Dopo un periodo di sospensione, riprende la tradizionale rassegna di dischi che elenca i titoli più interessanti in uscita, tra inediti e riedizioni, nell’offerta del mercato discografico.
D’altronde questo è un sito che nel suo piccolo si oppone alla deriva inerente lo spossessamento del supporto e dei relativi contenuti a danno dei musicisti e dei veri appassionati di musica e di riproduzione sonora di qualità elevata. Per questo, entro breve la rassegna sarà affiancata da un’altra iniziativa che spero possa trovare l’apprezzamento degli appassionati. In particolare quelli che intendono difendere il terreno su cui si esercita la loro passione.
Quella deriva va avanti a tappe forzate mediante il dilagare della cosiddetta musica liquida, che come abbiamo visto nello scorso articolo si chiama così non perché sprovvista di supporto fisico, come vorrebbero gli unanimi frottolai di settore, ma in quanto liquidata, messa in liquidazione. Ovvero svenduta, previa espropriazione più o meno consensuale da parte di chi ne era detentore a qualsiasi titolo, come ci ha spiegato Bloomberg con chiarezza di termini inequivocabile, per poi essere messa a profitto.
Prima offrono la Grande Abbuffata dell’intero repertorio globale, a fronte di una somma mensile pretesamente insignificante, spingendo a disfarsi del supporto fisico, affinché ognuno lo liquidi a sua volta per la propria quota parte. In modo tale che ci si ritrovi poi legati in maniera irreversibile al fornitore globale. Almeno fin quando vi è il desiderio di ascoltare musica.
Per cui, diamo tempo al tempo, se si vorrà ascoltare qualcosa lo si potrà fare solo dietro corresponsione della quota di abbonamento, leggi tangente, a coloro i quali della musica, e ancor più del destino suo, di chi la compone ed esegue, nonchè di chi a vario titolo coopera affinché sia resa disponibile, stanno cercando a tutti costi di appropriarsi.
Per farne come sempre carne da macello.
Come abbiamo visto nello scorso articolo, la riproduzione musicale a mezzo trasmissione dati da remoto, della quale sono conseguenza inscindibile il controllo del fruitore e l’annessa schedatura digitale, è un tassello dell’agenda 2030. Proprio il fatto che vi si spinga nel modo che chiunque ha la possibilità di vedere, avendone la volontà, suggerisce che a quel tassello viene attribuita una sua importanza. Come sempre in questi casi, l’agenda 2030 viene spacciata dalle fonti allineate per chissà quale traguardo dell’umanità e del progresso sociale e tecnologico, con il conseguente schiudersi di prospettive radiose per tutti.
In realtà si tratta essenzialmente di un esproprio, definitivo, a livello globale, come suggerisce lo stesso articolo di Bloomberg preso ad esempio per spiegare il reale significato di “musica liquida”. Ancora meglio lo spiegano gli slogan diffusi dagli organismi incaricati di metterlo in pratica come il World Economic Forum, i quali vorrebbero convincerci che solo nel momento in cui non possiederemo più nulla, neppure il diritto alla privacy che pure sarebbe salvaguardato da una legge che se è stata promulgata è probabile che sia per un buon motivo, potremo finalmente essere felici.

Perché la somministrazione di dati audio da remoto s’inserisce in quel programma? A parte il venire spossessati del supporto fisico con tutto quel che ne consegue, innanzitutto a livello di profittabilità nei riguardi di ciò che previamente siamo stati convinti a buttare via, è evidente che nel momento in cui ci si affida ad altri per ricevere quanto riveste il ruolo di necessità primaria all’ascolto, dato che se non si ha la musica anche il più strabiliante degl’impianti non è altro che un ingombrante soprammobile, si cede agli stessi una parte significativa della propria autonomia.
Per piccola che possa essere ha comunque la sua rilevanza: al di là della fattispecie dell’ascolto, nell’abituare le persone al meccanismo della cessione, facendo si che infine non la vedano nemmeno più come tale ma come un fatto del tutto naturale.
Oggi un pezzo, domani un altro, così da ritrovarsi un brutto giorno in cui non si sarà più padroni di nulla. A iniziare dal proprio corpo, dalla propria mente e dalla propria volontà, quindi privati dello stesso diritto all’autodeterminazione, che pure è elemento fondativo della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo nonchè della stessa essenza di ognuno di noi, e alla conseguente libertà di scelta.
Esercitata in base a un meccanismo che presuppone l’impiego del raziocinio, altro elemento che in quelle sedi s’intende cancellare, affinché sia sostituito dall’obbedienza, secondo un modo d’intenderla esclusivamente passivo.
Tale privazione, e la conseguente appropriazione da parte di chi è giunto in possesso dei mezzi tecnici necessari allo scopo, è il vero affare del millennio.
Chi lo persegue non ha altra scelta, essendosi privato, già da parecchio tempo e in prima persona, della libertà, prima ancora di tentare lo stesso per ciascuno dei suoi simili.
Come Nino Galloni, esempio più unico che raro di economista democratico, ci avverte ormai da parecchio, già a metà dello scorso decennio l’ammontare complessivo dei titoli tossici, dei derivati e di tutto il resto della carta straccia che per una mera convenzione vigente nell’ambiente finanziario è presa per buona, era arrivato a un controvalore pari a 55 volte il prodotto interno lordo mondiale.
Il che significa la necessità per l’intero mondo e tutte le sue risorse e popolazioni, di lavorare gratis per 55 anni consecutivi, senza trarre a sè neppure una briciola di pane o una goccia d’acqua per il proprio sostentamento, se si vuole coprire in qualche modo quella somma colossale.
Nonché incalcolabile: qualora si riuscisse a farlo, vi sarebbero difficoltà rilevanti già solo per scriverla, dato l’incerto ma elevatissimo numero di zeri da cui è composta. Tanto servirebbe affinché sia ripagata, cosa necessaria nel momento in cui qualcuno con le capacità e il fegato necessari decidesse di “andare a vedere il banco”. Proprio come si farebbe in una partita di poker, i cui fondamentali non sono affatto dissimili da quelli su cui si regge il casinò della finanza globale, del quale per una curiosa combinazione non si parla più: indovinate un po’ da quando.
E’ evidente allora che una “bolla” di dimensioni tanto gigantesche non la si può lasciar esplodere. Proprio perché la si è gonfiata a tal punto che la forza della sua deflagrazione trascinerebbe con sé l’intero pianeta, a iniziare da quanti l’hanno concretizzata e da tutti coloro che hanno dato loro la possibilità di farlo. Innanzitutto a livello politico e poi giù giù a scendere fino all’ultimo dei dissenzienti. Proprio perchè con la sua inerzia e soprattutto il non voler sapere per vivere nella realtà parallela che abbiamo costruito in funzione della nostra pace mentale, ognuno di noi ha lasciato che si arrivasse fino a questo punto.
Abbiamo forse avuto una possibilità concreta di opporci a tutto ciò? Probabilmente no, quantomeno non nei modi consueti, inerenti i meccanismi di designazione popolare degli organi di rappresentanza, ormai talmente abituati a rispondere a tutti tranne che a coloro che ad essi danno legittimazione, che neppure si curano più di celare la loro orribile realtà.
Nondimeno le conseguenze di quella bolla colossale coinvolgono ciascuno di noi, che pertanto è preso a ostaggio proprio secondo il programma dell’agenda 2030, appunto la contromisura escogitata dalle élite globali per disinnescare il rischio che possa scoppiare e di esservi trascinate via insieme a tutte le loro ricchezze.
Ora che abbiamo tratteggiato almeno per sommi capi il quadro generale, possiamo comprendere come in questa fase, opporsi alla somministrazione di dati audio da remoto, ossia il meccanismo alla base della cosiddetta musica liquida, sia un momento di rifiuto per l’intero sistema di cui fa parte, eseguibile senza difficoltà da ciascuno di noi.
Risparmiando oltretutto un bel po’ di soldi. Quelli necessari a pagare l’abbonamento, che moltiplicato mese per mese diverrà con gli anni una somma rispettabile, su cui gl’ideatori del sistema contano di vivere di rendita. Senza contare quelli inerenti l’acquisto dei macchinari necessari allo scopo.
A questo proposito vanno tenuti presenti due aspetti fondamentali. Il primo è che la comunità degli appassionati, insieme a quella dei “semplici” utilizzatori di musica riprodotta, ha riportato una vittoria epocale, ma senza comprenderne a fondo le implicazioni, nei confronti dell’industria discografica e di quella della riproduzione sonora. Ossia di quelle che a loro volta fanno parte del moloch globale che intende garantirsi la sopravvivenza mediante la riduzione in schiavitù, intesa secondo una forma inconcepibilmente peggiore di quella che è storicamente condivisa, della stragrande maggioranza della popolazione del pianeta.
Lo ha fatto per mezzo del fenomeno noto come revival dell’analogico. Come sappiamo bene, l’analogico e tutto il suo armamentario centrato sulla riproduzione del disco vinilico, l’LP, è stato dato per morto all’esordio del digitale, che a sua volta ha monopolizzato il settore per almeno un ventennio.
Digitale che, non va mai dimenticato, è stato il capitolo iniziale del succedersi di eventi che ci ha portato fin qui.
Ora, se gli appassionati avessero obbedito alle lusinghe e alle esortazioni dell’industria, insieme a quelle dei giornalai che ad essa fanno da portavoce e da organo di propaganda, pensiamo che vi sarebbe mai stato un ritorno dell’analogico, del quale tutti noi possiamo non solo godere gli effetti ma anche essere fieri?
Ovviamente no. Ecco perchè il dissenso, ragionato, va esercitato proprio in quanto fattore indispensabile di libertà. Che nel nostro caso va intesa, e prima ancora difesa, proprio ai fini della possibilità di usare il supporto fonografico che più ci aggrada. Quindi, se la storia che è maestra di vita cerca di insegnarci qualcosa, è proprio che per nessun motivo si deve acconsentire a fare ciò a cui l’industria e il sistema di propaganda che ad essa risponde, strumenti primari del capitale, tentano di spingerci.
Quantomeno se vogliamo continuare a esercitare il diritto inalienabile alla libertà di scelta.
Nell’istante in cui il movimento, qualunque esso sia ma in questo caso quello legato all’analogico, raggiunge la soglia di massa critica, il sistema non può che obbedire alle sue richieste. Perché diventano quelle del mercato, ovvero della divinità cui risponde e ad essa è legato in maniera indissolubile o meglio soggiogato.
Il bello è che, riguardo all’analogico, quel livello è stato raggiunto senza che nessuno organizzasse nulla. Neppure una semplice associazione di appassionati. E’ nato tutto dalle scelte dei singoli, che pur senza collegarsi l’uno con l’altro, con la loro volontà sono giunti a quel traguardo.
Questo va tenuto sempre a mente e va preso a esempio per qualsiasi realtà ci si trovi di fronte: la massa critica è quella che ha sempre l’ultima parola, si tratta solo di oltrepassare la sua soglia.
Il secondo aspetto è altrettanto importante e riguarda la realtà stessa del supporto fisico. Innanzitutto è bello da possedere ma soprattutto è importante. Quale fattore culturale e di consapevolezza in primo luogo di noi stessi. Ecco perchè le élite vogliono spossessarci di tutto per pagare i loro debiti, persino del riconoscerci in ciò che siamo e da dove veniamo: in quelle condizoni non saremmo altro che un ammasso di carne da macello, controllabile a piacere e di cui impossessarsi senza difficoltà, per farne l’uso che più aggrada. Probabilmente scatolette da dar da mangiare ai loro cani.
Inoltre, per i motivi che abbiamo analizzato negli articoli già pubblicati sull’argomento, nel momento stesso in cui attrae a sè tutto il profitto correlato all’ascolto di musica, e quindi alla sua ideazione, produzione e distribuzione, che di fatto va a sopprimere, il sistema di somministrazione di dati audio da remoto non solo assume su di sè il potere stesso insito in quella somministrazione, secondo un termine che non a caso è particolarmente caro alle élite e ai loro disumani servitori, i veri kapò dell’era attuale, ma distrugge ogni possibilità di lavoro, e quindi di perseguimento della libertà individuale, legata ad esso e a tutto il settore.
Inevitabile pertanto che la soppressione di una possibilità di lavoro che nel suo insieme può essere utilizzata da milioni di persone nel mondo, non sia altro che un passo verso l’instaurazione definitiva della schiavitù generalizzata.
Il supporto fisico invece necessita del lavoro di molte persone per essere materializzato e reso disponibile. Non solo a livello di composizione ed esecuzione, ma di ripresa, stampa, confezionamento, distribuzione e così via. Costituisce pertanto il nucleo fondamentale di una porzione della rete composta da individui che per quel tramite si assicurano la possibilità di sopravvivenza e di relazione umana. E in ultima analisi di libertà di perseguire le proprie aspirazioni e di esercitare, raffinare e avvalorare le proprie inclinazioni, proprio tutto quello che le élite globali intendono reprimere ai fini della loro dominazione che vogliono assoluta e soprattutto irreversibile.
Pertanto i dischi li si compera, dimodoché appartengano all’appassionato.
Per sempre.
Quando li vorrà ascoltare potrà farlo in piena autonomia e senza dover chiedere il permesso o pagare il pizzo o tangenti di sorta a chicchessia.
Men che meno a chi si è adoperato per distruggere la musica e tutto quanto ruota intorno ad essa, secondo la vera e sola attitudine del capitalismo.
Vero è che per il 2030 quanti esercitano il potere effettivo, e non sono certo i quattro pupazzi che TV e giornali inflazionano senza posa, vogliono ridurci tutti con una mano davanti e l’altra dietro. Proprio come abbiamo visto ancora una volta nello scorso articolo. Nel nostro piccolo però abbiamo il dovere, sacrosanto, di cercare di opporsi a quel progetto, frutto di menti di sociopatia, cinismo e raffinatezza criminale senza pari. A favore del quale si schierano in maniera più o meno inconsapevole anche alcune tra le sue vittime, come del resto avviene regolarmente in casi del genere.
Chiarito una volta di più il meccanismo attorno al quale ruota la cosiddetta musica liquida e ancor più il consenso nei suoi confronti che si cerca in ogni modo di estorcere, passiamo al primo punto della nostra rassegna, capace di dare lustro inimitabile a qualsiasi raccolta discografica.
Si tratta infatti di qualcosa di unico: stiamo parlando del cofanetto da 10 LP che raccoglie le colonne sonore di altrettanti “spaghetti western”, composte da Ennio Morricone.
I dischi sono in vinile blu trasparente e ovviamente a corredo del tutto c’è un libretto con i testi curati da Claudio Fuiano.
Il cofanetto è stato realizzato da Cinevox/BTF in sole 1000 copie. Quindi se si ha intenzione di farlo proprio, meglio muoversi per tempo: l’uscita è prevista per il 17 dicembre prossimo.
Le colonne sonore incise nei 10 LP sono quelle di film leggendari, come “Per un pugno di dollari”, “Per qualche dollaro in più”, “Il buono, il brutto e il cattivo”, “C’era una volta il west”, “Il mio nome è nessuno”. Ci sono poi “Le pistole non discutono”, “Tepepa”, “Vamos a matar, companeros”, “La vita a volte è molto dura, vero Provvidenza?”, “Ci risiamo, vero Provvidenza?”
Nello scorrere dei brani è possibile ascoltare il lavoro di grandi solisti come Bruno Nicolai all’organo, oltreché direttore d’orchestra usuale di Morricone, I cantori moderni di Alessandroni, Edda Dell’Orso, Franco De Gemini all’armonica, Bruno Alessandroni alla chitarra, Michele Lacerenza e Nicola Culasso alla tromba, oltre a molti altri.
Titolo dell’opera, “Dollars, dust & pistoleros: The westerns anthology”.
Un altro album di colonne sonore che potrebbe riscuotere l’interesse di molti è “Bond 25”: doppio LP in cui la Royal Philharmonic Orchestra esegue i brani resi celebri dai film dell’agente segreto: a cominciare con “Dalla Russia con amore” e passando per “Vivi e lascia morire”, “Diamonds are forever” e molti altri.
Il doppio LP sara edito da Decca e registrato negli studi Abbey Road. L’uscita è prevista per il 7 ottobre 2022, quindi diversamente dal cofanetto di Morricone c’è tutto il tempo di prenotare una copia.

Un’altra anteprima, stavolta più a breve termine dato che l’uscita è prevista per il 21 gennaio prossimo, è quella di “Underwater” doppio LP di Ludovico Einaudi che si cimenta con un piano solo per la prima volta dal 2001. Il disco è stato concepito mediante la scrittura di canzoni, piuttosto che della composizione intesa nel senso tradizionale del termine. Un approccio più fresco, riguardo al quale Einaudi dice: “Una canzone è come un respiro, non ha bisogno di niente altro. L’album è un luogo di riflessione libera, un luogo senza confini”.

Un secondo cofanetto da 10 LP, sempre della Cinevox, è “The horror original soundtracks”. Raccoglie le migliori colonne sonore dei Goblin, quelle di “Suspiria”, “Profondo rosso”, “Zombi”, “Patrick”, “Buio Omega”, “Contamination”, “Non ho sonno” “Phenomena” e “Tenebre”. Il decimo LP comprende rarità inedite del gruppo.

Anche per il cofanetto dei Goblin l’uscita è stabilita il 17 dicembre. Le copie stampate restano 1000, come per il cofanetto di Morricone, e i vinili saranno ovviamente di colore rosso.
Ancora colonne sonore, anche se in questo caso sui generis, per “200 Motels” di Frank Zappa, album che non ha bisogno di presentazioni e costituisce il caso più unico che raro in cui il compositore della musica è anche regista e ideatore del film.
Il doppio LP è su vinile da 180 grammi ed è stato rimasterizzato da Bernie Grundman. L’etichetta è la UMC.

Si tratta di un’edizione commemorativa, essendo trascorsi 50 anni dall’uscita di film e disco. Purtroppo, nel senso che da allora sono passati fin troppi anni. All’epoca m’interessavo già di musica e ricordo perfettamente lo sconcerto destato da questo album, in misura ancora maggiore di quanto già facessero i dischi di Zappa “normali”. L’uscita è fissata anche per questo album per il 17 dicembre prossimo.
Un’altra rievocazione da cinquantennale è quella di “What’s going on” di Marvin Gaye, caposaldo della musica soul di ogni tempo. Per questa riedizione su LP doppio sono stati utilizzati i nastri originali delle registrazioni, per un master eseguito direttamente in analogico. Anche in questo caso c’è un po’ di tempo per prepararsi all’acquisto, o comunque prenotare una copia, dato che l’uscita è per il 22 gennaio 2022.

Per il rock progressivo è uscito da qualche settimana il nuovo disco degli YES, “The quest”, reperibile in edizione su doppio LP e doppio CD oppure in quella che vi abbina anche 2 dischi Blu ray.
Della formazione che ha eseguito i brani del disco fanno parte elementi storici del gruppo, come Steve Howe, Alan White e Geoff Downes. Oltre a Roger Dean, artista visuale che ha segnato l’epoca migliore del rock progressivo, disegnando le copertine dei dischi più memorabili degli Yes oltre a quelle di altri gruppi come Greenslade. L’edizione comprendente i dischi blu ray annovera i missaggi multicanali dei brani inclusi nell’album e le loro versioni strumentali in alta definizione.

Altro gruppo storico che ha da poco pubblicato il suo nuovo album è Caravan, tra i nomi più in vista del Canterbury rock. “It’s none of your business” arriva dopo un silenzio durato per 8 anni. Il gruppo include membri storici della sua formazione come Pye Hastings, voce e chitarra, Geoffrey Richardson, viola, mandolino e chitarra e Jan Schelhaas, tastiere. Come sempre immancabile Jimmy Hastings al flauto, rimasto sempre in funzione di ospite quando in realtà figura in un numero di album decisamente maggiore rispetto ai molti che di volta in volta hanno figurato tra i componenti fissi del gruppo.
Pye Hastings spiega che il disco è stato registrato all’antica, sedendo tutti in circolo, quindi con la necessità di una sala piuttosto ampia. In quel modo è possibile scambiarsi sguardi e incoraggiarsi quando le cose iniziano a ingranare. E poi è molto più soddisfacente lanciarsi insulti direttamente a voce, piuttosto che per telefono o per posta elettronica. “Si tratta di una cosa rispetto alla quale tutti noi abbiamo ampia esperienza”, conclude il chitarrista.

Popol Vuh infine ha appena pubblicato un album quadruplo, “Acoustic and ambient spheres Vol.2”. Si tratta del secondo capitolo in cui è ripresa la loro produzione degli anni 70 e 80, che in questo caso comprende “Seligpreisung” del 1973, “Agape-agape love-love” del 1983 e due colonne sonore composte dal gruppo per i film di Werner Herzog “Coeur de verre” e “Cobra verde”.

Nuovo album anche per Pat Metheny, artista che a suo tempo ha aperto un nuovo filone nell’ambito della chitarra jazz. “Road to the sun” è occasione per ampliare ulteriormente il suo lessico musicale che nel travalicare i generi ha in pratica da sempre il suo elemento fondante. Questa volta Metheny ha con sé altri cinque chitarristi: Jason Vieaux e il Los Angeles Guitar Quartet, che definisce uno dei migliori gruppi al mondo. Si alternano in una serie di composizioni, alcune delle quali hanno forma di suite, articolate su diversi movimenti. In chiusura l’arrangiamento di Metheny di un brano di Arvo Part; l’album è su LP doppio o CD singolo.

Il disco jazz per eccellenza, “Kind of Blue” di Miles Davis è stato appena ristampato in edizione UHQR su vinile da 200 grammi a cura di Analogue Records.
Si tratta di un’edizione estremamente curata sotto ogni aspetto, a iniziare dalla confezione e dalla presentazione grafica nonché, ovviamente per quello sonico, possibilmente tra i migliori in assoluto per le stampe succedutesi nel corso dei decenni di un capolavoro che non può mancare nella collezione di qualsiasi appassionato, di jazz e non solo.

Pure Pleasures ha da poco ristampato “The art of tea” di Michael Franks, forse il lavoro migliore del raffinato cantante e compositore californiano. Come spesso gli è accaduto, si è contornato con alcuni tra i migliori musicisti in assoluto nel loro genere. Ricordiamo tra gli altri Mike Brecker, Larry Carlton, David Sanborn, Joe Sample, Wilton Felder. La produzione di Tommy Lipuma e la registrazione curata da Bruce Botnick hanno offerto il loro contributo alla realizzazione di un disco dalle doti sonore impeccabili.

Chiudiamo la rassegna con la notizia riguardante il catalogo di Speakers Corner, etichetta specializzata nella pubblicazione di ristampe di qualità elevata, che finalmente ha reso di nuovo disponibili vari titoli del suo catalogo da tempo esauriti.
Tra questi “Free jazz” di Ornette Coleman, “Mingus at Antibes” e “Tijuana moods” di Charlie Mingus, “Don’t turn me from your door” di John Lee Hooker, “Sings the blues” di Nina Simone, “Together” dei fratelli Winter ed altri.
Ci sarebbe ancora molto materiale di cui parlare, tra nuove uscite e riedizioni, ma già il bottino sembra più che sufficiente per gli ascolti di fine anno. Speriamo comunque di trovare al riguardo lo spazio necessario in una prossima puntata.
Comprare dischi e farli propri, ha senso e ci arricchisce culturalmente e spiritualmente. Pagare il pizzo per restare con un pugno di mosche quando si smette, e prima o poi avverrà, affamando oltretutto i musicisti lo ha molto meno. Anzi per nulla.
E’ di fatto una forma, oltretutto palese, di autolesionismo.
Riflettiamoci.
Ciao Claudio, manifesto anch’io entusiasmo per il ritorno di questa interessante rubrica, davvero preziosa per veri amanti della musica! Come diceva un grande dello spettacolo “a me, mi piace…”
Grazie, a presto.
Ciao Viscardo, grazie del sostegno.
A dire la verità mancava anche a me!
Gl’impegni, la mancanza di tempo e a volte anche la stanchezza hanno fatto si che per un periodo s’interrompesse. Ma come ho detto nell’altro commento, ora è ripartita e non la ferma più nessuno.
A presto 🙂
Ciao Claudio,
la rubrica con le ultime uscite mi è mancata, spero che nel futuro possa avere una cadenza maggiore.
Sono inoltre curioso di sapere quale iniziativa hai in mente per noi appassionati del supporto fisico…
Grazie e alla prossima
Ciao Alberto,
grazie per l’apprezzamento e per il supporto continuativo che fornisci.
Purtroppo le cose da fare sono sempre troppe e il tempo da dedicare al sito ne soffre, in particolare per la rassegna discografica.
Ti confesso però che nella pagina delle statistiche riservata all’amministratore, gli articoli dedicati alle uscite discografiche erano sempre quelli che avevano meno letture. Confermando in un certo senso certi luoghi comuni sulle tendenze degli appassionati, e sul loro orientamento più alle apparecchiature che non a quanto attribuisce ad esse la motivazione di essere.
Fa niente, da adesso la rubrica torna alla pubblicazione, con la cadenza più ravvicinata possibile.
Quanto all’altra iniziativa per ora non faccio anticipazioni, ma spero si riveli utile per apprezzare maggiormente sia il supporto fisico, marcando nel modo migliore la differenza nei confronti dell’immateriale, sia l’impianto.
Presto saprai di cosa si tratta, insieme agli altri frequentatori del sito.
A tra un po’ 😉