L’impianto da due milioni di Lire negli anni 80. E oggi?

Un appassionato, credo si chiami Sandro, mi ha scritto un messaggio che per errore mio è andato perduto.

Se lo ritiene opportuno mi riscriva, in modo che possa avere le maggiori delucidazioni che avevo intenzione di chiedergli, per una risposta adeguata alla sua situazione specifica e non solo sul piano generale, come lo è quella che segue. Essendo destinata alla lettura del pur scarso pubblico che segue questo sito, per forza di cose deve affrontare una serie di argomenti non strettamente attinenti alla condizione personale del richiedente e purtuttavia necessari per la comprensione dei motivi che hanno portato alle differenze sostanziali tra oggi e allora.

Per fortuna avevo fatto in tempo a leggere il suo messaggio, che in sintesi diceva così:

Sono un appassionato di una certa età che a suo tempo, nel corso degli anni 80, mise insieme un impianto composto da un giradischi Technics SL 1210, amplificazione due telai Nakamichi 410+420, diffusori ESB 80 LD.

Per quell’impianto, che allora mi diede moltissime soddisfazioni, spesi due milioni di lire. Oggi vorrei acquistare un nuovo impianto di qualità almeno pari o comunque tale da non farlo rimpiangere. Tuttavia dopo aver dato un’occhiata in giro mi sento alquanto disorientato.

Un po’ per il gran numero di offerte, che proviene da marchi quasi sempre semisconosciuti, ma anche perché diversamente da quel che accadeva allora non hanno una personalità tale da differenziarle in maniera significativa dai tanti prodotti consimili. I loro prezzi infine mi sembrano fin troppo elevati.

Vorrei quindi un consiglio.

Ciao Sandro, spero che questo sia effettivamente il tuo nome e in caso contrario ti chiedo scusa. Grazie per avermi inviato il tuo messaggio, che ho maldestramente distrutto, anche perché mi permette di fare chiarezza su una serie di punti che ritengo d’importanza essenziale nei confronti della realtà che stiamo vivendo.

Il primo riguarda ovviamente il valore della moneta. A questo riguardo andrebbe considerato che i due milioni di allora non equivalgono affatto, o meglio non hanno nulla a che vedere con i 1000 euro di oggi, anche se questo sulla carta è il valore del cambio ufficiale tra la Lira e la moneta unica europea.

Vediamone i motivi, alla cui origine vi sono fatti che risalgono parecchio indietro nel passato e sono complessi, nella loro realtà e ovviamente anche per quel che riguarda la loro descrizione.

Quell’equivalenza è stata stabilita più di un ventennio fa non su un mero valore di equivalenza o di opportunità ma per ragioni soprattutto politiche. Scopo, quello di attribuire un nuovo elemento di vantaggio alla Germania, il cui sistema economico-industriale in quella fase si trovava in difficoltà considerevoli e tra l’altro soffriva non poco la presenza di quello italiano. Quest’ultimo, pur con tutte le sue contraddizioni, aveva portato il nostro Paese alla soglia del titolo di quarta potenza industriale del globo.

Il progetto era quello di rimettere la Germania al posto di capofila, per largo margine, delle economie europee, in modo da attribuire a quello Stato un ruolo egemonico a livello continentale. I fatti successivi avrebbero fatto sorgere il dubbio che quello non fosse il vero obiettivo finale, ma andiamo per ordine.

L’attruibuire una seconda volta alla Germania il suo ruolo egemonico già in partenza suona strano: lo si era fatto  già nel corso degli anni 1930. In seguito si ritenne poi necessario ricorrere a una guerra non solo per riportarla tra i ranghi ma per dividerla in due Stati diversi, Germania Est e Germania Ovest, rispettivamente nell’orbita sovietica e in quella statunitense, proprio affinché non potesse più acquisire il predominio d’anteguerra.

Poi però ci devono aver ripensato, forse perché colà dove si puote si ritenne esaurito il compito dell’Unione Sovietica e dei suoi Stati satellite, che vennero smantellati e questi ultimi li si fece addirittura entrare nella Nato. Anche la Russia fece richiesta, ma le venne negata. D’altronde un nemico temibile può far comodo in tante occasioni.

Così la Germania fu riunificata, o meglio la parte Ovest si annesse quella dell’Est, come spiega bene “Anschluss” di Vladimiro Giacché, con una procedura alquanto spregiudicata nel corso della quale gli scandali non si contarono.

Malgrado abbiano anelato per decenni la riunificazione, per le popolazioni della Germania Est questa si è risolta in buona parte in una delusione. Tanto cocente da dar luogo al fenomeno della “Ostalgie”.

Per osservare determinati meccanismi nella loro vera realtà, va compreso innanzitutto che se la conquista del ruolo egemonico da parte di qualcuno fa seguito a una sua crescita, talvolta impetuosa e quasi sempre determinata da elementi esterni che agiscono allo scopo, dall’altra parte, ossia da quella di quanti si trovano a dover subire quell’egemonia, non può che verificarsi un regresso. E’ tale da indebolirli fortemente, cosi che nel momento in cui si toglie di mezzo all’improvviso l’architrave su cui si reggeva la conquista del ruolo egemonico da parte del suo detentore, avendone naturalmente la possibilità, viene giù tutto. A quel punto tanto dell’egemone, ormai ex, quanto degli egemonizzati si può fare un solo boccone.

Questo insegna la Storia: la Germania è stata detronizzata dal suo ruolo egemonico a livello continentale una prima volta, così che gli Stati Uniti, a loro volta controllati dalle lobby detentrici delle loro banche e dell’industria del petrolio potessero impadronirsi anche dell’intera parte dell’Europa che non finì nell’orbita sovietica, dopo aver tolto di mezzo l’Impero Britannico nel modo che vedremo.

Si è poi fatto in modo che riacquistasse quell’identico ruolo, per mezzo dell’UE e della moneta unica, per metterla infine nelle peste una seconda volta con la guerra in Ucraina. In seguito al conflitto tuttora in corso, o meglio per le sanzioni che è stato deciso di comminare alla Russia, ben conoscendone le conseguenze, la Germania ha perso i suoi canali privilegiati di approvvigionamento energetico ed è quindi entrata in una crisi che trascinerà con sé l’Europa intera: proprio in conseguenza del ruolo che allo Stato tedesco è stato attribuito per mezzo di UE e moneta unica. Oggi è il Paese con i fondamentali economici peggiori d’Europa e le sue commesse stanno venendo meno, spingendo nel baratro le economie che erano diventate sue fornitrici-vassalle. Prima fra tutte quella italiana, secondo il noto sistema della fabbrica-cacciavite, altro frutto succulento dell’Europa. Funziona così: la fabbrica adibita al ruolo di cacciavite fa tutte le lavorazioni scomode per un tozzo di pane, giusto per non fallire, mentre il prospero committente esegue l’assemblaggio finale, seppure, e tiene per sé i profitti.

Dunque per farla tornare ai vertici del continente si decise di attribuire a priori alla Germania un elemento di vantaggio enorme, tale da farle recuperare il terreno che aveva perduto. Ciò avvenne appunto per mezzo di un tasso di cambio del Marco nei confronti dell’Euro ben più favorevole rispetto a tutte le altre monete che vi confluirono.

In sostanza le si permise di operare sui mercati per mezzo di una moneta svalutata, attribuendo al suo prodotto la maggior concorrenzialità sui mercati, ma largamente sopravvalutata per tutti gli altri, in modo tale che acquisisse un vantaggio incolmabile nei confronti dei suoi partner comunitari. Così da permetterle non solo il recupero nel tempo più breve ma persino un predominio, anche a livello della politica comunitaria, che la storia dell’ultimo ventennio ha sancito in modo incontestabile. Col passare del tempo quel predominio divenne sempre più solido e inattaccabile  proprio per via della moneta unica, che in realtà è un accordo di cambi fissi con cui si è eliminato il meccanismo fondamentale della fluttazione tra le valute dei diversi Stati dell’UE.

Facciamo un esempio per comprendere il suo funzionamento: se la richiesta di auto tedesche da parte del mercato aumenta troppo, dovendo essere pagate in marchi la forte domanda che ne consegue andrà a causare il loro apprezzamento nei confronti delle altre valute. Per conseguenza il prezzo di quelle auto diventa meno conveniente, dissuadendo dal comperarle e quindi restituendo competitività al prodotto di altri Stati.

Il venire meno di questo elemento essenziale di mitigazione degli squilibri economici ha avuto risvolti non solo sulla macroeconomia e sull’industria ma anche e soprattutto a livello sociale, rendendo profonde come mai in precedenza le differenze di ricchezza e stile di vita tra i ceti privilegiati e il resto delle popolazioni, impoverite in maniera inimmaginabile in funzione dei meccanismi innescati da una moneta unica congegnata in tal modo, proprio allo scopo.

Quanto alle auto, il parco circolante è ancora una volta un esempio efficace per descrivere le conseguenze materiali della moneta unica. Oggi sulle nostre strade non solo le macchine tedesche predominano, spesso con un’ostentazione di ridondanza persino sfacciata, e come sempre di cattivo gusto ma tanto non se ne accorge più nessuno, mostrano anche la fine fatta dall’industria che non poteva contare su un vantaggio del genere.

E’ stata fagocitata, secondo lo schema dell’attacco a tenaglia: dall’alto quella tedesca, favorita nel modo che abbiamo visto, e dal basso da quella dei paesi emergenti, grazie a costi della manodopera e delle materie prime insostenibili per un Paese dell’Occidente. Lo stesso è avvenuto ancora una volta a livello sociale, a dimostrazione di quali fossero, fin dal loro progetto, le finalità reali dell’unione europea e della moneta unica.

Nella loro viltà, che è il tratto caratteriale che le contraddistingue maggiormente insieme all’appetito insaziabile e disumano che non arretra di fronte a nulla, per mezzo dei media che controllano le élite diffondono l’idea che loro non avevano capito, non volevano, hanno commesso una serie di errori e così via. Essendosi tutto questo ripetuto più e più volte, è evidente che non è vero: è la stessa legge delle probabilità a stabilire che persino il cieco, messo di fronte al bivio, ha una possibilità su due di imbroccare la strada giusta. Pertanto i risultati concreti cui si è arrivati altro non sono da quello che s’intendeva ottenere fin dapprincipio e a tal fine si è agito, senza mai deflettere.

E’ stato così che nel giro di pochi anni la Germania è passata da una crisi irrisolvibile a un nuovo predominio in apparenza inattaccabile, se non recidendo come si è fatto le sue fonti di approvvigionamento energetico. Ora anche l’Olanda, il secondo Paese che ha tratto vantaggio maggiore dalle politiche appena descritte, proprio in quanto satellite della Germania, è entrato in crisi dietro ad essa.

Ecco come l’Economist, organo ufficiale del grande capitale anarcoide e mondialista, sintetizza la situazione attuale, con un punto interrogativo dalla mera funzione retorica. Siamo quindi al probabile preludio di un nuovo saccheggio del continente, da parte dei soliti noti. Non a caso già numerose industrie tedesche si sono trasferite negli Stati Uniti per via dei costi minori dell’energia.

Dalla moneta unica l’altra grande potenza europea, la Francia, avrebbe avuto il suo tornaconto in quanto la si sarebbe lasciata continuare da un lato di fare la sua spesa a deficit pressoché illimitata, vietandola a tutti gli altri o quasi, prima fra tutti l’Italia, e dall’altro godere della sua rendita di posizione, tanto invidiabile quanto unica al mondo. Ovvero lo sfruttamento di parte rilevante delle ricchezze enormi del continente africano, secondo un detestabile criterio neocoloniale di tipo economico, grazie al numero di Stati costretti a usare la moneta da essa controllata, il Franco CFA.

Qui il paradosso è lampante: Parigi ha messo fuori corso il Franco francese all’avvento dell’euro, ma conservando l’utilizzo del Franco CFA negli Stati africani che grazie ad esso ha continuato a dominare e depredare.

Uno tra i motivi del recente colpo di stato militare in Niger riguarda proprio i proventi di oro e uranio, dei quali è ricco: solo il 5% del loro valore andava al territorio da cui venivano estratti, il resto se lo prendeva la Francia. Ora una coalizione di Stati africani favorevoli al colonialismo, riuniti nell’ECOWAS collaborazionista degli sfruttatori, minaccia di eseguire un’aggressione armata per ristabilire l’ordine dell cose. Per contro, i nigerini si sono riversati in massa a iscriversi come volontari nelle liste di leva, a dimostrazione del supporto popolare di cui gode giustamente la giunta che ha preso il potere

Curiosamente però a nessuno in Occidente passa per la testa di fornire al Paese minacciato d’invasione le armi per difendersi dall’aggressione imminente degli Stati circonvicini, cosa invece ritenuta sacrosanta nei confronti dell’Ucraina e che si continua tuttora a fare. A fronte oltretutto di costi enormi: ennesima dimostrazione che per qualsiasi cosa ci viene detto che soldi non ce ne sono, ma quando c’è un interesse saltano fuori all’istante, in quantità illimitate.

La condizione inverosimile del privilegio francese a sfondo coloniale è ancora più paradossale se si considera che la Francia è stato il primo paese in ordine di tempo a perdere la Seconda Guerra Mondiale e quello che l’ha persa peggio di ogni altro. Infatti già nel giugno 1940, quando i tedeschi presero Parigi, firmò un armistizio con la Germania che non solo ridusse fortemente l’ampiezza del suo territorio ma diede luogo alla cosidetta Repubblica di Vichy, con a capo l’anziano maresciallo Petain, eroe discusso del conflitto precedente. Questa di fatto è stata l’unica e sola Francia: dopo l’armistizio ha operato quale collaborazionista dei tedeschi ed è noto che sul suo territorio l’epurazione delle persone di religione ebraica assunse contorni persino più esasperati di quella che ebbe nella stessa Germania.

Non solo venne più che dimezzata rispetto alla sua estensione originale, ma il suo territorio metropolitano perse ogni accesso all’Oceano, con gravi ripercussioni per l’operatività della sua marina militare, allora ritenuta tra le prime nel mondo.

Questo è ancor più inverosimile se si considera che nel momento in cui Churchill, capo del governo inglese, si vide costretto a chiedere ufficialmente l’intervento degli Stati Uniti nel conflitto, trovandosi sul punto di capitolare, con grande magnanimità Roosevelt rispose che il suo Paese avrebbe certamente prestato soccorso, ma solo dopo l’impegno formale dell’Inghilterra di rinunciare al suo impero coloniale.

Dopo la capitolazione della Francia e la conseguente rotta di Dunquerque, l’Inghilterra era rimasta sola. Temeva di essere invasa e purtuttavia i tedeschi, forse colti da un inopinato ma incontrollabile attacco di buonismo, lasciarono che le truppe inglesi sul suolo di Francia potessero mettersi in salvo reimbarcandosi alla volta della madre patria. Ma come, l’esercito nazista non era fatto di bestie sanguinarie e comandato da un pazzo ancora più crudele di loro, non a caso simbolo ancora oggi del male assoluto? Sarebbe bastato qualche cacciabombardiere per fare pulizia completa e definitiva delle truppe inglesi in fuga, ammassate com’erano lungo i moli affacciati sulla Manica. Eppure, andando contro i loro interessi bellici in maniera tanto inverosimile, permisero all’Inghilterra di riportare a casa il proprio esercito. Le conseguenze si sarebbero viste in seguito.

Appunto in un quadro del genere avvenne l’incontro tenutosi di fronte all’isola di Terranova nel corso del 1941, in cui il presidente americano si disse disposto a interrompere la furba politica isolazionista degli Stati Uniti, che sarebbe stata mantenuta fino alla fine dell’anno, non dissimile a quella attuale nei confronti dell’Ucraina. Prima gli Stati Uniti avevano attizzato il sentimento revanscista della Germania coi trattati di pace draconiani seguiti alla Prima Guerra Mondiale. Poi fecero in modo che potesse riarmarsi, grazie ai cospicui finanziamentil che le fecero pervenire, essenziali anche affinché si potessero eseguire le politiche economiche escogitate dal geniale Ministro dell’economia del Reich Hjalmar Schacht. Infatti se non hai un centesimo, non hai modo di produrre quel che baratterai con altri Stati.

A quel punto furono gli stessi ingredienti da loro abilmente disseminati nel corso del tempo, tra cui la manipolazione del ruolo sostenuto dallo Stato Polacco e la disponibilità non si sa quanto spontanea di Francia e Inghilterra a supportarne anche le posizioni più estreme e provocatorie, a far si che si scatenasse un nuovo conflitto. Caratterizzato, nelle sue prime fasi dal ruolo degli Stati avversari della Germania, che in realtà combattevano più o meno consapevomente per procura degli Stati Uniti, ossia in funzione dei loro interessi. Così che nel momento in cui tutto fosse cotto a puntino, questi ultimi potessero passare a riscuotere, con tanto d’interessi, come in effetti è stato.

L’isolazionismo statunitense aveva in realtà anche un forte supporto popolare, conseguente agli effetti della carneficina del conflitto precedente, in cui gli Stati Uniti entrarono solo nel 1917. Si fece presto a farlo venir meno grazie alla commedia di Pearl Harbour, dove s’indussero i giapponesi ad attaccare il naviglio obsoleto e pressoché inservibile agli scopi bellici, tranne che come esca.  Ciò servì da pretesto per far cambiare idea al popolo americano, giustamente restio a entrare in un’altra guerra.

La condizione irrevocabile posta da Roosevelt per l’intervento americano fu appunto la rinuncia all’impero, grazie al quale l’Inghilterra era stata fino ad allora la prima potenza mondiale, sia pure in declino. Fu così che si pose fine, anche se solo di facciata, al colonialismo, per sostituire alla sua forma storica quello di matrice economica, assai meno impegnativo e vistoso, ma ben più redditizio. E’ basato sul principio del governo fantoccio, idea brillante perché a libro paga del colonizzato, che se ne assume pure tutte le responsabilità, sia pure solo di facciata. Agendo col dovuto tatto, lo si può far figurare alla stessa stregua di uno in carica con tutti i crismi

Per l’innesco del nuovo conflitto che completasse l’opera del precedente venne utilizzato il principio di autodeterminazione dei popoli. Discrimine, ancora una volta pretestuoso, imposto dagli stessi Stati Uniti alle trattative di pace dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. Quel principio lo si usò in realtà per fare del continente europeo uno spezzatino di Stati e staterelli, origine di un revanscismo e di lotte intestine insanabili, azione da allora definita non a caso di balcanizzazione, che avrebbe portato in breve a un nuovo conflitto, in luogo degl’imperi asburgico, russo e ottomano esistenti in precedenza. Tutti e tre erano accomunati da una forte connotazione religiosa.

La stessa identica cosa la si sarebbe fatta, sia pure su scala minore, negli ultimi decenni del Novecento nei confronti della ex-Jugoslavia. Senza ovviamente farsi mancare il personaggio del crudele sanguinario di turno, da imporre alla riprovazione delle folle inebetite: dimostrazione ennesima che la storia, per come ci viene raccontata dalle fonti interessate, altro non è che una commedia, recitata secondo un copione che resta sempre lo stesso.

Nei confronti di quello spezzatino, attività preferita dalle élite globali secondo la logica del dividi e impera, la potenza americana già allora preminente, e ulteriormente rafforzata dagli esiti del conflitto 1914-1918, avrebbe potuto dominare senza difficoltà alcuna, come in effetti è stato. A maggior ragione nel momento in cui in cui si fosse causato un nuovo conflitto in cui le diverse parti in causa combattessero per procura, ossia scannandosi tra di loro in modo da rendersi più facilmente conquistabili e dominabili dall’entità esterna intervenuta al momento opportuno e con la sua potenza soverchiante, che a quel punto non avrebbe faticato a imporsi.

Fu così che con la fine dell’impero britannico gli Stati Uniti avrebbero acquisito il primato assoluto, e di gran lunga, dell’occidente, per amministrarlo nel modo che sappiamo.

Certo rimaneva l’Unione Sovietica, ufficialmente alleata, ma contro quella si sarebbero rivoltati il giorno successivo alla fine del conflitto. Giusto in tempo per inaugurarne un altro, la cosiddetta Guerra Fredda, del quale tra le diverse peripezie non si vede ancora la fine. essendo di fatto l’Ucraina agente bellico per procura degli USA e dell’intero occidente ad essi asservito. Come sempre non manca il cattivo che catalizzi l’attenzione delle folle, ruolo attribuito stavolta a Vladimir Putin, dietro al quale si possono curare con maggiore tranquillità i propri interessi, come mostrano gl’intrallazzi dei Biden e quelli dell’industria farmaceutica e del trapianto.

Così l’Inghilterra, ossia lo Stato che dovette subire l’impatto maggiore e sia pure con l’aiuto altrui risultò alla fine vincitore, effettivo, in realtà dovette pagare il conto più salato, ponendo fine al suo impero e lasciando campo libero agli americani. Viceversa lo Stato che perse per primo e più di tutti in assoluto, la Francia, poté continuare a sfruttare i suoi possedimenti coloniali come sempre aveva fatto.

Per tirarla a forza e contro ogni evidenza nel gruppo dei vincitori si escogitò un trucco che allora sembrò funzionare ma oggi, forse, sarebbe smascherato all’istante. Si prese un generale allora sconosciuto, un certo De Gaulle, e lo si trasferì in Inghilterra per mezzo di quello che somigliò moltissimo a un rapimento, sia pure consensuale. Da li lo si mise ai microfoni delle trasmissioni radio destinate alla Francia, a dimostrazione che il ruolo propagandistico dei media è sempre stato fondamentale e la loro invenzione provvidenziale ai fini della manipolazione delle masse nonché degl’interessi di chi ne ha da imporre nel numero maggiore.

Si pretese che si trattasse del governo legittimo francese, mentre di fatto era un’entità inesistente, se non come artefatto mediatico, per mezzo del quale si trasmisero quotidianamente discorsi atti a incitare i francesi al recupero dell’orgoglio ferito e alla rivolta. Su quella base si è fatta figurare la Francia come Paese vincitore del conflitto.

Certo serviva, e come il pane, altrimenti gli angloamericani sarebbero stati riconoscibili per ciò che erano, invasori dall’esterno e conquistatori del suolo europeo. Oltretutto a seguito di un’opera di destabilizzazione durata decenni, progettata ed eseguita proprio per quello scopo. Ma con la Francia dalla loro, anche se solo per mezzo del governo fantoccio di De Gaulle, la prospettiva cambiava di 180 gradi.

Almeno in apparenza, ma tanto si è fatto bastare.

Oltre a Dunquerque ci sono stati altri episodi che in una rilettura senza remore degli eventi bellici lasciano pensare a una loro conduzione eterodiretta, proprio al fine di rendere più complesse le sue vicissitudini e infine pervenire agli effetti che ha prodotto. Come nella solita Francia, in cui si decise di far terminare la linea Maginot, costata somme enormi sottratte alle condizioni di vita del popolo francese, presso la frontiera col Belgio. La si rese così inutile e malgrado i tedeschi fossero passati da li pochi anni prima, nel conflitto precedente, mentre i media battevano senza posa sulla sua inespugnabilità.

La stessa Francia non mobilitò le sue truppe al momento dell’invasione tedesca e anzi le allontanò dal fronte in modo tale da favorire la più rapida avanzata del nemico. L’Italia andò inopinatamente all’attacco della Grecia, rimediando una sonora batosta al punto che dovette indietreggiare cedendo agli ellenici parti consistenti del territorio che controllava in precedenza. Dovette poi farsi aiutare dai tedeschi, nei confronti dei quali invece si voleva mostrare indipendenza secondo il concetto di guerra parallela. Mussolini del resto, già dal conflitto 14-18 era uomo dei servizi inglesi.

Voci mai sopite, anzi riportate anche da storici di rilievo come Arrigo Petacco, vorrebbero che l’ingresso in guerra, ritardato e da parte di un’Italia gravemente impreparata sotto ogni aspetto, fu voluto proprio dagl’inglesi nel momento in cui, vista la malaparata, ritennero di aver bisogno di un ostacolo nei confronti dell’azione tedesca. Allo scopo avrebbero promesso cose che mai sarebbero stati in grado di mantenere. Lo stesso Churchill del resto, non appena cessate le ostilità si precipitò personalmente nei luoghi in cui si erano consumati gli episodi conclusivi della guerra in Italia. Dove, come in ogni bella favola che si rispetti, il cattivo muore e la giustizia trionfa. O forse chissà, dopo le fatiche della guerra aveva bisogno di ritemprarsi un pochino sulle sponde anche allora ridenti del lago di Como. Proprio laddove Mussolini aveva dichiarato senza mezzi termini che nei suoi memoriali vi fossero notizie tali da garantirgli il salvacondotto. Più probabilmente lo scopo del viaggio era il recupero di documenti e carteggi che se resi pubblici avrebbero inchiodato il premier inglese e i cosiddetti alleati alle loro responsabilità, atroci.

Gl’inglesi ordinarono che Mussolini fosse fucilato senza processo, lasciando credere che fosse stata un’azione partigiana. Inutile dire che di quei documenti, e in particolare della loro parte più significativa, è sparita ogni traccia.

Così facendo l’Italia è stata menomata ancora una volta della sua sovranità e per conseguenza dell’esercizio della giustizia in nome del suo popolo e sul suo territorio. Alla faccia del diritto all’autodeterminazione, che ancora una volta è stato fatto valere solo quando lo si è ritenuto conveniente, altrimenti nisba. Quell’episodio la sinistra e tutto il suo popolo, assieme all’intero corpo istituzionale del Paese, insistono a celebrarlo in ogni anniversario. A dimostrazione di quanto sia concreto il loro attaccamento ai valori fondanti dello Stato, ma senza avere il coraggio di chiamare le cose per quelle che sono e men che meno lasciar trapelare i fatti per come sono andati.

A suo tempo il movimento d’opinione orchestrato e portato al parossismo dai media che pretese l’entrata in guerra dell’Italia, in quanto si riteneva imprescindibile per i destini del Paese non lasciarsi sfuggire l’occasione di trarre vantaggio dei clamorosi successi conseguiti dall’alleato germanico, era notoriamente capeggiato dagli ambienti industriali, ai cui vertici già allora c’erano gli Agnelli, e del grande capitale nazionale. A certi livelli non si accede se privi di lasciapassare massonico in corso di validità, il cui ufficio di rilascio, a livello nazionale, per pura combinazione risponde in tutto e per tutto alle direttive provenienti dalle Terre d’Albione.

E chi vuol capire, capisca. Chi ha voluto la guerra, chi e cosa ne ha pagato le conseguenze, quale è stato il ruolo delle sinistre prima, durante e dopo, nonché quello dei partigiani, delle istituzioni che ne sono scaturite e di tutto l’armamentario celebrativo col quale si batte tuttora sulla grancassa. Diffondendo una menzogna spudorata, sulla pelle di milioni di combattenti e di vittime civili. Ma i soli cattivi sono i repubblichini della RSI, che non si piegarono al voltafaccia. Avvenuto al momento opportuno e che in ultima analisi va a suffragare il ruolo effettivo attribuito all’Italia nel conflitto da parte di chi lo ha progettato. Il quale a festa finita ha tradito i patti una seconda volta, in misura ancora peggiore e più beffarda della prima.

Con l’attacco alla Grecia venne ritardato l’avvio della campagna di Russia da parte dei tedeschi, che poi si rivelò fatale per l’esito della campagna stessa e dell’intera guerra. Malta, che pure era un obiettivo conquistabile senza difficoltà, non fu mai attaccata dagli italotedeschi, malgardo costituisse un noto ed efficace punto d’appoggio nonché base di rifornimenti e di attacco nei confronti delle colonne navali dell’Asse tra la Sicilia e la Libia. Permise agli inglesi di non restare isolati nella guerra in Nordafrica che infine vinsero. Così che dopo aver sfondato in Libia e poi con difficoltà molto minori in Tunisia gli angloamericani poterono passare direttamente all’Europa, invadendo il territorio italiano. Probabilmente se non gli si fosse lasciato conservare quel punto di enorme importanza strategica, le cose sarebbero andate in maniera diversa.

Anche allora all’Italia fu fatto pagare il prezzo più pesante, per mezzo di un’avanzata volutamente mandata a rilento, con grande sofferenza anche e soprattutto della popolazione civile. Utile però a costruire la retorica gonfiata a dismisura della cosiddetta Resistenza. Al riguardo ritengo fondamentale “L’alibi della resistenza”, di Gianni Oliva.

Gli accordi della resa italiana senza condizioni, quella che con grande sprezzo della realtà viene chiamata ancora “armistizio” a uso e consumo delle folle plaudenti, quando fu resa senza condizioni, non furono rispettati. Gli angloamericani non intervennero a difesa di Roma e anzi lasciarono che i tedeschi prendessero le loro posizioni in piena tranquillità, lungo tutta la penisola. Ancora più significativi furono lo sbarco di Salerno, secondo la logica dei passettini da formica, mentre la gente italiana e l’intero Paese erano abbandonati alle pene dell’inferno, trovandosi di fatto da soli contro tutti, alleati vecchi e nuovi che ne hanno usato il territorio come terreno di scontro indiscriminato e di scorribande senza remore. Quella logica fu esasperata al punto da alimentare persino lo scherno della propaganda tedesca, nonché lo sconforto di chi si è trovato in mezzo. Delle distruzioni manco a parlarne.

LA STRADA E’ LUNGA, FINO A ROMA… Dice il manifesto. I tedeschi rilevarono la velocità effettiva dell’invasione angloamericana in Italia: a otto mesi dallo sbarco in Sicilia fu pari a poco più della metà di quella raggiungibile da una chiocciola. Per impossibilità materiale o per calcolo?

Lo sbarco di Anzio fu se possibile ancora peggio: Roma era a 30 chilometri e in sostanza già presa, ma si preferì temporeggiare. Si disse perché indispensabile rafforzare la “testa di ponte” da parte americana per limitare le perdite. Nella loro mentalità tutti gli altri potevano morire senza problemi, mentre si sistemavano nel modo che ritevano opportuno.

Si ottenne così di fare da comodo bersaglio per l’artiglieria tedesca, che sparava dai Castelli Romani ivi sovrastanti, proprio a Frascati c’era il quartier generale per l’Italia centromeridionale, e d’impantanarsi nelle battaglie senza fine dell’immediato retroterra. Tanto cruente che quelle località ne hanno tratto il nome collettivo di Campo di Carne, data la carneficina inutile che vi si è causata in tal modo, lungo cinque mesi di scontri senza esito.

Però si è guadagnato tempo, così che per trascurabilissima e altrettanto inopinata combinazione, il nodo si risolse in contemporanea con la sbarco in Normandia, il giorno prima della quale avvenne infine la presa di Roma. Quando si dicono gli scherzi del destino…

Se non avesse dovuto aspettare tanto a lungo e con tante tribolazioni, il popolo romano avrebbe accolto con altrettanto entusiasmo i conquistatori? Se avesse dovuto patire meno la fame si sarebbe gettato nel modo in cui ha fatto sul cibo che gli americani lanciavano dai loro camion? Come sempre in favore delle macchine da presa e coi monumenti della Città Eterna a fare da fondale, così da immortalare immagini dalla forza a tal punto ineguagliabile per la propaganda di guerra?

Materiale eccellente, efficacissimo per dare verosimiglianza all’atroce menzogna su cui era fondata e per la criminalizzazione dei colpevoli predesignati.

L’invasione della nostra penisola per mano dei cosiddetti alleati fu voluta a tutti costi dai soliti inglesi, ancora una volta nella persona di Winston Churchill, il più fanatico, oltranzista e disumano guerrafondaio che la storia ricordi. La definì “il ventre molle d’Europa”, proprio per rendere più invitante l’idea dell’attacco nei suoi confronti, mentre gli americani la ritenevano giustamente un obiettivo d’importanza marginale. Se l’assalto all’Europa avesse seguito fin da subito le sue direttrici principali, la guerra poteva finire molto prima. Ma forse non era quello l’obiettivo desiderato.

L’ateismo massonico, col suo rilevante portato di cerimoniale esoterico, ha sempre detestato, o meglio si è posto come avversario irriducibile della religione cristiana, della quale ha fatto il suo primo nemico. Proprio in quanto è portatrice di valori e di ritualità tali da farla ritenere la sola in grado di contrastarne l’avanzata distruttiva e possibilmente di sconfiggerla. Il centro della cristianità risiede proprio nel nostro Paese ed è per questo che le èlite e si dedicano con tanta ostinazione a devastarlo, ciclicamente e con ogni mezzo, tentando di cancellarne tradizioni, cultura e civiltà. Per poi derubarlo delle ricchezze uniche e inestimabili che possiede.

La stessa Marina italiana era nei suoi vertici, tutti di stretta osservanza massonica, in combutta col nemico: solo così sono spiegabili le ripetute disfatte di cui si rese protagonista, malgrado le condizioni incolmabili di vantaggio ambientale, dato che combatteva sui nostri mari, e di superiorità di mezzi di cui era detentrice.

Neppure una volta tentarono di salvare la faccia, quei felloni: del resto le gesta dell’esercito borbonico durante l’operazione dei Mille erano già allora un precedente degno di nota, per chi guardasse alla Storia e non alla sua narrazione interessata. Non a caso, al momento della resa tutti i comandanti erano già belli e pronti per mettere le navi da guerra italiane nelle mani della marina inglese. Come per prodigio, all’istante erano diventati tutti efficietissimi.

Neppure la si volle salvare a cose fatte, quella faccia: “Tramonto di una grande Marina” dell’ammiraglio Iachino è se possibile un episodio ancora più vergognoso di quelli che avvennero durante la guerra.

Nei bombardamenti a tappeto del territorio tedesco vennero stranamente risparmiati gli stabilmenti più importanti dell’industria chimica, magrado il suo contributo all’azione bellica tedesca fosse fondamentale. Le popolazioni civili invece fuorno colpite senza requie, come nell’abominio di Dresda, rasa al suolo e negli innumerevoli altri crimini di guerra che furono commessi dai cosiddetti liberatori, sempre rimasti impuniti.

Tornamo ora ai giorni dell’instaurazione dell’Euro, riguardo a cui questo lungo preambolo è fondamentale: per la comprensione dei meccanismi dell’UE, delle sue stesse origini anche a livello ideologico oltreché dei presupposti che hanno portato alla sua costruzione. E prima ancora all’accettazione, anche a livello popolare, di un’idea a tal punto controversa e carente di senso compiuto, proprio a livello dei fondamentali, tranne per chi fosse a tal punto determinato a sfruttarne conseguenze e potenzialità da causare guerre senza fine e spesso fratricide lungo il corso di alcuni secoli.

Come abbiamo rilevato più volte, il meccanismo che si utilizza allo scopo è sempre lo stesso: problema, reazione, soluzione. E’ una formula da imparare a memoria per mantenervela, così da osservare come tanta parte degli eventi cui ci troviamo di fronte risponda a quel meccanismo: si crea un problema, proprio affinché ne derivi una reazione, così da prospettare una soluzione che in realtà era esattamente ciò a cui s’intendeva giungere fin dal principio, ma senza voler mostrare di desiderarlo in prima persona, ma anzi di esservi stati spinti se non addirittura costretti.

Se Germania e Francia erano destinate a trarre il loro tornaconto dall’unione, il Paese soccombente o meglio ancora che si era stabilito dovesse fare le spese del nuovo ordinamento continentale non poteva essere che il terzo incomodo: l’Italia.

A livello politico questo era perfettamente noto. L’efficientissimo centro di studi economici dell’allora PCI aveva già da tempo pubblicato uno studio molto accurato e ben documentato al riguardo, che previde tutti i problemi che sarebbero stati causati al nostro Paese dalla moneta unica.

Craxi, unico e solo avverso a un coro unanime di approvazione, dichiarò che alla meglio l’Europa unita sarebbe stata un limbo e altrimenti un inferno. Guardacaso l’unico difensore della sovranità nazionale, stanti i fatti di Sigonella, di li a poco sarebbe stato oggetto di una campagna di discredito senza precedenti e senza quartiere, in seguito alla quale lo si costrinse all’esilio, dove terminò la sua vita.

Dunque non si doveva e non ci si poteva schierare contro l’UE. Chi vi si fosse provato ne avrebbe pagato le conseguenze con la durezza più estrema: ecco le basi democraticissime della sua istituzione, imperniate sul colpiscine uno, nel modo più plateale, per educarne cento.

E’ evidente allora che tutti i partiti schieratisi a favore di UE e moneta unica, per primi quelli della pseudosinistra da sempre al servizio del grande capitale globalizzato, come in seguito avrebbero reso ancor più palese, si sono assunti la responsabilità politica, morale e materiale dello sfacelo cui hanno consegnato il nostro Paese e la sua popolazione.

Si sono adoperati con ogni mezzo per ridurlo nelle condizioni attuali, sia pure a discapito del loro consenso elettorale e senza che la serie infinita di metamorfosi abbia potuto porre un freno. Da PCI a PDS, DS, Ulivo e PD, più gli annessi a destra e sinistra: renziani, rifondaroli, margheritini, finto ambiental-pacifisti e cespugliame vario, sempre pronti ad accorrere in soccorso per poi tirarsi sistematicamente fuori al momento opportuno, in previsione di un nuovo riciclo di fantocci utili per meglio continuare la farsa. E’ servita solo a prolungare l’agonia: la loro e quella dell’Italia, che si doveva tenere ferma il più a lungo possibile per poterla spogliare con l’efficienza migliore.

Servi fidati, sempre pronti per pochi denari e qualche poltrona a lasciar devastare il loro stesso Paese, possono sempre tornare utili, prima del calcio in culo definitivo. Al quale oltretutto provvedono in prima persona, alimentando essi stessi le cause della loro eliminazione.

Potrebbero i loro mandanti desiderare nulla di meglio?

Non a caso nella loro azione, che col suo protrarsi ha reso ormai del tutto impraticabile qualsiasi concetto di sinistra presso chiunque conservi il minimo barlume di consapevolezza storico-politica, hanno obbedito innanzitutto a ordini provenienti dall’esterno del Paese. Proprio a tal fine sono stati salvati dal golpe mascherato di Mani Pulite, malgrado gli scandali enormi dei quali si erano resi protagonisti.

Uno fra tutti quello legato alla Metromilano che ebbe per protagonista Napolitano, colui che viaggiava in classe economica e poi intascava il rimborso di prima per i suoi viaggi da e per Strasburgo e Bruxelles, al tempo dei suoi incarichi europei. Per non parlare del Pio Albergo Trivulzio che diede avvio all’operazione e di quello, innominabile, del Forteto, vera dimostrazione dell’abominio proprio di quegli ambienti.

Anche in quel caso si scelse una definizione semanticamente perfetta allo scopo, Mani Pulite appunto, per un’operazione eversiva eseguita da una delle istituzioni primarie e più autonome di uno Stato già allora infiltrato in tutti i suoi gangli e quindi in via di dissoluzione o meglio di ricolonizzazione. Proprio affinché il trapasso verso la moneta unica e la cessione dei poteri a Bruxelles avvenisse senza sussulti e con la massima obbedienza. Ovvero con un consenso politico e soprattutto popolare indotto mediaticamente anche alle misure più draconiane, di fatto inaccettabili, che non avrebbero tardato a manifestarsi.

Come in ogni colonia che si rispetti, il suo governo, per forma e composizione è deciso dai colonizzatori. Interessante a questo proposito è la testimonianza dell’ex presidente francese Sarkozy, riguardo alla destituzione del governo Berlusconi, l’ultimo che nel nostro Paese abbia avuto una legittimazione popolare, almeno parziale. Nel suo nuovo libro “Il tempo delle battaglie” ammette si sia trattato di un golpe morbido, atto che definisce “crudele ma necessario”. Fu deciso insieme alla Merkel, nel momento in cui la moneta unica e insieme l’unione europea, il minuscolo è d’obbligo, mostrarono la loro insostenibilità. Per porvi riparo fu chiamato come al solito il nostro Paese a farne le spese.

Proprio allora Draghi pronunciò le parole fatidiche: “Whatever it takes”, appunto significando che per la costruzione massonico-mondialista qual è l’unione europea a ogni effetto, sarebbe stato disposto a far massacrare tutti i suoi connazionali, dei quali del resto gli è sempre importato il giusto, ossia nulla.

Non a caso è stato definito “il vile affarista” da quell’altro bell’arnese che rispondeva al nome di Francesco Cossiga.

Interessante rilevare anche come l’UE abbia indotto l’azzeramamento di determinati valori anche a livello politico: sulla scena internazionale, prima di essa, ben difficilmente un esponente appartenente a una qualsiasi fazione avrebbe operato in maniera così dura e plateale nei confronti di qualcuno che stava dalla sua stessa parte e in una nazione confinante.

Ovvio che, in condizioni simili, una qualsiasi politica economica volta magari solo a contenere gli effetti meno desiderabili dell’appartenenza a una comunità di Stati dalle volontà a tal punto distruttive, nei confronti di quello che si è chiamati a rappresentare, non possa avere luogo e sia anzi del tutto impensabile.

Lo stesso Berlusconi del resto non si oppose all’attacco a Gheddafi, che sarebbe stato trucidato nel modo che sappiamo, malgrado l’esistenza dei noti accordi tra i due e tra Italia e Libia. Ancora una volta l’Italia avrebbe fatto gl’interessi di quelli che ufficialmente erano i suoi partner comunitari, ma di fatto hanno agito come i suoi primi e più spietati nemici.

Gheddafi è stato tolto di mezzo per via del suo progetto del Dinaro d’oro, moneta con la quale si proponeva di restituire piena indipendenza ai Paesi africani. Ne avrebbe sofferto in primo luogo la Francia, per i motivi anzidetti, esito incompatibile coi suoi destini già decisi colà dove si puote di seconda forza dell’Unione Europea, che in caso contrario ne sarebbe stata gravemente menomata.

Come si ricorderà, le dimissioni del governo Berlusconi furono ottenute dietro precise minacce di ritorsioni economiche, mentre la Bundesbank metteva sul mercato tutto insieme il debito italiano che deteneva, secondo un’azione che fonti indipendenti hanno definito di guerra, vera e propria, eseguita con strumenti finanziari. Alla faccia dell’unione, del partenariato, della cooperazione, dei destini comuni tra i Paesi d’Europa e di tutto l’arsenale di asini volanti, unicorni e fatine a uso e consumo dei creduli euroentusiasti.

In quell’occasione la gente della sinistra scese in piazza in massa. Non per protestare contro l’attacco dei tedeschi e dell’UE, ma per festeggiare la caduta del nemico più odiato, ballando, cantando e sventolando le loro bandiere. Erano e sono tuttora incapaci di comprendere, proprio in funzione della superiorità morale che sono convinti di detenere, che indipendenza e democrazia sono tali anche e soprattutto quando al governo ci va qualcuno che non piace, ma è comunque designato dalla volontà del popolo.

Soprattutto, che non accadano certe cose è preciso interesse del Paese cui si appartiene, che insieme al suo popolo quelli della sinistra non a caso detestano, succubi come sono già a livello culturale e ideologico del grande capitale sovranazionale. Però stranamente di cambiare cittadinanza, acquisendo quella degli Stati che più gradiscono e prendono a modello, cosa sempre possibile e oggi anzi grandemente facilitata dalla stessa Germania, non gli passa manco p’a capa. Troppo più comodo sputare nel piatto in cui si mangia a quattro palmenti e s’ingrassa a dismisura.

Si definiscono progressisti, ma nell’ennesimo paradosso delle loro mille contraddizioni hanno un atteggiamento per nulla diverso dalla prassi medievale con cui il signorotto locale invocava il regnante straniero affinché lo sbarazzasse del vicino che gli dava fastidio. Col solo risultato di finire entrambi sotto il suo tallone.

Fu così che arrivò Monti, con le sue politiche economiche da lacrime, divenute famose quelle finte e in favor di telecamera della Fornero, e sangue. Ha rovinato la vita anche e soprattutto a quelli che allora esultarono per la caduta del berlusca, ma non c’è verso che la lezione entri nella loro testa.

Parallelamente il golpe finanziario fu eseguito anche nei confronti della Grecia, con la destituzione del premier socialista Papandreu, portando a quella passata alla storia come la nuova strage degli innocenti. A seguito della quale lo stesso Mario Monti è stato capace di proclamare in pubblico che “La Grecia è stata il più grande successo dell’euro”, conquistando gli applausi a scena aperta dell’intero uditorio.

In merito all’Italia disse” Stiamo distruggendo la domanda interna”, di fronte ai microfoni della CNN collegati in mondovisione: uno psicopatico all’ultimo stadio, degno frutto della Bocconi da cui proviene. Andrebbe rinchiuso in manicomio criminale e invece se ne sta a fare il nababbo, coi compensi delle sue malefatte.

Da quella guerra senza quartiere sono conseguiti lo smantellamento del nostro sistema industriale e l’alienazione dell’industria pubblica, patrimonio di tutti gli italiani e vera artefice del benessere nazionale, della ricostruzione dopo le distruzioni della guerra e soprattutto del boom economico che ha portato infine l’Italia alle soglie del quarto posto tra le economie mondiali. L’IRI e le sue collegate, insieme alla filosofia stessa che ha portato alla loro fondazione, erano l’eredità più significativa dell’era fascista. Forse per questo era così detestata dai politici della sinistra dei lavoratori, che hanno sempre combattuto alla morte qualsiasi cosa fosse alla loro sinistra, e nel concreto, in perfetta obbedienza alle istruzioni del grande capitale.

Di quel patrimonio, di proprietà del popolo italiano e del valore inestimabile non solo economico ma per il destino stesso del Paese, hanno fatto strage. Prodi, D’Alema, Amato e gli altri eroici compagni lo hanno regalato ai privati, i quali dal canto loro hanno agito come il Colaninno da poco scomparso. Non prima, purtroppo, d’incistare i suoi eredi nel sistema politico nazionale. Indovinate in quale formazione.

Costui fondò una società di comodo, priva di fondi, che indebitò oltre ogni limite appunto con l’acquisto di Telecom Italia, avvenuto grazie ai suoi appoggi politici. Provateci voi infatti a fare una cosa del genere, se vi riesce. Dopodiché eseguì la fusione tra le due società e di fatto mise sulle spalle del colosso nazionale delle comunicazioni il debito conseguente all’acquisto che lui stesso ne aveva fatto. Ovviamente nessuno ebbe a che ridire su questa truffa che al confronto La Stangata è roba da opera pia.

Con quei metodi è stato distrutto il nostro sistema industriale ed economico. Quindi non c’è assolutamente nulla di strano se dopo circa 20 anni di moneta unica lo Stato Italiano si ritrova nelle condizioni in cui è, fuori dalle prime 10 economie mondiali, da quarto che era, in condizioni di dissesto sociale, finanziario, territoriale e infrastrutturale allora inimmaginabili, e con ogni probabilità irrecuperabili.

Ammesso che un giorno qualcuno ne abbia la volontà politica.

Quanto costerebbe infatti rimettere in sesto la rete stradale, il sistema ospedaliero, quello industriale o l’edilizia scolastica? Per non parlare della mentalità della maggioranza schiacciante del Paese? Però i soldi per mandare in Ucraina le armi più sofisticate e costose del nostro esercito, affinché i russi possano distruggerle senza difficoltà come nel tiro a segno delle giostre, stante la loro superiorità tecnologica, bellica, ed intellettuale, si sono trovati eccome.

La loro industria degli armamenti infatti non sta li per ciucciare soldi all’infinito dalla mammella pubblica, seguendo i dogmi del capitalismo anarcoide dominatore assoluto dell’occidente. Sottraendoli alle finalità sociali per dare in cambio catenacci costosissimi come l’F 35, che basta un temporale per farlo precipitare al suolo o i carri Abrams che s’impantanano non appena si avventurano su terreni sfavorevoli. Supporta invece il sistema di difesa nazionale con la massima efficacia, insieme a un popolo orgoglioso, consapevole della propria storia e quindi del posto che ha in questo mondo. La differenza è tutta qui: inevitabile pertanto che gli avversari occidentali della Russia, corrotti e rammolliti da un consumismo interiorizzato come e peggio di una religione neopagana, soccombano miseramente. Quel che è peggio dopo una serie infinita di proclami chiassosi e diffusi a reti unificate, ma vuoti e privi del minimo senso della realtà.

D’altronde l’Occidente ha bisogno assoluto e improrogabile delle risorse russe. Per via del cumulo enorme di carta straccia costituito da derivati, titoli tossici e altra immondizia con cui si crea denaro dal denaro, per forza di cose fittizio, che già diversi anni fa ha raggiunto un valore equivalente a oltre 50 volte il PIL dell’intero globo, come ha più volte spiegato l’economista Nino Galloni. Neutralizzarne gli effetti diventa sempre più complicato e il rischio che si materializzino si fa ogni giorno più concreto, con una deflagrazione dalla potenza incalcolabile. Ecco perché si convincono di poter riuscire a vincere contro la Nazione invincibile per eccellenza: sono effettivamente pazzi, ma più che altro sono costretti, dalle loro stesse azioni.

Questo può essere visto anche come un’ottima motivazione per i progetti deliranti del World Economic Forum e dell’arcicriminale Klaus Schwab: entro il 2030 intendono fare in modo che nessuno posseda più nulla. Potrebbe essere un modo per cercare di tamponare il cumulo di debiti dalle proporzioni tanto inverosimili che si è voluto accumulare nel corso dei troppi decenni in cui il capitalismo anarcoide l’ha fatta da padrone. Anche al fine di far si che le élite acquisissero il potere assoluto che di fatto esercitano.

Oggi lo Stato riduce in miseria gli italiani e di conseguenza impedisce loro di procreare, essendo ormai avere un figlio un lusso irragiungibile per troppi. Soprattutto lo ha reso un’attività impraticabile, dato che ai costi della vita attuali bisogna lavorare in due 12 ore al giorno solo per sperare di sopravvivere. Mentre Prodi, ritratto qui di seguito, in osservanza di un protocollo di stile mafioso impeccabile bacia la mano a Draghi, che dal canto suo l’osserva impassibile, giurò che con l’euro si sarebbe lavorato un giorno in meno guadagnando come con un giorno in più.

Dunque gl’italiani sono stati spogliati di tutto, al punto di non essere più in grado neppure di tramandare la loro esistenza, mediante condizioni di vita e di lavoro intollerabili, mentre quello stesso Stato regala somme enormi alle sue clientele politiche che si arricchiscono oltre ogni misura col pretesto dell’accoglienza. Gl’immigrati di fatto sono oggi pressoché gli unici a potersi permettere una prole, oltretutto numerosa. Però la sostituzione etnica è come sempre teoria del complotto, ossia di quelle la cui sola differenza nei confronti della realtà concreta sta tra il momento in cui vengono enunciate e quello in cui si palesano per chiunque.

Mancano pochi anni ormai affinché la profezia di Gustavo Rol sia realtà. Egli previde che entro il 2025 la popolazione italiana sarebbe stata in maggioranza di colore. In realtà ci vorrà un po’ di tempo in più, ma ormai è inevitabile che avvenga: basta guardare la composizione delle classi scolastiche attuali.

Con ogni probabilità egli non fu un vero profeta, più prosaicamente era solo a conoscenza dei progetti delle élite. Suo padre era un grosso banchiere che tra l’altro aiutò gli Agnelli a impadronirsi dell’intera industria italiana del trasporto, ma lasciamo andare se no non ne usciamo.

 

Sovrastima

Tutto questo serve per spiegare materialmente come mai il valore dell’Euro sia sovrastimato in misura così irrealistica nella percezione dei suoi utilizzatori italiani. In realtà non è diverso dai soldi del Monopoli: le sue banconote non hanno neppure il numero di serie. Riportano solo la sigla identificativa del paese di emissione, così da permetterne la stampa in quantità illimitate: a costo zero ma accollandone il debito agli Stati in base al valore facciale delle banconote emesse. Proprio quel che serve per ripetere al popolo che si è deciso di colpire con un impoverimento di massa senza precedenti storici, che di soldi non ce ne sono.

L’Italia del resto è l’unico paese d’Europa e forse del mondo in cui la media delle retribuzioni è di fatto calata rispetto a oltre 30 anni fa (fonte Eurostat), mentre i costi della vita sono aumentati in maniera esponenziale.

Persino nella Grecia della già menzionata nuova strage degl’innocenti è aumentata. Di oltre il 30% dal 1990 al 2020.

Per conseguenza, se i relativi valori sono messi nella giusta prospettiva, i due milioni di allora equivalgono probabilmente, nel concreto, ai 10 mila euro di oggi.

E forse ancora non basta. Ai fini di una valutazione basata su dati reali andrebbe osservato che ormai la moneta da 1 euro è di fatto caduta al livello base del valore spendibile. Meno di così ormai ci costa solo una fotocopia, proprio come le 100 lire quando il nostro amico ha acquistato il suo impianto. In proporzione allora, e al di là delle statistiche appositamente falsificate dall’ISTAT, Istituto STAtistiche Taroccate, per eguagliare il valore costituito allora dai due milioni di Lire, di euro ce ne vogliono 20 mila.

A questo punto i conti sembrerebbro tornare, dato che con 20 mila Euro non solo si può comperare, forse, un impianto di valore sonico e in termini di materie prime pari a quello che stiamo prendendo a paragone, ma tale anche da dare ragione dei progressi tecnici e dei miglioramenti intervenuti nel frattempo.

Solo che nessuno o quasi se lo può permettere.

A pensarci bene, inoltre, è lo stesso limitarsi alla prospettiva di qualcosa che equivalga al sistema di una vita fa, invece di pretendere giustamente la fruizione degli esiti del progresso quarantennale fin qui intervenuto, a dare l’esatta misura degli effetti della guerra decisa dai vertici del potere economico mondialista contro gli italiani. Attuata per mezzo del collaborazionismo politico, istituzionale e culturale tutto interno al Paese, ha spezzato le gambe, e per conseguenza azzerato le percezioni e le ambizioni tecniche, sociali, economiche e di qualità della vita, alla stragrande maggioranza dei nostri connazionali.

Si è trattato di una guerra mai dichiarata formalmente e di tipologia ibrida, in quanto combattuta senza usare armi da fuoco, così che le sue vittime non si rendessero conto di quel che stava accadendo loro, e con estrema e ben calcolata gradualità. Le sue conseguenze tuttavia sono ben peggiori di una combattuta con l’impiego delle armi da fuoco più moderne.

Del resto le nostre strade non sembrano reduci da ripetuti bombardamenti? Sono in uno stato talmente pietoso da aver reso privo di senso anche l’umorismo amaro del “Buca, buca con acqua” del film “Il federale” con Ugo Tognazzi, proprio perché persino quelle condizioni sono state surclassate. Se la politica nazionale, col suo sottomettersi senza riserve al ricatto portato dall’Europa non ha avuto remore a ridurre in condizioni simili quel che si trova sotto gli occhi di tutti, figuriamoci cosa può aver fatto con quello che invece vi è celato.

A circa 30 anni di distanza, dunque, gli esiti sono ancora peggiori di una guerra mondiale perduta, come abbiamo rilevato più volte in questa sede. Solo che più passa il tempo e meno sono le persone che possono comprendere certe cose, venendo a mancare il riferimento precedente. Per maggior sicurezza si è tentato di eliminarle nel numero maggiore possibile, coi metodi che sappiamo.

Nel 1947 l’Italia pareggiò la produzione industriale d’anteguerra. Ossia del 1938, nove anni prima, in cui aveva avuto la sua massima espansione. Nel 2017 la produzione industriale italiana era sotto del 25% a quella del 2008 e ora le cose stanno anche peggio e di molto, dati gli esiti dell’intermezzo triennale della pandemenza, sempre gestita dagli arnesi della sinistra, e della crisi Ucraina che vi è stata fatta seguire.

In conseguenza di tutto ciò cosa accade? Venuta meno la produzione industriale, e di conseguenza l’occupazione da essa assorbita, mentre tra le attività meno ambite e il piccolo commercio ormai predomina largamente un’immigrazione che è la sola a poter accettare le paghe da fame che ormai ne sono la norma, la gente di qualcosa deve pur continuare a sopravvivere, alla meno peggio. Di qui il rifugiarsi di masse sempre più consistenti di espulsi in via definitiva dal mondo del lavoro, per le conseguenze di UE e moneta unica, nell’industria del turismo e della ristorazione. Si tratta infatti dell’ultimo baluardo rimasto in piedi di questo Paese disgraziatissimo proprio perché ricco come nessun altro, oltretutto di cose tanto pregiate che non è possibile dargli un prezzo.

Tale fenomeno è stato favorito anche da una campagna mediatica che del cibo e della sua valenza sociale con l’annessa preparazione e le gare tra cuochi, aspiranti tali e semplici massaie ha fatto l’ossatura portante della sua programmazione, con il relativo inevitabile lavaggio del cervello.

Conseguenza, l’aumento dei costi del prodotto finito di quel comparto, innanzitutto per via della percezione falsata, da parte degl’italiani, del valore della moneta che li si è costrettti a usare. Poi per effetto di una pressione fiscale asfissiante e infine perché quel settore, oggi, deve dar da mangiare a quantità di persone che strutturalmente non è in grado di sostenere.

A questo punto intervengono con manovra ben calcolata i farabutti alla Tozzi, altro noto sinistrato, spalleggiato dall’intero sistema mediatico-politico. Soffiando sul fuoco da loro stessi appiccato e facendo leva sulle condizioni insopportabili al materializzarsi delle quali hanno dato il loro interessato contributo, demonizzano l’intero settore con l’intento evidente di danneggiarlo e se possibile di distruggerlo. Spingendo così le moltitudini, che con capacità di spesa ridotte al lumicino cercano comunque di farci scappar fuori la loro vacanzola, a portare il denaro fuori dal Paese.

Con quei metodi affossano ulteriormente uno Stato che invece di metterli nelle condizioni di non nuocere ulteriormente, e in via definitiva, li ricompensa con retribuzioni principesche e con tutti i benefici derivanti dalla notorietà.

Curiosamente, però, a quell’invertebrato nessuno ha chiesto fonti ed evidenze delle sue panzane, come invece si fa immancabilmente con il latore di ogni notizia che possa dar fastidio. Tantomeno di specificare ove si trovi quel luogo paradisiaco: tutti i media si sono limitati a far rimbalzare la non-notizia, trascurando minuziosamente il particolare senza importanza e costruendoci sopra l’ennesima commedia, che poi tutti hanno provveduto a ripetere a pappagallo, come da addestramento ricevuto nel patrio sistema didattico.

Ovvio, non si possono chiedere certe cose, hai visto mai che il popolaccio lercio, con le ascelle puzzolenti e le infradito, da sempre odiato alla morte dai radical chic della sinistra ZTL, possa contaminare quell’angolo di paradiso. Giustamente va riservato a chi lo merita, ovverosia ai borghesi e ai ricconi che predicano la rivoluzione proletaria e l’azzeramento dei consumi mentre si crogiolano nel lusso. Ovviamente a spese altrui.

Un popolo d’imbecilli, falsari e traditori a ogni livello, soprattutto mediatico, istituzionale e politico, per forza di cose è destinato all’estinzione. E il suo territorio alle razzie dei Lanzichenecchi e dei nuovi barbari, coadiuvati dalle quinte colonne capeggiate dai vertici del Paese, insediate in ogni posto in cui si eserciti il minimo potere, fosse pure la bocciofila di quartiere.

Tutto questo malgrado gli sforzi di tanta gente che cerca ancora di sbarcare il lunario ostinandosi a inventare lavori che è stato deciso da tempo debbano diventare indisponibili.

Quello cui ci troviamo di fronte è l’attacco all’ultimo cespite rimasto al Paese. Tolta di mezzo l’industria turistica, o meglio messa nelle mani straniere e delle multinazionali da parte dei democraticissimi entusiati dell’Europa e dell’Occidente, i cui fili sono tirati dagli stessi che tirarono quelli del nazismo, di ciò che era un tempo l’Italia non resterà più nulla.

Oggi anzi le cose vanno molto peggio di allora. Sotto Hitler i tedeschi poterono aumentare grandemente il consumo di alimenti origine di proteine nobili. E comunque esisteva una via di fuga. Oggi invece vogliono costringerci a non mangiare più carne e nutrirci di insetti. Volendo sfuggire non si saprebbe dove andare.

 

Per soprammercato…

Ancora non è abbastanza. Per una valutazione oggettiva e minimamente completa dell’effettivo valore attuale della moneta, stabilito appunto da quel che ci si può comperare, rispetto a quel che era in circolazione 30 anni fa, va tenuto conto che allora il costo dei servizi essenziali, gestiti quasi completamente dalla Stato nell’ottica del servizio, anziché in quella del profitto in cui siamo stati precipitati dai capintesta della sinistra tramite la svendita del patrimonio pubblico ai privati, era in realtà bassissimo. Oggi è fuori dalle possibilità economiche di buona parte dei ceti salariati, figuriamoci dell’oltre 30% della popolazione che è disoccupata a vario titolo e appositamente spezzettata tra diverse categorie. Inventate proprio allo scopo di nascondere il dato reale, in quanto del tutto inadatto a essere comunicato nella sua interezza.

Inoltre tante voci di spesa non esistevano proprio, a fronte di un ammontare di tasse, accise e balzelli sul totale delle entrate di ciascun italiano divenuto insostenibile.

Proprio per questo si grida incessantemente all’evasione, pretendendo di fare i conti in tasca a ogni italiano che si è voluto ridurre in povertà. Allo scopo è stato invertito, per legge, persino il principio base del diritto, la presunzione d’innocenza. Ormai da tempo è l’accusato a doverla dimostrare e non l’accusa a comprovare la fondatezza delle sue tesi. Ovvio che ne derivi una persecuzione da parte di una classe parassitaria, incentivata a produrre liti temerarie a danno dello stesso bilancio dello Stato, senza che la Corte dei Conti intervenga al riguardo.

Dovrebbe essere innanzitutto lo Stato a dire come ha speso, e fino all’ultimo centesimo, le somme astronomiche che ha sottratto dalla circolazione e quindi dalla ricchezza condivisa e dalle possibilità di sviluppo del Paese. Proprio allo scopo d’impoverire sempre più gl’italiani e affossare l’economia.

In particolare la tassazione indiretta ha avuto un incremento esponenziale. Non a caso, essendo quella che non pesa in misura proporzionale sulla possibilità del singolo ma grava enormemente di più su chi ha pochi mezzi. Oggi è la parte predominante del gettito fiscale, mezzo ulteriore con cui lo si è trasformato da strumento di un’equità falsificata, secondo il luogo comune su cui i media battono a oltranza e con un’ostinazione senza pari, a clava con cui stermina la classe media che infatti è ridotta ormai al lumicino e perseguita i più poveri, ai quali di fatto si è arrivati a contestare la stessa permanenza in vita.

Dovrebbe inoltre specificare, quello Stato, una volta e per tutte, quante volte ritiene lecito tassare gli stessi denari. Lo fa prima con le ritenute alla fonte, poi con l’IVA su ogni merce o derrata acquistabile, poi con le accise sui carburanti, lasciando stare da cosa sono formate e su cui applica di nuovo l’IVA, secondo il principio della tassa sulla tassa. Di seguito con bollette di cui si e no il 20% è dato dai costi vivi dell’energia, poi richiedendo somme improbabili per fornire i documenti che esso stesso esige, poi con il gioco d’azzardo, oltretutto taroccato, che gestisce in proprio, infine con le tasse di successione e di sicuro ho dimenticato qualcosa. Ora ne vuole anche per permettere la libera circolazione, come in Piemonte. E se lassù non si rivoltano, presto sarà così anche nel resto d’Italia.

Il tutto a fronte di servizi sociali azzerati. Ormai persino al pronto soccorso devi pagare se vuoi sperare di essere curato. Ma fin quando le persone accetteranno, mugugnando, farà sempre di peggio.

Gli esiti dell’operazione sono stati talmente distruttivi e plateali che ormai ci solo rimasti solo pochi irriducibili dissociati a ululare all’evasione fiscale. Ripetono le idiozie propinate dal sistema mediatico, privi come sono di ogni strumento atto alla comprensione della realtà, per quanto sia a tal punto drammatica di fronte ai loro occhi, che per fedeltà alla loro ideologia hanno accecato col più grande entusiasmo. Tutto il resto delle persone che conservano un qualche residuo di attività mentale autonoma hanno compreso sulla loro pelle a cosa è servito esasperare e rendere a tal punto pervasiva la pressione impositiva.

Come sempre a trarne ogni beneficio è il grande capitale, di fatto esentato dalla tassazione. Ulteriore dimostrazione che la sinistra è stato inventata proprio per quello, fare sempre e solo il suo gioco, qualche rara volta senza rendersene conto, come già tanto tempo fa ha detto Oswald Spengler.

In condizioni del genere la spesa di una somma dalla capacità di acquisto equivalente a quello degli allora due milioni di Lire è pura fantascienza, per la stragrande maggioranza delle persone residenti in Italia. A maggior ragione per un bene voluttuario come quello dell’impianto audio.

Oggi pertanto è impensabile per quasi tutti: se proprio devono ascoltare qualcosa lo fanno col telefonino e un paio di auricolari. Immagine perfetta per simboleggiare il regresso economico, prima ancora che culturale, intervenuto nel frattempo.

Nessuno spiega loro che tenere quegli auricolari a volume troppo alto, come avviene regolarmente, causa danni all’udito. Così alla sordità mentale nei confronti dell’etica e di tutto quanto non sia contemplato nel manuale dell’abbrutito moderno, ne corrisponderà anche una materiale, che a quel punto non sposta la situazione di una virgola.

 

Costi fissi

Fin qui le ragioni socioeconomiche. Ci sono poi quelle di mercato, prima fra tutti una realtà che come al solito nessuno ha intenzione di osservare. Innanzitutto perché indurrebbe a farsi un numero troppo elevato di domande scomode, ma anche perché quando si è preda dell’ipnosi, in particolare quella da vu meter del più bel blu dipinto di blu, tutto il resto che importanza può avere?

Nel momento in cui un mercato, uno qualunque, si contrae in misura tanto consistente, proprio per le ragioni che abbiamo visto fin qui, la prima conseguenza è che il numero di pezzi venduti si riduce. Insieme ad esso si riducono anche i margini complessivi, i quali però devono comunque continuare a pagare i costi fissi del sistema di produzione, distribuzione e comunicazione, che per larga parte sono incomprimibili. O meglio, come nella fattispecie attuale aumentano anch’essi insieme al resto, sovente a dismisura.

Ci hanno ripetuto alla nausea che l’inflazione degli anni 70 e 80 era dovuta alla Liretta. Brutta, sporca e cattiva, mentre con l’euro dalle milleuna virtù ne saremmo stati esenti, col che si volevano giustificare anche i costi enormi a livello sociale, istituzionale, industriale e infrastrutturale che ha prodotto.

Poi com’è andata lo sappiamo, però nessuno di quelli che per decenni hanno ripetuto tale e quale la pappardella propinata dai media di regime ha mostrato segno di aver capito. Si girano semplicemente dall’altra parte, come loro costume, e ho visto fare tante, troppe volte, dato che altrimenti dovrebbero prendere atto della propria realtà.

Eppure in quel periodo, con tutta l’inflazione mostruosa, crudele, assassina, vampira, mannara e ogni aggettivo allo scopo coniato dalla servitù mediatica, rispetto a oggi eravamo ricchissimi. Dato che un qualsiasi stipendiato con un minimo di sacrifici poteva acquistare, magari un pezzo alla volta, un impianto come quello del nostro amico, andando sul nuovo. Oggi, invece, quanti lo possono fare?

Dunque, se i costi fissi che come abbiamo visto sono in larga misura incomprimibili e più facilmente aumentano insieme a tutto il resto, mentre il numero dei pezzi venduti si contrae non di una qualche percentuale, ma proprio a una frazione di quel che era un tempo, va da sé che debbano essere spalmati su quel poco che si riesce a vendere e per conseguenza andranno a coprire una fetta sempre più importante del prezzo al pubblico di un qualsiasi oggetto.

Ma se quell’oggetto deve continuare a essere commercialmente percorribile, ossia deve assicurare comunque un margine che anch’esso non è possibile far scendere sotto certi limiti fisiologici, ma deve aumentare di pari passo ai costi, di produzione, distribuzione e della vita in generale, altrimenti non sarà più possibile dedicarsi al suo commercio, cosa ne fa le spese?

Prima di tutti il prezzo di vendita e poi il controvalore effettivo offerto in cambio, destinati il primo a salire alle stelle e il secondo a ridursi sempre più, proprio in funzione di quanto detto fin qui.

Questo spiega anche quale arma raffinatissima e micidiale sia stata la moneta unica, insieme alle politiche stabilite per favorire il suo corso, destinata a rendere infine impossibile qualsiasi attività commerciale e per conseguenza la messa sul lastrico di intere popolazioni, alla quale non può che seguire la dissoluzione degli Stati in cui risiedono, secondo un disegno massonico di perversione inumana. Perpetrato da individui in grado di ragionare secondo un orizzonte temporale precluso a qualsiasi altro comune mortale, proprio in quanto sa che entro un dato lasso di tempo non sarà più su questo mondo e quindi è inutile prospettarsi itinerari che siano oltre un dato termine.

Prima o poi qualche domanda a questo proposito occorrerà farsela, evitando se possibile nella risposta i soliti luoghi comuni, apparentemente fatti apposta per coprire vasi che non si ha intenzione di scoperchiare.

Il potere un tempo in capo a quegli Stati è destinato pertanto a passare nelle mani di privati, in un numero sempre minore di essi: superclasse di ottimati irraggiungibile sotto qualunque aspetto, come tale in possesso di facoltà dalle dimensioni inaudite e dalla concentrazione altrettanto priva di precedenti storici. Le conseguenze non possono che essere almeno altrettanto drastiche.

Un filmatino riguardante fatti recenti può essere d’aiuto a comprendere la mentalità che alberga a certi livelli.

 

Senso della misura… E’ roba che si mangia?

L’esperienza fatta fin qui insegna che un portato sostanziale del cambio della moneta è stato l’abolizione di qualsiasi senso della misura, espressione ridotta ormai a qualcosa del tutto privo di senso pratico oltreché di significato già a livello lessicale. Si è trattato di un aspetto rivelatosi fondamentale, dato che solo per quel tramite è possibile rendere accettabili le conseguenze, in termini di spesa necessaria per qualunque cosa e di controvalore offerto, di una moneta unica congegnata come l’euro. Priva di Stato, del quale pertanto non può rispecchiare i fondamentali economici, e priva di una vera banca centrale, che faccia in primo luogo il suo dovere. Ossia gl’interessi dei popoli e dei territori in cui si utilizza quella moneta, prima ancora che della moneta stessa, quando invece si limita a curare gl’interessi dello strozzinaggio sovranazionale che ne è padrone.

Ancora una volta, o noi o loro: se non ci liberiamo da quei parassiti, saranno loro che ci spediscono tutti al camposanto. Ormai di tempo ne è rimasto ben poco, dato che stanno per portare la stretta finale e ce lo ripetono a ogni occasione. Ma noi, sordi.

Proprio accadimenti come quelli di Maui ne sono la dimostrazione. Ma voi mi raccomando, siate resilienti!

La perdita del senso della misura ha comportato anche l’incapacità generalizzata di eseguire una valutazione per le qualità concrete di un qualsiasi prodotto. Compresi quelli adibiti alla riproduzione sonora, cosa complicata già in origine, essendo necessaria un’educazione all’ascolto da sempre patrimonio di pochissimi.

Ora è divenuta pressoché impossibile, fattore provvidenziale alfine di poter vendere i catorci peggiori ma tirati a lucido alla perfezione, a prezzi privi di qualsiasi ragionevolezza. Come appunto impongono le condizioni venutesi a creare che abbiamo descritto fin qui.

C’è poi un altro aspetto di grande importanza, a carattere storico e di contenuti. Riguarda le finalità con cui le apparecchiature di nostro interesse sono realizzate. Fin quando ci siamo trovati in un’epoca di sviluppo, la tendenza al miglioramento delle doti sonore, col passare del tempo, non era neppure da mettere in discussione. Quantomeno ci si è provato e forse non sempre ci si è riusciti, ma la tendenza era quella. I motivi erano innanzitutto di ordine filosofico e culturale. Si perseguiva il miglioramento in quanto tale e soprattutto lo s’intendeva in termini di prestazioni assolute.

Ossia di comportamento nella sala d’ascolto. La prima in cui occorreva distinguersi dalla mischia era quella del rivenditore, in cui si eseguivano gli ascolti a confronto, sia pure in condizioni che spesso non permettevano di operare un qualche discrimine, figuriamoci poi uno corretto. Malgrado ciò aveva una sua funzione, e questo oggi non è più. Le apparecchiature si scelgono sulla carta, in base a tabelle che riportano le caratteristiche tecniche, prive di qualsiasi addentellato con il comportamento all’ascolto e la qualità sonora di cui è possibile fruire. Tendendo a ridurre quindi, fino ad azzerarle, le capacità della stragrande maggioranza del pubblico.

Anzi, essendo tali tabelle il mezzo più efficace per la costruzione di una forma mentale ben precisa e del tutto priva di contatto con la realtà concreta, intesa in termini di qualità della riproduzione, come i pollai audiofili più noti e frequentati pongono in evidenza con una crudezza di tratti emblematica e talvolta inquietante, la qualità sonora perde qualsiasi significato. Tuttalpiù quello che può contare è l’effettismo, atto a far sobbalzare sulla sedia l’ascoltatore ormai assordato innanzitutto a livello culturale e intellettivo, tale da fargli riconoscere con compiacimento che si, le tabelle di caratteristiche e misure hanno in effetti un loro riscontro.

A corollario di esse ci sono l’estetica, che deve suggerire la modernità più avanzata, e come tale ha i suoi costi, nonché ovviamente il prezzo, che deve essere adeguato alla realtà del nostro tempo, basata su una polarizzazione inaudita a livello sociale. Quindi o stracciato, da far dubitare persino di come sia possibile arrivare sul mercato a prezzi del genere, proprio perché detratti tasse e balzelli insieme ai costi incomprimibili la tendenza è invariabilmente allo zero, oppure spinto a tal punto verso l’alto da rendere inverosimile lo stesso aspettarsi che il controvalore in termini di qualità sonora possa avere alcunché di concreto.

Quindi, comunque vada, la qualità sonora, quella vera, è ormai elemento obsoleto e quel che è peggio irrecuperabile.

Su tutto questo s’innesta l’evoluzione tecnica di materiali, componenti e soluzioni, per forza di cose non più tendente all’assoluto prestazionale come un tempo ma al relativismo che è la malattia cronica ed esiziale del nostro tempo ed è ben radicata anche nel settore che ci riguarda. Quindi nulla che suoni bene veramente, ma l’oggetto che possa stupire per quel che riesce a esprimere in funzione dei suoi costi, possibilmente ridotti all’osso.

In condizioni simili attribuire al prodotto una sua personalità come si faceva un tempo è praticamente impossibile. In tempi di massificazione esasperata come gli attuali potrebbe essere anche poco conveniente. Gli stessi costi ridotti all’osso impongono scelte standardizzate, in termini di componentistica, a sua volta prodotta in larghissima serie come tutto il resto delle parti che lo compongono, dove la riduzione delle dimensioni è un altro elemento utilizzato per abassare i costi, specie di certe categorie di apparecchiature.

Sul versante opposto invece dominano un gigantismo e un’ostentazione di opulenza oltre i limiti della realtà, tale che lo stesso movimento del pacchianesimo storico si trova costretto a battere in ritirata, in conseguenza della sua inadeguatezza all’assurdo della realtà attuale.

Ci troviamo di fronte, in sostanza, nell’ambito della riproduzione sonora, a un’allegoria della situazione odierna, a livello di società civile.

In ogni caso è quello l’importante, dare la sensazione che certe spese senza costrutto né etica, figuriamoci parlare di buon gusto, necessarie per acquistare oggetti del genere abbiano un corrispettivo da percepire e consumare nell’immediato, come prescrive il decalogo dei tempi di oggi. Quindi privo per forza di cose di ogni addentallato con la vera qualità, che per essere apprezzata ha bisogno dei suoi valori e dei suoi tempi. Soprattutto da parte di chi utilizza l’oggetto che ne è portatore.

Tempo oggi non ce n’è, valori manco a parlarne, per conseguenza stessa del consumismo trionfante, quindi largo ancora una volta all’effetto speciale, che colpisce all’istante e possibilmente vada a completare nel modo migliore quello ottenuto attraverso le forme esteriori, per mezzo di una continuità sensoriale che dati i presupposti ancora una volta non ha a che fare e non può averne, con la vera qualità, intesa nel senso di rappresentazione credibile dell’evento reale.

Nel momento in cui alla società civile si è imposta un’inversione di 180 gradi, orientandola verso il regresso, sia pure mascherato nei modi più vari, cialtroneschi e inverosimili, dei quali però ostentare il credere è assurto a dogma, il settore della riproduzione sonora non ha potuto far altro che venirne influenzato. Non fosse altro perché esposto anch’esso alle condizioni economiche, politiche e sociali che in tal modo si sono prodotte. Del resto abbiamo visto decine di esempi riguardanti il rispecchiarsi in campo audio dei fenomeni osservabili nell’ambito della società civile. Non di rado il settore di nostro interesse li ha addirittura anticipati.

Per conseguenza oggi le apparecchiature destinate alla riproduzione sonora non sono più realizzate per suonare al meglio che sia possibile. Primo perché è la stessa realtà economica della fase attuale a impedirlo, essendo le leggi di mercato a obbligare innanzitutto alla lotta per la sopravvivenza, nelle condizioni date, descritte in precedenza.

In secondo luogo non ce n’è più bisogno, dato che ormai già a partire dalla sorgente originaria il segnale audio è profondamente penalizzato, caso tipico e più diffuso quello della musica posta in liquidazione, in cui già le stesse infrastrutture adibite al servizio non possono essere piegate alla resa migliore possibile di quel sistema, comunque inferiore, dati i costi che ne deriverebbero. Per conseguenza, non ha più senso realizzare prodotti finalizzati a scopi inesistenti. Ecco allora che si punta sull’estetica, sulla valenza quale status symbol e meglio ancora la capacità d’illustrare minuziosamente ogni differenza nelle capacità di spesa e quindi di casta, sulla fotogenicità, ormai gl’impianti li si compera innanzitutto per metterne la foto sui social, cosa che si fa prima ancora di provare ad ascoltarli, sulla rivendibilità e sulla capacità di attribuire una patina, giusto quella, di esperto a chi li acquista.

Conseguenza inevitabile, sono sempre meno quelli capaci di eseguire una vera disamina in termini di qualità sonora.

Sempre di più sono invece gli pseudo esperti che imperversano sui social: non sanno manco da che parte comincia, l’alta fedeltà, e infatti non hanno capito nemmeno perché si chiama così, ma pontificano su tutto. Del resto è materialmente impossibile che possano arrivare, un giorno, a capirne qualcosa: tale è il tempo che spendono a costruire con siffatta stravaganza la loro immagine virtuale, rigorosamente falsificata come tutto quel che li circonda, che per l’ascolto e quindi per educarsi ad esso gliene rimane troppo poco.

Ma proprio a questa tipologia di persone gl’indecisi chiedono consiglio e il loro, insieme alle tabelle di caratteristiche la cui valenza abbiamo visto poco fa, diventa il discrimine in base al quale molti fanno la propria scelta. Sulla base del se va bene per tanti, non potrà che andare bene anche per me.

Oltretutto i pochi capaci a distinguere tra il suono di un flauto ben riprodotto e quello di una motosega scarburata sono tutti ormai piuttosto avanti negli anni. Neppure si può pensare che certuni, non in grado di comprendere la valenza del pubblico sfoggio della compulsività di cui sono resi volontariamente preda, possano un giorno sostituirli.

Pertanto il prodotto che suona bene è sempre più privo di senso e in breve lo smarrirà completamente. Inutile quindi perdere tempo, denaro ed energie allo scopo, tranne che per qualche illuso residuale, categoria della quale anch’io faccio parte: meglio concentrarsi su ciò che viene più richiesto dal pubblico, che per forza di cose è quello che è, stanti pure le realtà di cui sopra.

Detto questo, la situazione attuale non lascia molte vie di scampo, anche se qualcuna ne è rimasta, finché dura. Il battage onnipervasivo volto all’abbrutimento delle moltitudini non vi lascia molto spazio, così che il solo ripromettersi di andarle a cercare ormai non è più sufficiente, occorre proprio una forma mentale che ormai è quasi del tutto eradicata dal sentire comune.

Resta comunque ancora possibile aggirare tutto ciò, basta volerlo e impegnarsi allo scopo.

Proprio questo è problema maggiore: da che mondo è mondo l’impegno è fatica. Con le pseudo-comodità che il sistema propagandistico-commerciale fa di tutto per portarci dentro casa e spingere fin sotto il nostro naso, allo scopo di ridurci in una passività assoluta e definitiva, chi se la sente di affrontare certi sforzi, valutati giustamente come improbi?

Per conseguenza la realtà della riproduzione sonora è segnata, in termini di risultati e ancor più di possibilità di espansione verso fasce di pubblico nuove. E’ la realtà stessa del momento attuale a impedirlo, in quanto rende impraticabile la realizzazione dei prodotti che storicamente hanno avuto il ruolo più significativo al riguardo, non solo in termini prestazionali ma storico-filosofici, come i piccoli amplificatori che suona(va)no bene. Spesso meglio di tanta altra roba più costosa e pretenziosa.

Solo che già allora a capirlo si era in pochi. Gli altri erano troppo impegnati ad ascoltare con gli occhi, le targhette con su il marchio del costruttore, i vu meter, le loro dimensioni e il loro colore, lo spessore e la finitura dei frontali, il portafoglio, le misure e le tabelle delle caratteristiche tecniche, le pagine delle recensioni e così via. Quanta responsabilità ha in questo la (dis)informazione di settore?

Per una serie di concause, molte delle quali abbiamo visto fin qui, oggi non esistono più i margini per prodotti del genere, non solo in campo audio ma un po’ in tutti gli ambiti merceologici. Per conseguenza si è costretti a scegliere tra la mediocrità più smaccata del prodotto economico e quella ancora più significativa ma nascosta sotto quintalate di orpello del prodotto di gran classe, enormemente costoso e già per questo non in grado di dare un corrispettivo in termini qualitativi tale da giustificare le somme necessarie al suo acquisto. Proprio in quanto deve soddisfare innanzitutto elementi che nulla hanno a che fare e più spesso sono in totale contrasto con essi.

Restano solo piccole nicchie, da osservare come riserve indiane. Del resto il sistema che le produsse è lo stesso che ha portato alla situazione attuale, solo che allora era molto meno esasperato: come potremmo pensare che possa dar luogo a risultati diversi?

 

 

 

 

 

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