Nel momento in cui ho iniziato ad avvicinarmi alla riproduzione sonora amatoriale, tanti, troppi anni fa, una cosa tra le prime che ho imparato, in quanto ripetuta ovunque e senza posa, era che i diffusori giapponesi non andavano neppure presi in considerazione.
Tutto il resto, quale che fosse, poteva andare. Ma i diffusori giapponesi no, assolutamente.
Motivo, secondo la vulgata del tempo, il loro essere realizzati in funzione di una tradizione musicale, e della conseguente estetica sonora, che non avevano nulla a che fare con quella dell’occidente. Per quale che fosse la musica da ascoltare per il loro tramite.
Il diffusore pertanto poteva, o meglio doveva, essere di origine statunitense, preferibilmente, e con annessa distinzione imprescindibile tra scuola della costa ovest (Altec, JBL) oppure della costa est (AR, discendenti e assimilati vari). Altrimenti poteva essere inglese, in particolare se la riproduzione sonora era intesa in una modalità tendente al francescano, sempre secondo le idee di allora, o tuttalpiù italiana, volendo magari risparmiare qualche soldo ma non sempre.
Tutto il resto era da trascurare minuziosamente. D’altronde quelli erano i tempi del trittico Thorens, Marantz, AR e un gran numero di impianti era composto rispettivamente da giradischi, amplificatori e diffusori di quei fabbricanti.
L’unica eccezione ammissibile all’ostracismo nei confronti dei diffusori giapponesi era per gli Yamaha. In particolare gli NS 690 dei quali andiamo a occuparci in questo spazio. Infatti dalla stampa di settore erano ritenuti i soli in grado di ben figurare in impianti all’altezza della situazione, così che acquisirono una discreta diffusione anche dalle nostre parti.
Data la fortuna che ebbe il primo modello della serie, dopo qualche anno ne venne presentata una versione rivista, la NS 690 II, insieme a un modello più costoso, l’NS 1000, e ad uno più economico, l’NS 670 che però non ha trovato più di tanto i favori degli appassionati.
Bookshelf?
Si definivano così i diffusori “da libreria”, che erano in sostanza tutti quelli non da pavimento. All’epoca non si era diffuso ancora l’impiego dei piedistalli, sarebbero arrivati più tardi, negli anni ottanta. Nella categoria dei bookshelf rientravano anche gli NS 690, che osservati con gli occhi di oggi causano una domanda inevitabile, riguardo a chi potesse disporre di una libreria dagli scaffali tanto ampi, e soprattutto di robustezza tale da sorreggere senza problemi il peso rilevante dei diffusori come questi.
Oggi, per diffusori dalle simili caratteristiche dimensionali, la soluzione più indicata è quella di piedistalli realizzati appositamente. Magari del tipo a quattro pilastri e di altezza contenuta, giusto quella necessaria a portare il tweeter poco più in alto delle orecchie, una volta che ci si è sistemati nel punto di ascolto.
Gli NS 690 che compaiono in questo articolo sono della prima serie, caratterizzata dalla possibilità di pilotaggio in triamplificazione. Allo scopo era adibita una serie di connettori alloggiata in una seconda vaschetta, che andava ad affiancare quella dei normali morsetti adibiti al pilotaggio via amplificazione singola. Secondo le usanze dell’epoca erano i risicati esemplari del tipo a molla.

Proprio quelli sono stati individuati come primo elemento da sostituire, per mezzo di esemplari moderni del tipo a vite, in grado di accogliere terminazioni a forcella e banana. Per fortuna le vaschette originali hanno permesso di montarli senza troppe difficoltà. E’ bastato semplicemente allargare di qualche millimetro il foro attraverso il quale i morsetti di primo equipaggiamento, ormai ossidati, comunicavano con l’interno del diffusore.
Osservando il retro del diffusore si notano due elementi d’interesse notevole. Il primo riguarda l’impiego di multistrati per la realizzazione della struttura principale del cabinet, in luogo del truciolare o dell’MDF oggi più consueti, mentre il pannello posteriore è avvitato su di essa o meglio sulla cornice interna appositamente posizionata allo scopo. Si tratta di soluzioni oggi improponibili per via del loro costo. E’ da tenere presente comunque che il materiale con cui è realizzato il cabinet ha il suo influsso sulla sonorità del diffusore finito, così come le sue caratteristiche strutturali.
Altoparlanti
Al pari di alcuni esemplari da libreria di taglia maggiore loro coevi, gli NS 690 utilizzano un woofer da 30 cm, caricato in sospensione pneumatica. Si tratta effettivamente di un bell’esemplare, non solo per le sue dimensioni ma anche per le soluzioni che lo caratterizzano. In primo luogo per la flangia e il cestello in alluminio, malgrado i quali il woofer ha un peso rilevante. Osservandolo viene spontaneo chiedersi quanto costerebbe, a produrlo oggi, un diffusore equipaggiato in modo simile.
Anche allora gli NS 690 non costavano poco, tuttavia con qualche sacrificio ci si poteva arrivare. Motivo per cui se ne trovano ancora esemplari in buone condizioni senza difficoltà troppo grandi. Oggi invece i costi di un diffusore realizzato con quei criteri sarebbero improponibili per l’uomo della strada: dimostrazione ennesima di quali dimensioni e quali conseguenze abbia avuto il processo d’impoverimento di massa che ha avuto luogo nel corso degli ultimi decenni.

Come sempre per i diffusori di quel periodo, la membrana è in polpa di cellulosa, a garanzia della naturalezza di emissione. Il limite maggiore di questo materiale è stato identificato nella variabilità delle sue caratteristiche fisiche, tali da rendere alquanto complesso il pervenire a lotti di produzione di altoparlanti in possesso dell’uniformità necessaria, ovvero tali da rientrare entro finestre di tolleranza adeguatamente ristrette.
Questo non è stato un problema nel corso di svariati decenni, e ancora oggi gli altoparlanti così equipaggiati destano ammirazione per le loro doti sonore. Lo è diventato nel momento in cui la progettazione computerizzata dei diffusori, con particolare riguardo ai fini dell’interazione tra altoparlante e volume di carico, ha reso necessaria, ai fini dell’affidabilità di quel metodo, l’uniformità che la polpa di cellulosa realizzata coi criteri di un tempo non sembrava in grado di garantire.
Così si è passati all’impiego di materiali alternativi, il cui elenco è andato ampliandosi col passare del tempo, fin quasi a dismisura. Di ciascuno di essi il sistema propagandistico ha magnificato il possesso di prerogative semplicemente inimmaginabili fino all’istante prima, foriere di nuovi e radiosi destini per la qualità sonora, il suo perfezionamento e la sua ascesa all’assoluto, che in assenza del nuovo ritrovato mai avrebbe potuto neppure sognarsi di arrivare a tanto. Tranne poi ricominciare con la stessa litania già a partire dalla settimana successiva, all’arrivo di un nuovo materiale o combinazione di altri già noti.
Il risultato di questa tarantella andata avanti per decenni non è solo che ancora oggi c’è chi insiste con un atteggiamento per nulla dissimile da quello appena tratteggiato, e tuttavia vorrebbe essere creduto.
In parte ci riesce, grazie al provvidenziale ricambio apportato dalle nuove generazioni. Ecco perché le si tiene sempre in una considerazione tanto grande: prima che mettano insieme l’esperienza necessaria per comprendere certe cose ci vorranno decenni, durante i quali la giostra potrà continuare a girare indisturbata, producendo utili a iosa. E per allora, forse, altre generazioni si saranno affacciate alla riproduzione sonora, anch’esse servite su un piatto d’argento poiché convinte che quanti facciano parte di quelle precedenti siano niente altro che dei bolliti incompetenti, ormai rintronati. Incapaci di confrontarsi con i progressi mirabolanti della tecnologia, trasformata nella nuova religione universale. Quindi il sistema potrà andare avanti indisturbato chissà per quanto tempo ancora.
Nonostante tutto, un bel giorno si troveranno anche loro di fronte a un buon diffusore con i coni in vilissima carta. Chissà se riusciranno a comprendere le doti di naturalezza che lo contraddistinguono, al di là delle sue caratteristiche tecniche e delle scelte e modalità perseguite nella sua progettazione, o se invece il condizionamento subito nel corso dei decenni avrà la meglio su quel che perviene al loro cervello per mezzo dei recettori uditivi?
Non è dato saperlo. Tuttavia mi preme maggiormente rilevare quello che a mio modo di vedere è l’aspetto dirimente di tutta la faccenda, e a sua volta è esemplificativo del modo di ragionare che da un certo momento in poi ha preso piede, per poi diventare predominante, assumendo la maggior parte delle responsabilità per le condizioni materiali in cui ci ritroviamo in questa fase storica.
Il concetto è il seguente: si aveva un materiale dalle caratteristiche impeccabili, al punto tale che a circa 40 anni dal suo abbandono non si è ancora trovato nulla che lo superi a tutti gli effetti, ossia nel complessivo delle sue caratteristiche. Tranne che per alcuni aspetti specifici che possono anche essere significativi, ma restano di fatto parziali ai fini del rendimento e dell’equilibrio prestazionale ottenibile con il suo impiego.
Questo però allora non lo si poteva sapere, anche se l’importanza che ha è relativa. L’elemento sostanziale di tutta la faccenda è che si è abbandonato il materiale di un certo tipo, a favore di uno che era ed è tuttora peggiore ai fini del punto essenziale, che per un oggetto adibito alla riproduzione della musica è e resta comunque la qualità sonora. Motivo, si adattava meglio alle esigenze subentrate in seguito al cambio dei metodi di progettazione, verificatosi col diffondersi delle tecniche computerizzate.
Nel momento in cui le si adottò, ci si rese conto che per poter conseguire un qualche vantaggio dal loro impiego era necessario che le si potesse applicare in un ambito caratterizzato da una sostanziale identità dei componenti utilizzati per un dato progetto. Proprio perchè laddove vi si voglia ricorrere in presenza di variabili più grandi di tanto, lo strumento informatico entra in crisi e ne risentono in particolare i risultati che è possibile trarne.
Ecco perchè da alcuni decenni a questa parte non si è tralasciato alcunché per fare in modo che il genere umano assumesse i tratti di una sostanziale uniformità. I risultati sono evidenti per chiunque abbia intenzione di prenderne atto e parlano molto chiaro. Soprattutto di una realtà innegabile, quella che non è la tecnologia al servizio dell’uomo ma è quest’ultimo che da un certo momento in poi è stato subordinato ad essa.
In nome e per conto degli interessi di chi ne deteneva e ne detiene tuttora il controllo.
Dunque si è buttato via qualcosa che funzionava, e lo faceva da sempre, in maniera eccellente in primo luogo ai fini dell’elemento centrale, quello davvero dirimente ai fini del traguardo che in questo ambito ci si prospetta, ossia ottenere la riproduzione sonicamente migliore possibile, per gettarsi a capofitto, dato che così è stato, su una cosa che è in tutta evidenza peggiore, in pratica sotto ogni aspetto.
Solo che quel peggio, che non di rado arriva proprio alla schifezza, ha anch’esso il suo punto forte o meglio inattaccabile: è replicabile a piacimento e con una uniformità pressoché assoluta, tale da permetterci di costruire milioni e milioni di esemplari tutti caratterizzati esattamente dalla stessa identica quantità e qualità di schifezza, precisa al miliardesimo.
Un progresso epocale, non c’è che dire, il cui concretizzarsi è simbolico. Ma che dico, è il paradigma stesso della follia tipica di chi s’inoltra talmente nella sua ricerca, che esegue tra le mura buie e anguste del suo laboratorio. A furia di rinchiudersi li dentro, in primo luogo in termini concettuali, per trascorrervi giorni e notti fino a perdere contatto con il ritmo stesso del loro succedersi, finisce col credere che quella ivi presente sia la realtà. E del tutto aderenti ad essa siano i risultati cui perviene in tal modo. Secondo la logica di un condizionamento che di fatto ha praticato su sè stesso, oltretutto a propria insaputa.
Il problema è che il frutto di un procedimento siffatto, proprio appunto dello scienziato pazzo, termine un tempo ben presente nella coscienza collettiva ma che poi ne è stato rimosso, e non è difficile comprendere il perchè, si rivela non solo sfruttabile commercialmente, ma persino un metodo di grande efficacia per accumulare profitti rilevanti. Infatti, se nel momento in cui si perviene a un nuovo sistema produttivo è magari costoso da avviare, nel lungo termine, grazie alle economie di scala che permette, e al costo irrisorio del materiale di qualità opinabile utilizzato allo scopo, diventa oltremodo conveniente.
Chi lo controlla, pertanto, ha tutto l’interesse affinchè il prodotto che ne fuoriesce non solo si affermi, ma diventi il protagonista indiscusso del suo comparto merceologico. Allo scopo sfrutta la tendenza innata del capitale a produrre condizioni monopolistiche. Inoltre, più quel prodotto sarà vincente, commercialmente, più chi lo realizza acquisirà forza. Quella necessaria a dirigere il mercato dove preferisce, ossia è per lui più conveniente, per mezzo della varietà di strumenti fin quasi illimitata e in continuo ampliamento che la comunicazione moderna mette a disposizione.
Tutto questo in funzione non della caratteristica innata del capitale, appunto quella inerente la sua tendenza a produrre il monopolio e come tale a indurre il riconoscimento esclusivo dell’unica e sola legge che lo regola, quella del profitto. Quanto invece della deviazione patologica di alcuni esseri umani che li spinge a un’accumulazione compulsiva dalla quale sono soggiogati e, per conseguenza, hanno l’istinto irrefrenabile di soggiogare ad essa tutti i loro simili. Proprio perchè così la loro accumulazione potrà assumere le dimensioni maggiori.
Fin quando il meccanismo descritto interessa cose d’importanza relativa come la riproduzione sonora, rispetto alla quale se si ascolta in un modo peggiore rispetto a quel che si potrebbe è una cosa spiacevole ma non muore nessuno, è un conto.
Il problema è che quel meccanismo va a interessare la sfera politica, quella economica e infine quella sanitaria, laddove si mette in gioco la salute delle persone e il loro diritto di conservarla scegliendo i metodi che preferiscono, secondo il principio dell’autodeterminazione che è inalienabile. Ogni tentativo di ridimensionarlo o persino di eliminarlo non può che avere origini e finalità dittatoriali.
A quel punto le cose cambiano e non di poco, assumendo ben altra importanza, non solo a livello di principio ma per le probabilità stesse del genere umano di garantirsi la sopravvivenza, nella medesima forma con cui la Natura lo ha messo a suo tempo su questa Terra.
Non a caso, oggi ci troviamo al punto che chi ha le vere leve del potere tra le sue mani, che non vuole e non deve comparire. quindi per forza di cose non sono i quattro pupazzi del tutto intercambiabili tra loro di cui TV e media allineati narrano le gesta fino allo sfinimento di chi insiste ancora a seguirli – ciascuno è artefice delle proprie sventure – è giunto alla decisione che la sopravvivenza del genere umano deve terminare. Escludendo solo un ristrettissimo numero di eletti, e la quantità strettamente necessaria di individui da adibire alla loro servitù. Queste cose oltretutto ce le dicono da molto tempo, da più di un secolo.
Però noi insistiamo a credere che i destini magnifici e progressivi siano per l’umanità tutta, secondo un paradigma ormai consunto, quando invece i media insistono fino allo sfinimento che il vero e solo obiettivo degno di essere perseguito è la conservazione del Pianeta, allo scopo issato anch’esso alla stregua di una neo-divinità pagana. Nessuno però sembra accorgersi che a imporci con ogni mezzo questa falsa verità sono gli stessi che per secoli lo hanno deturpato a fini di profitto. L’essenziale è ripetere a pappagallo gli slogan che passano attraverso i canali storicamente deputati all’inganno globale.
Un sistema tuttavia c’è, per comprendere la valenza e la portata del messaggio. Riguarda il far caso all’insistenza con cui da qualche tempo l’argomento viene utilizzato nella comunicazione pubblicitaria. Che ad altro non serve se non a vendere il prodotto, imponendolo alle masse. Svelando così il vero obiettivo del preteso risveglio della coscienza ambientalista, fasulla esattamente quanto lo sono i metodi con cui la si vuole diffondere a ogni costo: ancora una volta è il profitto, realizzabile sulla bolla finto-ambientalista, che a furia di gonfiarla potrebbe effettivamente diventare l’affare del secolo.
Si badi bene: gli affari non si fanno solo costruendo ed eventualmente migliorando, ma anche e ancor meglio distruggendo e togliendo di mezzo cose o entità che a un certo punto si è deciso siano scomode o solo intralcino il cammino verso la realtà cui s’intende pervenire.
Così, nel momento in cui il sistema politico-industrial-economico, diventato un tuttuno inscindibile, decide che sul ridurre i tre quarti della popolazione mondiale ad andare in giro imbavagliati, mediante l’impiego di miliardi e miliardi di mascherine usa e getta, si fa un affare colossale, l’impatto ambientale di tutto il materiale altamente inquinante di cui sono fatte è un problema inesistente.
Che poi si tratti di un rifiuto speciale che non si sa come smaltire, interessa ancor meno.
Pertanto nessuno dei canali di informazione, tutti insieme convertitisi d’improvviso all’integralismo ambientalista, rileva quella contraddizione. Che rimane così del tutto impercettibile, proprio secondo l’accezione fantozziana del termine..
Per il midrange a cupola dell’NS 690 vale un discorso simile. Stante il materiale con cui è realizzato e ancor più per la conformazione della membrana.
All’esordio del digitale si decise che i midrange a cupola erano inadeguati al contenuto energetico del segnale immagazzinato nel nuovo supporto. Per cui, dopo qualche decennio in cui li si era ritenuti quanto di meglio si potesse desiderare, e come tali erano parte dell’equipaggiamento distintivo dei diffusori più meritevoli di essere posseduti, è arrivato il contrordine.
Solo qualche decennio dopo ne è stato tentato il recupero, più che altro come soluzione episodica, tendente a differenziarsi dal resto della produzione ormai uniformata sul cono. Dunque da osservarsi più come una sorta di curiosità tecnica che non come una tendenza volta al recupero di una soluzione potenzialmente in grado di affermare il suo contenuto in termini di qualità sonora.
La realizzazione del midrange che equipaggia gli NS 690 è anch’essa pregevole e costringe ancora una volta a domandarsi quale potrebbe essere il costo di un diffusore attuale corredato in modo simile. Dell’altoparlante colpisce soprattutto la sospensione a raggiera evolvente, particolare davvero pregevole che con ogni probabilità ha il suo ruolo per il comportamento dell’altoparlante sul campo.

Al di là delle soluzioni tecniche più o meno pregevoli, si evidenzia ancora il dispendio di materiali profuso nella realizzazione dell’altoparlante. Quanti woofer attuali di dimensioni medio-contenute possono vantare un magnete di queste proporzioni?
Ne deriva un trasduttore che come vedremo più avanti ha un rilievo di grande importanza per il comportamento del diffusore nel suo insieme. Soprattutto costringe a chiedersi quale indirizzo abbia preso l’evoluzione tecnica che si è avuta nel frattempo e quali ne siano stati i costi, non solo a livello economico ma innanzitutto in termini di rendimento.
Il sapientone di turno potrebbe replicare così: “Ma sai, senza i midrange a cono non saremmo mai riusciti ad accontentare i patiti del ci ci – bum bum. Data la perfezione del digitale, alla lunga, nelle loro mani i diffusori col medio a cupola avrebbero finito per rompersi!” Cosa e soprattutto come si potrebbe obiettare ad asserzioni simili, soprattutto in merito a cosa abbiano a che vedere certe idee con la qualità sonora?
Ammesso e non cocesso ovviamente che si tratti di qualcosa che interessi ancora a qualcuno.
Del tweeter si nota innanzitutto la presenza della lente acustica di rifasamento, particolare che all’epoca non era molto diffuso, anzi per nulla. Ulteriore testimonianza per un diffusore che era avanti al suo tempo. Riguardo alla bella flangia in alluminio si rischia di esere monotoni, ma quanti tweeter successivi, anche di costo elevato, hanno potuto vantare un dispiego simile di materiale, oltretutto utilizzato secondo i canoni di una precisione meccanica di pari rilievo?

Vabbè, lasciamo perdere, altrimenti va a finire che toccherà affrontare un’altra volta questioni inerenti i massimi sistemi e farsi come sempre il sangue cattivo. Mi chiedo a volte se non sarebbe meglio non capire nulla e prendere tutto quanto cala dall’alto a bocca aperta e sguardo inebetito, declamando giulivi “La vispa Teresa”
L’intervento
Detto in precenza della sostituzione inerente i morsetti d’ingresso, che hanno la loro importanza poiché anch’essi costituiscono parte del percorso su cui transita il segnale, e non ha senso lasciare che ne ricavi penalizzazioni più significative dello stretto indispensabile, un aspetto forse curioso degli Yamaha NS 690 e in particolare del loro crossover, è il trovare i suoi componenti tutti largamente fuori tolleranza. Anche del 30 o 40 %: va bene che si tratta di materiali ormai prossimi al traguardo del mezzo secolo di vita, ma l’impressione è che non fossero particolarmente ligi al valore nominale già a suo tempo. La cosa oltretutto non riguarda solo gli elettrolitici ma anche i condensatori a film presenti nella rete di filtraggio.
Per conseguenza, il fare in modo che i suoi componenti rientrino all’interno di una maschera di tolleranza almeno accettabile comporta già un beneficio considerevole, proprio perché gli altoparlanti si ritrovano finalmente a lavorare nelle condizioni previste in sede di progetto.
Se poi si sceglie la componentistica giusta e la si usa nel modo dovuto, l’incremento prestazionale non può che risentirne in maniera parecchio positiva.
Come sempre accade in questi casi, non è solo una questione di componenti e del loro marchio, come oggi sembra invece prassi consolidata ritenere. Più importante ancora è la maniera con cui li si utilizza, e qui subentrano quelli che in campo culinario sono noti come “segreti del cuoco”. Piccole cose che all’atto pratico finiscono col dare un contributo significativo. anche di più rispetto alla mera sostituzione, per quale che sia la tipologia del prodotto cui si ricorre e la sua qualità. Questo a sua volta può essere una motivazione per cui quando si eseguono certe operazioni in modalità diciamo così meccanica, senza tenere conto della realtà che va oltre le prerogative del componente, ne derivano valutazioni improntate a una certa sufficienza. Così da farsi l’idea che interventi del genere non siano forieri di un miglioramento così significativo.
Certo, si possono usare le tagliatelle del marchio più aristocratico di questo mondo, ma se non ci metti del tuo e addirittura le servi mezze crude o peggio le fai scuocere, non è l’intervento in sé che serve a poco o la qualità degl’ingredienti, che per quanto di prim’ordine non comporta poi sto chissaché, ma che prima occorrerebbe imparare a farle, le cose. E prima ancora imparare a comprendere che i problemi vanno messi in prospettiva nella loro interezza, anche e soprattutto per elementi che si reputerebbero ininfluenti.
Consapevolezza cui si perviene in primo luogo con la sperimentazione.
Quindi certi interventi vanno eseguiti nel loro insieme e nel modo dovuto, per poi valutarli all’interno di un sistema che sia effettivamente in grado di porre i cambiamenti prodottisi nel rilievo che meritano. Tutte cose da non dare assolutamente per scontate, ma che spesso si ha l’impressione che siano del tutto trascurate, proprio in base al tenore di certi commenti.
Per il rifacimento del cablaggio interno è stato necessario realizzare ben sedici cavi in totale, tutti a mano ovviamente, con un dispendio di tempo, materiali ed energie che definirei significativo. Tutto questo ha ovviamente i suoi costi, che però se inquadrati nella loro prospettiva vanno a costruire un’immagine del tutto opposta a quella che ci si raffigurerebbe in prima istanza.
Quanto costerebbero infatti diffusori in grado di dare tutto quello che dà una coppia di NS 690 messa a punto in modo simile? Personalmente ritengo che non basterebbe spendere quattro o cinque volte il costo complessivo del diffusore e dell’intervento eseguito su di esso. Al di là degli aspetti tecnici e realizzativi, le soluzioni legate a quello che potremmo definire un artigianato consapevole, non le si trova da nessuna parte.
Parti essenziali di tutto questo sono poi la cura per la coibentazione interna e il rifacimento di tutte le guarnizioni, finalmente a tenuta. Se sospensione pneumatica dev’essere, che lo sia per quanto è possibile, oltre le incertezze tipiche ad esempio di vaschette di plastica e flange dei controlli di livello avvitate direttamente sul nudo legno.
Quanto più ci si avvicina alla perfezione, o per meglio dire ci si allontana da mediocrità e superficialità, tanto più aumenta l’importanza di particolari che altri frangenti verrebbero considerati ininfluenti, ma che in realtà sono ben lungi dell’essere tali.
Nel momento in cui si va ad ascoltare il diffusore a l’intervento terminato, ricordando cos’era subito prima di esso, si stenta a credere alle proprie orecchie. Il salto qualitativo è sostanzialmente inimmaginabile a priori. Per capire di cosa si tratta e di quali sono le sue dimensioni occorre fare l’esperienza in prima persona, essendo difficile spiegarlo con parole che purtroppo sono inadeguate.
La voce degli NS 690 non è cambiata, nei suoi aspetti fondamentali che ne permettono la riconoscibilità. Il tutto però è traslato su un livello qualitativo completamente diverso. Ora la pulizia e la fluidità del messaggio sono d’eccellenza. L’assenza di distorsioni è tale da essere non solo molto palese, ma dare persino la sensazione che da un messaggio sonoro tanto nitido manchi qualcosa. In effetti così è: mancano la sporcizia, il substrato di disturbo che prima si potevano ritenere elementi inscindibili non della sonorità del diffusore, ma della riproduzione stessa. Invece era solo conseguenza dei limiti insiti nelle modalità con cui la si esegue.
Lasciano sconcertati anche l’attitudine a scendere nel dettaglio, senza scadere in esasperazioni radiografiche, e la quantità e la qualità delle frequenze inferiori, insieme alla loro estensione, anche a livelli di pressione sonora particolarmente contenuti, dando luogo a sensazioni di completezza difficilmente riscontrabili altrimenti. Salendo con il livello non si perde di controllo e ugualmente inalterato resta l’equilibrio con il resto dello spettro.
Sotto questo aspetto, si può notare anche un’altra particolarità, inerente le differenze inevitabili tra l’emissione di un woofer tanto grande, e quindi provvisto anche della sua inerzia, e quella di un midrange le cui caratteristiche fisiche sono praticamente all’opposto. Si tratta del resto del limite tipico dei diffusori realizzati con determinati criteri, appunto quelli propri dei diffusori che abbinano altoparlanti tanto diversi.
E’ questo il pedaggio da pagare ai fini di una gamma bassa come quella che gli NS 690 non hanno difficoltà alcuna a materializzare. Cosa che si fa comunque a cuor leggero. Anche perché molto probabilmente, una volta fatta l’abitudine a diffusori di questo tipo, la cosa neppure si nota più. Provenendo invece da diffusori la cui emissione sulla parte maggiore della gamma udibile è affidata ad altoparlanti dalle caratteristiche fisiche di maggiore coerenza, la cosa appare piuttosto evidente. Questi ultimi dal canto loro non possono certo ambire a fare altrettanto sulle primissime ottave dello spettro.
Come sempre allora è una questione di compromessi, che possono favorire più un termine o l’altro di quelli che vanno a conciliare.
Un altro elemento significativo riguarda il sentir maturare, materialmente, il diffusore, mano a mano che accumula ore d’impiego. Nelle prime fasi è un processo evolutivo percettibile addirittura minuto per minuto: se l’ascolto post intervento inizia con un CD e quando è finito si ricomincia daccapo ad ascoltarlo, ci si accorge che suona in maniera ben diversa da prima.
Un po’ per volta il rendimento complessivo assume una raffinatezza ancora maggiore, fino ad attestarsi a un livello ragionevolmente definitivo. Per allora purtroppo il diffusore sarà tornato presso il suo possessore, il quale di tanto in tanto ti ricontatta per esprimere lo stupore derivante non solo dal risultato ottenuto, ma anche dal suo continuo divenire, partendo già da soglie qualitative in cui non avrebbe mai sperato, per raggiungere quelle che neppure immaginava.
Ecco, a questo punto l’unica cosa che ci si può chiedere è: quanto sarebbe costato qualcosa di simile a partire da un diffusore commercializzato attualmente?
Difficile dirlo, ma senza mettere in ballo somme a quattro zeri temo che non se ne parli nemmeno.
A quel punto diventa complicato anche il giustificare certe spese. Se invece si parla del 10-15% di tale ammontare, allora il discorso cambia, e di parecchio.
Buon giorno.
Leggo con piacere che le 690 riscuotono ancora le attenzioni degli appassionati dopo quasi 50 anni. Io le ho e sono pilotato da un vintage Yamaha ca 810. Posso dire che non mi fanno venire la voglia di cambiarle. Ritengo soprattutto che il vocale sia superlativo e migliore di alcune casse moderne e di gran costo. Penso che farò rivedere il tutto per “rinfrescarle”. Un po’ di orecchio musicale lo possiedo visto che per passione canto in un coro importante. Buon feste
Buonasera, grazie del commento.
Se rinfrescate come si deve, cosa da non dare mai per scontata, le 690 lasciano a bocca spalancate. In particolare quando precedute da un impianto in grado di fornire loro il segnale più indicato affinché possano esprimersi al meglio.
Si tratta di un intervento non proprio sempliciddimo, ma senz’altro meritato, anche perché diffusori del genere non se ne fanno più.
Tanti auguri anche a te.
Buon giorno Claudio. Grazie per la tua attenzione. Mi interesserebbe sapere una specifica su “precedute da un impianto in grado di fornire loro il segnale più indicato affinché possano esprimersi al meglio.” A margine ti dirò che ho ascoltato le totem di un mio caro amico e ritengo che il vocale sia migliore nelle mie 690. Buon Natale
Ciao Giuseppe, dovere.
Terrei presente innazitutto che si rivolge la propria attenzione ai diffusori, come nel caso che racconti, ma in realtà quello che si ascolta è tutto l’impianto. Questo al di là di ogni valutazione di merito sui diffusori in questione.
Riguardo alla tua richiesta, è complesso esaurire questo aspetto in una risposta. Diciamo che si tratta dell’argomento su cui verte tutto il sito. Per condensare al massimo la cosa, possiamo pensare a un impianto i cui componenti non siano pensati per realizzare il miglior profitto per chi lo costrusice e poi a scendere per tutta la filiera commerciale e propagandistica; per figurare bene innanzitutto sulle foto pubblicate dalle fonti di settore; per essere accompagnati da caratteristiche tecniche convincenti al primo sguardo, per chi crede in quella roba, e così via. Viceversa siano indirizzati innazitutto all’ottenimento delle doti timbriche migliori e in possesso di una vera musicalità, invece dell’effettismo speciale fine a sé stesso e oggi così in voga, non a caso. Purtroppo la produzione industriale di oggi, e anche molta di quella di ieri, ha relegato certe cose tra le varie e eventuali, seppure. Uno dei motivi, a parere mio, è che a determinati traguardi si perviene soltanto con un approccio multidisciplinare, ossia quello che in sede di produzione di serie ci si ostina a trascurare. Immagino per dei buoni motivi, iniziando dalla necessità di contenere i costi all’osso, per quale che sia il prezzo di vendita finale, e quindi da cui i ritmi di produzione attuali ma da sempre tipici dell’industria.
Per una risposta più articolata leggiti pian piano i testi che ho pubblicato e in ognuno di essi troverai qualcosa al riguardo, sicché alla fine ti sarai fatto un quadro più esaustivo di una realtà oltremodo complessa ma che nessuno si cura di affrontatare fino in fondpo. Proprio in quanto tale, e a dispetto non può essere ridotta in pillole, come invece pretendono gli usi e costumi di oggi.
In ogni caso i moduli di contatto sono a tua disposizione, come di quella di ogni frequentatore del sito.
Sto ascoltando adesso i miei esemplari, NS690 prima serie e …mezzo, perché non hanno la sezione triamplificata , secondo me sono le ultime serie 1 arrivate in occidente, dopodiché sono state introdotte le 690 II.
Acquistate una decina di anni fa durante una febbre da compra compra alta fedeltà degli anni d’oro, quella che mi ha fatto sognare per tutta l’infanzia e poi anche dopo. Tenute “nel cassetto” per più di un lustro oggi le spolvero e le collego…
Ormai nel salotto tengo una dozzina di coppie di diffusori, e senti qua senti là, mmh ..boh non me le ricordavo così..spompate , sgraziate, affaticanti.. cos’è successo? Insisto, vado di Genesis, Supertramp, Dire Straits, un paio di ore dopo.. aspetta…piano piano…ECCOLE!
sono tornate! Credo che sia ora d’intervenire sul crossover Eh?
Ciao Danilo,
grazie per la testimonianza.
Come vediamo anche la febbre del compra-compra, che di per sé è una cosa alquanto deprecabile, a volte ci riserva belle sorprese.
Altrettanto usuale, dopo lunghi periodi di inattività, il ritrovare oggetti basati su funzioni meccaniche in condizioni non del tutto soddisfacenti. Poi, con alcune ore di lavoro le loro doti di fondo vengono in gran parte recuperate. Lo stesso avviene anche con le testine.
Con ogni probabilità intervenendo sul crossover, e poi anche su cablaggio interno e coibentazione, i diffusori potranno esprimere al meglio tutte le loro doti, che sono ragguardevoli e come avviene di frequente oltre le aspettative più rosee, se non si ha esperienza riguardo a questo tipo di interventi. Migliorare per quanto possibile le condizioni in cui il segnale arriva agli altoparlanti, infatti, produce risultati cui molto spesso si stenta a credere. Proprio perché il potenziale di degrado insito in quel che si trova tra di essi e i morsetti d’ingresso del diffusore è parecchio rilevante e come tale non può che influire in maniera sostanziale sulle impressioni d’ascolto.
Buonsera Claudio,
diffusori giapponesi?
Certo, anche se sono un eritico, utilizzo ancora con soddisfazione le mie AR92, sospensioni foam, sostituite con originali..
da uno degli ultimi distributori, Pierino Rondi. Dicevamo diffusori giapponesi, si, ho consigliato a mio fratello, super appassionato di Musica, dei Ns 10 Pro, in tempi non sospetti, su indicazione di un negoziante, che prima di tutto era un appassionato del suo lavora., ovvero consentire a tutti, nel limite del possibile la fruizione dell musica.
Tengo precisare, che solo successivamente è scoppiata la moda… di utilizzare questi diffusori negli studi di registrazione.
Noi li abbiamo ascoltati in comparazione con diversi diffusori… di dimensioni simili, con vari generi, e ci sembravano ottimi, questo anche se non erano publicizzati più di tanto. Quindi va bene tutto…. ma si dovrebbe lasciare decidere al proprio orecchio.
Un salutone e un buon Natale.
Domenico
Ciao Domenico,
grazie del commento.
Si, quello che dici è giusto, lasciar decidere al proprio orecchio.
Quanti si fidano del loro? E quanti invece preferiscono affidarsi ai giudizi di qualcun altro? D’altronde la tendenza a uniformarsi alle scelte altrui, in particolare se ampiamente condivise, è sempre stata diffusa un po’ in ogni campo.
Senza pensare che se una bestialità è tale, di certo non lo è di meno se la fanno in tanti.
Dunque ci vuole anche un minimo di fiducia in sé stessi, insieme alla capacità di accettare la possibilità di un errore. Che, per conto mio, se tale si rivelerà, quantomeno lo avremo fatto con la nostra testa. E se sapremo apprendere l’insegnamento che ne deriva, alla lunga potrebbe rivelarsi più prezioso di un acquisto azzeccato al primo colpo. Fortunato, certo, ma probabilmente non altrettanto istruttivo.
Un caro saluto e tanti auguri anche a te.