B&W CDM 7 NT

I motivi del successo arriso al B&W CDM 1, il diffusore capostipite della serie omonima, e poi del suo reggere così bene il passare del tempo, stanno nei presupposti, ossia nelle idee, con cui lo si è immaginato e poi progettato e costruito. Sono legate a una linea di pensiero che di lì a poco sarebbe stata abbandonata. E’ quella tipica dell’ultima parte del secolo scorso, da cui distiamo poco più di una ventina d’anni anche se sembra che da allora sia trascorsa un’era geologica.

Il concetto alla base di quel diffusore stava nell’impiego delle soluzioni utilizzate per il prodotto di livello superiore in quello di classe media, che per conseguenza beneficiava di un’iniezione tecnica parecchio favorevole, in modo particolare per le sue prestazioni.

Così facendo si risvegliava anche l’attenzione della clientela potenziale, che in un prodotto concepito in modo simile trovava motivi d’interesse notevole alla verifica sul campo. Allora era possibile prima dell’acquisto, data la diffusione sul territorio di negozi fisici, ognuno dei quali era provvisto della sua saletta per gli ascolti, generalmente ben fornita.

Tutto questo si rivelava funzionale non solo a tradurre in pratica le potenzialità di vendita del prodotto stesso, ma anche alla crescita della comunità degli appassionati nel loro insieme. Dati appunto gli elementi di richiamo nei loro confronti che assumevano la funzione di traino, oltretutto efficace, indicata per mantenere folta la platea di acquirenti potenziali e non di rado ampliandola. Era insomma quello stesso abito mentale che faceva da stimolo al continuo miglioramento del prodotto a ripercuotersi in maniera positiva sul pubblico risvegliandone l’interesse. Per poi tenersi pronto a soddisfarne le richieste, stante l’evolversi delle esigenze così indotto, secondo i crismi di quello che allora si definiva circolo virtuoso. Altra definizione che negli ultimi tempi sembra caduta in disuso.

Sono passati poco più di vent’anni, ma la situazione ora è del tutto capovolta. A iniziare dalla declinazione stessa del prodotto da parte dei fabbricanti, nella quale non si cerca più l’assimilazione ma tutto il contrario, scavando veri e propri fossati tra quelli appartenenti a classi diverse. Soprattutto, spingendo il vertice di gamma a livelli irraggiungibili e come tale destituendolo della funzione di traino nei confronti del prodotto destinato a una diffusione maggiore. La funzione di ricaduta tecnica viene così eliminata, rendendolo di fatto un qualcosa di fine a sé stesso, che non ha più ruolo alcuno ai fini della crescita del settore ma ne comporta invece un’effettiva contrazione.

Proprio perché il vorrei ma non posso a medio-lungo termine produce disincanto. Tanti a questo proposito parlano del “sogno” e della sua stimolazione, tantopiù ovvia per un settore in cui sono le stesse figure guida a soffrire palesemente di forme irreversibili di onanismo. Con gli anestetici giusti, pertanto, il sogno può essere indotto senza difficoltà e poi prolungato in una certa misura. A un certo punto però il risveglio è inevitabile ed è tanto più brusco e doloroso quanto più si è protratta la fase che lo precede, specie se con l’uso e l’abuso di mezzi artificiali. A quel punto il rifiuto nei confronti di ciò che lo ha causato, o per meglio dire l’elargizione del fatidico calcio nel didietro, è una conseguenza cui difficilmente si riesce a sfuggire.

Il CDM 1 è stato tra gli esempi meglio riusciti di quella filosofia virtuosa, specchio di un’era non dico felice ma legato almeno idealmente a una tendenza migliorativa, che stava per finire. Col passaggio al nuovo secolo infatti le sarebbe stato dato l’arresto. Passando così da una visione coerente con quei concetti e per ciò stesso rassicurante, a una che non è soltanto di segno del tutto opposto, ma è centrata sulla distopia originata dalla visione farneticante di un pugno di disturbati irrecuperabili in possesso di un potere enorme, della quale stiamo imparando sempre più a conoscere le conseguenze devastanti.

Inevitabile che il successo riscosso dal CDM 1 e dalla sua formula vincente, stante nel concentrare molte tra le scelte tipiche del prodotto di gran classe in un diffusore dall’estetica gradevole e personale, facile da installare e dal prezzo ancora accessibile per molti, ma soprattutto caratterizzato da doti sonore impeccabili e per molti versi sorprendenti, spingesse il suo fabbricante alla ricerca di nuove coniugazioni per quella formula così indovinata.

La scelta più ovvia al riguardo è quella del diffusore da pavimento, in cui traslare per quanto possibile tutto il potenziale insito nel modello originario, arricchendolo laddove aveva le probabilità maggiori di mostrare i propri limiti, ossia alle frequenze inferiori.

In realtà le cose non sono mai così semplici. Innanzitutto perché quando il prodotto è così indovinato, se lo si tocca anche marginalmente il rischio di penalizzarlo aumenta di molto. Poi perché l’aggiunta di un’appendice che prolunghi fino a terra il volume di carico del diffusore, e di un secondo altoparlante per la via bassa, comporta in genere una variazione per le caratteristiche di emissione che non ha solo aspetti positivi. Infine perchè con gli accorgimenti opportuni si può fare in modo che la percezione delle limitazioni alle frequenze inferiori possa essere non dico eliminata ma almeno ridotta in maniera sostanziale, al punto di rendere meno pressante o meglio fin quasi inesistente l’esigenza di un rinforzo in tale ambito.

Tali accorgimenti purtroppo sono lontani dalle scelte tipiche dell’industria e dalle soluzioni che tende ad applicare nella realizzazione del prodotto, anche se ciò va a discapito delle sue qualità complessive. La logica industriale non ha interessi a tale riguardo, essendo le sue priorità la facilità di realizzazione e l’abbattimento dei costi ottenibile per il suo tramite.

Ci sono poi da considerare gli elementi di ordine commerciale, derivanti dall’esistenza di una platea anche piuttosto ampia orientata a prescindere verso il diffusore da pavimento, in quanto ritenuto l’unico in grado di dare certe cose, in favore delle quali si sacrificano volentieri altri parametri, ammesso e non concesso di esserne consapevoli.

Questo anche in funzione delle attitudini della pubblicistica di settore, da sempre incline a focalizzare l’attenzione sugli aspetti positivi e altrettanto determinata a trascurare nella maniera più caparbia quelli che lo sono meno o per nulla.

 

CDM 1 da pavimento

Al suo arrivo sul mercato il CDM 1 fu affiancato dal modello 2 che ne era un’alternativa più economica ma purtroppo incapace di ripeterne le gesta, sia pure in forma più modesta. Preso atto dell’errore, si aggiustò al più presto il tiro e sull’onda del successo gli si mise vicino un modello più impegnativo, da pavimento. Idealmente in grado di colmarne le lacune, più presunte che effettive, sulla parte inferiore della banda audio. Così facendo si ottenne anche  di conferire prestigio e visibilità maggiori alla serie CDM.

Nacque così il CDM 7, che al di là dei pro e dei contro tipici del sistema da pavimento si basa su un tema tecnico piuttosto interessante, quello di realizzare un diffusore dalla completezza di risposta magari non assoluta ma soddisfacente nella maggior parte dei casi, dall’impronta a terra pari a quella di un foglio di carta in formato A4.

Scelta che ne rende possibile l’installazione anche in ambienti di ampiezza non particolarmente generosa.

La coppia di CDM 7 presa in esame appartiene alla serie NT, che sta per Nautilus, l’ultima a essere commercializzata prima della sostituzione con la serie 700, i cui esiti furono disastrosi. Avrebbe dato il via all’inversione di tendenza già a livello filosofico del modo d’intendere il prodotto hi-fi, quale che sia la categoria cui appartiene, da cui deriva la fase regressiva nella quale siamo tuttora immersi. E se continua così finiremo con l’affogare, preceduti dal settore stesso, nel suo insieme.

Unica possibilità di salvataggio, non per noi vecchi appassionati che ormai disponiamo del necessario per tirare avanti coi nostri ascolti, ma per il settore, è il puntare sulla fascia di pubblico più giovane e di conseguenza meno consapevole, data la sua poca o nulla esperienza. L’unica da cui ci si può attendere ragionevolmente la disponibilità ad acquistare prodotti peggiori e a prezzo più alto di quelli che li hanno preceduti.

Al proposito va rilevato che la serie 700, a partire dal 703 che in pratica andava a sostituire il CDM 1, fu caratterizzata in primo luogo da un vero e proprio testacoda realizzativo. Quello che la vide passare dal tweeter Nautilus, tipico del prodotto di vertice, a quello della serie 600 alla base del listino proposto dal marchio inglese.

Come se non bastasse, la sonorità del 703 dimostrò di essere caratterizzata in primo luogo da una mediocrità disarmante, tanto più in considerazione della sua evidente parentela con Il CDM 1, rispetto al quale tuttavia il crollo della qualità sonora era innegabile.

Tutta la faccenda con le sue conseguenze e implicazioni sono state affrontate nell’articolo dedicato al dopo CDM 1.

Dunque nell’ambito del listino B&W i diffusori CDM della serie NT furono l’evoluzione ultima della spinta al miglioramento del prodotto, ferme restando le altre sue prerogative, prima dell’inversione di tendenza.

Se per il CDM 1 la versione NT si limitava all’impiego del tweeter Nautilus, abbinato al woofer mid della serie precedente SE, il CDM 7 vi affiancava un woofer della stessa provenienza. Per l’occasione venne realizzato anche un nuovo modello, il CDM 9, dalle ambizioni ulteriormente innalzate e l’unico a tre vie, che dai diffusori di rango maggiore riprendeva anche il midrange, il tipico esemplare sprovvisto di sospensione esterna.

In quella veste, la serie CDM andò a rafforzare ancor più l’idea della linea cadetta che si caratterizza con l’impiego degli elementi tecnici più rilevanti dei prodotti di vertice.

La cosa però durò poco, non è dato sapere se per insostenibilità tecnica, improbabile, economica o a livello filosofico. Più verosimile invece è che si stesse imponendo una nuova visione del mercato e di conseguenza dell’evoluzione da attribuire al prodotto, secondo le logiche e i meccanismi che hanno portato alla realtà attuale.

Dunque la serie CDM fu eliminata e sostituita con la 700. Della cui inadeguatezza si dev’essere reso conto lo stesso costruttore, che infatti si affrettò ancora una volta a toglierla di mezzo.

Non per tornare sui suoi passi, come sarebbe logico per chiunque disponga di qualche forma di residuo buon senso, ma per aumentare le dosi della stessa medicina. Nella convizione, incrollabile e di per sé stessa indice ulteriore di dissennatezza, che l’insuccesso o meglio il tonfo così prodotto non fosse dovuto alla sua dannosità ma all’impiego in dosi troppo blande.

Appunto secondo le linee guida del pensiero deviato allora entrato in auge e, malgrado tutto, vigente ancor oggi, innanzitutto a livello economico, politico e comunitario. Le sue conseguenze sono evidenti per chiunque avesse un minimo di consapevolezza della realtà delle cose prima della sua instaurazione e poi all’imposizione come unico orizzonte cognitivo possibile, secondo la logica del non c’è alternativa.

La disastrosa serie 700 fu così sostituita dall’ancora peggiore CM che puntava tutto sull’estetica, per mezzo di soluzioni studiate apposta per compiacere le tendenze del pubblico di allora. Sottolineando ancor più la resa di B&W, innanzitutto ideologica, al nuovo che avanza e la conseguente abdicazione all’impiego dei canoni di rigore tecnico e timbrico che ne avevano fatto il portabandiera della scuola inglese. Il tutto secondo una deriva che aveva avuto il capitolo iniziale nella coniugazione rinnovata dell’alto di gamma, avvenuto con la serie 800 Nautilus.

Se è vero che chi non vuol prendere atto della Storia e trarne il suo insegnamento è destinato a ripetere a oltranza gli stessi errori, la vicenda di B&W costituisce di tutto ciò una dimostrazione paradigmatica. Infatti è passato da marchio di vertice assoluto, e come tale faro guida dell’intero settore, a mero comprimario e quindi realtà di second’ordine, all’interno di un settore che ha smarrito le sue stesse coordinate evolutive e ormai procede a vista e in ordine sparso secondo la logica del si salvi chi può.

Conseguenza inevitabile del pensiero mercatista per il quale solo il denaro e il suo accumulo nelle quantità maggiori è degno di considerazione. Talmente efficace nei suoi effetti da portare all’incapacità di produrre nuova ricchezza anche le realtà più solide e promettenti di un qualsiasi settore.

Il tutto è iniziato dal velleitarismo faraonico del Nautilus, vero precursore e caposcuola dell’hi-fi per oligarchi oggi in auge, che malgrado tutto ha avuto le sue ricadute per un breve periodo. Ma poi per forza di cose ha prodotto conseguenze inevitabili, ossia l’isterilimento conseguente alla sua stessa assenza di principi fondanti e di concetti di base che non fossero il compiacere il rampantismo che allora andava affermandosi, coniugato secondo la visione del tutto priva di realismo e anzi legato all’impazzimento di massa che ne è la prima conseguenza.

Chi semina vento raccoglie tempesta, diceva un tempo una massima che come ogni elemento di buon senso si è voluta inviare al dimenticatoio, ed eccoci qui. Situazione in cui il fabbricante un tempo riconosciuto come numero 1 trascina stancamente la sua esistenza, potendo ormai contare solo sulle ultime declinazioni, anacronistiche, di idee ormai peggio che stantie e riproposte fin quasi ossessivamente. Come una minestra sempre più insipida e riscaldata fin troppe volte, in un’assenza di prospettive che è proprio la conseguenza prima delle idee farneticanti di quanti ne presero il timone a suo tempo. L’hanno portato al tracollo intascando però somme oltremodo rilevanti, ennesima dimostrazione che anche dall’applicazione delle logiche più distruttive si può trarre un tornaconto personale tuttaltro che marginale.

Questione di etica, dirà qualcuno, ma anche d’insegnamento, secondo percorsi didattici ideati e messi a punto proprio per costruire la generazione di guastatori che un settore dopo l’altro ci ha portato al punto in cui ci troviamo. Cancellando nella stesso tempo ogni ipotesi alternativa proprio a livello di classe dirigente, insediandone una in apparenza preparatissima ma che in realtà è schiava di un analfabetismo irreversibile proprio e innanzitutto a livello di valori umani. Persino un alligatore ne ha più di loro

Cosa fa oggi, e in sostanza, B&W, oltre a riproporre dopo tanti anni le versioni ennesime dei diffusori della serie Nautilus, divenute ormai inavvicinabili quasi per chiunque e ormai abbandonata l’ultima intuizione felice dei bei tempi che furono, il kevlar, sostituito con un materiale lontano dalle prerogative che quello portò allo splendore che sappiamo? Ben poco, o meglio nulla.

Il tutto nel tripudio dei soliti noti, condannati alla forma peggiore di coazione a ripetere, quella che riguarda il cantare le lodi di tutto quanto venga messo loro di fronte. Stante l’incapacità, congenita o indotta non ha più importanza, di eseguire una valutazione in proprio, mediante l’impiego delle personali capacità di analisi e di quello che un tempo era definito ragionare con la propria testa. Del resto sono cose totalmente prive non di utilità ma degli stessi motivi di essere, nel momento in cui i canali attraverso i quali è destinata a transitare la loro comunicazione sono determinati a tal punto nel diffondere soltanto messaggi di un preciso tenore, fino ad aver rimosso la concezione stessa di qualsiasi cosa non ne segua il dettato.

Metti un sistema siffatto a trainare un settore, per quale esso sia e cosa otterrai, se non un pubblico totalmente privo di ogni possibilità di valutazione e dell’espressione di un qualsiasi concetto? Paradiso di un’industria che dopo essersi impegnata strenuamente alla distruzione delle sue prospettive di crescita e produzione di ricchezza, quindi dei suoi stessi motivi di essere, ha quale sua necessità primaria l’essere libera di vendere l’immondizia peggiore, e a prezzi folli. Resi a loro volta necessari dalla decimazione della platea di acquirenti potenziali che essa stessa ha causato, e per conseguenza dalla cancellazione delle premesse che rendono possibile la produzione secondo i canoni e le finalità con cui fino a qualche tempo fa la si è intesa.

All’estremo opposto abbiamo l’ennesima riedizione della serie 600, anch’essa trascinatasi stancamente fino ai giorni nostri, secondo la tragica, nel senso più fantozziano, ripetizione delle coscette di pollo alla soglia della putrefazione che il Prof. Dott. Guido Tersilli, Primario della Clinica Villa Celeste, riciclava giorno dopo giorno con sorda determinazione a pazienti che per risolvere i loro problemi necessitavano innanzitutto di un’alimentazione sana, ricca e variata. Vera e fedelissima prefigurazione della realtà della medicina attuale, che ha capovolto ogni sua logica, a partire dal giuramento di Ippocrate e dal suo Primo non nuocere. Oggi dunque persegue la depopolazione mondiale su vasta scala, per ordine di quanti ne controllano i pacchetti azionari. Lucrandoci sopra, come sempre, somme astronomiche.

Un tempo si diceva che la Storia si presenta prima in tragedia e poi in farsa. Ora, tuttavia, l’impazzimento di massa cui si è dato il colpo di pistola mezzo secolo fa e ormai è alle conseguenze finali, tra gli altri suoi effetti ha prodotto il capovolgimento di ogni concetto di etica e di buon senso.

Pertanto anche il decorso della Storia è stato sovvertito e ormai si presenta prima in farsa, appunto quella del dottor Tersilli il cui arrivismo lo ha trasformato in un imprenditore a tal punto privo di scrupoli e accecato dalla smania di ricchezza (suggerisce niente?), e poi in tragedia. Proprio quella che stiamo vivendo attualmente ed ha le stesse identiche premesse: arricchirsi a spese della salute dell’intera popolazione.

Nel mezzo tra quei due estremi c’è sostanzialmente il vuoto, inteso prima di tutto come capacità di dire qualcosa che abbia un senso e destare la curiosità e l’interesse di un qualsiasi appassionato. Motivo primario, il rifiuto delle idee che hanno dato vita alla serie CDM. Ecco dove ci hanno portato le teorie dissennate di un branco di economisti e uomini di mercato, secondo una realtà mai altrettanto degradata che trova applicazione ovunque e non solo nell’ambito della riproduzione sonora amatoriale.

Attenzione però, perché la colpa non è soltanto loro, che come sempre hanno guadagnato somme ingenti per mandare in malora ogni settore del quale si sono occupati. E’ stata anche nostra, visto che li abbiamo lasciati fare e conquistare posizioni su posizioni, fino a occupare militarmente qualsiasi posto di potere, dalla bocciofila rionale ai supremi istituti di garanzia, ormai votati a sovvertire quel che dovrebbero salvaguardare. Gli abbiamo lasciato mano libera perché abbindolati o forse conquistati dagli idoli di cartapesta che ci hanno sventolato sotto il naso fino a mandarci in trance, condizione alla quale ci siamo adagiati, nella tenace determinazione a non vedere quali sarebbero state le conseguenze di questa deriva, palesi già ai suoi inizi.

Oggi siamo all’ultima chiamata: abbiamo ancora intenzione di lasciarli fare, così che possano portarci senza fatica alle conseguenze estreme, o finalmente andiamo a scrollarci di dosso il comodo torpore che ci hanno appiccicato fin qui, per metterli una volte e per tutte nell’impossibilità di causare altro danno, del quale siamo fatalmente chiamati a pagare i danni in prima persona?

 

L’ultimo dei CDM

Bando alle malinconie ed eccoci a osservare i CDM 7 NT, in finitura chiara. All’epoca appariva fin quasi insipida nel confronto con quella in legno rosso che ha tenuto banco tanto a lungo, al punto di essere diventata fin quasi stucchevole. Questa che è senza dubbio meno d’impatto, risulta più adattabile e soprattutto meglio osservabile nel lungo termine.

Una prima particolarità riguarda la presenza di un tubo di accordo sul frontale e di un secondo posto sul retro, a sottolineare la presenza, all’interno del volume di carico, di due camere distinte, una per il woofer e una per il woofer mid. Si tratta di una soluzione tecnica utilizzata già da alcuni modelli della serie 800 di qualche anno prima, la Matrix, ultima a essere informata sui criteri canonici del marchio inglese. Oltre a permettere a ogni altoparlante di lavorare nelle condizioni meglio indicate al proprio compito, ha anche risvolti significativi a livello sonico.

Il woofer-mid è quello della serie precedente SE, caratterizzato dalla presenza dell’ogiva centrale in luogo del tradizionale parapolvere. In quel periodo sembrava vigesse il divieto di commercializzare diffusori con altoparlante per la gamma media sprovvisti di tale appendice. Poi, così com’è arrivata, anche questa moda è passata, senza parere e men che meno lasciare tracce. Dimostrazione che la sovrastruttura non fa parte solo del bagaglio culturale degli appassionati, ma anche di quello di fabbricanti e progettisti.

La rifasatura dell’emissione conseguente al suo utilizzo ha le sue motivazioni e i suoi effetti. Nello stesso tempo, in funzione delle modalità con cui si realizza materialmente tale funzione, i difetti che ne conseguono sembrano essere più numerosi dei punti a favore. Si, l’effetto di una chiarezza maggiore, soggettivamente gradevole è ben percettibile, ma soprattutto allineata alle tendenze dell’epoca e a quelli che se ne ritenevano i gusti di maggior diffusione. Tuttavia se lo si mette alla prova sia pure in maniera empirica, provando ad esempio a riempire di assorbente le cavità interne dell’ogiva, le conseguenze sono piuttosto esplicite.

Ancor più lo sono nel momento in cui la si elimina del tutto, svitandola. A quel punto magari la gamma media e medioalta diventano fin troppo parsimoniose, cosa che non si verificava nella versione precedente dell’altoparlante, quella che montava il consueto parapolvere.

Allora perchè andare a rompere le scatole a qualcosa che ha dimostrato di funzionare già in maniera egregia? Forse in seguito alla stessa forma mentale di quanti per mascherare la loro attitudine all’inerzia fingono di svolgere un’attività frenetica?

O altrimenti perché sembra brutto lasciare le cose come stanno per un lasso di tempo troppo lungo, nel timore di dare l’impressione di non essere sufficientemente avanzati e progressivi dal punto di vista tecnologico?

Se una soluzione tecnica funziona, perché mai dovrebbe smettere di farlo in capo a un determinato lasso di tempo? Forse in quanto c’è bisogno di far vedere che il progresso è inarrestabile e siamo capaci di cavalcarlo come gli specialisti da rodeo fanno con certi tori imbizzarriti?

In definitiva cosa accade veramente: è la tecnologia al servizio dell’uomo oppure è quest’ultimo che se ne è reso schiavo, sia pure per questioni utilitaristiche, d’immagine, di propaganda e di profitto?

Per il resto l’altoparlante è il consueto esemplare B&W in kevlar, a iniziare dal cestello realizzato in pressofusione, dal magnete generoso e dalla tolleranze funzionali ridotte al minimo. Del materiale impiegato per la membrana è già stato detto di tutto e di più, quindi inutile soffermarsi ulteriormente su di esso.

L’aspetto curioso è che certuni hanno ritenuto di fare determinate valutazioni al suo riguardo, oltretutto sbagliate, solo quando è stato dimesso: umani ancora in grado di utilizzare consapevolmente le loro prerogative, innanzitutto sensoriali e cognitive, o meri robottini da propaganda? Al di là della questione in sé, ormai fin quasi banale, credo sia più importante chiedersi fino a quando la differenza avrà ancora un senso.

 

Tweeter Nautilus

L’adozione dei tweeter più avanzato allora negli arsenali del costruttore inglese è stato il punto saliente dell’evoluzione definitiva della gamma CDM.  Degli aspetti filosofici della questione e delle sue ricadute nel concreto ne abbiamo parlato. Ora vediamone le ripercussioni pratiche, anche alla luce delle esperienze fatte con gli esemplari delle serie precedenti.

In linea teorica l’impiego di quell’altopartlante avrebbe dovuto costituire una demarcazione invalicabile nei confronti dei modelli venuti prima. All’atto pratico questo è vero soprattutto sotto l’aspetto visivo, stanti le sembianze inconfondibili dei tweeter Nautilus, che hanno obbligato anche a modificare la fisionomia del diffusore per quello che ne era l’aspetto più significativo. Ossia la conformazione del frontale, con il suo pannello inclinato proprio in corrispondenza del tweeter.

Essendo più allungato, il nuovo tweeter ha obbligato a variare l’ampiezza e l’inclinazione del pannello in cui è incastonato, ora meno pronunciata, oltre a prevedere l’adozione di un supporto in materiale gommoso entro il quale alloggiarlo. In particolare per la parte posteriore dell’altoparlante, che va a inserirsi in un setto interno appositamente previsto, inesistente nei modelli precedenti.

Da tale soluzione deriva anche una variazione percettibile per le caratteristiche riguardanti la dispersione del diffusore.

Alquanto perplessi lasciano anche le modalità “automobilistiche” con il cui il tweeter viene fissato al suo posto, mediante una molletta a incastro, sotto la quale va a inserirsi un pannellino siliconico, migliorando il bloccaggio del tutto anche con l’ausilio del connettore adibito al collegamento elettrico con il crossover.

Qui emerge l’essenza bifronte di certe soluzioni: da un lato quella visibile, l’adozione del tweeter portabandiera di un’intera generazione di prodotti, idealmente votati a rappresentare il vertice tecnologico della loro epoca. Dall’altro vi si contrappongono soluzioni che definire sbrigative è ancora poco, a simboleggiare ancora una volta la logica del “quel che si vede è di camicia“, legge non scritta ma tale da non poter essere aggirata, neppure per elementi la cui destinazione è per antonomasia quell’alto di gamma da cui determinate soluzioni si riterrebbero bandite.

B&W del resto ci ha abituato all’impiego disinvolto di determinate scelte, volte a massimizzare la velocità di assemblaggio del prodotto finito, ma le cui conseguenze ricadono su chi si rtitrova a metterci le mani e sul possessore dell’oggetto, potenzialmente esposto a trovarsi di fronte conti più dispendiosi, sia pure marginalmente, proprio a causa delle scelte fatte all’origine.

Ora mi chiedo: è tanto difficile capire che se si posizionano schede coi relativi componenti in ricettacoli tanto angusti occorre fare in modo che ne possano essere estratte con il minimo della praticità? Ricorrere a quattro viti invece che ai mefitici funghetti a espansione, sinonimo stesso della realizzazione a tirar via, comporterebbe un aggravio di costi così insostenibile per un prodotto che comunque non è nato per essere venduto all’insegna del crollo dei prezzi?

Si tratta di domande destinate a non trovare risposta, men che meno da parte di chi nell’indulgere in determinati luoghi comuni ha fatto una sorta di marchio di fabbrica, almeno nei confronti di quanti non si limitino a osservare la facciata esterna delle cose ma interagiscano col loro interno.

Al di là di questo, non è che l’emissione del diffusore abbia ricavato chissà quale miglioramento dall’impiego del nuovo altoparlante. Anche perché dietro di esso ci sono sempre i soliti componenti di aurea mediocrità che non possono non inluenzarne il comportamento.

Diciamo che un tweeter delle prime serie CDM non ha difficoltà nel sopravanzare uno della serie NT qualora preceduto da una rete di filtraggio realizzata in maniera tale da ridurre per quanto possibile l’influsso negativo derivante dalla sua stessa presenza. Questo al di là del fatto di cronaca dimostra  quale sia la realtà delle cose, in cui l’importanza maggiore non è data dall’altoparlante e dalle sue prerogative tecniche, come viene fatto credere più o meno da sempre, ma dalle condizioni in cui lo si fa operare.

Il problema è che certa roba è nascosta, quindi non vi si possono innalzare le lodi sperticate all’ordine del giorno per la pubblicistica di settore, dato che per il destinatario del messaggio risulterebbe difficile comprendere ciò che non si pone direttamente di fronte ai suoi occhi. Anzi ne deriverebbero dubbi che è sempre meglio non risvegliare.

Ulteriore dimostrazione, se ancora ce ne fosse bisogno, che è proprio quel che si trova allo scoperto ad avere il bisogno più grande di essere fatto di camicia. Per il resto, transeat, proprio come diceva il Principe De Curtis.

Ora, per una semplice questione di coerenza, dietro a un tweeter Nautilus non dovrebbe esserci una rete fatta da componenti all’altezza delle sue prerogative, dando per buona l’idea che la tipologia circuitale sia già la migliore concepibile? Allora perché ci si ritrovano gli stessi identici componenti delle versioni precedenti, ipotizzabilmente fatti su misura per un altoparlante che in teoria neppure potrebbe sognarsi di essere messo a paragone con un siffatto fenomeno della tecnologia?

Queste pertanto sono le logiche industriali, che smentiscono nei fatti le parole alate e le auree suggestioni del Coro Degli Entusiasti A Prescindere, sempre pronto a far credere quel che non è. Oltretutto esegue il suo compito con tale naturalezza che non si capisce se sia anch’essa frutto del suo grande talento, che è doveroso riconoscere, o poiché derivante dal compiere determinate azioni a propria insaputa.

In sostanza allora gli alto-parolanti che discettano di altoparlanti e del resto degli elementi tecnici utilizzati ai fini della riproduzione sonora danno l’idea di essere utilizzatori più assidui della retorica e della qualunque, sempre finalizzate agli scopi cari alla loro committenza e non alla consapevolezza e soprattutto all’imparzialità che dovrebbero essere gli elementi fondanti dell’agire nell’ambito dell’informazione, allo scopo trasformatasi in comunicazione.

Una volta tolta di mezzo tale mediocrità, non è che tutto diventi così privo di confronto con quanto fatto in gamma alta dalle versioni precedenti, come certa narrazione vorrebbe far credere.

Personalmente allora preferirei andare su un modello della prima serie, che a dispetto di tutto resta la migliore, e con la differenza di prezzo pagarmi una parte significativa dell’intervento necessario a far esprimere il diffusore al meglio delle sue potenzialità. Ovviamente qualora ritenga sia il caso di eseguirlo.

Sempre riguardo al crossover, e in particolare all’immagine che lo ritrae, si notano i rimasugli di una sporcizia nera che è andata a finire anche sullo sfondo dell’immagine e non ho voluto rimuovere.

Si tratta del materiale assorbente utilizzato, che col tempo è andato sbriciolandosi, per poi cadere a causa della forza di gravità, raccogliendosi nei punti più impensabili. Senza perdere tuttavia la sua attitudine ad appiccicarsi in maniera assai tenace, così da renderne ancora più difficoltosa la rimozione. Mai visto nulla di simile, in tanti anni e men che mai di altrettanto pernicioso. Il suo degradarsi oltretutto ha fatto in modo che si spostasse da dove era necessaria la sua presenza per andare ad ammucchiarsi altrove.

I motivi per cui B&W lo ha adottato per le serie NT dei diffusori CDM resta un mistero. C’è solo da augurarsi che non ne abbia esteso l’impiego anche ad altri modelli.

In precedenza la serie CDM, come pure la 800 Matrix, utilizzava più consueti pannelli in gommapiuma, i quali magari non avevano un’efficacia che facesse gridare al miracolo, ma almeno restavano al loro posto in via permanente senza degradare in modo simile. Soprattutto non inzaccheravano dappertutto per poi depositarsi con estrema tenacia in  un raggio di almeno 10 metri dal luogo in cui li si va a rimuovere.

Pazzesco.

All’estremo opposto della gamma udibile, e poi anche del diffusore, c’è un woofer radicalmente rinnovato e anch’esso preso almeno nelle sue scelte salienti da quanto utilizzato per la serie Nautilus. L’aspetto più in vista riguarda la conformazione della membrana, quasi del tutto ricoperta da quello che potrebbe sembrare un parapolvere dalle dimensioni ingigantite in maniera fin quasi innaturale.

In realtà non si tratta di un’appendice messa lì per motivi non meglio chiariti, ma di un elemento strutturale accoppiato stabilmente alla bobina mobile. Si potrebbe fin quasi parlare pertanto di un woofer a cupola, per quanto il tradizionale elemento sia rimasto al suo posto, che nell’apparente contraddizione di termini e al di là di tutto fa bene il suo lavoro. Non perviene magari alle profondità più remote dello spettro audio, ma fin dove arriva lo fa con efficacia e senso della misura, che poi è quello che importa maggiormente, in particolare ai fini pratici.

Da rilevare anche, per la realizzazione della membrana, l’abbandono dei materiali sintetici, con il ritorno a uno che, almeno all’aspetto, sembra imparentato con la tradizionale polpa di cellulosa. Elemento residuale di buon senso a fronte delle scelte opinabili descritte fin qui.

Il miglioramento qualitativo, in termini di emissione, è ancora una volta di significato considerevole in seguito all’intervento eseguito sul diffusore. Non solo per le differenze inevitabili riguardo alle doti dei componenti, ma anche per l’invecchiamento di quelli originali. In particolare per i condensatori in polipropilene, che risentono di tale aspetto in maniera direi significativa. Poi l’affinamento e la maggior cura nei confronti di quanto volenti o nolenti si pone sul percorso del segnale e ne influenza il contenuto fa il resto, attribuendo alla sonorità le caratteristiche di fluidità e nitidezza che non si è abituati a trovare in diffusori d’impegno simile. Se è per questo sono difficili da riscontrare anche in esemplari di lignaggio maggiore, dato che per quali che siano le classi di appartenenza, la mentalità con cui ci si dispone alla realizzazione di certi particolari è sempre la stessa.

D’importanza considerevole, inoltre, il recupero delle funzioni del materiale assorbente posto all’interno del diffusore, dato che quello utilizzato all’origine era ormai del tutto inutile.

A questo proposito, comunque, va tenuto conto che se il diffusore e le sue caratteristiche tecniche e di emissione sono importanti, almeno altrettanto lo sono quelle del segnale che giunge ai suoi morsetti d’ingresso. Come sempre, se questo è inadeguato non c’è altoparlante che possa edulcorare la situazione. Anzi, a tale proposito ci sono ottime probabilità che più è efficace e più riesca a porre in evidenza i problemi di quanto lo precede. Da un lato perché nessuno è stato ancora capace di inventare qualcosa che lasci passare e ponga nell’evidenza migliore solo quel che piace al suo ascoltatore, e si può dubitare che ciò possa avvenire anche in futuro, ammesso che ci sarà concesso di viverlo. Dall’altro sottolinea ulteriormente l’importanza della questione dell’equilibrio, vera chiave di volta per il rendimento di un qualsiasi dispositivo sia basato sull’abbinamento di componenti diversi.

La questione illustra infine i motivi per cui i diffusori di certi marchi siano tanto osteggiati da una certa tipologia di appassionati, proprio perché fin troppo efficaci nel tratteggiare la realtà, spesso desolante, di quel che arriva al loro ingresso. Sia pure per il tramite di oggettistica fatta pagare a peso d’oro e quindi non può che rasentare la perfezione. secondo le leggi basate sulla proprietà transitiva dell’uguaglianza, intesa in una forma fin troppo idealizzata, per non dire altro.

 

 

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