A completamento della prima parte di questo articolo mi sembra indicato descrivere un esperimento che ritengo fondamentale per l’argomento che in essa si è trattato.
Non solo per la comprensione di determinati fenomeni, ma anche per il modo in cui un qualsiasi individuo può essere spinto a dirsi convinto di tesi che in cuor suo sa perfettamente siano errate. E, in conseguenza di quanto appena detto, come alle piattaforme in apparenza destinate alla socializzazione e alla comunicazione tra le persone si possano in realtà attribuire scopi di controllo delle percezioni e delle reazioni.
Quindi, in definitiva, dei comportamenti, a livello individuale e di massa.
Tutto questo solo ai fini degli elementi che c’interessano, ossia quelli legati alla riproduzione sonora. Nonostante ciò il momento in cui si ha la possibilità di influire sulle scelte dell’individuo, si possono non dico controllare ma quantomeno direzionare questioni politiche, ideologiche, commerciali, di costume e così via lungo un elenco potenzialmente infinito, ancor più per quanto riguarda le loro possibili conseguenze.
Cosa abbia a che fare, tutto questo, con la democrazia e quali siano gli effetti su di essa comportati da determinati meccanismi è un quesito a cui ciascuno potrà dare la risposta che ritiene più opportuna. Al riguardo credo sia interessante rilevare che gli studi come quello di cui ci apprestiamo a parlare abbiano subito una forte accelerazione in un momento storico ben preciso. Quello in cui i Paesi che si sono attribuiti il ruolo di liberatori e portatori di democrazia, dopo aver acquisito il potere maggiore in seguito a un conflitto con cui hanno raso al suolo un intero continente, allo scopo di debellare le dittature ivi esistenti, che minacciavano di mettere tutto il mondo sotto il loro tallone, hanno sentito la necessità di stabilizzarlo in via definitiva.
Che le dittature che a un certo punto si è ritenuto necessario abbattere, in una fase precedente al conflitto siano state sostenute e finanziate con grande generosità da quegli stessi liberatori ed esportatori di democrazia è un dettaglio trascurabile, del tutto insignificante.
D’altro canto se prima non fai in modo che s’instauri una dittatura, come fai, poi. a esportare la democrazia? E se in realtà si tratta della forma più esasperata e totalitaria di capitalismo anarcoide chi se ne accorge? Più importante invece è che se la democrazia non riesci a esportarla, il complesso militar industriale che è la spina dorsale del tuo Paese ne soffrirà, causando un regresso del prodotto interno lordo. L’economia potrebbe finire in recessione, mettendo in discussione il ruolo che ti sei attribuito, di dominatore assoluto a livello globale nonché di poliziotto e giudice al tempo stesso di ogni assetto istituzionale che un qualsiasi popolo sull’intera faccia della Terra decida di attribuirsi.
Prima di entrare nello specifico dell’argomento, credo sia necessario osservare come l’utilizzo di determinati strumenti di comunicazione oggi resi disponibili dalla tecnologia informatica non debba avvenire per forza di cose su un criterio di malafede, tuttaltro. Avendo una sincera passione per la materia, ovvero la riproduzione sonora, l’idea di aprire uno spazio in cui si possa discutere con altri appassionati appare del tutto consequenziale, se non proprio fisiologico.
Tuttavia determinati fenomeni esistono e sono stati sperimentati e studiati proprio per la loro importanza ai fini della realtà che tende a prodursi all’interno di una qualsiasi comunità, la formazione delle quali è oggi grandemente facilitata dall’impiego dei mezzi di comunicazione più in voga. Averne consapevolezza quindi è da ritenersi essenziale, come pure l’agire di conseguenza, quando invece è facile imbattersi nei segnali tipici di modalità d’azione squisitamente casuali, che come tali hanno ogni probabilità d’indurre gli effetti peggiori del fenomeno che ci apprestiamo a esaminare.
Detta realtà riguarda i comportamenti del singolo e la loro influenzabilità quando entra a far parte o comunque si trova all’interno di un gruppo di suoi simili.
Nell’indagine condotta a tal fine il dottor Solomon Asch, docente all’Università della Pennsylvania, nell’ormai lontano 1951 eseguì un esperimento tutto sommato semplice, quantomeno negli strumenti ad esso necessari.
Lo psicologo polacco infatti si servi di due semplici fogli di carta: sul primo disegnò un’asticella di una determinata altezza, sul secondo riprodusse la medesima asticella, però mettendogliene vicine altre di altezza diversa, riscontrabile già a colpo d’occhio.
A quel punto chiese al suo campione, formato da un certo numero d’individui, presi uno per uno, di scegliere quale delle asticelle presenti sul secondo foglio corrispondesse a quella tracciata sul primo.

Seguendo questa procedura, Asch ottenne una percentuale di scelte corrette vicina al 100%. Nulla di strano, anzi si potrebbe definire la cosa come una scoperta dell’acqua calda. Chiunque, in possesso di una vista e di un senso delle proporzioni appena decente riuscirebbe a identificare senza difficoltà l’asticella dell’altezza giusta. Solo che questo è appena il prologo, o meglio l’approntamento dello strumento di riscontro.
In realtà l’esperimento vero comincia nel momento in cui il soggetto a cui si chiede di riconoscere l’asticella giusta tra quelle presenti sul secondo foglio viene inserito in un gruppo di 8 persone, a cui viene fatta la stessa domanda. Sebbene possano sembrare anch’essi parte dell’indagine, in realtà gli altri componenti del gruppo sono complici dello sperimentatore, istruiti per dare risposte sbagliate. Non da subito, ma a partire dal terzo giro di distribuzione dei fogli.
In questa nuova fase si chiede ai complici di scegliere l’asticella che ritengono corrisponda a quella del primo foglio, lasciando per ultima la “cavia”.
Quando i complici iniziano a rispondere in maniera concorde ma errata, il 75% dei soggetti si adegua almeno 1 volta su 12 distribuzioni di schede. In termini assoluti, i soggetti sperimentali danno risposte errate in un terzo dei casi, quando invece senza il condizionamento del gruppo le risposte esatte sono pari al 98%.
L’esperimento descritto dimostra così che l’unanimità è conseguenza della sensibilità del singolo alla pressione esercitata dal gruppo di cui si trova all’interno. Lo scopo era dunque di comprendere se e come l’appartenenza a un gruppo possa modificare o meno il comportamento del singolo, per conformarlo alle aspettative del gruppo stesso. Le ragioni del conformismo risiedono nelle risposte che ciascuno si dà a due domande fondamentali, quelle che in genere ci si pongono prima di esprimere un giudizio in pubblico: la mia opinione è corretta? Gli altri mi approveranno, mi accetteranno?
Queste due domande risentono di due diversi tipi di pressione da parte del gruppo. La prima è definita “influenza informativa”: induce alcuni soggetti a subire una vera e propria distorsione del loro giudizio personale e a credere davvero che l’opinione generale sia quella corretta e meglio informata. Nella gran parte dei casi, tuttavia, è però quella definita “pressione normativa” a indurre il conformismo: si è consapevoli che il proprio giudizio è corretto ma si sceglie di distorcere la propria risposta per conformarsi alle attese del gruppo, adottando norme, comportamenti e criteri presenti in esso. Questo conformarsi alla maggioranza nasce dall’esigenza di sentirsi accettati, mostrandosi uguali agli altri, e dal bisogno di piacere, per evitare lo sgradevole disaccordo col gruppo o per timore di essere ridicolizzati o emarginati.
Più un gruppo è coeso e numericamente grande, più la maggioranza dei suoi membri tenderà a uniformarsi ai valori e al consenso sociali. Perdendo così, o meglio ancora rinunciando in maniera più o meno consapevole, all’autonomia del giudizio su questioni di tipo oggettivo e di tipo soggettivo. Dunque, in ultima istanza alla stessa libertà di pensiero, di analisi e di sintesi.
Adesso che abbiamo compreso il funzionamento del meccanismo, immaginiamo cosa potrebbe succedere se un bel momento qualcuno decidesse di mettere su un bel gruppo social e con l’aiuto di alcuni compari andasse a magnificare le prerogative di un qualsiasi oggetto o di una serie di essi, possibilmente quelli dotati dell’equipaggiamento più indicato alla riuscita dell’esperimento.
Come, a puro titolo di esempio, suggestivi vu meter illuminati del più bel blu dipinto di blu, che per maggior sicurezza col passare del tempo vengono sempre più ingigantiti nelle loro dimensioni e senza tema di rasentare il ridicolo, figuriamoci il pacchiano, in modo tale da assicurarsi che nessuno possa fare a meno di notarli e di subire il loro fascino, indubbio.
Cosa potrebbe succedere se invece di essere solo 7, i persuasori occulti divenissero 700 o magari 70mila? Già, perché l’esperimento appena descritto non è stato approfondito ulteriormente, ma quale potrebbe essere l’incidenza e il conseguente tasso di contagiosità, a livello d’idee e di giudizio ovviamente, indotto dai soggetti che uno dopo l’altro si adeguano alla scelta di massa, come topi che seguono il pifferaio magico?
Quale accelerazione andrà a subire la stessa azione di contagio all’aumentare dei portatori dell’idea dominante e quando diventano maggioranza schiacciante? Cosa accadrà, inoltre, nel momento in cui invece di distinguere variazioni palesi e basate su elementi concreti, come quelle della lunghezza di alcune asticelle, si andrà su aspetti nettamente più aleatori o solo che richiedano un’educazione sensoriale ben precisa e per nulla facile da costruire ai fini del discernimento?
Ancora, quanto seguito si può avere nel momento in cui si assumono posizioni diverse o in contrasto con quelle di una maggioranza schiacciante, sia pure aggregatasi nei modi che abbiamo visto e quindi non per questo devono essere realistiche?
Elementi distorsivi della realtà, come quelli di cui l’esperimento di Asch ha messo in evidenza l’efficacia, tantopiù in un contesto in cui la comunicazione attraverso strumenti virtuali assume un rilievo sempre maggiore, quali effetti possono produrre nel breve e peggio ancora nel medio-lungo termine?
E’ possibile, in un contesto siffatto mantenere una posizione indipendente da parte di qualsiasi organo d’informazione? O per caso, se inserito nell’attuale realtà capitalista, dove una qualsiasi impresa deve comunque mantenere una sua percorribilità a livello economico, non fosse altro perché chi redige i testi ha comunque bisogno di mangiare, bere e avere un tetto sulla testa, è destinato al fallimento?
Con quali risultati ai fini dell’offerta informativa e per l’adempimento, da parte del sistema che se ne fa carico, al dovere di offrire una visuale di ampiezza adeguata e realistica nei confronti di quel che ci circonda? Tanto più nei confronti di un mercato in cui il far leva su sogni e suggestioni, più che sulla realtà concreta, è parte significativa della strategia commerciale di molti tra gli attori in esso operanti?
La gabbia delle scimmie
Un secondo esempio, ancora più indicativo nelle sue conclusioni. può essere dato dall’esperimento eseguito da un altro ricercatore. Costui ha chiuso un certo numero di scimmie in una gabbia, dove su un lato della stessa c’era un casco di banane messo in cima a una scaletta, dimodoché per raggiungerle fosse necessario arrampicarsi su di essa.
Nel momento in cui una scimmia provava ad arrampicarsi, partiva un getto d’acqua ghiacciata, che colpiva l’intera gabbia con scopo evidentemente dissuasivo.
In breve tutte le scimmie hanno compreso che non era il caso di provare a raggiungere le banane, perché il solo risultato sarebbe stato quello di prendere l’ennesimo bagno.
A quel punto il ricercatore ha iniziato a sostituire le scimmie presenti nella gabbia, una alla volta. Ovviamente la nuova arrivata, inconsapevole, provava ad arrivare alle banane, ma come si avvicinava alla scaletta le altre la dissuadevano. Una sostituzione dopo l’altra, l’azione dissuasiva tornava a ripetersi regolarmente, anche da parte delle nuove entrate. Si è arrivati così al punto in cui nemmeno una delle scimmie presenti nella gabbia aveva fatto l’esperienza diretta del getto d’acqua ghiacciato. Malgrado ciò nessuna si avvicinava più alle banane: in sostanza quella era l’usanza e ad essa ci si uniformava.
In realtà questa è la parte “facile” della questione. Quella più difficile, almeno da riprodurre in laboratorio, riguarda il destino di quanti sono più interessati alla realtà concreta, al suo riconoscimento, alla sua corretta testimonianza e alla costruzione di un’esperienza dal significato concreto rispetto a quel che gli altri penseranno di loro, una volta che manifesteranno la loro opinione difforme.
Cosa gli accadrà, nel breve termine e in quello medio-lungo? E’ possibile che la comunità di quelli che definiremo adeguati, non in funzione di aggettivo o almeno non primariamente, ma come participio passato del verbo adeguarsi, alla visione della massa, tenda a escludere quanti non vogliano piegarsi a far proprie idee che ritengono sbagliate solo perché tutti gli altri o quasi le accettano?
Non è possibile che il criterio alla base dell’esclusione sia in primo luogo quello del “Come si permette, costui, di mantenere un’idea propria quando la maggioranza schiacciante, che siamo noi, abbiamo obbedito all’andazzo generale?”
In funzione del fenomeno descritto, quali possibilità vi sono che riguardo a un qualsiasi argomento, materia, accadimento o prospettiva del presente, passato o futuro si mantenga un rapporto corretto con la realtà? Ma soprattutto: quale potere è in grado di esercitare chiunque riesca in qualche modo a far si che la massa degli “adeguati” faccia proprie le scelte che preferisce ed entra in possesso degli strumenti che gli permettono d’imporle?
A questo riguardo facciamo un esempio, quello della CNN. Si tratta notoriamente di un canale specializzato nella trasmissione di notizie, 24 ore su 24. Ovviamente è seguito solo da un’esigua minoranza di persone, ma dal momento che molte altre emittenti vi fanno riferimento per i loro notiziari, in pratica avviene che tutto il mondo parli e sia comunque influenzato dalla sua programmazione, dai suoi contenuti e soprattutto dal significato e dall’orientamento che attribuisce alle notizie da esso diramate.
Lo stesso meccanismo può ripetersi in un qualsiasi ambito. Per restare a quello che c’interessa più da vicino, è assai probabile che una volta che un gruppo social dedicato alla riproduzione sonora abbia acquisito una mole e una visibilità molto più ampie di quelle dei consimili, i contenuti e soprattutto le opinioni di cui si fa veicolo siano fatti propri da quelli di dimensioni e diffusione minori e così facendo siano propagati a tappeto.
Ecco una possibile spiegazione del motivo per cui, negli ultimi anni, la visione più tradizionalista del settore, o per meglio dire retrograda, ha riacquisito una diffusione particolarmente ampia, quando nella fase precedente sembrava essere ridotta ai suoi limiti fisiologici. E’ innegabile infatti che da qualche tempo a questa parte i marchi storicamente più affermati abbiano conosciuto un netto ritorno d’interesse, e soprattutto di consenso, da parte della maggioranza del pubblico.
Questo esempio ovviamente non riguarda solo il marchio di per sé, ma anche e soprattutto le sue scelte commerciali, tecniche e realizzative, e più ancora la filosofia a partire dalla quale sviluppa e costruisce il suo prodotto, esercitando in ultima analisi un’influenza sull’intero settore che va a direzionarlo secondo un orientamento ben preciso.
Appunto quello regressivo.
Dato che una ciliegia tira l’altra, non solo i vu-meter ridiventano irrinunciabili, tanto è vero che un qualsiasi nuovo amplificatore finale è impensabile ne sia sprovvisto, quando in precedenza era noto a chiunque che già la loro presenza potesse pregiudicare la qualità della riproduzione. Non fosse altro perché i loro costi devono essere necessariamente sottratti a componentistica meno inutile e potenzialmente più efficace ai fini delle doti sonore.
A seguire, per la proprietà transitiva, si passa ad applicare gli stessi principi anche ad altro: i trazione diretta diventano i giradischi migliori perché i DJ ci mandano avanti i loro rave senza posa per giorni e giorni, i cavi non servono a nulla perché il passaggio del segnale da un componente dell’impianto all’altro, e ancor più l’afflusso di energia a ciascuno di essi, avvengono per intercessione dello Spirito Santo e così via.
Addirittura il principio fondamentale della riproduzione sonora di qualità elevata, la massima specializzazione delle funzioni di ciascun componente dell’impianto, non viene solo messo in discussione, ma proprio mandato in soffitta. Magari per seguire le tendenze devastanti indotte dalla liquidazione della musica, quella che ha liberato finalmente le apparecchiature destinate alla riproduzione sonora dalla loro atavica schiavitù nei confronti di una collezione di supporti fisici tale da attribuire un significato al loro possesso e da renderne possibile l’impiego.
Oggi finalmente la liquidazione della musica non ha solo sdoganato ma persino reso raccomandabile e condiviso quello che da sempre è stato il paradosso tipico dell’appassionato di hi-fi: l’aver messo insieme un impianto da mille e una notte, che però utilizza per ascoltarci i soli quattro dischi in croce che possiede. Anzi, con la liquidazione della musica non servono più manco quelli. Che comodità!
Ecco allora l’opportunità, solo ed esclusivamente a livello commerciale di dotare ogni amplificatore di una sezione di conversione D/A, tale fa permettergli di essere collegato direttamente ai mefitici streamer o ai PC con cui figli sordociechi della tecnologia a un tanto al chilo sono convinti di poter sostituire, traendone vantaggio, macchine realizzate espressamente per la lettura di tracce a codifica digitale.
E ancora non basta: l’individuo passivizzato che fa proprie le scelte della massa trae forza proprio dalla consapevolezza di essere parte di un insieme numericamente prevalente e a volte persino schiacciante. Questo gli attribuisce un senso di orgoglio e di sicurezza tale da fargli credere di aver capito tutto, giusto il paradosso di Dunning-Kruger di cui abbiamo parlato la volta scorsa, quando invece non solo non ha assimilato neppure l’ABC della materia, ma spesso e volentieri non sa neppure dove stia di casa.
Così, nel momento in cui si trova di fronte a qualcuno che al contrario di lui si è costruito nel corso dei decenni un’esperienza di solidità che non può neppure concepire, nel momento in cui gli vengono fatti presenti i limiti insuperabili dei trazione diretta nei confronti di altri sistemi più efficaci ma ormai fuori moda, proprio a causa delle conseguenze materiali dei meccanismi spiegati dall’esperimento di Asch, costui si sente in dovere di chiedere, con grande sussiego e con tanto di indice alzato: “ma tu, hai mai ascoltato un giradischi a trazione diretta?”
A dimostrazione che il combinato disposto tra quanto indotto dall’esperimento che stiamo analizzando e le conseguenze tipiche della comunicazione attraverso piattaforme virtuali è in grado di produrre un livello di dissociazione dalla realtà pressoché impossibile da ottenere altrimenti . Dal quale è oltremodo difficile rientrare su un piano in cui la realtà concreta abbia non dico una valenza materiale ma conservi un significato comprensibile.
Credo sia importante rilevare anche come la fase regressiva della quale abbiamo appena elencato alcuni tra gli aspetti più marchiani, per quanto inverosimili nella loro assurdità, abbia fatto seguito a un periodo in cui è accaduto l’esatto opposto. Ossia alla ricerca di soluzioni migliorative in senso lato era attribuita un’importanza basata sui riscontri propri e altrui e veniva eseguita secondo un processo empirico insofferente di qualsiasi dogma. Per conseguenza a certi marchi era attruibuita una funzione poco più che decorativa, come una sorta di monumenti alla memoria dei tempi che furono, buoni più che altro per farci posare i piccioni. Anche e soprattutto in funzione della realtà prestazionale e sonica del loro prodotto, che notoriamente era quella che era e in buona misura rimane tuttora.
Quella ricerca evitava anche che per ottenere un incremento per la qualità sonora della riproduzione si fosse costretti a passare ogni volta sotto le forche caudine della sostituzione di uno o più componenti dell’impianto, oltretutto con le incognite che questo porta con sé. Ne derivava un atteggiamento assai meno legato al consumismo bestialmente trionfante del giorno d’oggi, portato a un’esasperazione tale da renderlo addirittura compulsivo. Non solo per gli appassionati, ma anche per certi addetti ai lavori, ormai arrivati a un punto d’inconsapevolezza tale da fare pubblico vanto dell’essere preda di determinate pulsioni.
Allora ci si potrebbe chiedere come si sia potuti arrivare a quel punto, in tale ambito, in cui chi dovrebbe valutare l’attendibilità e il valore tecnico di un prodotto o di una serie di essi ne è talmente plagiato da non saper resistere al loro acquisto compulsivo.
Se proprio devo dare una risposta al quesito, non c’è nulla di cui stupirsi. Quando ho avuto occasione di leggere gli scritti di personaggi del genere è apparso implicito che si finisse così.
Anche gli editori hanno le loro colpe, primariamente nel non aver saputo adottare i criteri minimi di selezione nell’affidare a personale tanto inadeguato i destini del loro prodotto editoriale. Possibilmente presi dall’esigenza improrogabile di risparmiare al massimo sulle spese necessarie per continuare a presentarsi in edicola, avranno creduto opportuno pescare nel pentolone in cui le conseguenze dell’esperimento di Asch si mostrano in tutto il loro splendore, forse senza rendersi conto delle conseguenze di quel che stavano facendo. Con ogni probabilità, anzi, non se ne rendono conto nemmeno ora.
Quanto fossero personali, quelle pulsioni, e quanto indotte sapientemente da una propaganda asfissiante che ha fatto propri gli studi come quello di cui ci stiamo occupando, e ne trae vantaggio usandoli per spingere il pubblico alle azioni più convenienti e profittevoli per chi la diffonde, non è dato sapere.
A questo riguardo credo sia interessante notare come il ritorno sulla cresta dell’onda di quei marchi-cariatide sia stato propiziato non da un recupero tecnico e/o prestazionale ma da un vero e proprio sovvertimento delle scelte del pubblico e quindi dei suoi gusti, dei suoi orizzonti operativi e quindi delle sue percezioni e ambizioni, ma soprattutto quel che si ritiene più importante in un’apparecchiatura destinata alla riproduzione sonora.
La qualità del suono è passata non in secondo piano o comunque in subordine ad altri elementi in origine ritenuti accessori, pertanto privi di qualsiasi legame con la realtà effettiva della riproduzione del segnale musicale, ma proprio tra le varie e eventuali. Oggi gli aspetti dirimenti riguardano estetica, fascino, esclusività, fotogenicità, capacità di funzionare come status symbol, rivendibilità, ricchezza della dotazione e così via.
Facciamoci caso, si tratta di tutti elementi aleatori, che oggi ci sono ma domani potrebbero non esserci più, quando invece una sonorità realmente sana se lo era ieri lo sarà ancora oggi e a maggior ragione domani, se sono questi i criteri evolutivi, o meglio involutivi, del settore.
Se poi per conseguenza i listini di ogni prodotto vanno alle stelle, per i costi indotti da tale sistema di comunicazione e propaganda e prima ancora per le soluzioni realizzative che impone, ma qualcuno si lamenta, è solo perché è invidioso di chi se li può permettere. Anche questa assurdità, nel momento che viene propalata dalle fonti giuste, trova un seguito sufficientemente folto da indurre chi ha mantenuto una quantità residuale di materia grigia funzionante a non replicare, quantomeno in pubblico, definendo chi scrive certe cose nel modo in cui merita.
Sa benissimo che verrebbe ridotto al silenzio, in quanto colpevole di aver chiamato col suo nome un lobotomizzato irrecuperabile, che nel culmine del delirio di cui è preda non solo si compiace della propria insensatezza ma la ritiene verità evangelica e in conseguenza fa per essa anche opera di proselitismo.
Così funziona il mondo dei social.
Questo risultato, di proporzioni così rilevanti e del tutto inimmaginabile soltanto pochi anni fa, è stato perseguito e ottenuto primariamente con l’utilizzo dello strumento mediatico, appunto funzionante nel modo che abbiamo visto. In particolare quello attivo nell’ambito del virtuale, come tale in grado di rendere verosimili le distorsioni prospettiche più estreme, mentre ormai i media fisici sono ridotti al lumicino per quel che riguarda il loro seguito, la loro diffusione e quindi la capacità d’influire sulle opinioni e soprattutto le suggestioni del pubblico interessato alla riproduzione sonora.
Per larga parte dunque, un risultato del genere, che voglio sottolinearlo ancora una volta è assolutamente sbalorditivo, è stato ottenuto mediante l’impiego degli strumenti offerti dalla rete, tra i quali i gruppi social hanno un rilievo d’importanza non solo primaria ma impareggiabile.
A questo proposito credo sia importante rilevare come i media cartacei, pur gravati dai conflitti d’interesse enormi e irrisolvibili che hanno caratterizzato la loro storia, e ancor più quella recente, per quanto seguiti in passato in pratica dalla totalità o quasi degli appassionati non abbiano mai avuto la forza o solo le potenzialità di produrre risultati del genere. Dimostrazione che le forme della propaganda definita P2P, da pari a pari anche se in realtà è tuttaltro poiché sapienti persuasori manovrano dietro le sue quinte, perseguendo risultati di proporzioni impensabili come quello di cui ci stiamo occupando, hanno capacità di penetrazione e soprattutto una capillarità un tempo inconcepibile.
Riescono persino a far tornare sui loro passi, come ho avuto modo di constatare personalmente più e più volte, appassionati che si erano avviati lungo direttrici per così dire alternative, rispetto al mainstream dei grandi marchi storici. E abbondantemente bolliti, aggiungiamo.
Così facendo avevano ottenuto risultati ottimi, ai quali hanno dovuto rinunciare una volta tornati sui loro passi. La cosa strana è che non danno cenno di essersene accorti: si tratta d’altronde dei risultati che ci si possono aspettare, da parte di una propaganda a tal punto assordante.
Eccoci dunque tornati ancora una volta al Jacques Attali del “Cosa credeva la plebaglia europea, che l’Euro fosse creato per la loro felicità?” e per conseguenza alla sua parafrasi “Cosa credeva il popolo della riproduzione sonora, che la rete e i gruppi social fossero creati per farlo ascoltare in maniera più fedele?”
Di Attali mi sembra interessante riportare quest’intervista trasmessa dalla TV francese, risalente al lontano 1979. Già allora erano ben delineati temi che oggi sono di attualità. ln particolare dove dice “Un domani negli Stati Uniti e in Europa avremo (…) una nuova Carta d’Identità sanitaria che ti dirà quello che hai il diritto di fare o di non fare“. Dimostrazione lampante e ultimativa che tra quelle definite dai benpensanti teorie del complotto e la realtà concreta, la differenza più significativa è di ordine temporale.
In quest’intervista figura un Attali ancora molto giovane, tuttavia già caratterizzato, insieme all’espressione compiaciuta e spocchiosa di chi è convinto di essere onnipotente, da tratti somatici indicanti la presenza di più di qualche rotella fuori posto. Motivo in più per riprendere in mano i manuali del Lombroso e ripassarli accuratamente. Sarebbe interessante anche conoscere il curriculum di personaggi simili e soprattutto come, in base a quali motivazioni e in che tempi abbia luogo la loro cooptazione.
L’intervista mostra inoltre che l’impiego di determinati strumenti non avviene in base a questioni di disponibilità e fattibilità tecnica ma di opportunità socio-politica. Stabilita laddove i processi di legittimazione popolare non hanno modo d’influire. Nello stesso tempo suggerisce che le frontiere della ricerca sono poste in pratica da sempre ben oltre i limiti che vengono portati alla conoscenza delle masse, cosa del resto spiegata da Orwell più di 70 anni fa. Il potere che ne deriva ha proporzioni incalcolabili ed è nelle mani di chi è in grado di controllarne e direzionarne l’evoluzione.
Così ci troviamo di nuovo al concetto di cui ho parlato più volte e non mi stancherò mai di ripetere: E’ assolutamente necessario che il progresso tecnico e quello sociale vadano di pari passo. Qualora ciò non avvenga ne derivano distorsioni di proporzioni sempre crescenti, al punto di diventare non solo colossali e irrisolvibili, ma di mettere in discussione il futuro dell’umanità. Come al momento attuale, in cui il potere di vita e di morte sulle persone che popolano il mondo e sulla stessa esistenza del nostro pianeta si trova nelle mani di un branco di psicopatici all’ultimo stadio, in grado di esercitare forme di potere inimmaginabili per le masse, per mezzo di strumenti di potenza inconcepibile e per larga parte sconosciuti.
Quello che è accaduto nei giorni scorsi a Maui ne è una dimostrazione.

Se la razza umana ha intenzione di sopravvivere e di continuare a evolvere secondo i dettami stabiliti da Madre Natura, a tutto questo va messo un freno. Non solo quegli psicopatici devono essere posti nelle condizioni di non nuocere ulteriormente, ma si deve trovare un modo affinché l’esperienza che stiamo vivendo non abbia più a ripetersi in futuro.
Una nuova applicazione dell’esperimento di Asch
Come vediamo, dunque, in tutta evidenza i gruppi social non sono altro che una riedizione dell’esperimento di Asch, in versione migliorata e dalle capacità di penetrazione inimmaginabili. Anche e soprattutto per i media ufficiali, nel modo in cui siamo abituati a concepirli. Probabilmente perché le capacità di pressione e ancor più la predisposizione del singolo a subire quella pressione sono enormemente superiori nel momento in cui è portata da un gruppo identificato, erroneamente in maniera del tutto ovvia, come composto da propri pari e/o simili, rispetto ad altri di cui invece fanno parte persone alle quali si attribuisce a priori autorevolezza ma si vedono comunque come distaccate o comunque poste su un piano che non è il proprio, caso tipico dei giornalisti e dei critici specializzati.
Ancora una volta, pertanto, la realtà è in grado di produrre fenomeni che sono del tutto imprevedibili ma soprattutto non riproducibili neppure in sedicesimo tra le mura anguste di un qualsiasi laboratorio. Come avrebbe potuto del resto il professor Asch simulare una differenziazione pari a quella cui ci siamo trovati di fronte, oltretutto all’interno di una finestra temporale tale da permettere una pur remota realizzabilità a livello sperimentale?
Qui ci troviamo allora alla menzione di Von Clausewitz e della sua frase celebre “La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”.
Se nel caso nostro la politica non può che essere quella commerciale, o meglio ancora di marketing com’è in voga al giorno d’oggi, al punto che persino alla denominazione di quella che un tempo era la facoltà di economia e commercio è stata aggiunta questa parola magica, ma l’esoterismo si badi bene è solo quello audiofilo, la guerra è tale. A livello d’informazione e ancor più della comunicazione che ormai l’ha quasi del tutto soppiantata, proprio perché gl’interessi economici connessi con la sua diffusione e ancor più col suo tenore sono diventati talmente importanti da acquisire non solo la prevalenza nei confronti di qualsiasi altro aspetto, ma da non poter essere più trascurati da qualsiasi impresa commerciale di proporzioni che non siano irrisorie.
Si tratta oltretutto di un processo auto alimentante, nel senso che mano a mano che cresce la pressione del gruppo nei confronti del singolo, quest’ultimo viene a trovarsi in condizioni di poter esercitare la propria libertà di pensiero e quindi le proprie scelte con difficoltà sempre maggiori, fino a trovarsi del tutto impossibilitato.
Eppure quella libertà, insieme a quella della manifestazione del pensiero, è scritta a chiare lettere nella nostra Costituzione. Evidentemente quel documento non tiene conto della realtà concreta prodotta dal sistema capitalista all’interno del quale è stato immesso, a seguito di una contraddizione di termini e di postulati che già ai tempi della sua stesura non poteva che essere stridente. Tantopiù per individui dallo spessore culturale e politico pari a quello dei cosiddetti Padri Costituenti.
Dunque? E’ possibile che non siano resi conto della cosa? E’ plausibile che non abbiano compreso come un mero pezzo di carta, per quanto contraddistinto da tutti i crismi dell’ufficialità fosse destinato già in partenza a soccombere, come in effetti è stato, di fronte alla forza dirompente e onnipervasiva del consumismo, che dell’ordinamento capitalista è insieme arma e conseguenza primaria e inevitabile?
E’ altrettanto vero che a capo dell’Assemblea Costituente fu posto Meuccio Ruini, framassone del grado più elevato, particolare che già di per sé tende ad avallare quel che si è dimostrato nel corso dei decenni. Ossia che si sia trattato di una finzione, atta a facilitare l’accettazione della nuova realtà da parte di un popolo messo a dura prova da una guerra spietata, in particolare nei confronti dei civili, oltre i limiti dell’allora immaginabile, e soprattutto portatore di tradizioni, valori e stile di vita che della nuova ideologia capital-consumista degli autonominatisi liberatori erano agli antipodi.
A quel popolo era necessario far trangugiare e assimilare la nuova narrazione, volta a spiegare innanzitutto che le distruzioni non erano da ascrivere a chi le aveva architettate, ordinate ed eseguite, ma erano colpa di chi le dovette subire. Convinto che il suo Paese avesse firmato un armistizio, quando invece si è trattato di una resa senza condizioni, i cui punti salienti non si ha ancora il coraggio di rendere pubblici, a quasi ottant’anni di distanza.
Forse perché si teme che in tal caso l’intera narrazione degli eventi non sarebbe più credibile?
Nella data in cui la conquista del territorio su cui quel popolo vive fu completata dagl’invasori, chiamati però liberatori, a dimostrazione di quale forza persuasiva abbia la scelta di una sola parola, si celebra tuttora una Festa Nazionale.
Quale destino può avere uno Stato che nasce su fondamenta del genere?
Malgrado ciò, o forse a maggior ragione, come ebbe modo di notare qualche tempo dopo Pierpaolo Pasolini, quel che non era riuscito a fare il fascismo in oltre un ventennio, con tutto il suo apparato, ossia infondere principi nuovi nel popolo italiano, e malgrado il suo operato innegabile a livello di ricchezza e di avanzamento sociale del Paese, IRI, INA, ONMI, edilizia popolare, trattamento pensionistico e Carta del Lavoro, tutta roba che poi gli allegri compari della sinistra dei lavoratori hanno smantellato per donarla al grande capitale, il consumismo lo ha fatto nel breve volgere di qualche mese, senza sforzo alcuno.
Malgrado il suo enorme portato a livello di alienazione e isolamento, mimetizzato dietro i colori sgargianti delle carabattole che mette a paravento delle vergogne di cui è causa e poi vende a caro prezzo, testimonianza della sua capacità di penetrazione dirompente e soprattutto impareggiabile.
“Un consumatore soddisfatto sarebbe una catastrofe per la società dei consumi, per la quale invece i bisogni devono
essere sempre risorgenti, non devono avere mai fine; i consumatori devono essere insaziabili, alla perenne ricerca di nuovi prodotti, avidi di nuove soddisfazioni in un mercato che sforna continuamente prodotti nuovi e inediti. Consumiamo ogni giorno senza pensare, senza accorgerci che il consumo sta consumando noi e la sostanza del nostro desiderio. È una guerra silenziosa e la stiamo perdendo”.
Zygmunt Bauman
Quale azione di plagio e di riduzione all’inettitudine, prima di tutto etica e concettuale, è necessaria a questo scopo?
Se è una guerra, quella combattuta dal capitalismo nei confronti delle sue vittime, e per conseguenza dal consumismo, suo asse primario di sfondamento, quella dell’informazione che ne costituisce il veicolo di diffusione e come tale si è trasformata in mera comunicazione, dei principi e dei concetti decisi colà dove si puote, non può che essere una guerra anch’essa.
Il campo di battaglia è la nostra mente.
Più la si fa, quella guerra, e più ovviamente si cerca di far passare sotto silenzio le sue azioni e gli strumenti per mezzo dei quali le si esegue, le sue offensive e i suoi inganni. Altrimenti le sue finalità diverrebbero manifeste e come tali gli strumenti di cui ci si avvale per imporle diverrebbero privi di qualsiasi efficacia.
Tutti questi aspetti, come ogni cosa di questo mondo, producono assuefazione. E a lungo andare, dipendenza. Cosa ne sarebbe, dunque, delle masse ormai abituate da decenni e forse da secoli a essere condotte secondo metodi squisitamente zootecnici, proprio come polli in batteria, se la presa ferrea della comunicazione a senso unico, dall’alto verso il basso, venisse improvvisamente a mancare?
Oggi la legislazione tende a porre limiti per le condizioni in cui operano gli allevamenti di pollame, in funzione di una loro maggiore vivibilità e quindi della salubrità del prodotto che ne deriva.
Invece per il pollame audiofilo, e più in genere quello sottoposto agli esiti delle operazioni di comunicazione capital-consumistica, provvedimenti del genere non sono neppure presi in considerazione.
Forse perché la Disneyland in cui è convinto di vivere felicemente, e in cui vige una libertà di stampa a tal punto falsificata, inizierebbe a mostrare quali sono i suoi veri contorni?