Town Street Reloaded al Quid

Lo scorso 25 aprile Town Street Reloaded, ossia il gruppo di Massimo Ruscitto, ha presentato al Quid di Roma il suo nuovo album, del quale abbiamo già parlato.

Data la capienza del locale si è trattato di un concerto non dico per pochi intimi ma di sicuro per un pubblico selezionato, anche per via dei contenuti musicali d’eccellenza.

Questo mi riporta direttamente a quanto accaduto qualche estate fa, quando proprio insieme a Massimo ci siamo trovati al Parco del Gianicolo per assistere al concerto del gruppo di Maurizio Giammarco. Anch’esso era un luogo dal numero di posti limitato, tuttavia la qualità delle esecuzioni e il rilievo della musica eseguita in quell’occasione indusse Massimo a osservare che spesso i concerti migliori sono quelli cui va poca gente, cosa con cui non potei che essere d’accordo.

Una conferma la si è avuta proprio per il concerto del Town Street Reloaded, non a caso capitanati proprio da Massimo Ruscitto, che oltre a essere un tastierista di gran caratura è anche un compositore di prim’ordine. Lo testimoniano del resto i brani compresi nell’album “Seekers in the sky”, al quale va riconosciuta una dote a mio parere essenziale ma altrettanto poco comune. Consiste nell’aver trasportato il jazz elettrico contemporaneo sul piano del mainstream, inteso nel senso più nobile del termine, e per conseguenza reso un classico, sia pure istantaneo, proprio per lo spessore delle composizioni in esso contenute.

Poi ovviamente anche l’esecuzione, da parte dei musicisti che hanno preso parte alle registrazioni, ha la sua importanza, grande peraltro. A parte qualcuno si tratta di illustri sconosciuti o quasi per la gran parte degli appassionati di musica, anche per quanti sono più addentro alle cose jazzistiche. Il che dimostra in maniera plateale, e francamente irritante per chi ha a cuore il destino delle attività musicali nel nostro Paese e di quanti le portano avanti, quale dilapidazione di talenti e di capacità espressive vada oggi realizzandosi, senza che vi sia la possibilità apparente, o solo la volontà da parte di chi ne avrebbe i mezzi, di rendere disponibili gli spazi necessari affinché il movimento musicale nel suo insieme possa crescere e fortificarsi con nuovi protagonisti, anziché tirare avanti nella sua vita stentata che sempre più va riducendosi al lumicino.

I motivi di questo stato di cose sono francamente incomprensibili. A voler pensare male si potrebbe ipotizzare che si vogliano in qualche modo tenere a distanza dal pubblico elementi di tal classe a livello tecnico ed espressivo, in quanto potrebbero abituare male il pubblico e per conseguenza renderlo non più ricettivo nei confronti dell’immondizia smutandata che l’industria discografica ha deciso debba essere il solo materiale ad avere visibilità.

Grazie ai miei potenti agganci ho potuto avere un tavolo riservato nel locale in cui si è svolto il concerto, che per combinazione si trovava a circa un metro e mezzo dalla batteria dietro la quale sedeva un Cristiano Micalizzi che si potrebbe definire in forma smagliante. Ha dato il via al concerto con una breve serie di colpi d’intenzione e potenza devastanti. Un “Tum Tum – Sbang” di tom e grancassa, nell’ordine, che nello spazio di un istante ha letteralmente steso gli astanti e nello stesso tempo fornito un assaggio di quella che sarebbe stato il suo contributo allo svolgersi dell’esibizione.

Per reggere l’ora e mezza circa di un assalto simile, oltretutto da posizione così ravvicinata ci’è voluto un fisico bestiale, come ho già rilevato nel commento a un post pubblicato dallo stesso Ruscitto su un noto social in cui ha linkato i video di alcuni brani del concerto, ora disponibile in rete nella sua interezza.

A protezione della batteria, o forse meglio del pubblico da essa, era posizionata una sorta di paravento di plexiglass trasparente, anche per fare in modo che non sovrastasse l’emissione degli altri strumenti. Osservare il modo in cui tremava, malgrado la buona distanza da tamburi e grancassa, dava un’idea dell’energia percussiva, oltreché della sapienza, con cui il kit era manovrato.

A fine concerto non ho potuto fare a meno di chiedere a Cristiano quale sia il numero di batterie che abbatte settimanalmente.

Purtroppo i mezzi tecnici di ripresa e di riproduzione non riescono a rendere l’energia devastante dell’azione batteristica di Micalizzi, peraltro abbinata a raffinatezza, “drive” e precisione invidiabili, da un lato a riprova ennesima che i concerti sono belli da vedere e ascoltare in remoto, ma l’essenziale è essere li, sul posto, per cogliere davvero l’essenza e la fisicità delle esecuzioni, dall’altro che batteristi del genere sono più unici che rari.

Più che mai nel nostro Paese, in cui l’arte batteristica ha sempre trovato più di qualche difficoltà.

Come dimostra il video, gli altri componenti del gruppo non sono stati assolutamente da meno, malgrado la loro notorietà non sia molto ampia. A parte Puglisi, che è una specie di icona bassistica per il jazz elettrico nazionale e non solo, e lo stesso Ruscitto. Malgrado ciò i due solisti, Massimiliano Filosi ai sassofoni e Stefano Profazi, chitarre hanno dimostrato di avere stoffa da vendere.

In privato Massimo Ruscitto mi ha parlato più volte con entusiasmo della qualità dei solisti del suo gruppo, giovani, poco conosciuti ma di gran calibro. Inevitabile ammettere che alla prova dei fatti avesse senz’altro ragione.

Il concerto è stato eccellente e per conseguenza molto apprezzato dal pubblico in sala, come testimoniato anche dal video messo in rete. Forse persino oltre le attese dei componenti del gruppo e in particolare dello stesso Ruscitto, dalla cui espressione mentre tra gli applausi ha presentato gli esecutori traspare l’ìntima soddisfazione.

Durante il concerto mi sono ritrovato a pensare che i gruppi e i solisti che si esibiscono dal vivo si dividono in tre grandi categorie. La prima e più popolata in assoluto è formata da quelli che suonano in playback, ossia stanno sul palco per fare i burattini, facendo finta di suonare mentre scorre il nastro registrato. Di solito sono vestiti e truccati in maniera stravagante e fintamente provocatoria per attrarre l’attenzione del pubblico che li segue, in genere non così perspicace, distogliendola da particolari che potrebbero smascherare la realtà cui si trova di fronte.

I concerti di questo tipo sono in genere quelli in cui il pubblico è più numeroso, di gran lunga, non di rado ci si riempiono interi stadi e palazzetti dello sport. Per conseguenza sono i più redditizi.

Ci sono poi quelli che per quanto bravi e ben intenzionati non riescono a riproporre dal vivo non dico l’interezza dei pezzi fissati su disco con la massima precisione ma solo una parvenza, pur se rendendo la loro esibizione di sicuro apprezzabile.

Infine ci sono quelli che dal vivo sono ancora meglio che su disco, peraltro pochissimi. Tra questi vanno annoverati anche i Town Street Reloaded, quantomeno nella loro esibizione del Quid che ha eclissato la memoria, seppur recentissima, dell’ascolto del disco, presentato nel corso della serata.

Al di là della qualità tecnica e comunicativa delle esecuzioni, seppur rimarchevole, l’intero concerto è stato caratterizzato in particolare da una tensione emotiva di grande concretezza, determinata probabilmente dalla carica con cui tutti i componenti del gruppo hanno affrontato l’esibizione, riuscendo a trasferirla al pubblico presente con la miglior efficacia.

 

Questo malgrado la musica del gruppo sia tuttaltro che di facile presa. Le composizioni di Ruscitto rifuggono infatti gli stilemi e gli stereotipi tipici di una fusion degenerata in smooth jazz, congegnata apposta per piacere al maggior numero di persone possibile e proprio per questo resasi, insieme alla parola che la contraddistingue, quanto di più detestabile oltreché stucchevole.

S’impone invece per quello che è: jazz contemporaneo che proprio per il suo livello ispirativo e per le risorse e le energie dedicate alla materializzazione in una forma di simile compiutezza e organicità si fa mainstream, ovvero punto di riferimento di un’evoluzione musicale che gli autonominati padroni della musica, ossia i controllori delle major discografiche, stanno facendo di tutto per reprimere. Allo scopo utilizzano i sistemi di somministrazione di tracce audio da remoto e il bombardamento senza requie con cui ne propagandano la convenienza e la comodità, trovando come sempre seguito passivo da parte delle face di pubblico più vaste.

La cosiddetta musica liquida, insomma, fatta apposta per rendere più remunerativo che mai il repertorio già ipersfruttato di cui detengono il controllo e per far si che ad esso non possa più esservi concorrenza alcuna, Meno che mai da parte dei musicisti indipendenti che in qualche modo riescono ancora a resistere all’attacco micidiale portato per mezzo di quello strumento di massificazione, serializzazione e lobotomizzazione senza precedenti.

Stiamo parlando tuttavia di un mainstream particolare e se vogliamo illuminato, in quanto rifugge da ogni tendenza al manierismo per operare invece quale elemento cardine su cui innestare un’ulteriore evoluzione, tale da portare a forme ancor più raffinate di questo genere musicale, che a dispetto di tutto e tutti è l’unico che riesce ancora in qualche modo a tenersi su un percorso di sviluppo, anziché ripetere a oltranza cliché già consunti da decenni.

Chi è stato presente al concerto o solo ha visionato i filmati realizzati nell’occasione potrebbe essersi fatto l’idea di un Ruscitto conduttore del gruppo in una maniera particolarmente generosa nei confronti degli altri suoi componenti, ai quali ha concesso in pratica l’interezza degli spazi solistici, per dedicarsi quasi soltanto all’ossatura delle esecuzioni: compito tanto ingrato quanto essenziale ai fini dell’esecuzione e quindi di quel che è possibile percepire da parte del pubblico, ma per forza di cose non di primo piano.

In realtà, come dice lui stesso, aveva le spie, ossia gli altoparlanti di palco da cui ciascun musicista può ascoltare quel che sta facendo, regolate fin troppo alte. Per conseguenza è andato abbassando sempre più il livello del suo strumento, le tastiere, così da contribuire ancor più al formarsi dell’impressione descritta.

Ecco, se un appunto si può muovere all’esibizione è proprio quella riguardante il controllo dell’emissione: non solo per quanto riguarda gli altoparlanti spia, ma anche per quanto rivolto verso il pubblico, tenuto a un livello di uscita esasperato, forse anche per quel che riguarda i livelli d’ingresso. Si è prodotta così una sonorità sporca e confusa, a tratti persino fastidiosa, poco confacente a far si che si potesse apprezzare l’esecuzione dei singoli musicisti, sovente scaduta in un tutt’uno indistinguibile.

E’ possibile che questo si debba alla poca abitudine nel controllo di organici di questo genere, che non hanno bisogno di pressioni sonore strabordanti quanto di pulizia e raffinatezza, appunto in funzione delle prerogative dell’esecuzione, Ossia in maniera del tutto contraria a quel che avviene con il rock e le forme ad esso assimilate, per il quale sonorità sporche non contribuiscono solo all’impatto ma sono efficaci anche per mascherare le imprecisioni di formazioni non sempre ai vertici dell’esperienza e della perizia strumentale.

Ulteriore riprova per il gradimento da parte del pubblico delle musiche eseguite, e quindi anche del loro livello artistico, è stato il numero di persone che al termine del concerto si sono affollate attorno al banchetto appositamente predisposto per la vendita del CD “Seekers in the sky”, con una densità in rapporto al numero dei presenti fin quasi singolare. Di solito invece quei banchetti rimangono desolatamente abbandonati, tanto da far pensare che li si allestisca più per consuetudine che per altro.

Talvolta si usa dire che gli assenti hanno sempre torto, cosa mai così vera come per il concerto dei Town Street Reloaded tenutosi al Quid, il che fa sperare di poterli rivedere presto all’opera nel maggior numero possibile delle tante manifestazioni dell’estate ormai prossima, che si tengono un po’ su tutto il territorio.

A Massimo e a tutti i componenti del gruppo un sentito grazie, da parte mia e sono sicuro anche di tutti gli altri presenti alla serata: musica di questo calibro diventa sempre più difficile ascoltarne, eseguita oltretutto con tali maestria e partecipazione o meglio gettando proprio il cuore sul palco.

Musicisti come questi teniamoceli da conto e soprattutto diamo loro la possibilità di esibirsi quanto più possibile, in modo che il numero maggiore di persone possa apprezzare e godere la loro opera. Proprio perché, una volta che saranno arrivati al capolinea, speriamo il più tardi possibile, niente altro di sia pur lontanamente paragonabile sarà presente per rendere più lievi le pene dei nostri cuori e portare cibo alla mente, arricchendo il nostro bagaglio culturale in maniera mai così piacevole eppure con tale spessore.

 

 

 

 

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