Sono anni ormai che si parla di “musica liquida”.
Plotoni di ascari in servizio permanente effettivo battono sul ferro con ostinazione irriducibile ma non sorprendente. A loro del resto è affidato il compito di diffondere attraverso etere, stampa e rete le parole d’ordine che cadono dall’alto per essere condivise all’istante dai destinatari di quei media – o forse ne sono le vittime? – e fatte proprie senza possibilità di dubbio o riflessione alcuna.
La liquida è bella.
La liquida è comoda.
La liquida è libertà.
La liquida è progresso.
La liquida è Il Futuro.
La liquida è meglio di qualsiasi altra cosa.
La liquida va oltre ogni possibile desiderio dell’appassionato più esigente.
Con la liquida si ringiovanisce e si fanno conquiste.
La liquida, in sostanza, viene imposta come l’unica opzione degna di essere considerata al giorno d’oggi, da chi vuol essere al passo coi tempi.
Queste sono le motivazioni che si adducono in maniera sistematica e invariabile. Negare a qualsiasi posizione diversa il minimo spiraglio non è ancora abbastanza: è proprio inammissibile alcun dubbio al proposito.
Sarà l’esperienza, sarà inclinazione caratteriale, ma questo modo di fare mi causa allergia. Proprio in quanto alla liquida non c’è alternativa.
Non ce n’è al punto che neanche è più necessario menzionare la parola musica, prima di liquida, per capire di cosa si tratta. Basta la parola, come diceva il grande Tino Scotti nella pubblicità del confetto Falqui.
Non era un dolciume ma un lassativo, che proprio per la forza con cui fu sospinto divenne il più noto e venduto, di gran lunga. Costituì soprattutto l’esempio di quale efficacia micidiale può avere il messaggio propagandistico, se veicolato nel modo opportuno.
Proprio perché come disse Totò in “I soliti ignoti”, la lubrificazione, quella della sega circolare necessaria a scassinare la cassaforte del banco dei pegni, dev’essere continua e, scandendo le sillabe, in-in-ter-rot-ta.
Quando l’azione propagandistica, vero lubrificante del consumismo, è continua e ininterrotta diventa bombardamento. A tappeto.
I suoi effetti su chi non si mette al riparo sono appunto quelli descritti. Si tratta di un condizionamento, evidente quando si arriva al punto in cui una certa fascia di persone alla parola “liquida” non associa più la materia allo stato intermedio tra il solido e il gassoso ma la riproduzione musicale a mezzo streaming.
Proprio in virtù delle associazioni che la nostra percezione viene spinta a eseguire. Oltrepassato un certo limite le si compie in maniera automatica, fin quasi inconsapevole.
In tempo di guerra c’erano i rifugi antiaerei. Quando c’era pericolo di bombardamento suonava l’allarme e tutti correvano verso di essi per rifugiarvisi. Di conseguenza la sirena che ulula ha assunto non solo tale significato, ma anche e soprattutto quello di monito, per le brutture, le devastazioni, i genocidi che si compiono in tempo di guerra.
Facciamoci caso: tale ne è stato il condizionamento che basta solo riprodurre quel suono e non serve più nessun’altra parola. Persino quelle più appropriate e descrittive diventano poca cosa in confronto a quanto viene così evocato nella nostra mente.
Ora invece che siamo in tempo di pace – sarà poi vero? – e le guerre che si combattono sono di carattere economico e commerciale, le sirene cantano le loro melodie in apparenza innocue ventiquattr’ore su ventiquattro.
Non ci concedono requie ma sono di ben altro tenore: la loro voce è suadente e c’invita non più banalmente a comperare, ma ad abbracciare con tutti noi stessi lo stile di vita oggi di moda, ai fini del quale il prodotto reclamizzato viene reso imprescindibile.
Dalle sirene di oggi però, e dal bombardamento eseguito per il loro tramite, non c’è rifugio. Anzi non c’è proprio scampo: risuonano ovunque e la nostra vita e le nostre percezioni sono il loro bersaglio.
Mettersi al riparo dai bombardamenti del tempo di guerra era inevitabile e doveroso. Chi lo faceva era una vittima e nessuno avrebbe mai immaginato di negarlo. Il bombardamento mediatico di oggi ha lo scopo di portare a vivere come automi, comandati a distanza secondo i desideri di qualcun altro, che si ritiene potente abbastanza da avere i mezzi necessari per convincerci a farlo. Quel che è peggio senza neppure che ci accorgiamo della cosa, tale e tanta ormai è l’abitudine a subire l’aggressione a suon di slogan e a introiettarne i contenuti, adattando ad essi il nostro costume e modo di vivere.
Però chi tenta di sottrarvisi, sia pure o meglio in forza dell’assenza di qualsivoglia rifugio, non è più una vittima. E’ invece un individuo da osservare con sospetto, da cui tenersi alla larga.
Così, se si osa esprimere il minimo dubbio riguardo ai meriti della cosiddetta musica liquida si viene assaliti immediatamente da orde, o meglio squadracce, di bamboccioni inferociti e isterizzati.
Da costoro si è fatti oggetto dell’accusa più infamante: al grido di antiquato e obsoleto passatista, nemico del progresso, della tecnologia e di conseguenza dell’intera umanità e dei destini magnifici e progressivi cui è legata indissolubilmente, all’istante si viene ridotti al silenzio.
Chi non si schiera immediatamente e senza palesare il benché minimo dubbio dalla parte della liquida è dunque meritevole di condanna. A mezzo di un processo sommario e senza appello.
Credere, ciecamente, obbedire, senza indugio, e combattere, fino alla morte, ogni posizione dissenziente. Questo è il primo dovere e il fine ultimo di quei guardiani della rivoluzione. Che riguarda ovviamente Le finalità tecnico-commerciali della cosiddetta musica liquida, ma che si materializza secondo principi e metodi indistinguibili da quelli dell’oltranzismo religioso.
Oggi, proprio come allora
Pensa un po’ le sorprese che a volte ci riserva il destino, beffardo per antonomasia: quello descritto è lo stesso identico meccanismo che chi è vecchio abbastanza ricorda di aver visto in azione all’esordio del digitale, nei confronti di chiunque azzardasse a dichiarare in pubblico di continuare a preferire l’analogico.
La differenza è che all’epoca a metterlo in atto c’era solo qualche individuo dalle vaghe tendenze alla mitomania, che nel momento di maggiore esaltazione, e in un contesto in cui dominava l’autorefenzialità, non ha esitato a insultare ripetutamente e in forma esplicita chiunque non fosse passato senza indugio a sostenere la causa del digitale.
Allo scopo ha usato le colonne della rivista appositamente fondata, modernissima e con tanto di testata finto inglese. Guarda ancora una volta il caso, senz’ombra di dubbio fortuito, foraggiata con generosità inedita proprio dagli artefici del nuovo sistema.
In sostanza, dunque, chi non la comprava poteva tranquillamente restare all’oscuro di quel che stava accadendo. Anche se nel momento in cui vi era un interesse per l’argomento di cui trattava, si finiva col leggerla quasi per forza.
Il suo staff dirigenziale infatti aveva avuto l’accortezza di agire in modo che qualsiasi voce altra, sia pure potenzialmente, non solo si trovasse di fatto ridotta al silenzio, ma anche che vi restasse abbastanza a lungo perché la situazione così venutasi a creare avesse il tempo di radicarsi, e i rapporti di forza ad essa conseguenti risultassero in larga misura irreversibili.
Come in effetti è stato.
Allo scopo i componenti di quello staff avevano eseguito il loro colpetto di stato, secondo una tradizione che sarebbe stata riconfermata sia pure a distanza di qualche decennio, ancora una volta a danno della potenziale concorrenza. Nondimeno la fede democratica di costoro era indiscutibile, comprovata da attestato debitamente vidimato e controfirmato dalle autorità preposte. Tanto è vero che in quelle sedi non ci si lasciava mai sfuggire l’occasione di sottolinearla nel modo più esplicito. Facendovi poi seguire, ancora una volta per pura casualità, una pratica di segno contrario.
Cuore che batte a sinistra e portafogli ben rinserrato nella tasca di destra, come da doppia morale obbligatoria per ogni vero progressista.
Oggi non ci sarebbe più alcun bisogno di arrivare a tanto: tutte le fonti dicono invariabilmente la stessa cosa. E poi ci sono i social, ben più efficaci e pervasivi nella loro capacità di convincimento. Pertanto è difficile non restarne in qualche modo influenzati, sia pure senza rendersene conto. Anzi, proprio questa è l’attitudine primaria di quelle piattaforme, altrimenti non vi sarebbe dato tanto spazio e neppure si spenderebbero le somme ingentissime necessarie al loro funzionamento, la cui libera fruizione viene offerta con graziosa magnanimità.
Come vediamo dunque, cambiano le epoche, i campi di applicazione e gli scopi da perseguire, ma i metodi restano sempre gli stessi. Fondati essenzialmente sulla delegittimazione e se necessario sulla demonizzazione dei dissenzienti. Qualunque sia il terreno su cui si esercita il dissenso, dall’efficacia di un nuovo ritrovato elettronico alle questioni inerenti la legittima potestà del proprio corpo, non importa se a ragione o meno.
Anzi, nel momento in cui si profila la remota possibilità che il punto di vista divergente possa avere qualche elemento di ragionevolezza o di condivisione, le randellate sui suoi assertori aumentano a dismisura. La loro forza è moltiplicata per cento e il ritmo con cui le si distribuisce viene portato al parossismo.
Gli esempi sono innumerevoli e soprattutto in questo periodo ne possiamo osservare in quantità.
La “liquida”, ora
La cosiddetta musica liquida è molto di moda. Soprattutto, non si lascia nulla di intentato, da parte dei mezzi di propaganda di ogni ordine e grado, affinché il maggior numero di persone converga su di essa.
Già questo mi sembra un ottimo motivo per non prenderla in considerazione.
Riteniamo che quello sforzo sia compiuto per fare un favore agli appassionati o perché è un affare talmente profittevole che un numero in perenne crescita di aspiranti fornitori cerca di ritagliarsi una fetta della torta, che per piccina che sia attinge a una fonte dalle dimensioni tendenti virtualmente a infinito?
Il suo meccanismo si regge sull’abbonamento, sistema che prevede il pagamento delle relative quote da parte del fruitore e da un certo punto in avanti è diventato il più in voga per un’ampia gamma di settori, senza che esista più un’alternativa. Riguarda in sostanza tutto ciò che abbia a che fare con lo scambio di dati digitali.
Perchè il sistema propagandistico batte con tanta ostinazione su quel chiodo, tentando in ogni modo di convincerci che tutto il sistema che ruota intorno alla cosiddetta musica liquida è di gran lunga il meglio che si possa desiderare e che anzi le sue virtù vanno ben oltre quanto il comune mortale possa immaginare? Il motivo è semplice: una volta che si entra in quel girone dantesco, non è più possibile uscirne. Per il semplice motivo che se non paghi, o peggio non puoi più pagare, non ascolti più nulla.
Certo, oggi ci sentiamo tranquilli perché molti di noi hanno una certa età e quindi hanno avuto tutto il tempo necessario per mettere insieme una collezione basata sul supporto fisico, quale che sia.
Tuttavia, stanti le condizioni in atto, si tratta di residuati del passato, col tempo destinati fatalmente a scomparire. Se non materialmente, quantomeno dall’orizzonte della loro clientela potenziale. I fornitori non solo lo sanno, ma ci contano e non vedono l’ora che accada.
Pertanto, tra un certo numero di anni, vuoi perché ce ne saremo liberati, credendo di far bene, vuoi perché le nuove leve partono e partiranno direttamente con quello, se non si pagherà mensilmente congruo balzello non si potrà più ascoltare musica.
Stiamo sicuri che una volta che avranno la sicurezza di detenere il monopolio, i prezzi che oggi sono invitanti non potranno che salire, e di molto.
Proprio perché non ci sarà più alternativa e il modello affaristico cui rispondono quelle piattaforme funziona così.
Aderendo oggi a questo modello, noin faccamo altro che costruire lo scenario che lasceremo in eredità ai nostri figli. Anche se è ormai da tempo che il consumismo portato a modalità di esercizio esasperate, insieme alla componente edonistica che di esso è struttura portante, hanno fatto saltare del tutto il patto generazionale.
A favore di chi, se non di quanti sono già potenti a sufficienza da poter pilotare a piacimento quei fenomeni, dirigendoli laddove è maggiore il loro interesse? Così non potrà che accrescersi ulteriormente, e a dismisura, il loro potere, portandoli persino all’idea di poter disporre a piacimento delle nostre menti e dei nostri corpi, che poi mettono in pratica nei modi che sappiamo.
Raffinato strumento culturale o meccanismo da Grande Abbuffata?
Un altro aspetto, se vogliamo più terra terra ma secondo me indicativo delle modalità funzionali di tutta la faccenda inerente la cosiddetta musica liquida, e soprattutto della sua valenza concreta, è il seguente: il sistema funziona secondo il principio del “paghi una certa somma, possibilmente modesta, e prendi tutto quello che vuoi”, giusto?
Quindi l’affare sembra convenientissimo, pochi euro al mese e ci sentiamo liberi di sbizzarrirci in piena libertà, a patto beninteso che si rimanga entro i limiti concessi dal fornitore del servizio, in termini di ampiezza del suo repertorio.
Ma non è forse questo il sistema in voga presso certi locali che pretendono di definirsi ristoranti, dove paghi una quota fissa e mangi tutto quello che vuoi?
Si tratta in effetti di un sistema apprezzatissimo da una certa fascia di utilizzatori, appunto quelli che guardano soprattutto alla quantità. Il loro unico fine è rimpinzarsi, farsi l’abbuffata. Non guardano certo alla qualità del cibo che ingurgitano con tanta voracità, alle modalità con cui è stato preparato e men che meno alla sua provenienza o a come è stato prodotto, per far si che possa essere smerciato in tali quantità e a prezzi tanto contenuti.
Il meccanismo dell'”entra, paga un tot e mangia tutto quello che vuoi” è lo stesso identico che applicano i fornitori della musica liquida. Mi chiedo però in che modo e in quale misura possa attagliarsi a persone che almeno idealmente della raffinatezza e della qualità d’ascolto dovrebbero aver fatto uno dei motivi trainanti, non di rado per l’intero corso della loro vita adulta e spesso iniziando anche prima.
Non è una contraddizione di termini a dir poco plateale?
E soprattutto, non è indurre una metamorfosi con finalità di abbrutimento generalizzato?
Eppure gli organi di propaganda insistono, nel loro coro di testate e URL unificate, ad assicurare che proprio questo sistema è senz’ombra di dubbio il migliore che mente umana possa concepire.
Proprio per questo troppi appassionati vi fanno ricorso, anche tra quanti possiedono gl’impianti di raffinatezza maggiore e in molti casi tendente all’assoluto.
Dunque cosa fanno, proclamano per il tramite delle loro catene audio costosissime l’appartenenza al club più rarefatto di intenditori e palati fini, ma poi si sfondano di cibarie buone per la discarica nelle bettole del paga 10 euri e magni quanto te pare, che pure se te fai venì n’infarto manco te chiamamo l’ambulanza?
Si renderanno conto non della contraddizione, ma dell’assoluta inconciliabilità dei termini su cui poggia la questione?
Molto probabilmente nessuno glielo ha mai fatto notare. D’altronde se tutti sono così occupati nel decantare le meraviglie della liquida, di tempo per valutare altri aspetti ne rimane ben poco.
Allora ci pensano Il Sito Della Passione Audio e il suo conduttore, a rilevare certe minuzie. Quasi impercettibili, come direbbe il rag. Ugo Fantozzi. Stante la totale indisponibilità alla ripetizione pappagallesca di tutto quanto viene fatto calare dall’alto.
A cominciare dalle veline di regime, che se per motivi su cui è meglio sorvolare le si è fatte assurgere a emblema stesso del male ideologicamente connotato, quando c’è da farci bei soldi sopra, in quanto ora il fondale della recita è di tipo commerciale, diventano all’improvviso l’unica e sola prospettiva che si è in grado di concepire. Dimenticando la valenza che ad esse è stata attribuita o meglio fingendo che non sia mai esistita.
In questa sede, allora, le sostituiamo con il minimo di riflessione che è possibile eseguire sui temi delle riproduzione sonora e di quanto ad essa possa essere collegato in maniera più o meno diretta.
E se la sintesi va a farsi benedire ci dispiace tanto. Soprattutto per quelli che non ne vedono la valenza primaria che è da sempre e resta di ordine censorio e repressivo della libertà di pensiero e della sua espressione.
Si dirà: il paragone non regge, perché la qualità della musica è sempre quella cui siamo abituati. Appunto, e la cosa non è assolutamente casuale. La roba decente infatti è per pochi, che sanno bene di doversela cercare con il lanternino.
Non a caso il repertorio tipico di troppi audiofili è di banalità e ripetitività che talvolta diventano persino imbarazzanti. Tanto da giustificare anche i peggiori luoghi comuni. Si articola essenzialmente sulla fotografia del dobro di Mark Knopler, sul prisma dei Pink Floyd, con tuttalpiù l’aggiunta di una stretta di mano infuocata, l’immancabile De André ma soprattutto sulle scosciate da antologia di Diana Krall o di qualche altra bonazza sua pari. Messa li a mostrare le grazie fisiche cui l’audiofilo-tipo è sempre alquanto sensibile, più che quelle artistiche, relegate così tra le varie e eventuali.
A parte quisquilie del genere, l’appunto di cui sopra è senz’altro verosimile e rispecchia una realtà incontrovertibile.
Nel concreto la si deve soltanto alla possibilità di quei fornitori ad attingere a un repertorio virtualmente sconfinato. Che però, attenzione, è fatto di opere realizzate in passato, quando le condizioni del sistema di produzione e distribuzione musicale e discografico non erano solo ben altre, ma del tutto inconciliabili con quel che vediamo ora.
Con i modi attraverso i quali le piattaforme di streaming musicale affamano il musicista, riconoscendogli qualche millesimo di dollaro lordo a brano, tanto che è necessario sia scaricato milioni e milioni di volte affinché possa ripagarsi almeno lo strumento con cui lo ha suonato, tralasciando tutti i mezzi tecnici necessari affinché ne sia possibile la riproduzione, non si vede davvero quale potrà essere il futuro della produzione musicale.
Condannata pertanto, per la smania di profitto dei fornitori e per la tendenza all’abbuffata dei fruitori, non solo all’immobilità perenne ma anche al crollo qualitativo del prodotto. Sotto l’aspetto artistico e ancor più quello tecnico.
Così i già troppi impianti milionari che suonano in maniera pietosa già per conto loro non potranno far altro che peggiorare. O altrimenti bersi all’infinito la stessa minestra: gran bella prospettiva.
In sostanza allora, la versione digital-tecnologica della “Grande Abbuffata” avviene come sempre a spese di qualcun altro che non può fare nulla per difendersi, stante il muro che gli è stato messo davanti o meglio tutto intorno. La sola alternativa che ha è abbandonare il settore o continuare a suonare giusto per il proprio piacere o quello di pochi intimi. Se non vuole morire di fame può fare il travet o più facilmente pedalare per Glovo.
Puntata finale della serie “Viva la meritocrazia e il doveroso riconoscimento delle qualità umane”.
Oggi stranamente non se ne sente più parlare, ma sbaglio o fino a ieri c’è stata un’opera minuziosa di sfilettamento dei nostri poveri attributi, da parte di media come sempre allineati e coperti senza defezione alcuna, centrata proprio su quei temi?
Oggi quegli argomenti non contano più? Come mai? Eppure sembrava che vi fossero legati i destini dell’intero universo. E poi, puff: in un istante sono svaniti nel nulla. I media che ne hanno fatto l’abuso che sappiamo, ossia tutti, quantomeno tra gli allineati hanno dimostrato in questo modo la loro credibilità.
Senza considerare che è un’altra gran bella prospettiva, quella di ridurre l’artista in miseria. Gl’inventori e i profittatori del sistema basato sulla cosiddetta musica liquida ne sono mandanti ed esecutori. Ma chi la propaganda e utilizza è loro complice, a tutti gli effetti.
D’altronde il sistema dello streaming non è nato per la produzione di contenuti, che anzi non gli passa manco per l’anticamera, ma per risucchiare profitti, da idrovora di efficacia mirabile qual è in effetti, e questo gli va riconosciuto.
Malgrado tutto, quanto abbiamo detto fin qui potrebbe trovare persino una giustificazione, se quella libertà di scelta pretesamente sterminata fosse almeno fruita. Purtroppo invece viene spesa soprattutto come scusa, dato che all’atto pratico si finisce con l’ascoltare sempre le stesse cose. Andare alla scoperta di cose nuove presuppone infatti un impegno mentale che proprio il sistema della liquida in generale, e poi il contesto in cui si inserisce, tendono se non a reprimere quantomeno a fiaccare.
In sostanza, allora si paga a vita per ascoltare i soliti 100, 200, forse 500 brani, che se li si fosse comperati sul supporto fisico e a quel punto sono tuoi e te li ascolti quanto ti pare senza dovere più nulla a nessuno, si sarebbero pure risparmiati una sacco di soldi.
Non di rado si paga un tanto al mese persino per quello che si è già acquistato in precedenza e pagato più e più volte. Prima su LP, poi su cassetta, in seguito su CD e infine come SACD. Davvero un affare d’oro, soprattutto per chi incassa.
Del resto se come abbiamo visto si tratta di un sistema di profitto su cui chiunque cerca di buttarsi a pesce, e trova anche le risorse affinché un esercito di imbonitori ne canti le lodi come se non ci fosse un domani, con ogni probabilità è assai lucroso. Resta tuttavia alquanto remota la possibilità che possa favorire il pubblico cui si rivolge.
Un ultimo aspetto, già rilevato in passato, ma su certe piaghe è sempre bene ficcare il dito, riguarda le modalità di fruizione che induce. Rispetto al quale, in base a quanto è dato osservare, non sembra esservi possibilità di scampo. Con la cosiddetta musica liquida nulla più rimane del concetto di opera musicale nel suo insieme, articolata secondo la costruzione e la consequenzialità che l’autore ha inteso attribuirle. E’ sostituita dal frazionamento, esasperato fino al puntillismo, non dell’opera nel suo insieme, ma persino del singolo brano, saltabeccando da uno all’altro nel giro di qualche secondo, per andare avanti così fin quando dopo forse mezzora ci si è già belli che stufati.
In condizioni simili un’opera musicale articolata nel modo in cui siamo stati abituati ad intenderla non ha neppure più senso, e dunque motivo di esistere. Ulteriore incentivo alla produzione artistica e soprattutto alla regressione intellettiva che è la vera dominante di questi tempi disgraziati. Perché è su di essa che si concludono gli affari migliori e in alto loco lo si sa bene.
Sulla base di quanto detto fin qui, sinceramente mi sfugge il motivo per cui occorra persino organizzarsi ai fini di tutto ciò, acquistando costose apparecchiature che di fatto non fanno nulla di più di quanto facciano quelle che abbiamo già, dato che i lettori CD assolvono egregiamente allo scopo e oltretutto si basano sul supporto fisico che continua a suonare meglio e con ogni probabilità sarà così ancora a lungo. Ma in compenso sono fatte apposta perché ci si possa mettere il cappio al collo con la maggiore comodità.
Liquida, perché si chiama così?
Il discorso fatto fin qui è stato lungo. Tuttavia necessario se si vuol capire innanzitutto di cosa stiamo parlando, e poi rendersi conto delle enormi contraddizioni da cui è permeato tutto il sistema che ruota intorno allo streaming musicale. Fatto esenzialmente per mettere a profitto una volta di più, secondo la logica del mese per mese ossia della rendita a vita, quel che di fatto è a costo zero. Dato che il repertorio offerto si è ripagato già cento e forse mille volte.
I capo-beotizzatori, così definiti per via del rispetto che va riconosciuto a quanti fanno da guida all’inebetimento irreversibile dell’umanità, per il nostro settore hanno stabilito, per poi darcene ripetute assicurazioni, che la liquida si chiama così appunto perché non c’è più il supporto fisico.
A parte che c’è ancora, in quanto i file che ti fanno ascoltare dietro corresponsione dell’abbonamento mensile, dimodoché se non puoi più pagare non ascolti più nulla, da qualche parte devono essere immagazzinati, il termine liquido, liquidare, liquefare e derivati vari ed eventuali, non ha proprio un bel nulla a che vedere con quella finta abolizione.
E’ invece ben altro. Ce lo spiega Bloomberg, nota testata di analisi economica, grancassa per la diffusione di idee, programmi e prospettive desiderati dalle élite o oligarchie che dir si voglia. Lo scopo di questi organi di disinformazione è qualcosa che non è neppure più propaganda ma vero e proprio plagio su scala globale.
il loro motivo di essere è il rendere pubblica l’agenda che quel gruppo di ottimati ha deciso debba essere osservata da tutti noi, affinchè ci si ritrovi a pensare secondo le logiche, i meccanismi, il vocabolario, e inevitabilmente i fini, da loro desiderati.
Stiamo parlando insomma del famoso 1%, che in realtà è lo 0,1 e forse addirittura lo 0,001 e malgrado ciò ha già nelle proprie mani la stragrande maggioranza delle ricchezze presenti di questa terra.
Pertanto non si vede il motivo, e soprattutto non lo vedono i componenti di quella percentuale infinitesima, per cui non debbano pervenire in possesso di tutto.
Vi arriveranno presto, hanno deciso entro il 2030, proprio con l’impiego dei mezzi di persuasione illimitati di cui dispongono, dato che controllano l’intero sistema d’informazione a livello globale. Tutto quanto volto allo scopo deve avvenire a velocità, parossistica, affinché non si abbia il tempo di riflettere sul significato concreto dei passaggi che ne segnano il cammino.
Uno di essi è descritto nell’articolo “L’America deve diventare una nazione di persone che vivono in affitto”, il cui frontespizio fa da immagine di apertura ed è leggibile sul sito della pubblicazione summenzionata, parla in forma esplicita della “liquefazione del mercato immobiliare”.
In esso ci si creano le basi del discorso, come sempre per mezzo del falso. Oltretutto plateale.
Si sostiene che le case sarebbero troppo poche, quando invece sappiamo tutti che ce ne sono disabitate a decine di migliaia, a milioni in ogni Stato dell’occidente.
Il vero problema semmai è la mancanza del denaro necessario a riscattarle, previa necessaria ristrutturazione. D’altronde lo detengono tutto loro, i point zero-zero-oners, gli ottimati, i facenti parte della superclasse, i componenti delle èlite globalizzate, chiamateli come volete.
In quell’articolo si amplifica esageratamente, in maniera pretestuosa e strumentale, la portata del fenomeno, nel tentativo di giustificare le posizioni che si desidera diffondere, facendogli assumere così un tratto davvero grottesco.
Si parla dunque di caduta sulla base di numeri che dipingerebbero un’immagine assai netta. Dato che il tasso di proprietà dell’abitazione è semplicemente calato di meno del 5% in dodici anni, passando dal 69% del 2004 al 64,1% del 2016. Secondo un ritmo dello 0,42% all’anno che da un punto di vista meno interessato si definirebbe trascurabile.
I voltagabbana di regime, invece, con grande presunzione vorrebbero farci credere che si tratti di un crollo.
A tale riguardo mi domando: “Signori belli, vi siete per caso dimenticati che tra il 2004 e il 2016 c’è stata una crisi devastante, quella del 2008, denominata dei subprime, che avete causato VOI STESSI?
Neppure vi sovviene che state abbattendo da decenni il potere d’acquisto dei salari e nello stesso tempo avete generato precarizzazione e disoccupazione di massa, mentre limitate sempre più la circolazione del danaro che tenete ben chiuso nei vostri forzieri in quantità incalcolabili?
Che motivo avete di farlo se lo create dal nulla e quindi il suo controvalore concreto è inesistente, anche se in virtù della prassi basata su una mera convenzione, come ci ha spiegato Giacinto Auriti, chi ne ha bisogno per i suoi scambi è indotto a prenderlo per buono?
Forse solo perché così è più facile per voi corrompere tutto e tutti, oltretutto a costo zero a parte stampa e inchiostro? In modo tale che possiate instaurare le condizioni più impensabili solo un momento prima e oltretutto a livello globale, proprio perché globale è la penuria di denaro che voi stessi avete indotto artificialmente a fini di appropriazione?
Non solo di beni e merci, che già controllate nella loro pressoché completa totalità, ma dei sistemi sociali, istituzionali, legali, giudiziari, sanitari, d’informazione e di verifica e controllo?
Come si definisce un’organizzazione sociale quando tutto il potere di dirigerla si trova concentrato nelle stesse mani?
Al di là di tutto questo, un calo del 5% per il tasso di proprietà delle abitazioni è ragione verosimile e sufficiente per stabilire che nessuno più debba possedere la casa in cui vive e invece paghi a vita l’affitto?
A favore di chi?
Eccoci al dunque: il metodo che si utilizza è sempre lo stesso, al punto di essere diventato persino banale. Si denuncia un accadimento inevitabile, per il quale si sono costruite preventivamente le basi, per poi ingigantirlo fino a farlo passare per una catastrofe. Contando allo scopo sul fatto che le persone non riescano a comprenderne e ancor meno a ricordarne i motivi, che ovviamente vengono sottaciuti.
E’ forse a insaputa di chi ha ordinato la pubblicazione di quell’articolo-spazzatura che le banche controllate da quegli stessi figuri, a forza di negare prestiti, quindi comprimendo la circolazione del denaro, hanno causato il noto fenomeno del “credit crunch“?
In quanto renitente a oltranza alla zombificazione di massa, e sulla base dell’ennesiomo esempio dato da questo articolo di Bloomberg, osservo che da qualche tempo la tendenza è quella di scrivere cose che si contraddicono vicendevolmente, oltretutto in maniera plateale. Quella per cui un tempo, chiunque messo dinnanzi a certe assurdità avrebbe invitato il suo autore a “far pace col cervello”.
Formula anche questa caduta in disuso, come sempre per una casualità del tutto imprevedibile.
La mia impressione al proposito è che non si tratti di un fenomeno fine a sè stesso, frutto della precisa volontà di ridurre i compensi giornalistici fino al punto di metterci delle scimmie, con tutto il rispetto per i simpatici e giocosi quadrumani, che tra gli altri hanno il pregio di non regredire deliberatamente allo stadio di minorati mentali per conservarsi il posto in redazione.
Il fine reale, invece, è quello di abituare le persone a leggere cose che la riga prima dicono una cosa e la riga dopo l’esatto contrario. Affinché vi si assuefino nel tempo più breve e finiscano non con il non rendersene conto, ma proprio nell’incapacità di comprendere e persino contemplare l’esistenza del termine noto come contraddizione, insieme ai suoi effetti.
Per quanto attiene, finalmente, gli argomenti di nostro interesse, le parole utilizzate sono le seguenti: “II processo è doloroso, ma non del tutto negativo. Lentamente ma di sicuro, la maggior parte del singolo cespite più grande degli Americani, la loro casa, sta diventando più liquida. Chiamiamola liquefazione del mercato immobiliare degli Stati Uniti”.

Del resto anche qui da noi il verbo liquidare ha un significato indiscutibile: alienare la proprietà di un bene. E di conseguenza la sua libera fruizione.
Abili come sono a giocare a rimpiattino con le parole, mentre fanno in modo che l’uditorio sia appositamente reso semianalfabeta e non ne comprenda più il significato tranne che per quello che vogliono loro, non scrivono proprio liquidare ma liquefare, così che sembri un’altra cosa mentre in realtà è esattamente la stessa.
Copio e incollo dalla barra di ricerca del mio applicativo di navigazione in rete: “Nel linguaggio commerciale, vendere a prezzo notevolmente inferiore a quello normalmente praticato. Esempio: liquidare una partita di merci”.
Un processo del tutto identico a quello descritto sta avendo luogo nell’ambito della riproduzione sonora amatoriale, dove chi si ostina a detenere un supporto fonografico, che può usare come e quando vuole è un retrogrado, una cariatide, un nemico dell’umanità. Mentre il futuro radioso è prenderla in affitto, quella stessa musica, che è diventata liquida proprio affinchè si continui a pagarla fino alla fine dei nostri giorni se vogliamo continuare ad ascoltarla.
Liquido, e liquidare, nonchè le sue derivazioni in gergo finanziario liquida, liquefare e liquefazione, non sono termini che come si è voluto far credere riguardano l’eliminazione, la cancellazione o solo l’occultamento di un’entità, un prodotto o un dispositivo. quale può essere appunto il supporto fonografico di tipo fisico.
Le fonti ufficiali del verbo globalista usano invece quelle parole per descrivere il processo di spossessamento definitivo di un bene, a danno di chi fino a ieri ha avuto la facoltà di detenerlo liberamente. In quanto se lo è comperato col denaro guadagnato mediante il sudore della sua fronte.
Ma tanto anche quello lo si sta togliendo di mezzo.
Lo spossessamento è necessario per la messa a profitto del prodotto che è stato preso di mira, a favore di una speculazione insaziabile che intende appropriarsene a costo zero e così facendo distruggendolo, secondo la prima e sola attitudine del capitalismo. Dato che è quello il modo in cui possono lucrare le somme più consistenti.
Ci siamo?
Quello spossessamento però non dev’essere vissuto per quello che è, altrimenti potrebbe dare luogo a contraccolpi e reazioni, come ha insegnato ancora una volta l’esperienza recente. Nossignore, te lo vogliono e devono vendere come una conquista. Qualcosa cui si anelava, giustamente, chissà da quanto tempo.
Quindi da oggi in poi tutti noi lo sappiamo: ogni riferimento alla musica liquida, e stiamo certi che lo si farà con il solito florilegio di connotazioni positive, di elencazione dei fasti che deriveranno da questa gloriosa conquista della tecnica moderna a favore dell’umanità tutta, vero elemento distintivo del pensiero e dell’azione adeguati alla realtà del nostro tempo, lo si fa intendendo l’azione di revoca e poi di divieto al possesso del supporto e ai diritti che ne conseguono, in capo al suo legittimo proprietario.
Ciò avviene perché gli speculatori globali che controllano quel sistema, insieme a tutti gli altri, a iniziare da quello governativo, politico, scientifico e sanitario, a insaputa o meno del suo sostenitore e/o utilizzatore, hanno deciso che quello dev’essere uno dei terreni di caccia per la loro accumulazione di profitti che ha per fine l’accaparramento totale.
Proprio perché costoro hanno spremuto come limoni gli altri cui si sono dedicati fin qui, inaridendoli in modo irrecuperabile.
Poi, come sempre, ognuno resta libero di fare quello che preferisce. Quindi anche di spianare la strada, nel suo piccolo e per quanto gli è possibile, al suo aguzzino e persino solidarizzare con lui.
Eccoci giunti allora a inquadrare la sola e vera epidemia oggi in atto, quella concernente la sindrome di Stoccolma.
Ma se nel giro di meno di 10 anni, secondo programma, ci ritroveremo tutti con una mano davanti e l’altra dietro, nonché obbligati essere titolari di un abbonamento anche per l’aria che già ora ci stanno impedendo di respirare liberamente per mezzo delle cosiddette mascherine, in realtà bavagli imposti affinché si entri nell’ordine d’idee e nello stato d’animo di chi è vittima di una rapina atta a spossessarlo di tutto e di rassegnarsi alla stessa, cantori, cultori e utilizzatori della magnificenza della musica liquida sappiano che ognuno di loro avrà dato nel suo piccolo il proprio contributo all’ottenimento di quel risultato.
Proprio perché l’eliminazione della casa di proprietà e la diffusione della musica liquida, che non a caso fiunzionano secondo il medesimo principio, quello dell’affitto, sono due tasselli del progetto in questione.
Ossia quello che il World Economic Forum, col sottotitolo di “Leadership strategy”, strategia del predominio, la principale grancassa dell’usurpazione globale da parte della superclasse a danno dell’intera umanità decanta da anni come fine inevitabile per il 2030.
Anno in cui il gruppo di potere che si nasconde dietro quell’organismo ha deciso debba concretizzarsi lo slogan “non possiederai più nulla, non avrai privacy e la vita non sarà mai stata migliore”.


Dev’essere proprio vero: la massaia ride soddisfatta, pure se si ritrova non in maniche di camicia ma di canotta. E guarda com’è contento il bamboccione!
Buonasera,
può darsi che le cose andranno come dice lei signor Claudio , ma allo stato attuale ognuno rimane libero di ascoltare musica in abbonamento streaming , di acquistarla su supporti solidi (CD, LP) , oppure di fare entrambe le cose , e questo è quel che conta.
è evidente la deriva illiberale nella società di oggi , ma spero comunque che la offerta commerciale di musica nel futuro continui ad avvenire almeno in questi modi , oltre ai concerti , ovviamente ; l’ importante che le scelte delle aziende sia mossa , come diceva Von Mises , dall’ action humaine , e non da “regolamenti” politici, volti al “bene” della umanità.
Detto questo , da buon audiofilo “malato” (ma non ossessionato) , vengo all’ argomento che mi appassiona di più : la “qualità” della sorgente musicale , sia della musica solida sia della musica cosidetta liquida.
Non seguo i confronti dialettici in rete sull’ argomento , ma non ho letto (almeno non ricordo) di pareri sperticatamente pro musica liquida sulle riviste di settore … anzi.
Sono convinto del primato dell’ ascolto , ma sarebbe opportuno trovare risposte ed eseguire verifiche tecniche a ciò che si crede di sentire.
Grazie e cordiali saluti
Riccardo
Ciao Riccardo, grazie dell’attenzione e del commento.
Come avrai di sicuro rilevato, all’interno dell’articolo è scritto che ognuno è libero di usare il supporto che crede.
L’essenziale però, a questo riguardo e come sempre, è avere coscienza e consapevolezza di quel che si sta facendo, comprenderne le conseguenze, in particolare a lungo termine, e soprattutto prendersene le responsabilità. Cosa che però temo non accada.
L’articolo che stiamo commentando è stato scritto ed è rivolto proprio a questo scopo, oltre a illustrare appunto ciò che ne deriva. Sia pure in maniera parziale e secondo la visuale per forza di cose ristretta del suo autore, il quale ovviamente non possiede capacità divinatorie.
Nello stesso tempo la spinta cui si è voluta attribuire una potenza estrema, affinché le masse agiscano sempre più in modalità predeterminate e massimamente favorevoli alle scelte eseguite altrove, ossia “colà dove si puote”, è uno tra i fenomeni più significativi, diffusi e inquietanti del nostro tempo.
Di pari passo è sempre più evidente l’incapacità della maggioranza delle persone a osservare persino gli aspetti più superficiali dei fenomeni che hanno luogo dinnanzi a loro, nei quali sono immerse e di cui sono spesso esecutrici, il più delle volte inconsapevoli.
A questo proposito l’accenno a Von Mises casca a fagiolo, in quanto esempio smagliante della fallace doppiezza del suo pensiero, oltretutto plateale, vero elemento di fondo dei suoi simili e direi anche dei suoi seguaci, come descritto in maniera mirabile e comprensibilissima da Orwell (cfr. bispensiero).
Altro che “action humaine”, costui non poteva non sapere che entro l’ordinamento capitalista, del quale è stato tra i maggiori profeti, l’unica legge riconosciuta è quella del profitto. E proprio ad essa e ad averla voluta portare alle conseguenze più estreme, in funzione di predominio, si deve la realtà attuale.
In essa l’uomo non solo si ritrova ormai ridotto a merce, ma si è giunti persino a volerlo spossessare della potestà del suo corpo. Come sempre a scopo di profitto. Sono del resto gli obblighi sempre più draconiani imposti e resi inevitabili dall’evoluzione del capitalismo, appunto in funzione dell’ideologia anarcoide-nichilista che da sempre gli fa da struttura portante ed è nello stesso tempo conseguenza inevitabile e ingrediente fondamentale dei suoi meccanismi. Ovvero quelli che lo portano fatalmente a divorare tutto quanto incontri sulla sua strada. Tra cui appunto la musica e l’arte, per non parlare degli ordinamenti sociali e della democrazia.
Così facendo però non fa altro che restringere vieppiù il suo terreno di caccia, cui si contrappone invece il comandamento numero 1 della sua religione: l’espansione economica senza limiti. Già contraddizione in sè, lo è ancor di più in funzione del fatto che si pretende avvenga in un insieme finito, come quello rappresentato dal pianeta che tutti noi calpestiamo.
Così ora gli stessi dominatori dell’ideologia capitalista vorrebbero ammantarsi di un ambientalismo che è marchianamente fasullo, proprio perché vuol far credere di combattere quanto da loro stessi voluto nel corso dei secoli e come tale non può essere che inteso secondo modalità squisitamente affaristiche.
Inevitabile pertanto che allo scopo si voglia addirittura pervenire alla riduzione della popolazione mondiale, quel che di fatto si chiama sterminio programmato, e diverse fonti tra le più accreditate dei suoi massimi pensatori lo abbiano individuato come fine imprescindibile già numerosi decenni fa, come ci ha ben spiegato il conte Kalergi nei libri che ha scritto a suo nome.
Ora tu fai riferimento ai regolamenti cui attribuisci valenza negativa, proprio secondo l’ideologia anarcoide propagata dalla forme più estremistiche del capitalismo terminale, ossia quelle che da tempo hanno preso il controllo dell’intero pianeta e dei suoi ordinamenti sociali. Quando invece sarebbero di fatto l’unico baluardo alla sua voracità infinita, le cui conseguenze sono appunto quelle che abbiamo descritto fin qui, sia pure in maniera per forza di cose parziale.
Non è un caso allora che la nostra Costituzione abbia tra i suoi principi cardine proprio l’utilità sociale dell’impresa privata, entro cui ne individua la sola finalità concepibile. Proprio in quanto è necessario porre dei limiti alla stessa e ai profitti che ne derivano, per due ordini di motivi fondamentali.
Il primo è che in assenza, quel profitto, anch’esso privato, non può che entrare in conflitto coi diritti primari e universali dell’individuo, e per forza di cose li va a travalicare: proprio quel che sta avvenendo.
In secondo luogo, e questo è ancor peggio, si finisce col ritrovarsi di fatto nella situazione attuale, in cui il capitalismo privato, giunto infine alla sua realtà di monopolio onnicomprensivo, ha di fatto e in concreto un potere maggiore rispetto a quello degli stessi Stati e coalizioni di essi, dei quali la sovranità si vorrebbe attribuita, e dovrebbe esserlo tuttora, al popolo che vive sul terreno da essi delimitato.
Non a caso l’ideologia farneticante e distruttiva del genere umano dei Von Mises e dei suoi successori, tra cui il Von Hayek fondatore della società “Mount Pelerin” che è tra gli organismi più in vista del firmamento ultra-massonico che oggi di fatto controlla il nostro Pianeta in ogni suo aspetto, è proprio quella che ha portato alle condizioni attuali. In cui una ristrettissima élite di ottimati, l’ormai famoso 1% anche se in realtà sono molti di meno, controlla di fatto ogni singola attività che si svolge su di esso. Quel che è peggio a partire dal falso ideale della fratellanza universale, entro un contesto che invece è la sublimazione non del semplice classismo ma della casta portata all’estremizzazione definitiva, in cui più nulla può accadere di quanto non sia nelle loro intenzioni.
Non a caso, tra gli obiettivi dichiarati e dai quali i pensatoi capitalisti sono maggiormente ossessionati c’è proprio il superamento delle Costituzioni repubblicane, in quanto ostacolo al far west a fini di profitto che vorrebbero instaurare. Non solo sul nostro pianeta, ma grazie alla tecnologia che da novelli apprendisti stregoni sono convinti di poter dominare, nell’intero universo.
Chiudendo la parentesi ideologica, che tuttavia ha risvolti oltremodo concreti sulla valenza devastante e inverosimile della realtà attuale, tu dici di non aver notato questa uniformità di pareri a favore della liquida e men che meno il martellamento che per il loro tramite viene eseguito.
Però poi nella stessa frase parli addirittura di “musica solida”, volendo così definire tutto quanto sia diverso da essa e operi a partire da un supporto fisico. Manifestando con sintesi eccellente e di efficacia inarrivabile il capolavoro del condizionamento eseguito per il tramite che non riesci a vedere. Eseguito a favore dello streaming musicale e del meccanismo dell’affitto sul quale si regge, atto specificamente a portarti a pagare vita natural durante per qualcosa che potresti acquistare una volta e godere all’infinito. Appunto secondo le leggi del profitto portate al parossismo.
Eccoci dunque alla dimostrazione concreta per il significato del video in cui Totò che spiega come debba avvenire la lubrificazione della sega circolare, strumento atto a scassinare la cassaforte, quale obiettivo d’importanza fondamentale.
Nonché unico e solo oggi concepibile secondo l’ideologia e la mentalità malata di Von Mises e dei suoi eredi.
L’assurdo, almeno dal mio punto di vista, è che le vittime di quel ladrocinio rivendichino come elemento fondante della loro libertà il diritto stesso a fiancheggiare l’azione di chi li sta derubando in maniera così sfrontata.
Per questo nell’articolo si parla della sindrome di Stoccolma che porta la vittima a solidarizzare col proprio carnefice, vera e sola epidemia del nostro tempo. Indotta a colpi di propaganda della quale l’individuo è stato portato a non comprendere non le conseguenze e le finalità, ma persino l’esistenza.
Caro Claudio,
è evidente che abbiamo opinioni diverse sulla natura organizzativa della attuale società “occidentale” capitalista.
Io non credo che alla base di questa (nostra) società ci sia il modello anarco/nichilista (non ideologica perchè non necessità delle leggi dello stato per essere attuata) rappresentato dal pensiero del capitalismo di scuola austriaca ; al contrario , penso invece che siamo in un sistema di capitalismo di stato in stile cinese , però democratico (cioè con la possibilità di voto) … quello che (gli italiani) chiamano socialismo liberale.
Un sistema (illiberale ovviamente) dove la ragione della maggioranza (di votanti) impone il proprio pensiero a chi la pensa (o vuole comportarsi) in modo diverso … quella che viene chiamata la dittatura della maggioranza.
La presenza di un sistema di principi che chiamiamo costituzione , nella mia visione, essa stessa rappresenta un elemento anti liberale.
Infatti , questo insieme di principi , il paese storicamente e istituzionalmente più liberale , ossia la Gran Bretagna , ne è privo.
Ad ogni modo , resto nel desiderio e speranza , e lo dico senza pregiudizi , di capire se , ed in che modo , la qualità di un messaggio musicale digitale proveniente da una fonte (tutte le sorgenti sono solide all’ origine) remota musicale in streaming , sia sempre (insisto con il dire che non sento sulle riviste di settore nessuno sostenere il contrario) di peggior qualità rispetto ai corrispondenti messaggi musicali digitali cosidetti provenienti da supporto fisico non remoto.
Insomma , perchè il digitale del CD è meglio del digitale dello streaming?
Grazie per attenzione e buon lavoro
Caro Riccardo,
prima di entrare nella risposta al tuo secondo contributo, del quale ti ringrazio come sempre, vorrei soffermarmi un altro istante su quello precedente. In particolar modo sulla tua puntualizzazione inerente la “libertà” di utilizzare il tipo di sorgente e di supporto che si preferisce. Come se, osservando con spirito critico uno o più di essi se ne vietasse l’impiego. Il che ovviamente non è ma rende manifesto il disagio per tutto quanto non aderisca al principio dell’accettazione incondizionata nei confronti di qualsiasi cosa. Qui si evidenzia il principio dittatoriale della realtà di oggi, non a favore o contro un’idea, per quale che sia, ma contro le stesse capacità dell’individuo, in termini di capacità di osservazione e di analisi per ciò che lo circonda e persino dell’esercizio del suo libero arbitrio. Proprio in quanto è chiamato ad accettare supinamente quel che viene fatto calare dall’alto. Che è regolarmente ciò su cui è più facile lucrare il profitto maggiore. Ovviamente a spese del destinatario di quel ritrovato, sistema o prodotto che dir si voglia. Altro che variante austriaca o cinese, che proprio in funzione di quanto descritto dimostrano la loro sostanziale inesistenza e strumentalità: ficchiamoci in testa una volta e per tutte che l’ordinamento capitalista non ha varianti e riconosce solo la legge del profitto. Sua conseguenza è il pensiero unico, solo vigente al giorno d’oggi, entro il quale l’unica libertà concepibile è quella di accettare gioiosamente quanto viene fatto calare dall’alto, ossia dalle sale di controllo del sistema capitalista stesso. Senza neppure avere l’idea, figuriamoci i mezzi, di poter arrivare a materializzare una qualche critica, derubricata persino dall’elenco delle ipotesi.
Così, per maggior sicurezza, si sta provvedendo a estirpare dall’essere umano tutto quanto necessario allo scopo, mediante un intervento di lobotomizzazione, incruento, secondo il significato della parola in termini chirurgici, ma non per questo meno efficace, anzi.
Il condizionamento dell’umanità è sempre più capillare, e la riduzione dei suoi componenti a meri esecutori passivi di ordini perentori, che però come abbiamo visto nell’articolo occorre far passare per altro: convinzione personale, accuratamente indotta per mezzo di condizionamento, credo assoluto nel progresso e nella tecnologia appositamente issata a nuova religione universale, necessità improrogabile in funzione di un’emergenza appositamente creata, o altrimenti creazione di un problema per il quale si ha già pronta la soluzione, che ovviamente è proprio la condizione che ancora una volta “colà dove si puote” si intendeva instaurare fin dal principio.
Parte integrante e fondamentale di questo processo di condizionamento, è quella sorta di induzione nelle masse della refrattarietà a qualunque elemento di ragionevolezza applicata a ogni questione si trovi in ballo, che spesso e volentieri porta al rifiuto sistematico e non so fino a che punto automatizzato, ma anche sotto questo aspetto ormai si è arrivati molto in là, nei confronti di qualsiasi concetto o dimostrazione divergenti dall’ordine cui si obbedisce nella maniera risultante dall’abdicazione all’impiego di un qualsiasi raziocinio, valutazione personale o ragionamento in autonomia.
Quindi malgrado l’interlocutore spieghi come e perché avvengono determinati meccanismi e quali sono i loro risultati, è proprio come se non avesse profferito parola. Chi “dialoga” con lui, senza che dialogo in realtà possa essere, non fa altro che reiterare meccanicamente le sue asserzioni, o domande, iniziali, proprio in funzione del rifiuto non di accettare ma proprio di prendere in considerazione l’esistenza di una risposta, malgrado essa sia stata già data e dimostrata nella sua verosimiglianza.
Questo meccanismo è anch’esso una variante del bispensiero orwelliano e lo osserviamo nella fattispecie quando reiteri la domanda cui ho già risposto in precedenza, riguardo il tuo non esserti accorto dell’azione propagandistica oggi eseguita a favore dello streaming musicale.
A questo proposito rileverei anche che quando s’interviene nell’area commenti di un sito, sarebbe buona norma leggere prima quanto attiene all’argomento in discussione. Nella fattispecie seguendo i link che sono stati inseriti a fine articolo, sotto la voce “Potrebbe interessarti anche”. Può sembrare paradossale, ma almeno nel caso del mio sito non stanno li per bellezza o completamento di un insieme altrimenti manchevole, ma perché affrontano altri aspetti del medesimo argomento di cui andrebbe tenuto conto.
In caso contrario si costringe l’autore a ripetere, potenzialmente all’infinito, questioni che ha già affrontato e definito, cosa che ovviamente ha comportato un dispendio di tempo e risorse. Quindi sarebbe bene evitare che debba tornare costantamente e in maniera ripetuta sui suoi passi. Proprio per una questione non dico di etichetta ma di convenienza. Anche per lo stesso lettore, dato che così facendo sottrae tempo prezioso che l’autore utilizzerebbe per affrontare altri temi d’interesse generale.
In sostanza, quel che è stato appena descritto è proprio il dimenticare deliberatamente l’ABC, per poi negare un istante dopo di averlo fatto e anzi ponendone in capo le conseguenze all’interlocutore. Ancora una volta secondo il più genuino spirito orwelliano che troppi oggi applicano in automatico e in funzione dei modelli comportamentali che passano attraverso la TV, veicolo di efficacia micidiale per la diffusione degli atteggiamenti basati sull’eradicazione di qualsiasi attitudine al raziocinio e alla considerazione dei dati di fatto, invece che sull’opportunismo tendente sempre a far si che si sostengano gli argomenti a favore del più forte ovvero del portatore degl’interessi più sostanziosi.
Nell’articolo si parla anche delle azioni, ne sono un esempio quelle dei redattori di Bloomberg, volte a disabituare le persone al concetto di contraddizione e quindi alle loro capacità di riconoscerne una nel momento che viene posta sotto i loro occhi, sia pure in maniera plateale.
Forse anche di questo si dovrebbe tenere conto, invece di cercare scorciatoie che possano portare nel modo più rapido a confutare il messaggio che s’indeva diffondere, pur in mancanza dergli argomenti necessari, il che obbliga a ricorrere al pretesto che non a caso trova in questi tempi una diffusione più che capillare.
Il fare riferimento al cosiddetto socialismo liberale, cosa che oggi avviene piuttosto di frequente, ne è un esempio, stante la completa e definitiva inconciliabilità dei termini da cui è composta quella definizione. Il socialismo è una cosa e il liberismo è ben altra o meglio il suo contrario. Si riesce a farli stare insieme solo nel momento in cui ci si trova di fronte a un uditorio appositamente condizionato, mediante l’asportazione della minima preparazione a livello politico e ideologico o la mancata sottoposizione ad essa, come un qualsiasi individuo della mia epoca può constatare senza difficoltà, ma con sgomento, in praticamente tutti o quasi appartengano alle generazioni successive. E anche molti suoi coetanei.
Remare controccorrente d’altronde è faticoso, già per un poco: figuriamoci quando lo si fa per tutta una vita.
Solo così è possibile indurre l’accettazione di un concetto basato su termini similmente antitetici, vero e proprio testacoda ideologico. Allo scopo si è proceduto per decenni, a tappe forzate, al raggiungimento di quel traguardo. E’ evidente infatti che nel momento in cui non vi sia più neppure la capacità di distinguere tra due cose che sono agli antipodi, e nello stesso tempo di cogliere la loro definitiva inconciliabilità, si può far passare sostanzialmente qualsiasi cosa, senza che nessuno trovi più nulla a che ridire. Proprio per mancanza di argomenti al riguardo.
Anche a questo riguardo l’analisi eseguita da Orwell ritengo sia illuminante, per origini e conseguenze.
La frequenza con cui si assiste all’abbinamento di cose che cozzano a tal punto tra loro e la loro funzione propedeutica a indurre abitudine nei confronti di detto sistema, e quindi in ultimo al non accorgersi più della sua assurdità, è in continuo aumento. Si spinge non solo sul terreno della propaganda ma anche a quello istituzionale. Esempio lampante quello dell’Unione Europea, che definisce sè stessa statutariamente come come “Economia sociale di mercato”, ancora una volta secondo una formula di cui i termini sono all’antitesi, equivalente alla pretesa di mescolare l’acqua con l’olio.
Persino la massaia rurale analfabeta dei secoli scorsi ne era perfettamente a conoscenza, ma l’acculturato individuo medio del nostro tempo, provvisto di diploma di laurea e possibilmente di master non arriva neppure a capirlo, così da sollevare la questione del semianalfabetismo funzionale di massa, altro problema endemico del nostro tempo, indotto per motivi e con finalità evidenti.
D’altronde la capacità di ragionamento autonomo e di applicazione corretta del raziocinio non si ottengono mediante attestato ma perché le si ha oppure no. Anche in un funzione della predisposizione più o meno spiccata ad essi e della disponibilità alla rinuncia nei loro confronti che oggi si coltiva in modalità intensiva e fin dalla più tenera età, contrariamente a quanto accadeva un tempo. I risultati sono purtroppo evidenti.
Quanto alle questioni della cosiddetta “dittatura della maggioranza”, sono anch’esse molto di moda. Appunto secondo i canoni oggi consueti, esemplificati nell’accenno alle questioni della meritocrazia fatto nell’articolo.
In breve, vediamo cosa accade quando nell’ultimo sussulto della loro agonia, che esse stesse hanno decretato tradendo tutti i principi cardine della loro azione politica, che ne giustificavano un tempo l’esistenza in vita, tutte le sinistre, nessuna esclusa, sono passate al sostegno concreto del loro avversario storico, appunto per mezzo dell’attenzione nei confronti delle minoranze, per quali e in che misura minoritarie esse siano: gender, radical-chic da ZTL, possidenti domiciliati in Via Montenapoleone e così via. Ma naturalmente solo di quelle il cui sostegno è confacente all’attuazione del progetto oltranzista di estrema destra finanziaria, per sua natura refrattaria e inconciliabile con qualsiasi istanza di origine popolare, cui rispondono in concreto. Centrato principalmente sull’instaurazione delle disparità più stridenti, dato che qualunque cosa abbia orgine da una minoranza ma sia basato invece sul diritto all’uguaglianza viene da esse minuziosamente ignorata.
Pertanto, seppure, la dittatura della maggioranza la si ha soltanto nel momento in cui i rappresentanti del popolo abdicano in primo luogo all’esercizio del loro mandato ed ai cardini etici e valoriali che a tale proposito dovrebbero essere imprescindibili. E’ evidente allora che si perviene alla dittatura nel momento in cui quei rappresentanti insieme agli istituti di garanzia decidono che i soli diritti degni di essere rappresentati sono quelli di big farma, e le sole leggi valide quelle che ne impongano la volontà, trasformandosi tutti da deputati, governanti eccetera in piazzisti monoprodotto di case farmaceutiche.
Tenendo fermo però e anzi estremizzando il loro diritto a legiferare e ad esercitare il potere esecutivo e giudiziario, secondo canoni che però hanno tradito nei loro principi fondamentali, che a quel punto non può che avvenire secondo modalità illegali, volte a cancellare la stessa certezza del diritto e in ultima analisi il diritto stesso.
Infine, che il digitale del CD sia (molto) meno peggio di quello dello streaming è la realtà stessa che ce lo schiaffa, rumorosamente. di fronte agli occhi, o meglio orecchi. I motivi di tale stato di cose incontrovertibile e verificabile senza difficoltà qualora si sia in possesso degli strumenti indicati alla verifica, cosa da non dare assolutamente per scontata, sono numerosi. Anzi, una delle motivazioni alla base del continuo degrado del prodotto definito come apparecchiatura hi-fi, può essere individuata proprio nella necessità di celare le limitazioni di quanto perviene all’impianto via streaming. Proprio in quanto è destinato a diventare metodo esclusivo di riproduzione, quale tassello del progetto di espropriazione totale la cui attuazione è stabilita per il 2030.
Alcuni di quei motivi sono stati descritti negli articoli già pubblicati. Non attengono però quello che stiamo commentando, essendo il suo scopo il porre in evidenza l’inganno presente già a livello della denominazione del sistema. Per poi osservarlo in funzione dell’esperienza che c’insegna come assai difficilmente cose ingannevoli sin dai loro presupposti possano dimostrarsi meno subdole man mano che si procede nella loro analisi. A questo riguardo invece mi sembra maggiore l’attinenza degli aspetti legati alla ricerca, che in casi simili si fa spasmodica, del ricambio generazionale e del suo significato. Proprio perchè, con persone che hanno avuto modo di mettere insieme una certa esperienza, e soprattutto di comprenderne l’insegnamento, altra aspetto da non dare mai per scontato, far passare certe cose diventa assai più difficoltoso, se non proprio impossibile.
In ogni caso, anche qualora lo streaming di file audio rivelasse la qualità sonora migliore in assoluto, andrebbe lo stesso rifiutato. Proprio in quanto si tratta di un modello distruttivo, il cui solo, vero scopo è l’estrazione di profitto, secondo gli stessi identici canoni coi quali si gestirebbe una cava di minerali. Dalla quale, appunto, si estrae tutto il possibile, fin quando conviene, per poi abbandonarla al suo destino.
La differenza è che nel caso nostro quel principio non si applica a una miniera, al fianco di una montagna o alla buccia di un limone che dopo spremuto la si butta. Lo si fa invece con la musica, con chi la immagina e poi la suona e infine con chi è convinto di esserne un grande appassionato, ma lascia che sia sfruttata in quel modo barbaro o addirittura se ne rende complice.