di esprimersi su livelli valutati da chi li conosce bene del tutto irraggiungibili nella loro configurazione originale.

Anch’essi peraltro erano stato sottoposti a un intervento di ottimizzazione che ha reso ancora più esplicite le qualità  da sempre riconosciute loro, minimizzando nello stesso tempo la maggior parte dei difetti altrettanto noti, dovuti non alle caratteristiche di progetto o ai loro altoparlanti, ma alle scelte effettuate riguardo alle condizioni di contorno in cui operano, del tutto misconosciute all’epoca e quasi sempre trascurate ancora oggi.

Forse l’AU 888 non ne avrà sfruttato completamente le potenzialità di emissione in termini di pressione sonora, ma di sicuro ha permesso di porre in evidenza la loro timbrica a livelli d’ascolto che in un comune appartamento sarebbero già sovrabbondanti, sempre conservando la necessaria pulizia e mantenendo la riserva di energia necessaria ad affrontare senza cenni di fiato corto la dinamica propria delle registrazioni meglio eseguite.

Per un integrato di 51 anni fa non è proprio niente male.

 

Per finire sentiamo cosa ne pensa Andrea, il possessore sia del Sansui che dei JBL:

Sono venuto in possesso dell’amplificatore integrato Sansui AU-888 all’inizio di quest’anno. Vista l’importanza storica del componente, la sua rarità e soprattutto la sua “bellezza” sia estetica che costruttiva, ho deciso di affidare a Claudio il restauro dell’apparecchiatura che non era mai stata aperta.

Il lavoro di Claudio non ha assolutamente deluso le mie aspettative. Lo uso da qualche mese con delle JBL L100 Century, anch’esse messe a punto da lui. Queste ero riuscito a provarle prima della sua “cura”, sebbene con un altro amplificatore.

Non ho molta dimestichezza coi termini più appropriati ma il suono ora è molto nitido e i bassi veramente profondi. Non c’è proprio confronto rispetto al suono precedente, soprattutto in termini di fluidità, dettaglio e “rotondità”.

Non so se questa è la parola giusta da usare, ma mi sembra la più adatta a descrivere la mia impressione.

Di recente ho acquistato un CD dei Dire Straits in edizione SBM e con questo impianto si sente da dio… Non riesco a smettere di sentirlo e mentre va non posso fare a meno di pensare che l’impianto messo a punto da Claudio è davvero una favola. Puoi tenere il volume anche molto alto e non ti da mai fastidio. Ha un suono eccezionale. Almeno per le mie orecchie.

Vorrei anche aggiungere una considerazione “da architetto”. Tutti quelli che vengono nel mio studio e vedono l’ampli e le casse, cui ho aggiunto un sintonizzatore sempre di Sansui, e li sentono suonare, rimangono impressionati. Sia dal punto di vista estetico, sia dal punto di vista sonoro.

Quindi posso dire di essere soddisfattissimo di entrambi i lavori e in futuro sicuramente mi avvarrò ancora di Claudio e del suo prezioso lavoro.

Grazie Andrea delle tue belle parole e a risentirci presto.

 

Potrebbe interessarti anche

2 thoughts on “Sansui AU 888

  1. Ciao Claudio, complimenti per l’articolo, l’ottimizzazione e il recupero di “vecchie” elettroniche è a mio parere un argomento molto interessante. Continuo a seguirti sul tuo bel sito.
    Cordiali saluti.
    Gianluca.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *