Hi-Fi per oligarchi dissociati: le casse da un milione di euro

L’ospedale psichiatrico di Colorno, abbandonato da decenni

 

Hi-fi per oligarchi è una definizione cui ho fatto ricorso qualche anno fa, più o meno in contemporanea alla nascita del sito, in seguito alla presentazione della cuffia da 50 mila euro.

Come passa il tempo: allora il prezzo di quella cuffia e l’oggetto stesso sembravano uno sproposito. Oggi, a poco più di sei anni di distanza e alla luce dello svolgersi degli eventi, possiamo considerarlo un miracolo di senso della misura, di avvedutezza e parsimonia. Oltrechè dimostrazione, ennesima, dell’attendibilità del principio della valanga e delle sue conseguenze, inevitabili una volta che vi è stato dato l’innesco.

Così, quando le cose si avviano lungo una certa china, non possono far altro che precipitare, acquisendo una massa di crescita esponenziale, che per forza di cose travolge tutto quanto incontra lungo il suo cammino. Per prima cosa la ragionevolezza, ammesso che a questa parola sia oggi attribuibile un qualche significato, terminando fatalmente con uno schianto di proporzioni colossali.

Inevitabile, pertanto, che per le casse-da-un-milione-di-euro essere oligarchi semplici non basti più: occorre il passaggio al gradino successivo, quello dell’oligarca dissociato.

Persino l’oligarca comune infatti, in possesso delle sue facoltà mentali, anche solo in misura residuale, si domanderebbe il motivo di un prodotto del genere. Soprattutto, incontrerebbe difficoltà non indifferenti nel rintracciare in quella somma e al controvalore restituito a fronte della sua spesa un qualche criterio di proporzionalità, prima ancora che di verosimiglianza.

Allo scopo dunque viene in suo soccorso la dissociazione, turba mentale che nella fattispecie è da ritenersi necessaria in forma acuta. Non è dato sapere infatti se quella di tipo lieve sia bastevole per determinati scopi.

La cassa-da-un-milione-di-euro è proposta dal costruttore ormai noto per l’assenza di qualsiasi legame tra il prezzo dei suoi prodotti e le loro caratteristiche, per questo idolatrato da critica e pubblico. A tale riguardo, già il nome che si è attribuito è di per sé tutto un programma.

E’ quindi a partire dal concetto di fondo della produzione di oggetti siffatti che l’elemento di dissociazione assume il suo connotato dominante e trova la sintesi più estrema proprio nel modello di punta, come del resto è nell’ordine delle cose.

Ecco perché invece della foto del prodotto, sfavillante e come sempre tirato a lucido fino all’esasperazione, nella comunicazione-tipo di fabbricanti e propagandisti in servizio permanente effettivo, ho deciso di mettere in apertura l’interno di un manicomio abbandonato. Proprio a sottolineare il significato ultimo delle casse-da-un-milione-di-euro, di chi le ha pensate, prima ancora di realizzarle e proporle e di chi le compera.

Peggio ancora, di chi v’innalza lodi e osanna: per quanto possa sembrare impossibile, qualcuno lo si trova sempre.

 

Chi vince la battaglia con la coscienza, ha vinto la guerra dell’esistenza

Questa frase storica è stata pronunciata da Romano Catenacci marchese di cazzuola, in “C’eravamo tanto amati”, film in cui quel personaggio è interpretato da Aldo Fabrizi. Si tratta di un palazzinaro romano arricchito oltremodo grazie agli approfitti de reggìme di cui era stato incriminato e a una serie di altri illeciti e raggiri. Col frutto dei quali ha trovato il modo di comprarsi anche il titolo nobiliare.

La sua guerra personale la vinse senza fare prigionieri, proprio il modo necessario alfine di pervenire ai livelli di dissociazione indicati per considerare l’idea di acquistare oggetti come quelli di cui stiamo parlando.

Valutato col metro di oggi, il palazzinaro conservava malgrado tutto una sua umanità: all’operaio che vuole cacciar via su due piedi, ordina sia data la metà delle sue spettanze. Oggi lo si butta in mezzo a una strada lasciandolo con una mano davanti e l’altra dietro. Magari si trova anche il modo di citarlo per danni: il liberismo reale funziona così.

Dunque la sua figura non è la più negativa di un film che andrebbe fatto studiare nelle scuole. Lo è invece quella di Vittorio Gassman, avvocaticchio di idee sinistroidi che per mettersi al suo servizio (…Tu cacci la carta bollata e io quella filogranata), e arricchire anche lui a dismisura, arrivando infine ad aggredire economicamente e fisicamente chi gli aveva dato il benessere, sacrifica tutto: i suoi ideali, l’amore di un’incantevole Stefania Sandrelli, non prima di averla portata via al suo migliore amico, e l’intera scala dei valori in cui era convinto di credere, al punto di essere salito in montagna per fare la resistenza.

Prefigurazione emblematica del percorso che già allora, stiamo parlando della prima metà degli anni settanta, l’asinistra, vocabolo al cui significato non è dato sapere se prevalga la radice o la desinenza, aveva già imboccato.  Quello che l’ha portata dall’unità dei lavoratori alla domanda fatidica: “abbiamo una banca?” Con il conseguente quotarsi in borsa e il resto delle piacevolezze che ne derivano.

Percorsi del genere, notoriamente, non hanno possibilità di ritorno. Nella fattispecie, anzi, lo si è portato a termine con grande convinzione e compiacimento. Vi si contrappone, a livello di base, la tendenza fanciullesca a illudersi e a dare fiducia a chi ha già tradito per poi perdonarlo, in un corto circuito ideologico-esistenziale senza fine, garante d’impunità per l’inganno perpetrato dai vertici, che quindi potranno reiterarlo più e più volte senza che vengano mai meno l’illusione e la fiducia dei traditi.

Nel film questo meccanismo è raffigurato dal ruolo affidato a Nino Manfredi.

E’ stato girato nel 1974 e la storia che racconta, il fallimento politico e prima ancora umano, etico e ideologico di quanti proclamavano di volere il cambiamento, e forse ci credevano pure, mentre si adoperavano affinché tutto restasse come e peggio di quel che era stato nella fase storica che giuravano di odiare con tutti sé stessi, col tempo avrebbe evidenziato tutta la sua valenza profetica.

Proprio allora del resto stavano avvenendo i fatti descritti nell’articolo pubblicato tempo fa, in cui il Grande Partito dei Lavoratori ha messo in atto tutto quanto in suo potere per danneggiare materialmente, abbattendone il potere d’acquisto e nello stesso tempo aumentando il costo della vita e mettendo in discussione lo stesso diritto al lavoro, la base di consenso che proprio in quel momento gli stava riconoscendo il seguito storicamente maggiore, in seguito mai più eguagliato.

Perché proprio allora? Come atto d’inganno supremo o a causa delle anticipazioni provenienti da chi controllava di fatto l’organismo politico da cui il Partito prendeva gli ordini e soprattutto i denari che servivano per la sua gestione? La politica d’altronde è sempre stata un articolo alquanto costoso: già era in programma lo smantellamento del sistema sovietico, una volta esaurito il suo compito, da cui la necessità di trovare nuove forme di finanziamento che erano belle e pronte. Ovviamente a patto che si ottemperasse ai desideri di chi ci avrebbe messo il contante.

E’ altrettanto nell’ordine delle cose che a forza di sedersi allo stesso tavolo, sia pure su lati opposti, si finisca col conoscersi e poi col fraternizzare. Per arrivare infine alla concertazione, una mano lava l’altra, ossia al mettersi d’accordo con quello che era l’antagonista di classe, irriducibile, per l’esecuzione di una serie di azioni. Naturalmente quelle che stanno a cuore al più forte e meglio organizzato tra i concertatori, che difficilmente può essere chi si presenta col cappello in mano, sperando di riempirlo col necessario per tirare avanti.

Una volta compresa che la fine era inevitabile, perché ostinarsi ad andare avanti, ritrovandosi così nelle situazioni peggiori e tali da aver reso lo stesso concetto di sinistra impraticabile per chiunque abbia chiaro di fronte a sé il reale decorso storico degli ultimi cinque o sei decenni? Non sarebbe stato meglio illustrare la situazione per quello che era e porre alla propria base di consenso la domanda riguardante il se e come andare avanti, secondo le regole della democrazia? Proprio quella di cui tutti si riempiono la bocca ma nessuno mostra l’intenzione di praticare, meno che mai fino in fondo.

No, meglio l’inganno. E’ da ritenere che quanti lo hanno messo in atto sapessero perfettamente dove avrebbe portato. E se non lo sapevano erano degl’incompetenti. Nondimeno hanno proseguito lungo quella china. Loro comunque si sono sistemati, insieme alle rispettive famiglie ed eredi. Chi fa l’economista neomalthusiano, chi la giornalista TV, giustamente telecomandata. La loro base di consenso invece si ritrova in mezzo a una strada economicamente e privata persino della possibilità di far sentire la propria voce a livello politico. Quindi di rappresentanza, appunto secondo le regole del liberalismo reale.

Tra le ambientazioni più significative e descrittive della realtà dell’epoca di cui il film racconta, e della trasformazione compiutasi lungo il suo corso, dalla fine della guerra al presente di allora, c’è “Il Re della Mezza Porzione“. Ristorante alla buona ma esistito veramente, dove si mangiava tutti allo stesso grande tavolo. Era frequentatissimo, proprio perché anche chi si trovava quasi del tutto sprovvisto di risorse poteva avere un pasto caldo. Non abbondante magari, ma sufficiente a permettergli di tirare avanti.

Il suo è stato un esempio concreto dell’utilità sociale dell’impresa privata, come dettato dall’articolo 41 della Costituzione, che allora aveva un senso ma poi si è fatto in modo di dimenticarlo.

Qui il contrasto con le casse-da-un-milione-di-euro e l’epoca di cui sono figlie rivela tutta la sua enormità. D’altronde anche Il Re della Mezza non c’è più. O meglio, l’insegna è rimasta ma anch’esso si è trasformato in un locale per gente danarosa.

Del resto a quel tipo di clientela piace da sempre l’idea di ostentare il proprio sentimento di eguaglianza, rigorosamente falsificato, quindi su basi che sa perfettamente essere quelle dell’ipocrisia.

In assenza di quell’inganno e dunque delle sue conseguenze dirette, stanti nel trionfo dell’ideologia capitalista e nell’anteposizione del denaro a qualsiasi altra cosa, l’idea stessa delle casse da un milione di euro sarebbe stata inconcepibile o quantomeno impraticabile.

Le si sarebbe valutate infatti come una cosa di pessimo gusto o meglio ancora inqualificabile, e la loro ostentazione o anche il solo prenderle in considerazione frutto di una cafonaggine senza pari.

Altri tempi.

Torniamo per un istante ancora a quel manicomio, luogo di sofferenze indicibili e come tale dall’effetto primario di portare alla follia chi lo gestiva ancor più dei suoi ospiti, ma nello stesso tempo da intendere come istituzione, bastione della ragionevolezza e come tale abbandonato, che per la sua salvaguardia ha preteso il sacrificio di tante vittime.

Non a caso proprio dal momento in cui li si è chiusi, per opera del dott. Basaglia e della sua legge volta a mettere la parola fine a quei luoghi di esercizio della barbarie peggiore, gli amministratori della quale si ammantavano come sempre col simbolo della Scienza appositamente consacrato, la realtà delle cose ha preso la piega che ci ha portato fin qui.

Forse sarà una coincidenza, ma innegabilmente questo è.

 

Un milione ma tutto incluso, anche la presa per i fondelli

Come se non fosse già più che abbastanza, al danno che consiste nella mera esistenza di un oggetto simile, nei suoi presupposti e nelle sue conseguenze, oltreché nell’idea che una sua giustificazione sia cosa eticamente praticabile, si aggiunge la beffa.

I portavoce dell’azienda che lo produce, nella loro comunicazione propagandistica sentono il bisogno di far credere a quel che evidentemente non è. Sarebbe interessante ne spiegassero il motivo, ma penso che chi lo desidera possa capirlo per conto proprio. Così, con orgoglio e compunzione, come se si trattasse di chissà quale conquista, ulteriore conferma della loro dissociazione, del resto indispensabile per poter realizzare un oggetto fatto apposta per una clientela di dissociati, raccontano orgogliosamente che “Qualcuno si chiedeva se mai sarebbero state vendute… Beh, l’hi-fi sta in piedi per l’alta gamma, è inevitabile che ne vengano vendute“.

Già qui, nelle premesse, incontriamo la prima falla, plateale, della narrazione che il suo ideatore ha ritenuto di abbinare al prodotto destinato all’oligarca dissociato, al pari di chiunque lo prenda in considerazione.

Affermando una bestialità del genere, delle due l’una: non ci si rende conto del significato delle parole che si stanno pronunciando, caso ennesimo di analfabetismo funzionale o di ritorno che dir si voglia, o altrimenti si dev’essere convinti di avere di fronte una platea composta esclusivamente da mentecatti. Cosa che per quanto mi riguarda è già più che sufficiente per rifiutare un oggetto del genere e tutto quanto gli dà origine e gli ruota intorno.

Dunque vediamo: il marchio che già dalla sua denominazione vorrebbe far credere a quel che non esiste, è partito forse da zero con la commercializzazione di quel prodotto, utilizzando allo scopo risorse proprie? O invece è da anni che il Coro Degli Entusiasti A Prescindere sfrantuma gli attributi e plagia chi ha meno esperienza e capacità di discernimento con le cronache rosa delle estasi onaniste che si è procurato, proprio mediante gli oggetti con cui il marchio in questione spinge alla devastazione ultima il settore della riproduzione sonora amatoriale?

Dunque, fino a prova contraria le cose stanno all’opposto di quello che vorrebero far credere i suoi arroganti e cialtroneschi portavoce nonché i di loro servitori a un tanto a cartella.

Non è la cassa da un milione di euro che tiene in piedi il settore della riproduzione sonora, ma esattamente il contrario: è la produzione appena meno dissennata fin qui proposta da quel marchio che, coi profitti stratosferici insiti nei prezzi privi di qualsiasi addentellato con la sua realtà tecnica e realizzativa, e prima ancora con qualsiasi barlume di etica, senso della misura e ragionevolezza, ha permesso di arrivare, finanziandolo, a un fenomeno tanto deprecabile come quello di cui ci stiamo occupando.

Pertanto, ogni singolo oggetto venduto da quel marchio, dalla sua nascita fino a oggi, ha contribuito per la sua quota parte ai costi legati all’ideazione, alla progettazione e poi a costruzione, messa a punto, commercializzazione e propaganda di ogni esemplare delle casse-da-un-milione-di-euro.

Senza trascurare ovviamente il mantenimento del tenore di vita di chi in maniera tanto spregiudicata lo vende, quel ciarpame, che con ogni probabilità è tuttaltro che francescano.

Siccome quel marchio non vende i suoi prodotti come fossero noccioline, anzi, proprio per via del loro costo, si può star certi che detta quota parte costituisca una percentuale significativa se non maggioritaria del prezzo da pagare per acquistare ognuno di essi. Indispensabile per realizzare l’emblema, l’apoteosi, il monumento stesso alla degenerazione ultima della riproduzione sonora amatoriale. E poi dell’idiotizzazione, per fortuna non di massa ma di nicchia, che oggi il settore espone orgogliosamente come suo fenomeno di spicco maggiore.

Che si tratti di degenerazione è comprovato dallo stesso vantare, da parte dei portavoce di quel marchio, di non riuscire a star dietro alle ordinazioni riguardanti la cassa-da-un-milione-di-euro.

D’altronde siamo o no immersi fino al collo nell’era in cui si è prodotto il più colossale trasferimento di ricchezza dal basso verso l’alto mai verificatosi nella storia del pianeta? Quando accadono cose simili, le nuove realtà così determinate e i rapporti sociali che ne derivano non restano certo confinati in un limbo di loro pertinenza. Influenzano, eccome, il mondo reale, i suoi meccanismi funzionali e inevitabimente anche i mercati, che per giungere a cotanti risultati sono opportunamente deificati. Per conseguenza, le loro leggi non scritte sono messe al vertice della gerarchia reale delle fonti del diritto.

Stando le cose in questo modo, è il “barbone” che non può permettersi le casse da un milione di euro, ma solo quelle da 50 o 100 mila, a finanziarne il progetto e poi l’acquisto da parte di chi arriva a tanto. Proprio perché, in mancanza, le casse da un milione di euro costerebbero molto di più e con ogni probabilità non esisterebbero neppure.

Nel prodotto che racchiude in sé nel modo più esplicito le conseguenze del liberismo sfrenato attuale, non può essere che il comandamento numero 1 di quell’ideologia a trovare la sua affermazione definitiva e più vistosa, ossia il finanziamento del più ricco a spese di chi ha meno risorse economiche di lui.

Nei confronti di questa realtà, ovviamente, ognuno è libero di assumere l’atteggiamento che ritiene più confacente. Tuttavia, per i motivi basilari di ciò che un tempo si definiva coerenza, parola ormai caduta in disuso e che sarà presto cancellata dal vocabolario di uso comune, preceduta dagli usi e costumi che ne resero necessario l’utilizzo, se con essa non si è d’accordo risulta difficile accettarne i fenomeni più vistosi. Al contrario, dovrebbe essere persino istintivo riconoscerli per quelli che sono, ponendosi al loro riguardo in una posizione critica o meglio di rifiuto, totale e definitivo.

Non per tutti è così e neppure è detto che si debbano per forza individuare quei fenomeni. Se possibile c’è addirittura di peggio, ossia chi esorta addirittura a non fare i moralizzatori, in quanto il top di gamma è sempre piaciuto a tutti.

Per poi darci la sua personale rassicurazione, non si sa bene a che titolo, che la cassa-da-un-milione-di-euro è tra il meglio della produzione mondiale.

Ma guarda… Difficile immaginare sciatteria maggiore scaturire dalla penna di chi, malgrado tutto conserva ancora sembianze umane. D’altronde quel che fa la differenza non è l’involucro ma il contenuto, che dati i presupposti è probabile dipenda da un ricevitore di comandi impartiti da remoto.

Detta così può sembrare una cattiveria, ma almeno sarebbe una giustificazione: molto peggio se roba simile fosse farina del suo sacco.

Proprio perché con sintesi sublime, di questo va dato atto, in quelle due frasi si condensano quantità sovrumane di cancellazione deliberata dell’etica, di presunzione e d’ignoranza, condite col solito generoso carico di boria. Il tutto conclamato dall’incapacità purtroppo irreversibile di pensare, prima ancora che costruire, una sola frase di senso compiuto nella propria lingua madre, ingrediente primo della condizione necessaria per arrivare al punto di scrivere certe cose con tanta naturalezza.

Su tutto domina la credulità, mescolata inscindibilmente alla presa in giro del prossimo, non si sa se eseguita in maniera deliberata oppure a propria insaputa, che ancora una volta può essere messa in atto solo a seguito dell’intima convizione si tratti di un ammasso di rincretiniti. Proprio in quanto, a detta di chi ha vergato simili perle di saggezza, l’oggetto più costoso in assoluto non può che essere il migliore di questo mondo.

In base a che cosa, di grazia?

Le casse-da-un-milione-di-euro sono in definitiva il frutto più intimamente legato alla fase attuale del percorso compiuto dall’ordinamento capitalista, quella del cannibalismo terminale. Non più praticato nascondendosi e quindi vergognandosene, ma è ostentato, nella maniera più plateale.

Quante decine di migliaia di persone e di famiglie occorre gettare sul lastrico nei modi più disparati e fantasiosi, sacrificandole quindi sull’altare della propria ricchezza personale, come tale degna di adorazione insieme alla sua unità di misura, per arrivare al punto in cui un solo individuo possa permettersi roba del genere?

 

Perché un milione?

Riguardo alle casse da un milione di euro, sorge inevitabilmente il quesito inerente il motivo di limitarsi proprio a tal punto e non fissarne il prezzo a un multiplo di quella somma. Segno che anche chi pensa, poi realizza e vende con tanta spregiudicatezza un prodotto siffatto non ha ancora ben chiari i principi regolatori della fase in cui l’indole prodotta dal cannibalismo terminale capitalista è arrivata a poter essere ostentata, una finestra di Overton via l’altra, persino in maniera tanto compiaciuta.

Ciò è possibile in quanto si è giunti al punto in cui le sue vittime hanno perso ogni coscienza di sé e come tali, nell’evoluzione suprema della sindrome di Stoccolma, si rivoltano con ferocia non contro il loro aguzzino, ma verso chiunque provi a far comprendere loro in che razza di situazione si sono venute a trovare.

Così nessuno fiata se all’auto destinata ai poveracci, che potranno comperare quel bene oggi indispensabile solo ammazzandosi di debiti e dei sacrifici necessari per ripagarli, viene attribuita una tassa d’importo draconiano, giustificata dall’inquinamento insostenibile che produrebbe. Il che obbliga a domandarsi a cosa sia servita la sequela da euro 1 a euro 6 e oltre, con la rottamazione di materiale utilizzabile ancora a lungo e la sua sostituzione con altro che ha dovuto essere fabbricato, secondo un circolo vizioso di spreco energetico e di materie prime che con l’attenzione all’ambiente non ha nulla a che vedere. Tanto è vero che il provvedimento con cui si punisce il veicolo popolare, esenta dal pagamento di ogni tassa ambientale mega-yacht e jet privati.

La logica è esattamente la stessa delle casse da un milione di euro.

Europa, le tasse green non valgono per i ricchi: esclusi yacht e grandi navi

Per gli straricchi, dunque, si escogita ogni facilitazione ai lussi sardanapaleschi loro esclusivi. I morti di fame stiano imbavagliati, giusta la rapina che devono subire, democraticamente stabilita, legalizzata nelle sedi preposte e convalidata dalle istituzioni di garanzia. Per poi pagare ogni 24 ore una somma spropositata per certificare il diritto di restare a piede libero, stabilito su basi pseudo-sanitarie.

L’Italia dell’emergenza, vero bengodi per chi sa da che verso prendere le cose. Sarà per questo che si è fatto di tutto per renderla permanente?

Se possibile c’è ancora di meglio, rispetto al togliere le tasse ai ricchissimi e farle pagare in numero e per importi sempre maggiori ai poveri.

Laddove il multi-miliardario ha deciso di passare col suo transatlantico personale, si è pronti a togliere di mezzo persino i ponti, nel caso si dimostrino d’impaccio per l’incedere delle nuove riveritissime maestà.

Così in Olanda si è deciso di smontare un intero ponte, per assicurare il transito più comodo e spedito alla nuova, gigantesca, imbarcazione del patron di Amazon. Un altro di quelli che la guerra dell’esistenza l’ha vinta senza fare prigionieri. Le autorità locali, anch’esse giunte a un livello di dissociazione inimmaginabile solo qualche tempo fa, assicurano che gl’interessati sono pronti a pagare tutte le spese dell’operazione, fino all’ultimo centesimo. Mentre l’asinistra che per decenni si è adoperata a buttare centinaia di milioni di persone in mezzo alla strada, si spella le mani applaudendo alle nuove, occasionali possibilità di lavoro, garantite dall’avvenimento a uno sparuto manipolo di raccomandati.

Olanda: ponte smontato per far passare lo yacht di Jeff Bezos

Nello stesso preciso istante, non in Olanda ma qui da noi la polizia privata e l’esercito pagato dai contribuenti uniscono le loro forze affinché gl’incaricati delle associazioni di volontariato non possano più portare genere di conforto alcuno ai senza tetto che per non morire di freddo si rifugiano nelle stazioni.

Il motivo sarebbe la necessità di difendere gli spazi commerciali, che sono rigorosamente privati, alfine di liberarli da certe ingombranti presenze. Da quando in qua le istituzioni dello Stato e i servizi pagati dalla collettività sono al servizio degli interessi economici di una ristrettissima e facoltosa minoranza, oltretutto secondo una logica tale non da calpestare a tal punto il valore della vita umana ma da adoperarsi fattivamente per la sua terminazione?

L’esercito sceso in campo a fiancheggiare la polizia privata, nella raffigurazione concreta dell’intreccio Stato-privato in cui l’uno è al servizio degl’interessi dell’altro, a compimento del fine ordinamentale perseguito per decenni, è quello della Repubblica che all’articolo 2 della sua Costituzione “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale“.

All’articolo 3 individua quale proprio compito “ rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

A furia di calpestarla, e con somma voluttà, della Legge Fondamentale dello Stato si è fatta carta straccia.

Dunque l’esercito italiano, mai così meritevole delle iniziali minuscole, si schiera -per ordine di chi?- in assetto di guerra perché ai senza tetto sia negato un piatto di minestra. Il fine concreto è spingerli ad abbandonare il solo luogo in cui trovano riparo: dimostrazione concreta della guerra che un organismo dello Stato muove, senza neppure prendersi il disturbo di dichiararla, verso il popolo e in particolare la parte di esso meno garantita. Quella che maggiormente ha sofferto gli effetti della precarizzazione e dell’impoverimento di massa, avanzanti da decenni.

Nello stesso tempo, una delle più inflazionate virostar da salotto televisivo, ultima categoria assurta in ordine di tempo ai vertici della gerarchia sociale oggi vigente, prima c’erano calciatori, che oggi d’altronde muoiono come mosche sui campi di tutto il mondo nell’indifferenza dei tifosi, veline e tronisti, si compra una villa veneta del seicento. Dati gli introiti che, a suo dire, ogni professionista della sua età non può che aver messo insieme.

Lui dice giustamente di aver fatto il mutuo: quale banca negherebbe a chicchessia un pronto-cassa da due milioni di euro?

Sarebbe interessante conoscere le garanzie prestate a fronte di quella somma e gl’importi delle rate.

E’ talmente ignorante costui da non sapere neppure che excusatio non petita, accusatio manifesta. Tuttavia si è sentito in dovere d’impartire a reti unificate le norme pseudosanitarie a cui tutti sono stati costretti a sottomettersi.

Dunque per il virologo che in realtà è specializzato in zanzare, c’è la villa veneta seicentesca, stanti gli altissimi servigi che ha reso alla collettività nel corso degli ultimi due anni. Ai comuni mortali invece è tolto persino il diritto alla libera respirazione, funzione primaria della permanenza in vita, e li si è spossessati della potestà sul proprio corpo, dato l’obbligo imposto col ricatto esistenziale di sottoporsi all’inoculazione di farmaci sperimentali dagli effetti ignoti, come ammettono gli stessi fabbricanti nelle documentazioni ad essi accluse.

La medesima attività per cui Mengele è stato mandato al patibolo, a seguito della sentenza emanata dal tribunale di Norimberga. Se il medico tedesco innalzato a prototipo dello scienziato pazzo è passato alla Storia quale autore di crimini contro l’umanità, i Mengele del ventunesimo secolo sarebbero invece dei benefattori.

A suo tempo Pio XII è stato criticato per la sua contrapposizione al nazismo, in quanto la si è ritenuta troppo blanda, ma oggi la Caritas si schera risolutamente dalla parte dei persecutori. Infatti impone il possesso del passaporto vaccinale, appunto il documento che certifica l’avvenuta cessione della potestà del proprio corpo al potere tecnosanitario del più forte, per potersi sedere alla sua mensa e ricevere la sua elemosina.

La differenza dall’insegnamento del Cristo, al quale la chiesa, anch’essa meritevole ormai d’iniziale minuscola, giura di rifarsi da circa duemila anni, è sottilissima, quasi impercettibile.

E pensare che quando Pete Sinfield ha scritto “21th century schizoid man” tutti hanno gradito il brano ma nessuno ha mai immaginato che la realtà di quel titolo si sarebbe verificata puntualmente già agli inizi di questo secolo.

Come spiega tutto quanto abbiamo passato in rassegna finora, chi può spendere un milione di euro per un paio di casse, che mai come in questo caso meritano il suffisso da morto, dato che poterle acquistare significa aver condannato a morte un numero di esseri umani e di attività lavorative pressoché incalcolabile, e poi perché l’esistenza stessa di un prodotto siffatto è insieme causa ed effetto della morte del comparto merceologico in cui s’inserisce, può spenderne anche dieci o cento e persino un miliardo. Non fa differenza alcuna, innanzitutto per lui.

Quindi perché non far pagare quelle casse una cifra di uno, due o tre zeri di più? Vogliamo mettere quanto farebbe parlare di esse in misura maggiore, producendo quindi una pubblicità gratuita ben più ampia, capillare e memorabile?

Dilettanti. Sparano certe cifre senza essere in grado di comprenderne la realtà, le conseguenze, le origini e men che meno le potenzialità.

Ma che importa: l’essenziale è metterseli in tasca, quei soldi, non è vero?

In definitiva le casse da un milione di euro sono la conseguenza inevitabile del processo che ha portato il denaro ad acquisire ogni importanza, privandone per forza di cose tutto il resto e dando a chi lo controlla un potere enorme, mai visto prima d’ora.

Lo dimostrano appunto le autorità di Rotterdam, espressione della collettività che rappresentano: basta che si paghi e sono pronte a genuflettersi dinnanzi allo schiribizzo del megaricco, il cui potere supera di gran lunga quello dei monarchi assoluti dei secoli passati.

Già, perché potevano esercitare il loro potere solo entro i confini del regno di cui erano titolari, mentre di fronte a un Jeff Bezos o a un Kill Gates si è pronti ad appecoronirsi su scala globale. D’altronde la tecnica va avanti e proprio a questo serve.

Dimostrazione che, come è stato scritto più volte in questa sede, è assolutamente necessario fare in modo che il progresso tecnico e quello sociale vadano di pari passo. In mancanza, gli squilibri che si producono non solo sono di portata enorme e difficilmente inquadrabile a priori, ma causano anche, nel tempo più breve, il crollo del piano su cui si esercitano i rapporti sociali, talmente smisurato da essere di fatto incolmabile e irrecuperabile.

Se fino a due anni fa eravamo convinti di vivere nella Repubblica Italiana e oggi invece siamo nel Draghistan, vigendo un regime ferreo di segregazione sociale che toglie ogni diritto a chi non vuol consegnare ad altri la potestà sul proprio corpo, il momento in cui quello che dal Presidente Cossiga è stato definito vile affarista si toglierà di mezzo, pensiamo che le cose torneranno come prima o che la realtà per instaurare la quale è stato strumento proseguirà lungo il suo percorso?

La risposta sta nelle parole che l’insegnante di Storia ci ha detto a proposito del Congresso di Vienna del 1815, se qualcuno le ricorda.

Nel nostro settore il processo ha avuto effetti che conosciamo bene, come il portare una quantità notevole di persone, la maggioranza schiacciante, a comperare l’oggetto non per le sue caratteristiche, per l’uso che se ne andrà a fare, il piacere che se ne potrà trarre e per la misura in cui si attaglia alle necessità e ambizioni di ciascuno, ma nella prospettiva di quanto gli frutterà al momento in cui deciderà di cambiarlo.

Il che non potrà che avvenire molto presto, dati i presupposti. Tutto ciò a prescindere dall’uso e da tutto il resto, in particolare da qualsiasi parametro dotato sia pur lontanamente di un senso, secondo le regole del consumismo ansiogeno che induce a comperare le cose non con l’idea di usarle e goderne, ma di cambiarle.

A questo siamo stati spinti per decenni, e con ogni mezzo, da parte degli stessi che ora giurano di avere il loro esclusivo interesse nella salvaguardia del pianeta e del suo ambiente, innalzata urbi et orbi a priorità assoluta e irrevocabile.

Quanto è credibile la loro posizione?

Componente primaria del consumismo ansiogeno è appunto l’apoteosi del denaro e del dominio assoluto e indiscutibile che ha acquisito.

Come ogni meccanismo inerente l’attività umana, anche questa realtà ha il suo lato paradossale. Consiste nel causare, quanto più lo si porta alle estreme conseguenze, il crollo inevitabile e tanto più rapido del valore dell’oggetto acquistato. Per il semplice motivo che a ogni passo in cui si spinge il gioco più in là, il traguardo precedente perde significato, benchè ritenuto insuperabile fino al momento prima.

Per conseguenza si avvicina sempre più il momento in cui nulla che non sia commestibile o direttamente legato alla produzione di generi alimentari avrà valore alcuno. Proprio per gli effetti precipui di quello stesso meccanismo, che andranno a concretizzarsi in maniera tanto più accelerata quanto più è ampia la scala su cui viene praticato e per ciò stesso lo si porta all’esasperazione.

Quindi se lo 0,000001% delle persone che vivono su questa Terra ne controlla tutta la ricchezza, secondo calcoli eseguiti ormai quasi un decennio fa, risalgono infatti al 2015 e da allora l’accentramento del potere economico ha subito un’ulteriore, fortissima accelerazione, che le casse per chi è ai vertici della ricchezza costino un milione, cento milioni o un miliardo non fa nessuna differenza.

 

Teoria e pratica del prodotto per super-ricchi

L’aspetto primario del prodotto per mega-miliardari è che ogni elemento di contatto tra il suo costo e le sue caratteristiche non ha più senso alcuno. Di conseguenza è abolito. Ecco allora che non c’è più bisogno di giustificarne il prezzo e l’eventuale sua differenza rispetto a quello dei prodotti consimili con una serie di caratteristiche più o meno raffinate o convincenti.

Del resto neppure potrebbe: non esiste al mondo tecnologia, per quanto deificata anch’essa alla stessa stregua dei mercati se non peggio, che possa esprimere un livello realizzativo o funzionale tanto elevato da giustificare un esborso simile.

Certo, di fronte a una cifra siffatta, la sua quantificazione non può che avvenire in funzione del rapporto che ognuno di noi ha con il denaro e con il valore che gli attribuisce. Questo è in funzione delle quantità di denaro che siamo abituati a maneggiare e ancor più dal suo potere di acquisto, entrambi in caduta verticale dal 1970 a oggi in termini di valore reale, in funzione dell’andamento di retribuzioni, salari, carico fiscale ed esigenze di vita da un lato, e dall’altro dell’aumento del costo della vita. Rispetto al quale, teniamolo bene a mente, non vi è statistica in grado di quantificarlo, se non sottostimandolo in misura assai rilevante.

Un po’ perché ciò corrisponde a esigenze politiche ben precise, quelle degli organismi da cui dipendono gl’istituti di rilevazione, in secondo luogo perché nulla si può taroccare più facilmente dei numeri di una statistica e non ultimo perché di fatto è impossibile.

Ai fini di quel calcolo, difatti, si prendono come parametri dei beni campione, per poi misurarne gli aumenti o le diminuizioni di costo. A parte che col passare del tempo quei beni assumono una rilevanza diversa, in funzione dell’evolvere delle necessità, del gioco speculativo, degli stili di vita  o solo delle mode, influendo quindi diversamente sul costo della vita, quei beni a distanza di tempo non sono più gli stessi.

Quindi il chilo di pasta preso nel suo costo quale metro di misura del valore del denaro, oggi in realtà non è più quello di, poniamo, 25 anni fa. Oggi la pasta alimentare si fa con un grano dal tenore di glutine superiore ai cosiddetti grani antichi, per non parlare dell’utilizzo intensivo di pesticidi, glifosato eccetera. Nella sua preparazione si usano poi le farine di scarto canadesi che nel luogo d’origine sono vietate persino per l’alimentazione animale, mentre qui le si fa andar bene per usi umani. Questo avviene proprio per tenere il più basso possibile il prezzo del prodotto finito e quindi affinché i ceti salariati non comprendano la caduta incalcolabile che ha avuto il valore effettivo delle loro retribuzioni, limitandone il malcontento. Caduta che d’altronde si è resa necessaria proprio per far si che venisse a crearsi una classe di persone tale da acquistare le casse da un milione di euro.

Per conseguenza, la pasta di 25 anni fa oggi avrebbe un costo elevatissimo, di molte volte superiore a quello che è il suo costo medio attuale. Proprio perché si è reso necessario far crollare la qualità del prodotto, con quello di allora non pareggiabile neppure dalla pasta più costosa e di élite che oggi si possa acquistare presso le rivendite più o meno usuali.

Trent’anni fa infatti di obesità diffusa, celiachia, allergie varie ed eventuali non si parlava proprio o comunque avevano un’incidenza molto minore rispetto a oggi. Anche quello però è un affare, perché prima nella loro induzione e poi nella loro cura si fanno affari di portata assai rilevante.

E tutto fa PIL.

Al di là del loro valore reale, certe somme hanno anche la loro portata simbolica, talvolta persino più rilevante, e poi un aspetto psicologico: esempio tipico le utilitarie che si fa del tutto per portare sul mercato a meno di 10.000 euro.

Mettendo da parte la percezione di ognuno di noi, potenzialmente diversa da quella di tutti gli altri anche per questioni etiche, il prodotto destinato a una clientela di rango simile non ha altro problema nè finalità che il porre nell’evidenza più chiassosa e sfacciata possibile le capacità di spesa di chi lo acquista.

Questo è il solo e unico dovere che ha, al quale chi lo realizza fa l’impossibile per ottemperare, sacrificando ogni altra cosa.

Ne consegue pertanto la pacchianeria più volgare e oltraggiosa, spinta al punto di negare la funzione stessa dell’oggetto che va a caratterizzare. Giorni fa mi è capitato di vedere un episodio dei Simpson, in cui un megaricco mostra a Homer il suo orologio, vantandone il quadrante tempestato di gemme. Talmente grandi che le lancette non riescono più a muoversi, dato che ci vanno a sbattere contro.

Sintesi perfetta, ma soprattutto definitiva, per il concetto che domina nella produzione dedicata agli oligarchi, i quali per accettarla necessitano appunto di essere dissociati, al punto in cui il loro orologio non ha più bisogno alcuno di segnare le ore. La motivazione della sua esistenza è completamente un’altra e quindi non gli serve più, neppure nell’ipotesi più remota, di essere un orologio.

Questo è un vantaggio enorme di cui si approfitta dedicandosi alla produzione degli oggetti destinati a tale specialissima clientela: le loro caratteristiche perdono completamente d’importanza. Pertanto non c’è più bisogno di mettersi a centellinarle col bilancino da farmacista per dimostrare, innanzitutto sulla carta, di essere superiori ai rivali sempre più agguerriti. Pur restando dentro costi che oltretutto vanno compressi in misura sempre maggiore, altrimenti i profitti non crescono e per conseguenza i mercati reagiscono male.

E’ anche vero, come abbiamo detto, che non vi sarebbe modo alcuno di giustificare un prezzo di listino tanto smisurato solo a forza di caratteristiche tecniche o di raffinatezze costruttive, per quanto portate allo spasimo. Lo confermano anche i diffusori in questione, che sotto il profilo tecnico non sono proprio niente di che. Esteticamente sono persino brutti, ulteriore dimostrazione che il metro di giudizio adottato per il prodotto destinato ai comuni mortali non ha più motivo di essere per quello destinato alle élite più rarefatte. Nella stessa identica maniera in cui non vi è più contatto alcuno tra le rispettive realtà e neppure tra i gruppi sociali di cui fanno parte.

Non solo non vi è modo, ma non ve ne sarebbe proprio il senso. E’ persino improbabile infatti che quelle casse siano fatte funzionare, sia pure una volta soltanto, essendo il loro scopo non suonare ma troneggiare nell’ambiente che le accoglie, diffondendo i loro veri significati. Del resto chi ha passato la propria esistenza ad accumulare denaro, e allo scopo è sceso a patti innominabili, quale sensibilità vogliamo che abbia per una qualsiasi forma d’arte musicale e per le modalità con cui essa viene concretizzata nella sua riproduzione?

Se volesse d’altronde potrebbe comperarsi non il disco ma l’orchestra che lo ha eseguito, al completo con il compositore.

Quella si che sarebbe una vera esibizione di ricchezza.

L’eliminazione totale degli spigoli, se possibile, gioca ulteriormente a favore dell’inadeguatezza estetica del prodotto, secondo una logica che lo vuole spogliato di ogni elemento atto a rapportarsi, sia pure potenzialmente con un metro di giudizio plausibile. Proprio affinché la sua realtà di prodotto ipercostoso, e quindi giustificato esclusivamente dal suo prezzo, ovverosia dalla capacità suprema di sottolineare il censo del compratore, abbia il sopravvento su qualsiasi altro elemento.

Del resto quale potrebbe essere una prerogativa, o un insieme di esse, tale da arrivare a un punto di equilibrio con un costo tanto elevato? Qui rientra il concetto della dissociazione, che si rende persino necessario nel momento in cui il valore intrinseco del prodotto e quello comunemente attribuito al denaro, e quindi alla realtà stessa dell’importo necessario per acquistarlo, non hanno più alcun rapporto tra loro.

Sui libri di storia è scritto che le dittature storiche avessero quale prima conseguenza la perdita della libertà per i popoli che si trovavano a subirle. La differenza sostanziale con l’odierna dittatura del capitale è che questa causa innanzitutto la perdita del lume della ragione.

Pertanto, una delle residue possibilità che ci restano per non esserne travolti sta nel recupero, e poi nell’applicazione, degli scampoli di saggezza che ci sono stati tramandati dai nostri avi. Loro usavano definire il denaro lo sterco del diavolo e come tale vi si rapportavano. Ecco perché i diffusori da un milione di euro e ogni altro prodotto derivante dalla medesima filosofia che ha dato loro la luce non sono altro che una monumentale, nauseabonda, irrecuperabile montagna di cacca.

 

 

Potrebbe interessarti anche

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *