In quest’edizione della rubrica dedicata a nuove uscite e ristampe discografiche, l’apertura è riservata a un album di alcuni mesi fa, che stante la sospensione prolungatasi per più di qualche tempo non c’è stato modo di presentare.
Stiamo parlando di “Zappa ’88: the last U.S. show” di Frank Zappa, pubblicato su CD doppio e LP quadruplo. Come spiega il titolo, si tratta della registrazione dell’ultima serata in terra americana di quella che sarebbe stata la sua ultima tournée in assoluto, peraltro sfortunata, quella del 1988.
A causa di attriti interni al gruppo che lo accompagnava, questa la motivazione ufficiale, si creò una situazione tale per cui tutta l’ultima parte della serie di concerti previsti la si dovette cancellare. A quanto ha raccontato lo stesso Zappa, l’evento fu così traumatico da indurlo ad abbandonare la chitarra. Fino a disimparare a suonare, secondo le sue valutazioni, per quanto una volta che si sa andare in bicicletta, poi si resta sempre in grado di usarla.
Più probabilmente la mancanza di esercizio non gli ha permesso di esprimersi a determinati livelli, gli unici che nel suo perfezionismo fin quasi proverbiale ritenesse degni di considerazione. Al punto che quando si trovò nell’allora Cecoslovacchia, in veste di uomo d’affari a seguito della nuova occupazione che si era dato, e durante una serata di gala gli venne chiesto di suonare qualcosa, sempre a suo dire si trovò in grande difficoltà.
Nell’album passano in rassegna numerosi tra i cavalli di battaglia dei concerti di Zappa nella sua ultima fase, oltretutto con una continuità ben percettibile. Si tratta di un elemento mancante invece da altri album dal vivo della sua discografia, come i ben noti “The best band you never heard” e “Make a jazz noise here”. Entrambi sono caratterizzati da un impiego forse persino troppo ampio del sistema di assemblaggio di spezzoni diversi, presumibilmente quelli che riteneva migliori, con cui sono stati messi insieme i brani in essi contenuti. Magari prendeva l’intro eseguita in una serata, l’assolo di chitarra di un altro, quello di tastiere di un altro ancora e così via, ricucendo il tutto pazientemente e con grande perizia. Il sistema, che Zappa aveva iniziato a usare per le registrazioni di studio diverso tempo prima, era stato portato a un punto tale da mettere insieme persino le singole battute, in un processo che definire esasperante può sembrare ancora limitativo.
Di qui il titolo del doppio CD menzionato sopra, che letteralmente significa la banda migliore che non avete mai sentito. Proprio perché non è mai stato possibile ascoltare in quella forma i brani in esso contenuti, derivando ognuno di essi dall’assemblaggio di quanto eseguito in situazioni e tempi diversi.
Se si conoscono bene quegli album, nell’ascolto di “The last U.S. show” l’elemento che appare più evidente è appunto la sensazione di continuità nello svolgersi dei brani. La scaletta dell’album comprende anche il “Beatles’ medley”, ossia il poutpourri di brani del quartetto di Liverpool, che insieme a brani dei Led Zeppelin, degli Allman Brothers ed altro ancora, (Bartok, Stravinskij), Zappa eseguiva con il suo gruppo nell’ultma fase della sua attività e lo aveva trasformato almeno parzialmente in una sorta di cover band sia pure di portata stellare.
Zappa non si contentava di reinterpretare i brani altrui ma ne stravolgeva i testi, secondo la sua ironia altrettanto proverbiale, con risultati che sono forse la parte più interessante dell’operazione.
Un altro album disponibile già da qualche tempo, ma che non può essere trascurato è “The anthology: a musical journey” di Greg Lake, figura chiave del rock progressivo. Ovverosia della forma musicale che ebbe un ruolo fondamentale per la fase di passaggio della riproduzione sonora amatoriale da passatempo di nicchia per gente danarosa e un po’ annoiata a fenomeno di massa. Proprio in quanto quel genere musicale aveva una ricchezza di contenuti e di conseguenza ‘un’attrattiva talmente forte sul pubblico di allora, e non solo quello giovanile, da rendere praticamente obbligatorio ascoltarne le opere nelle modalità migliori che fosse possibile.
L’album è disponibile su CD ed LP doppio. Oltre ai brani più significativi di Lake comprende anche l’ultima versione del brano “Closer to believing”, registrata nel 2014. Come accade in genere per questo tipo di pubblicazioni è corredato da un libretto che include numerose foto inedite, notizie e testimonianze sulle vicende del bassista-cantante più grande che il rock progressivo ha avuto e come noto ha fatto parte di gruppi come King Crimson, Emerson, Lake & Palmer, Asia. L’album è stato prodotto dalla famiglia di Lake in associazione con il manager di EL&P Stewart Young.

Di Emerson, Lake & Palmer è disponibile inoltre “Out of this world: live 1970-1997, sintesi dell’attività dal vivo del trio lungo tutto l’arco della sua carriera. A partire dal concerto leggendario eseguito all’edizione 1970 del Festival dell’isola di Wight, in cui avvenne l’esordio del trio. Ci sono poi il concerto del 6 aprile 1974 all’Ontario motor speedway di Ontario, California, Works’ Live, registrato allo stadio olimpico di Montreal il 26 agosto 1977, il concerto alla Royal Albert Hall dell’ottobre 1992 e infine quello del 23 settembre 1997 alla Union Hall di Phoenix, Arizona, la cui chiusura avvenne con “21th century schizoid man dei King Crimson, brano che segnò la notorietà iniziale del gruppo e appunto di Lake, eseguito in medley con “America”.
La raccolta è disponibile in edizione digitale su 7 CD e analogica, su 10 LP.

Al suo riguardo, e quale esempio del servizio offerto dalle principali piattaforme di streaming, va rilevato che Deezer fa passare per edizione completa un elenco fortemente rimaneggiato dei brani compresi in questa raccolta, mostrando ancora una volta quali sono i criteri con cui si opera a quel livello e cosa può sperare di ottenere chi se ne serve: non molto di più di una presa in giro a pagamento. Numerosi capitoli tra i più significativi della raccolta sono stati tagliati via, a colpi d’accetta: del concerto all’Isola di Wight restano tre brani su cinque e si è fatta sparire anche l’intervista contenuta nelle edizioni su supporto fisico, particolarmente significativa dato che raccoglie i commenti riguardo alla costituzione dell’allora nuovo gruppo, ai fini del quale Emerson aveva sciolto i Nice e Lake aveva abbandonato addirittura i King Crimson. Di quello di Ontario restano solo 4 pezzi su 8 e delle due esecuzioni di Tarkus, caposaldo assoluto del repertorio del gruppo, non se n’è salvata neppure una. A significare ancor meglio i criteri coi quali sono state eliminate 28 tracce su 54.
Ci troviamo di fronte a un vero e proprio massacro, perpetrato oltretutto su un reperto storico di tale significato. Dimostrazione ennesima che la liquida e i suoi spacciatori sono come l’AIDS: chi li conosce, e ama davvero la musica, li evita.
Anteprime
Per le anteprime abbiamo innanzitutto “Blessings and miracles” di Santana, album che segna tra l’altro un nuovo capitolo della collaborazione tra il chitarrista e Rob Thomas. Tra gli ospiti sono da segnalare Chick Corea e Steve Winwood, oltre a Corey Glover dei Living colours.
Insieme al leggendario fondatore dei Traffic, e prima ancora dei Blind Faith, Santana esegue nientemeno che una riedizione di “A whiter shade of pale” dei Procol Harum, mentre nel brano realizzato insieme a Chick Corea compare anche Gayle Moran, che ha cantato con i Return to forever e con la Mahavishnu Orchestra di John McLaughlin.
L’uscita dell’album è prevista per il 15 marzo su CD ed LP doppio.

Un altro tra i numi tutelari del rock, David Crosby, ha il suo nuovo album in uscita. “For free” sarà disponibile dal 18 febbraio su LP, LP colorato e CD. Il disco arriva subito dopo la ristampa su LP da 180 grammi, curata da Rhino, di “If I could only remember my name”, il suo disco solo d’esordio che resta tuttora tra i capisaldi della musica rock di ogni epoca e inclinazione, album che non può mancare in qualsiasi collezione che si rispetti. E’ stato definito come il manifesto della musica americana degli inizi ’70, per la bellezza dei brani e per la presenza di numerosi musicisti provenienti dai gruppi più in vista dell’epoca, Jefferson Airplane e Grateful Dead su tutti, senza ovviamente dimenticare i suoi compagni d’avventura Stills, Nash e Young.


Se nell’ascolto di musica la componente legata all’intrattenimento ha un ruolo sostanziale, quella culturale è se possibile ancor più significativa. Soprattutto contribuisce a dare a quest’attività fondamenta che vanno oltre l’effimero e, in particolare nel lungo termine, rendono più articolato, ricettivo e consapevole il nostro abito mentale e il nostro approccio nei suoi confronti.
A questo riguardo ritengo meritino spazio tre raccolte, con cui andare alla scoperta o anche all’approfondimento di generi e tendenze non dico trascurati ma potenzialmente passati in secondo piano. Così da migliorare anche le capacità di apprendimento e decodifica di linguaggi non così consueti o altrimenti poco considerati.
Con esse si può inoltre andare alla riscoperta di tematiche ormai semidimenticate, ma che hanno rivestito in ogni caso la loro importanza nell’evoluzione del linguaggio e dello stile musicale fino ai giorni nostri.
La prima ha un titolo che almeno ai miei occhi suona affascinante: “Somewhere between mutant pop, electronic minimalism and shadow sounds of japan 1980-1988”. Quello della musica moderna giapponese, al di là degli stereotipi, è un pianeta largamente inesplorato e per esperienza diretta so che può riservare sorprese parecchio interessanti.

Ci troviamo di fronte a quello che si potrebbe definire un viaggio nelle lande di mezzo con affaccio sulla terra di nessuno, dove in genere le cose non sono mai precisamente l’una o l’altra ma viaggiano sospese tra realtà indefinibili. L’aspetto di rilievo maggiore per queste raccolte è che non vanno quasi mai a costituire un insieme a sé stante, ma funzionano come piattaforme da cui partire all’esplorazione di possibilità espressive forse neppure immaginate prima.
Una seconda raccolta almeno altrettanto interessante è “British mod sounds of the 60’s”. Innanzitutto perché permette di rievocare i suoni e le atmosfere di un’epoca di grande cambiamento, in cui sembrava che tutto sarebbe stato possibile. E poi anche perché è proprio da lì che che trae le origini molta della musica arrivata dopo, quella che avrebbe gettato le basi per l’esplosione del rock di fine anni 60 e dei primi 70, che poi è a sua volta quello che si ascolta ancor oggi, sia pure in forme riprese e rigirate mille volte e non di rado stravolte ed estremizzate.
A questo proposito va rilevato che una tra le punte del movimento mod era il gruppo degli Who, il solo di rock tendente al duro che almeno a mio avviso meriti di essere ascoltato in età matura con una qualche continuità. Molti non saranno d’accordo, ma questa è la mia idea.
Hollies, Small Faces, Spencer Davis Group, George Fame, John Mayall, Alan Bown Set, Cyril Davies, Tom Jones, The High Numbers sono solo alcuni tra i nomi che figurano nella raccolta. disponibile su doppio LP colorato o in cofanetto da sei dischi.

La terza raccolta è “Life between islands”, che ha il sottotitolo “Soundsystem culture-Black musical expression in the UK 1973-2006”. Raccoglie l’esperienza della comunità musicale di origini caraibiche operante in Inghilterra, appunto legata alla cultura del soundsystem e alle espressioni che ne sono derivate, sensibili agli influssi jazz-funk e poi del dub e del rap, inseriti nella matrice reggae caratteristica della loro etnia.
La musica nera di origine inglese, tra l’altro, ha avuto il merito di segnare la fine (finalmente!) di quell’elettropop finto-robottizzato con cui l’industria discografica ha letteralmente massacrato l’udito e le menti del pubblico, oltre ai concetti associati alla definizione della musica, per quasi un decennio, a cavallo tra fine 70 e anni 80. Quelli che non a caso sono stati gli anni dell’impazzimento di massa, tra capigliature a creste di gallo multicolori, smanie autodistruttive da piercing e tagli di lametta a gogò, dark, intesi come tipologia umana con relativa prospettiva esistenziale di vita nell’oscurità, e innumerevoli altre piacevolezze consimili. Il tutto propagandato come fenomeno di estrema modernità e quindi fin quasi doveroso da seguire. Già per questo allora la tendenza che vi ha posto fine merita considerazione, in misura tale da rendere auspicabile il ripecorrerne le tappe, anche in funzione del suo apporto all’evoluzione musicale nel senso più ampio del termine.

Jazz
Per il jazz abbiamo innanzitutto “Feel like making live” di Bob James, realizzato a partire da una registrazione dal vivo in studio. Lo accompagnano Michael Palazzolo al basso e Billy Kilson alla batteria. L’album è pubblicato su doppio LP da 180 grammi e sarà disponibile a partire dall’11 marzo prossimo.

Nella lista come sempre ampia delle riedizioni, questa volta la Blue Note fa da protagonista. In particolare con “For Django” di Joe Pass, “Inner urge” di Joe Henderson, “Rough & tumble” di Stanley Turrentine, “Caramba!” di Lee Morgan e “The latin bit” di Grant Green.




Speakers Corner ha da poco ripubblicato “Mingus oh yeah” di Charlie Mingus, mentre da Good Time Records arriva “Live at oil can Harry’s” di Ahmad Jamal, registrazione dal vivo del 1976 in cui la formazione comprendeva anche un chitarrista, Calvin Keys. Si tratta della prima riedizione vinilica del disco, a quasi mezzo secolo dalla pubblicazione originale.


Ancora due riedizioni per Lonnie Liston Smith e i suoi Cosmic Echoes: stiamo parlando di “Cosmic funk” e “Astral traveling”, sempre a cura di Real Gone Music. Altri titoli di rilievo in ristampa sono poi “Matador” di Kenny Dorham e “Where’s Brooklyn?” di Don Cherry.




Per questo mese sarebbe già più che abbastanza, ma c’è un’altra notiziola che mi sembra interessante e quindi voglio pubblicare.
Riguarda la serie One Step Ultradisc di MFSL, della quale ci siamo occupati tempo addietro. Anche per descriverne le peculiarità, che putroppo sono tali da spingere il prezzo di ogni copia a somme rilevanti. Finora i titoli che la riguardano sono arrivati con il contagocce o quasi, ognuno a distanza di mesi l’uno dall’altro. Ora sembra invece ci sia pronta un’infornata particolarmente sostanziosa.
Comprende nientemeno che “Unplugged” di Eric Clapton, il primo album di Crosby, Stills & Nash, quello del 1969 la cui copertina li ritrae su un divano, “Folk Singer” di Muddy Waters, “Hotel California, “One of these nights” “On the border” e “The long run” degli Eagles. L’elenco comprende inoltre “Gratest Hits” di James Taylor, “Bitches brew” e “Sketches of Spain” di Miles Davis. Ci sono poi ben sei titoli dei Van Halen, “Van Halen”, “Van Halen II”, “Women and children first”, “1984”, “Diver down” e “Fair warning”. Ancora non è finita, dato che ai titoli menzionati si affiancano “Eldorado” degli Electric Light Orchestra, “From Elvis in Memphis”, di Elvis Presley, “There goes’ rhymin Simon”, di Paul Simon, “I robot” dell’Alan Parson Project, in doppia versione a 33 o 45 giri, e “Somethin’ else” di Cannonball Adderley.
Meglio iniziare a risparmiare se ci si vuol aggiudicare qualche copia di questa serie di dischi, che di solito vanno esauriti già in prenotazione, prima ancora dell’uscita, dato il basso numero di copie permesso dal sistema di stampaggio utilizzato per queste edizioni, che permette tirature assai limitate.
Stando alle anticipazioni c’è tempo fino a fine anno, quindi se ci si muove per tempo qualcosa si riuscirà a fare proprio senza troppe difficoltà.
Sempre per la serie in questione, tra novembre e gennaio sono stati pubblicati “Tapestry” di Carole King e “Pearl” di Janis Joplin, oltre a “The eagles” e “Desperado” degli Eagles. Diversamente dal solito, questi titoli sembra siano ancora disponibili per l’acquisto.
Alla prossima.