Asus Xonar Essence One

Il diffondersi dei millemila formati digitali a densità elevata dei dati, quelli riguardanti la cosiddetta alta definizione, ha reso i convertitori D/A separati tra le apparecchiature verso su cui punta maggiormente l’attenzione degli appassionati.

Ha spinto inoltre all’obsolescenza il supporto fisico e per conseguenza tutto il necessario a riprodurlo, ossia i lettori CD, per portare i DAC a divenire fin quasi il nodo primario dell’impianto, facendovi capo i PC, i music server e tutto il resto dell’armamentario con cui si esegue la riproduzione “moderna” del segnale audio digitale. Ciò li ha resi ancor più appetibili dal punto di vista industriale, data l’ampiezza della platea formata dagli utilizzatori potenziali.

A una domanda di simili dimensioni teoriche non poteva che corrispondere un’offerta almeno proporzionale. Così in un lasso di tempo decisamente breve si è verificato il succedersi di prodotti sempre nuovi, ciascuno dei quali è sembrato promettere di più rispetto ai predecessori.

Se una cosa è promettere, ben altro è mantenere. Ancor più quando si tratta di soddisfare l’indirizzarsi di una parte rilevante della clientela potenziale verso le fasce di prodotto più a buon mercato. D’altronde il pubblico che si è rivolto alle modalità di riproduzione non legate alla presenza del supporto fisico, soprattutto nella loro fase iniziale, è stato forse quello dall’età media più bassa, che in genere non dispone di grandi capacità di spesa, e probabilmente lo è tuttora.

Di qui il proliferare di quelle definibili come scatole di fiammiferi, oggetti che le tecniche di integrazione attuali pongono in grado di eseguire tutte le funzioni correlate alla conversione in analogico di file digitali, anche e soprattutto ad elevata densità dei dati.

Per forza di cose le loro prestazioni, soprattutto in termini di qualità sonora, sono quelle che sono: già l’assenza inevitabile di una sezione di alimentazione come la s’intende tradizionalmente ha un ruolo molto importante al riguardo. Dovendo compattare al massimo le dimensioni, e insieme ad esse i costi, il ricorso agli alimentatorini da parete, più adatti a ricaricare la batteria del telefonino che ad altro, diviene pressochè obbligatorio.

Poi la scatoletta si accende e funziona pure, ma in che modo, soprattutto in relazione alla qualità del segnale che ne fuoriesce?

Malgrado le loro dimensioni lillipuziane, dal punto di vista numerico, inerente il numero dei bit, la frequenza di campionamento del segnale che sono in grado di convertire in analogico, e la quantità dei formati coi quali sono compatibili, soprattutto sulla carta quelle scatolette sembrano assolutamente inappuntabili. Le loro caratteristiche tecniche infatti sono sostanzialmente indistinguibili da quelle di prodotti di ben altro rango, a parte il peso e le dimensioni. Dimostrando ancora una volta, l’ennesima, che quei numeri non sono semplicemente privi di significato, come sostengono da decenni diverse fonti, ma sono in primo luogo dannosi.

Proprio perchè la loro attitudine primaria è quella di rappresentare realtà di fatto inesistenti.

La loro ingannevolezza è una peculiarità ancor più negativa nel momento in cui inluenza, e quindi orienta le decisioni di un pubblico che essendo conscio delle proprie capacità di spesa, limitate, ha comunque il desiderio numero uno nell’allestire una catena dalle doti sonore apprezzabili. Come tale è portato a credere a quel che non è possibile, malgrado sia suffragato da numeri in apparenza incontrovertibili.

D’altronde a scuola gli hanno insegnato che la matematica non è un’opinione e fresco com’è di studi, o magari li sta ancora completando, l’utilizzatore-tipo di certi prodotti non può far altro che credervi. Meglio, desidera ardentemente che siano una raffigurazione attendibile della realtà.

Peccato che in quella stessa scuola si siano dimenticati di spiegargli, o forse lo hanno trascurato minuziosamente, che quei numeri sono quanto di più taroccabile esista sulla faccia di questa terra e li si possa manovrare a piacimento e senza difficoltà: basta intervenire nel modo opportuno sui metodi per mezzo dei quali li si produce.

Le cronache degli ultimi due anni del resto hanno offerto un campionario fin quasi inesauribile a questo proposito, se si ha la volontà di osservarlo.

Il combinato disposto tra lacune e desiderio conduce infine a trascurare l’elemento fondamentale che è alla base della realtà concreta, ossia la differenza, spinta sovente ai limiti di una contraddittorietà insanabile, fra teoria e pratica.

Quel che in teoria sembra assodato finisce regolarmente con il rivelarsi ben altro all’atto pratico. Così anche quelle scatolette di fiammiferi, per quanto siano accompagnate da numeri non solo lusinghieri ma tali da destare sincera meraviglia, una volta portate sul campo non possono far altro che mostrare la loro realtà.

Riescono effettivamente a convertire anche i formati più avanzati e in apparenza ostici, per densità di dati, parametro che a sua volta tende a suggerire la massima accuratezza di ricostruzione dell’onda sonora, ma non possono farlo che nel modo reso possibile dalla loro realtà effettiva. Appunto quella di una scatoletta di fiammiferi.

Un ingegnere molto bravo e capace che si è occupato per decenni di sport motoristici e in particolare di Formula 1, Enrico Benzing, soleva ripetere che natura non facit saltus. Volendo significare che ha le sue regole di proporzionalità, inderogabili: per conseguenza se si necessita di ottenere un determinato livello prestazionale, di potenza in cavalli/vapore, di qualità sonora o di quello che si vuole, è inevitabile il dover disporre di quanto vi è necessario.

La tecnologia a questo proposito, e in particolare i suoi cantori a un tanto a cartella, possono sostenere ciò che vogliono o che ritengono opportuno, ma per quanto si sia fortemente decisi a credere il contrario, oltre i limiti dati appunto da quel che si mette in campo in termini materiali, non è possibile andare.

Quindi se il quantitativo di carburante assegnato per la gara è quello, e malgrado ciò riesci regolarmente ad andare 30 chilometri l’ora più forte di ogni avversario, due sono le cose: o bari sulla quantità oppure sulla composizione di quello che bruci. E se nessuno dà segno di avvedersene, nel corso di lunghi anni, vuol dire che ti sei comprato anche la federazione che organizza il campionato,  non a caso definito, insieme a tutto quanto vi ruota intorno, come circus.

Neppure è possibile andare su Marte con un ascensore, poi divenuto prototipo di missile tedesco, come pretendeva invece il personaggio ideato da Corrado Guzzanti per fare da protagonista alla sua epopea burlona dei “Fascisti su Marte”, per chi se la ricorda.

Non è possibile, ma ci si può credere ciecamente: in particolare nel momento in cui sembrino esistere dati atti a suffragare quella possibilità, come fanno in effetti le caratteristiche tecniche di tutto quanto operi nel dominio digitale, con la loro ricchezza inusitata di valori numerici non lusinghieri ma proprio esaltanti.

Del resto sono tali da sempre, ossia dal momento in cui, all’alba degli anni 1980, si lasciarono trapelare le prime indiscrezioni tecniche di quello che a partire dall’autunno ’82 sarebbe divenuto il dominatore indiscusso della riproduzione sonora amatoriale, e tale sarebbe rimasto per un ventennio almeno.

Lo si dipinse come perfetto, il digitale, e guai a chi osasse pensare il contrario. Soprattutto in pubblico: si sarebbe ritrovato a fronteggiare l’assalto delle orde uligane riunite sotto la bandiera del fanatismo digitalista, più che mai decise a imporlo come tale. Se necessario con la forza e senza fare prigionieri.

Divenne addirittura proverbiale, la sua perfezione. Lo era a tal punto che si ritenne inevitabile sottoporlo a un processo spasmodico e incessante di miglioramento durato più di un trentennio. Ebbe inizio prima ancora del lancio ufficiale dell’allora nuovo formato e, quale prima conseguenza, produsse il divorzio tra Sony e Philips. Da partner in apparenza inseparabili quali erano, o almeno così li dipingeva la propaganda dell’epoca, proprio alfine di realizzare l’audio digitale e il formato CD, divennero d’un tratto i nemici peggiori l’uno dell’altro.

Causa scatenante, il colpo di mano con cui il marchio giapponese passò dai 14 bit convenuti ai 16 che sarebbero divenuti lo standard di fatto. Era talmente perfetto quel sistema che i suoi ideatori non riuscirono neppure a mettersi d’accordo sul formato da attribuirgli, ancor prima di cominciare. Fu così che, giunti a ridosso della data fissata per l’esordio, si decise che la cosa migliore da fare fosse rovesciare il tavolo.

Non prima, ovviamente, di aver preparato tutto il necessario a tal fine, nel segreto più impenetrabile.

Del resto erano le caratteristiche dei dati su cui si articola la codifica numerica alla base del digitale ad assecondare la fattibilità del processo di continuo cambiamento, grazie alla facilità con cui si esegue la loro variazione e ricombinazione. Fin quasi all’infinito, come testimoniato peraltro dal diffondersi delle tecniche di elaborazione del segnale digitale, affermatesi vieppiù nell’ambito professionale, dove sono ormai da tempo lo standard di fatto.

Lo sforzo rivolto al miglioramento del sistema, dunque, sarebbe andato avanti ancora più a lungo del ventennio durante il quale la riproduzione basata sulla codifica numerica del segnale audio non ha avuto elementi di sorta in grado di metterne in discussione, sia pure marginale, il predominio assoluto.

Nessuno si chiese come mai un sistema dipinto ma soprattutto imposto come perfetto, necessitasse invece di un susseguirsi così continuo e prolungato nel tempo di adeguamenti tecnici, volti appunto a migliorare le sue doti. D’altronde il progresso che avanzava in maniera sempre più rapida poteva essere un efficace paravento dietro al quale nascondere la realtà inconfessabile. Ossia la menzogna dalla portata più grande di tutta la storia della riproduzione sonora, dai suoi albori fino ai giorni nostri.

Corsi e ricorsi storici degl’intervalli temporali a parte, il proliferare dei nuovi formati ad elevata densità dei dati, la possibilità di realizzare a basso costo prodotti che almeno sulla carta potevano sembrare imbattibili, l’esistenza di una fascia di pubblico quantomai determinata a trascurare ogni elemento tendente a suggerire la possibilità di una qualche differenza tra teoria e pratica, il sostegno di un apparato propagandistico dalla potenza di fuoco moltipilicata, grazie al diffondersi capillare della realtà virtuale e del suo portato in termini di nuovi modelli di comunicazione, hanno prodotto l’apertura di un nuovo filone commerciale dalle possibilità che almeno sulla carta sembravano molto interessanti.

Lo erano al punto che persino uno dei più noti colossi dell’informatica, Asus, ha ritenuto fosse il caso di ricavarsi uno spazio al suo interno, dato il significativo potenziale di profittabilità da cui era caratterizzato il nuovo settore.

Dominatore del settore d’origine, nell’ambito delle schede madri e più in genere della componentistica volta all’assemblaggio dei personal computer, come in quello ancora più ricco dei portatili, nonché inventore di una nuova categoria di prodotti che ha imperversato per anni, i cosiddetti netbook dei quali è stato padrone assoluto con i suoi EEEpc, se Asus ha ritenuto fosse il caso di lanciarsi anche nell’ambito della riproduzione sonora digitale, caratterizzata in effetti da diversi punti di contatto a livello tecnico con il suo prodotto tradizionale, di sicuro vi erano delle buone ragioni. Appunto quelle elencate sopra.

Ad esse oltretutto si aggiungeva l’immagine del marchio, legata al suo predominio nel settore legato al trattamento dei dati a codifica binaria, in particolare quando la loro mole è interessata da una crescita esponenziale. Proprio come si è verificato con il diffondersi dei formati audio ad alta densità, in parallelo al settore dell’informatica, caratterizzato dal succedersi di sistemi operativi e di applicativi necessitanti di capacità di calcolo e di memoria in perenne moltiplicazione.

Insomma, c’erano tutti i presupposti affinchè Asus potesse imporsi anche in questo particolare settore della riproduzione sonora, data la sua esperienza nell’ambito dell’integrazione di componenti elettronici, in particolare se molto complessi, che gli aveva permesso di operare proficuamente anche nell’ambito della telefonia.

 

Xonar Essence One

Allo scopo sembra non si sia lasciato nulla d’intentato, già a livello semantico, come sembra testimoniare la denominazionazione dei suoi DAC. Dà l’idea di voler suggerire appunto la loro capacità di cogliere l’essenza stessa del suono, oltretutto in un contesto di forte sperimentalità, come indicato dalla lettera X con cui si è modificato il termine Sonar, sia pure incongruo.

La capacità evocativa della parola, il simbolismo che porta con sé, e soprattutto la sua capacità di costruire nelle menti  di chi l’ascolta o la pronuncia realtà inesistenti o di comodo, che poi vanno a influenzare i comportamenti, sono indicativi già di per sè dei motivi per cui li si usa come strumento. Oltretutto di potenzialità micidiale, atto a predisporre già in via preventiva l’uditorio nei confronti dei concetti che si ritiene opportuno e si ha intenzione di fargli accettare, secondo le regole della programmazione neuro-linguistica.

Negli ultimi anni anche nel settore di nostro interesse il diffondersi di marchi e denominazioni che sia pure in maniera elementare, se non addirittura rozza e vistosamente pretestuosa, cercano di condurre il pubblico a una condizione mentale di accettazione preventiva, e del tutto passiva, è stato dilagante. Non farò un elenco di quei marchi dato che ciascuno ne è perfettamente in grado per conto proprio, esercizio che già di per sè mi sembra piuttosto efficace ai fini della comprensione di questa realtà.

Pertanto resta solo da comprendere il motivo per cui si ritenga necessario agire in una determinata maniera. Al riguardo mi chiedo: se ho una ragionevole certezza che i contenuti intrinseci del prodotto che realizzo e distribuisco siano tali da mostrare la sua efficacia in una maniera sufficientemente chiara, che motivo avrei di predisporre e facilitare prima ancora che inizi il gioco quella percezione e il plauso conseguente da parte del pubblico?

Forse solo perché tutti gli altri fanno così? O magari in quanto desidero fare in modo che certe cose siano date per scontate, ma senza che ci si accorga del trucco, dimodoché sia probabile vengano meno le fasi successive di verifica o le si esegua in una forma meno stringente? E nel caso, per quale motivo dovrei voler spianarmi la strada in modo simile, evitando per quanto è nelle mie possibilità che si facciano le pulci al mio prodotto e la sua eccellenza sia una certezza a priori?

Ecco perché sono instintivamente sospettoso e tendo proprio a evitare qualsiasi oggetto o prodotto conti su una forma di supporto, o per meglio dire di precondizionamento, del tutto impropria come quella descritta fin qui. Se va bene o persino meglio, o se altrimenti non è all’altezza, voglio essere io a deciderlo, sbagliando magari ma con la mia testa, il mio udito, la mia sensibilità e i miei gusti personali. Utilizzando i quali, oltretutto mi costruirò un’esperienza. Nel momento stesso in cui mi rendo conto che si sta cercando di influenzarmi affinchè accetti qualcosa, mediante l’aggiramento della mia volontà e del mio senso critico, m’irrigidisco e per conseguenza oppongo il mio rifiuto. Proprio perché c’è qualcuno che sta cercando di forzarmi ad assumere posizioni, a eseguire azioni o a fare scelte al di fuori della mia volontà.

Soprattutto, fa in modo tale da impedire che possa costruirmi la mia esperienza. Quella che un bel giorno, sperabilmente, mi renderà autonomo nel giudizio, invece di dover dipendere dalle valutazioni di qualcun altro, a loro volta influenzabili nei modi che sappiamo.

Un ultimo elemento di dubbio riguarda la capacità, da parte di chi sceglie denominazioni tanto altisonanti e suggestive a rilevare le implicazioni che ne derivano, in particolare per quel che va oltre la più banale superficialità.

Esaurito questo aspetto almeno per ciò che riguarda il DAC Asus, mentre la questione in un ambito più generale sarà approfondita in uno spazio appositamente dedicato, facendo finta che invece Xonar Essence la sua denominazione sia più neutrale passiamo alla verifica dell’oggetto. Da rilevare innanzitutto è che per quanto sia di dimensioni contenute, non si tratta della solita scatola di fiammiferi ma di qualcosa di più voluminoso. L’alimentazione del resto è contenuta all’interno del telaio e in funzione di un’altra serie di particolarità realizzative, difficilmente si sarebbe potuto compattare ulteriormente l’ingombro del DAC realizzato da Asus.

Osservandone il frontale, la prima impressione è che si sia fatto il possibile affinché l’acquirente potenziale ritenga di avere a disposizione per il suo tramite tutto quanto possa rivelarsi necessario anche nella più remota delle ipotesi. Innescando, in sostanza, una sorta di meccanismo simile al fasciarsi la testa prima di essersela rotta, approccio che in campo audio è ridiventato ormai prassi.

In questo mi sembra di rintracciare le linee di pensiero tipiche del processo regressivo che ha portato alla condizione definita da qualcuno, argutamente, di neoprimitivismo.

Per il suo tramite si procede alla cancellazione dei risultati, in primo luogo in termini di consapevolezza, cui si è pervenuti nel corso degli anni, o meglio dei decenni, per eseguire una sorta di loro azzeramento, tale da riportare le lancette dell’orologio a un periodo oscillante tra i quaranta e i cinquant’anni fa.

Giusto quando si riteneva che più il frontale di un’apparecchiatura era riempito di manopole e controlli, maggiore fosse il suo livello qualitativo. Modalità alquanto sbrigativa di suggerire all’osservatore ciò che si desidera pensi, ma soprattutto controproducente. Si basa appunto sulla realtà che ha preceduto la definizione del principio secondo cui maggiore è il numero di ostacoli che si disseminano lungo il percorso del segnale e più significativo è il degrado di quel che è presente ai connettori di uscita, in confronto a ciò che si trova invece all’ingresso.

Quel concetto è stato la conquista più importante e significativa di un’intera fase storica lungo la quale si è articolata l’evoluzione della riproduzione sonora amatoriale, che ha avuto per conseguenza il pervenire, finalmente, al passaggio da ciò che in seguito fu definito Medioevo al cosiddetto Rinascimento. Ossia a quel che ha dato vita all’epoca più felice ed espansiva della specialità di nostro interesse.

Proprio l’esordio del digitale, insieme a tutto quel che ha portato con sé, ha costituito la premessa con cui si è giunti alla sua fine, prematura. E di conseguenza allo stato di crisi irreversibile in cui è precipitato tutto il settore, riportandolo a realtà di nicchia dal fenomeno di massa che era diventato e sarebbe potuto tranquillamente rimanere.

A partire dal frontale del DAC Asus c’è tutto quello che si può desiderare: controlli di livello separati per il segnale inviato alle uscite di linea e alla cuffia, il pulsante di ricampionamento per il segnale dalla densità di dati “troppo bassa”, il selettore per gl’ingressi digitali, coassiale, ottico e USB. Vicino alla manopola del volume per le uscite di segnale c’è poi una serie di spie luminose, armoniosamente disposte a mezzaluna, ognuna delle quali segnala una frequenza di campionamento per il segnale in ingressso, da 44,1 kHz a 192, passando per i 48, 88,2, 96 e 176,4 kHz.

Più in alto di tutti, in modo che sia ben visibile, il led dedicato alla funzione bit perfect, definizione di portata ineguagliabile per simboleggiare il livello tecnico e sonoro senza pari del digitale. Se si prova a pronunciarla e magari a ripeterla per qualche volta, si comprende all’istante la sua capacità altrettanto rimarchevole, nel riempire la bocca come meglio non si potrebbe, predisponendo il cervello nel modo più efficace ai fini della sicurezza di star ascoltando nel modo più fedele che sia possibile. Non solo umanamente ma proprio a livello ultraterreno.

Del resto a fronte di un’asserzione tanto perentoria, rispetto alla quale la deificazione del bit e quindi della codifica digitale di cui è parte ha un’importanza per nulla marginale, chi avrebbe il coraggio non di dissentire, ma soltanto di dubitare?

Credere, obbedire, combattere, diceva quello. Va da sé a quel punto che il sistema uditivo non ha più motivo alcuno d’incertezza o titubanza: siamo al bit perfect e pertanto all’assoluto. Nulla è possibile di più o di meglio, per dogma divino.

Eccoci di fronte all’ennesima dimostrazione per la potenza della semantica e della sottile arte del raggiro che di essa può avvalersi quale strumento. Il suo simbolismo è impareggiabile, tale da associare a quel termine una sorta di onnipotenza, di onniscienza persino. Concetti genuinamente religiosi, che proprio nelle applicazioni legate alla tecnologia trovano il loro concretizzarsi più incisivo e convincente, così da mettere in luce la valenza del rapporto che intratteniamo con essa, appunto di nuovo culto, unico e indiscutibile.

Che non sia solo un elemento teorico ne abbiamo avuto dimostrazioni innumerevoli: in quante discussioni da social inerenti la realtà tecnica e sonora del digitale, nel momento stesso in cui qualcuno ha chiamato in campo il concetto del bit perfect, dubbiosi, dissenzienti e infedeli di varia natura si sono sciolti come neve al sole, insieme alle loro pretestuose e insolenti querimonie?

Al genio che lo ha inventato dovrebbero dare il premio Nobel: quello per le definizioni tecniche a scopo propagandistico, che dato il diffondersi o meglio lo straripare della materia sarebbe il caso di inventare.

D’altronde l’ideazione di quel termine non è andata forse a beneficio di tutta l’umanità? Ora che hanno il bit perfect, gli audiofili di ogni latitudine possono finalmente giungere alla pace dei sensi. Persino loro, che appartengono alla razza più incontentabile, rompiscatole e generatrice di dubbi esistenziali di portata storica che abbia mai poggiato piede sul suolo terrestre. Come quelli inerenti l’udibilità del sesso degli angeli e i suoi effetti sull’efficacia della riproduzione, con cui sono capaci di rovinare la loro vita e quella delle rispettive famiglie,

Quella dannata lampadina avrei fatto si che s’illumini d’immenso, permeando di beatitudine le sensazioni dell’utilizzatore, già all’accensione stessa dell’apparecchiatura. Non si capisce il motivo per cui Asus non ci abbia pensato: errore imperdonabile che denota la sua scarsa dimestichezza con il settore e la fauna che vive in esso.

D’altronde se di perfezione si tratta, non può che essere del tutto impermeabile alle condizioni d’impiego cui noi inferiori, in quanto umani e per conseguenza imperfetti, sottoponiamo i dispositivi che da essa sono qualificati.

Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, recitava un detto ancora in auge ai tempi della mia gioventù. Così il bit perfect, attivabile nell’impiego dei driver Asio durante la riproduzione eseguita per mezzo di macchine basate sul sistema operativo windows, proprio per questo si rivela quanto di meno perfetto si possa immaginare.

A iniziare dal suo obbligare all’impiego di un cavo di collegamento inadeguato, fattore esiziale ovunque si eseguano funzioni basate sul trasferimento di segnale per mezzo di un conduttore elettrico in carne e ossa. Le cui caratteristiche fisiche non possono che influenzare quel che passa al suo interno, tanto peggio più se della frequenza di qualche centinaio di MHz.

Un connettore USB non ha le caratteristiche necessarie, già a livello dimensionale, per poter essere abbinato a un cavo non dico adeguato a un sistema mirato alla perfezione, ammesso e non concesso che possa esistere, ma neppure a qualcosa che si elevi dalla stretta mediocrità. Eccoci di fronte, insomma, a una delle coniugazioni più efficaci dell’ulteriore presa in giro contenuta nella presa in giro primaria o principale che dir si voglia. O altrimenti a quello che si suole definire un testacoda concettuale.

Sul retro trova posto tutto quanto l’appassionato che si dedica al digitale possa desiderare: ingresso coassiale, ottico e USB, insieme a uscite di linea, anche bilanciate. Altro elemento, questo, in grado di fornire la più persuasiva delle rassicurazioni riguardo alla qualità del segnale. Tutti o quasi ne sono sicuri, ma nessuno si sofferma un attimo a riflettere su cosa comporti in effetti il loro impiego, in particolare a livello di amplificazioni, e men che meno sui motivi che hanno reso consigliabile la realizzazione di quell’accorgimento tecnico. Prima o poi occorrerà buttare giù qualche riga al riguardo.

Per ora ci limitiamo solo a rilevare che bilanciato è, per gli aspetti che ci riguardano più da vicino, sinonimo stesso di bit perfect. Tanto è vero che il solo pronunciare l’uno o l’altro dei due termini ha effetti rassicuranti, terapeutici persino,  di grande efficacia. Per non parlare di quelli uditivi, che non di rado assumono proporzioni persino prodigiose.

 

La dotazione del pannello posteriore comprende anche una presa IEC, in modo da permettere l’impiego di un cavo di alimentazione di maggiore efficacia rispetto a quello in dotazione.

 

Costruzione

L’Xonar Essence One non è una scatola di fiammiferi vera e propria, la sua realizzazione interna è comunque improntata a grande compattezza. Non può essere tale poiché alloggia nel telaio la sezione di alimentazione, risolta in manierà forse alquanto sbrigativa sia pure nell’impiego di un trasformatore toroidale di taglia adeguata.

Sorprendente è la scelta della componentistica, sulla quale il fabbricante non sembra aver lesinato, tuttaltro. Forse nell’atteggiamento tipico del nuovo entrato in un settore, che proprio per quel tramite cerca di compensare la sua poca rinomanza.

Non è assolutamente comune, infatti, trovare elettrolitici specialistici per le apparecchiature audio in prodotti anche molto più costosi di questo, utilizzati oltretutto in via esclusiva. Disseminati con generosità inoltre sono gli esemplari in polipropilene di produzione Wima: per quanto non siano questo miracolo insuperabile di sonorità, come invece si è fatto credere a lungo, sono comunque indicati quando si hanno a disposizione spazi limitati, come in questo caso.

Per altri versi si potrebbe prendere la cosa come un dispiego della potenza industriale del fabbricante, in grado di permettergli un utilizzo tanto generoso di componentistica dalla qualità siffatta, pressoché impossibile per chiunque altro.

L’ingresso digitale via USB è gestito per mezzo di un CM 6631, integrato ben noto e in pratica rimasto uno standard di fatto per molti anni per il formato 24/192. Il segnale presente agli altri ingressi perviene invece a un AKM AK 4113, altro integrato noto per le sue prerogative di efficacia, condivise del resto con un po’ tutta la produzione di Asahi Kasei. Si tratta di un marchio forse poco noto al pubblico amatoriale, abituato a sentir esaltare altri nomi nell’ambito del digitale e in particolare della conversione in analogico, più diffusi a livello di forniture OEM. Anche per l’economicità del loro prodotto, aspetto al quale i fabbricanti di oggetti finiti guardano sempre con grande attenzione. Poi, tanto, come vuole la prassi, quel che si trova si glorifica, per quale che sia, tanto un buon motivo lo si trova sempre. Giustappunto secondo la specialità in cui il Coro Degli Entusiasti A Prescindere trova il suo vero punto d’eccellenza, com’è doveroso riconoscere.

Il segnale proveniente dagli ingressi digitali transita poi attraverso un elaboratore SHARC, prodotto da Analog Devices, un 32/40 bit a virgola mobile, cui fa seguito la conversione D/A, affidata a una coppia di PCM 1795 di produzione Burr Brown,

Nel dominio analogico abbiamo innanzitutto gli operazionali Muse 01, caratteristici dell’Xonar Essence in versione Muses, cui si affianca il meglio della produzione mondiale, nello stadio di conversione I/V e poi nelle uscite analogiche vere e proprie.

Insomma, dei presupposti necessari affinché si possa apprezzare una riproduzione impeccabile del segnale digitale sembra vi sia dovizia. Fatta salva magari l’alimentazione, di cui abbiamo già detto, ma del resto per le apparecchiature di dimensioni ridotte è difficile, se non imposssibile, fare di più.

Essendo però la Natura beffarda, proprio per sua natura, nel momento in cui s’inizia ad ascoltare l’Xonar Essence One, e quindi una teoria in apparenza così promettente è chiamata a tradursi in realtà, i castelli di carta costruiti con quella su cui sono stampate le sue caratteristiche tecniche così lusinghiere crollano, inopinatamente.

Quel che colpisce fin dal primo istante è la povertà del messaggio sonoro, certamente pompato in misura idonea a quel che prescrive la normativa globale del cicì-bumbùm, ma privo di qualsiasi parvenza non dico di realismo, casomai si venga tacciati di pretendere troppo, ma almeno della capacità di attribuire al segnale in uscita almeno un’idea di completezza.

Oltre alle componenti dominanti non c’è sostanzialmente null’altro, che si tratti di dettaglio, di capacità di ricostruzione appena approfondita della timbrica dello strumento o delle informazioni di ambienza proprie della registrazione. Ne consegue una sonorità persino disarmante, che per quanto si smanetti sui diversi controlli e possibilità utilizzative dell’oggetto, non sembra avere alcuna intenzione di venire meno.

Quando ci s’imbatte in un comportamento del genere, in particolare per un DAC, viene fin quasi istintivo verificare cosa avviene se le sorgenti di cui viene utilizzato a completamento le s’impiega senza il suo tramite. Non solo un lettore CD e un DVD di fascia medio economica dimostrano di poter fare decisamente di meglio in sua assenza, ma persino con l’uscita cuffia del PC portatile, collegata direttamente all’ingresso del preamplificatore, si ottiene un risultato per alcuni versi più valido.

Forse non è altrettanto pompato, ma di sicuro più attento alle prerogative del segnale riprodotto, quantomeno per i suoi elementi di secondo piano, che poi sono quelli più direttamente correlati alla percezione di qualità sonora, specie se si ha un’idea almeno vaga di ciò che sia augurabile ascoltare.

In sostanza, allora, viene meno proprio il senso dell’utilizzo di un oggetto siffatto: tanto vale affidarsi direttamente al lettore CD o, peggio, al PC. Oltretutto il portatile utilizzato non è questo miracolo di tecnologia, ma un onesto esemplare di fascia media, risalente oltretutto a diversi anni fa.

La causa di un comportamento del genere, se lo si chiede, sta a mio avviso nell’aver voluto strafare, usando di tutto e di più di quel che è disponibile per la realizzazione di un prodotto siffatto. Proprio in quanto ci si è posti l’obiettivo di realizzare un qualcosa di assolutamente impeccabile, sotto ogni punto di vista, innanzitutto a livello tecnico.

Ne è conseguito probabilmente un percorso del segnale fin troppo irto di ostacoli, ognuno dei quali seppure plausibile tecnicamente e in particolare sotto il profilo teorico, produce in realtà un degrado sottile, magari impercettibile, ma che sommato a quello prodotto da ciascuno dei dispositivi che si sono inzeppati all’interno del telaio, volendo procedere secondo dettami ritenuti inappuntabili, dà luogo al risultato che ritroviamo di fronte a noi. Quello di una sonorità depauperata, frutto di una cancellazione efficacissima delle componenti del segnale più deboli, che in quanto tali non riescono a superare il processo di tosatura a partire dal basso, conseguente alle scelte tecniche intraprese.

A livello concettuale, i risultati ottenuti sono il frutto inevitabile del neo-primitivismo cui si perviene quando si decide che in nome della commerciabilità e della propagandabilità di un prodotto, elementi che trovano il loro terreno d’esecuzione migliore proprio sulla carta, si taglia definitivamente con le indicazioni emerse dalla fase storica nota come Rinascimento, ammesso e non concesso di esserne al corrente.

I loro effetti del resto avevano il limite maggiore proprio nella difficoltà a essere descritti dai parametri tecnici tradizionalmente utilizzati allo scopo, che dimostrano una volta di più la loro ingannevolezza.

Neppure si poteva contare sugli elementi di uso abituale per suggerire indirettamente l’eccellenza di un prodotto, mediante una ricchezza di dotazione tale da far immaginare una sorta di onnipotenza, che come la realtà si è poi incaricata di dimostrare, nella sua tremenda cocciutaggine, era del tutto immaginaria. Anzi aveva la sua tendenza più significativa a produrre l’esatto contrario di quel che si voleva far credere.

Quanto emerso in quella fase trovava il suo concretizzarsi esclusivamente nell’ascolto, ai fini del quale però era necessario fosse eseguito da individui in possesso di un minimo di educazione. Limite maggiore di quel tipo di concezione, presupponendo o meglio ancora necessitando di un pubblico dalla preparazione sufficiente a comprendere la raffinatezza sonica di un prodotto, cosa resa ancora più difficile dall’inesistenza di parametri oggettivi atti a riassumerne le peculiarità.

Molto più facile invece precondizionare il pubblico all’accettazione di quel che in sostanza sarebbe inaccettabile, proprio per mezzo dell’impiego degli strumenti disponibili con grande dovizia, pronti a sostenere qualsiasi cosa, anche la più fantasiosa e inverosimile ma facilmente dimostrabile con il solo impiego di un approccio di superficialità adeguata. Sia pure dissimulato dietro un armamentario tecnicistico roboante, dietro il compenso dei fatidici trenta denari e spesso anche molto meno.

Siamo di fronte pertanto all’esempio paradigmatico dei risultati cui si perviene secondo un determinato approccio: un oggetto sulla carta capace di tutto, ma che invece dimostra sul campo il non essere in grado di fare praticamente nulla.

Realtà amara conseguente alla sua inadeguatezza nello svolgere la sua funzione primaria, quella di convertire il segnale digitale, fornendo alle uscite un analogico dell’accuratezza necessaria.

Anche con l’ausilio del bit perfect e comunque nelle condizioni operative di alta definizione più favorevoli, l’Xonar Essence fa peggio di un convertitore di buona qualità cui sia fornito un MP3 appena decente. A questo punto, il resto del suo equipaggiamento non serve più a molto, essendo venuta meno la sua utilità pratica. E’ tuttavia indicato nella sua vera finalità, il far credere a ciò che non è.

Tanto poi chi se ne accorge? Seppure l’udito di un utilizzatore particolarmente pignolo si ritroverà al proprio interno qualche pulce, oltretutto corposa, ogni dubbio sarà fugato nel tempo più breve, sempre nel solito modo. Basta fare una semplice ricerca per trovare recensioni tutte immancabilmente positive, o meglio osannanti il prodotto mirabile realizzato dal colosso dell’informatica.

Per conseguenza l’utilizzatore dubbioso, talvolta a ragione, tenderà a pensare che i limiti da lui riscontrati risiedano nel proprio orecchio e non nell’apparecchiatura, essendo quest’ultima inappuntabile per antonomasia. Si tratta peraltro dello stesso meccanismo operante nei confronti del redattore reo di non apprezzare con tutto sé stesso uno qualsiasi tra gli oggetti che gli vengono affidati in prova: se si azzarda non dico a criticarlo, sia pure blandamente ma a trovargli qualche punto debole, peggio che mai a ragione, non si vedrà mai più affidare apparecchiature dello stesso marchio. Perché in tutta evidenza non gli piacciono.

Sistema ricattatorio e come tale efficacissimo alla produzione di commenti centrati esclusivamente sul superlativo assoluto e sullo spara per primo, spara più in alto, in funzione del principio che se qualcosa non va è sempre colpa dell’udito di chi ascolta. Che è inadeguato per definizione, quindi meritevole di censura ma soprattutto non all’altezza di cotanto miracolo della tecnica moderna.

Essendo evidentemente perfettissimo, per dogma divino, tutto quanto viene offerto dall’industria di settore.

Così è dimostrato anche il vero scopo, di quelle recensioni e del sistema di comunicazione che si occupa di produrle e diffonderle su scala industriale: permettere la messa in commercio apparecchiature oggettivamente inadeguate, facendole passare sempre e comunque come il meglio del meglio, mortificando allo scopo qualsiasi inclinazione dell’appassionato all’individuazione e al desiderio di una qualsiasi musicalità.

Ovviamente anche quello ha il suo costo, ma niente paura: ogni singolo esemplare ne verrà caricato per la sua quota parte, di cui si farà carico l’acquirente che di fatto si ritroverà a pagare in prima persona, e in denaro sonante, la presa per i fondelli di cui è fatto bersaglio.

Il capitalismo reale funziona così, anche se c’è chi detesta sentirselo raccontare. Anzi, se vogliamo è proprio questo il suo aspetto più affascinante, la capacità intrinseca di mettere riparo a qualsiasi porcheria. Più è grossa e meglio è, e come se non bastasse ne fa pagare il fio non a chi la mette in atto, ma al suo destinatario. Provvedendo poi a delegittimarlo e a creargli una serie di tare e di complessi che lo influenzeranno per il resto della sua vita.

Ecco perchè è mille volte più raccomandabile sorbirsi senza fiatare la minestra che passa il convento e anzi giurare innanzitutto a sè stessi che è il meglio si possa desiderare, per poi gridarlo ai quattro venti, per social, forum e aree di discussione pubblica, che del resto sono stati inventati proprio allo scopo.

Quel che emerge, da tutto questo sistema e dai suoi metodi operativo-funzionali, è la violenza, estrema e priva di ogni remora, atta innanzituto a calpestare la dignità dell’individuo, che ne è la base funzionale e non esita a scatenare contro chiunque osi metterne in discussione i meccanismi e i frutti che ne derivano.

Se le cose stanno in questo modo, inutile chiedersi come mai chi ha realizzato un prodotto nella veste siffatta non lo abbia sottoposto a un esame pratico, inerente appunto il suo ascolto da parte di personale all’altezza, come vorrebbe la narrazione tradizionalmente legata al processo di delibera di una qualsiasi apparecchiatura destinata alla riproduzione sonora.

In realtà non è detto assolutamente che non lo si sia fatto. Più probabile invece che l’incaricato di tale compito, sapendo chi avrebbe pagato la sua parcella e quali sono i suoi desideri, per nulla difficili da indovinare, abbia fatto del suo meglio per dargli soddisfazione. Accortezza più efficace in assoluto per farsi una reputazione, affinchè la richiesta per le sue prestazioni professionali sia assicurata per i tempi a venire.

Dunque è sempre bene pensare positivo, come diceva anche quel cantante con la zeppola, improbabile e finto come una banconota da 7 euro ma tanto corretto politicamente e dal punto di vista ideologico. Non a caso è stato chiamato al sacro soglio del Bilderberg, cosa di cui ha fatto persino vanto, ponendo una volta di più in evidenza tutta la sua inadeguatezza a livello cognitivo ed esistenziale.

Quello slogan del resto, fatto passare per canzone e quindi opera d’arte, è solo la coniugazione adattata alla neolingua attuale di un detto che risale ai tempi delle gerarchie nobiliari.

Tutto va ben, madama la marchesa. Non è solo un motto, ironico nei confronti del conformismo che assume connotati sempre più spudorati e proprio per questo va cancellato dalla percezione comune, lasciando andare nel dimenticatoio la sua stessa definizione affinché non si possa neppure più costruire un pensiero al riguardo, ma una legge. Non scritta e proprio per questo tanto più efficace nei suoi effetti e soprattutto irriformabile. Dato che la si può cercare finchè si vuole, per tomi e archivi, ma non la si troverà mai. Essendo marchiata a fuoco nelle menti dei suoi destinatari, ignari, che in quanto tali ne applicano il dettato senza neppure rendersene conto.

 

 

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4 thoughts on “Asus Xonar Essence One

  1. Io ho questo Dac\Pre da più di dieci anni. E’ ad oggi l’hub principale di un sistema composto da Meccanica CD – predac – diffusori attivi monitor. Sinceramente negli anni ho sentito sicuramente di meglio, ma anche molto di peggio. L’articolo è ben scritto, ma l’hai demolito troppo. La situazione è decisamente migliore rispetto al quadro che tu dipingi.

    1. Ciao Luca,
      grazie della testimonianza.
      Di sicuro c’è anche di peggio di quell’oggetto, ma in questa sede l’attenzione è rivolta ad apparecchiature che valga realmente la pena di ascoltare e di inserire in impianti in grado di ottenere un livello prestazionale se possibile esente da mediocrità eccessive.
      Se non nella loro veste originale, almeno in quella ottimizzata.
      Quell’Asus, purtroppo, non sente nemmeno gl’interventi volti a migliorarlo, se non in misura marginale, sintomo inequivocabile di un oggetto caratterizzato da tare evidentemente irrisolvibili.
      Poi con altrettanta evidenza le valutazioni di livello personale non possono che essere espresse in funzione dei parametri che ci si è costruiti e delle esperienze che si sono fatte.
      Quindi mi spiace di aver deluso le tue attese, ma purtroppo l’oggetto di tuo interesse tale è e tale rimane: valido per un ascolto senza pretese ma del tutto inadatto a figurare in impianti che abbiano nelle loro corde almeno qualche aspetto degno di essere ricordato.

      1. Grazie della risposta anzitutto, non hai deluso affatto le mie attese nel senso che come dici tu ed io semplifico, ognuno è frutto del percorso che ha alle spalle. Se posso fare due ipotesi ulteriori, possibile che tu abbia avuto tra le mani un unità malfunzionante o fallata ? ipotesi numero due, quello che ho notato io è che il dac migliora sensibilmente in resa quando è collegato in ottico ed in coassiale, hai provato a sfruttare adeguatamente tutti gli ingressi ? Infine per quanto riguarda i miei attuali metri di paragone, il mio attualmente è un rega dac R e sinceramente faccio fatica a fare una scelta tra i due in quanto a piacevolezza.

        1. Ciao Luca,
          la risposta alla prima domanda è no, anzi nel momento in cui è stata ottimizzata si presume che fosse migliore di quelle originali in maniera percettibile, come ha poi dimostrato il suo ascolto.
          Quanto alla seconda, forse non ti sei reso bene conto del significato di quello che hai scritto, quindi meglio lasciar cadere.
          In merito alla terza le cose sono due, o quel Rega è altrettanto deficitario oppure l’impianto cui sono stati collegati i due oggetti è origine di limitazioni tali da non permettere l’emergere di eventuali differenze, qualora ne esistano.
          So che diventa ogni giorno più difficile, ma forse un domani in cui potresti aver avuto modo di fare determinate esperienze, ti sarà possibile inquadrare meglio i limiti di oggetti che oggi ti appaiono inappuntabili.
          Le difficoltà crescenti giorno dopo giorno riguardano anche quelle inerenti il comprendere punti di vista diversi dai propri e a considerare la possibile limitatezza dei parametri su cui ci si basa e l’eventualità di una maggiore conoscenza da parte di altri.
          L’impressione, sempre più marcata, è che oggi tutti siano convinti di conoscere tutto e nulla pertanto si abbia da imparare, per poi agire di conseguenza.
          Un tempo invece, quando ci si trovava dinnanzi a qualcuno che era implicito e a volte persino inevitabile ne sapesse più di noi, si stava in silenzio, per ascoltare quel che aveva da dire e possibilmente imparare qualcosa.
          E’ così che tanti della mia generazione si sono resi meno difficoltosa la strada che li ha portati a diventare quello che sono, per quel poco o tanto che possano aver realizzato.
          Oggi questo sembra diventato impossibile, non solo per i più giovani ma anche per chi ha un’età tale da avergli permesso di fare determinate esperienze.
          I motivi di questo stato di cose devono per forza risiedere in una o più tra le differenze, per concezioni, stili di vita, stimoli esterni e strumenti di cui ci si serve tra allora e oggi.
          A mio modo di vedere per quel tramite si è costruita una gabbia, atta a far si che chi si trova immobilizzato al suo interno non possa più sfuggire, così da contribuire in eterno, volente o nolente ma più spesso a sua insaputa, ai fatturati di una molteplicità di sistemi che in caso contrario vedrebbero diventare molto più complesse le possibilità del loro mantenimento in vita e della loro espansione.
          Di tutto questo ho parlato incidentalmente nell’ultimo articolo pubblicato, che malgrado la sua lunghezza t’invito a leggere e, se possibile, a riflettere sui suoi contenuti.
          Un caro saluto

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