Pollai audiofili, Disneyland e il paradosso di Dunning-Kruger

Nel momento in cui un qualsiasi comparto merceologico pone in evidenza capacità di penetrazione commercialmente interessanti, in breve va a svilupparsi la creazione di tutta una serie di prodotti mirati, specialistici, pensati apposta per gli utilizzi della particolare clientela che vi è interessata.

Così, col tempo anche i prodotti per gli appassionati di riproduzione sonora, nel frattempo ribattezzati audiofili secondo un neologismo di pessimo gusto, una volta che il loro numero ha oltrepassato il livello di soglia critica sono andati via via moltiplicandosi. Prima le apparecchiature, caratterizzate da soluzioni specifiche, necessariamente diverse da quelle degli oggetti destinati al grande pubblico, poi le registrazioni, o forse viceversa, di seguito i cavi e gli accessori. L’affare dev’essere sembrato redditizio e così si è provato ad ampliarlo ulteriormente. Sono arrivate le magliette, poi i cappellini, i distintivi, i teli da mare con sopra i vu meter colorati del blu dipinto di blu e infine i pollai.

Per quanto potesse sembrare inverosimile, a priori, questi ultimi non solo hanno mostrato capacità di penetrazione insospettabili, ma persino una loro utilità, al punto che ormai l’intero sistema commerciale che ruota attorno alla riproduzione sonora non può più farne a meno.

Al riguardo devo ammettere che a volte non mi riesce di resistere alla tentazione di leggere i commenti in qualche discussione che ha luogo in quelle sedi, riguardante i vari aspetti legati alla riproduzione sonora. Il più delle volte tirano in ballo le questioni relative ai cavi, peggio che mai quelli destinati alle alimentazioni e al segnale digitale, oppure alle condizioni di contorno, seppure sia compresa la loro esistenza, e alla possibilità di migliorare il comportamento delle apparecchiature da cui è composto l’impianto.

Sembra impossibile, eppure su queste tematiche, come del resto per tante altre, il confronto delle idee produce un effetto inverso a quel che ci si aspetterebbe. In genere gli viene attribuita una capacità di crescita, delle esperienze e della loro condivisione, le cui tracce però si stenta a trovare. Viceversa un numero di persone che dall’esterno sembra in crescita perenne assume posizioni regressive, reiterando fino alla nausea questioni analizzate mille e mille volte, opponendovi immancabilmente gli stessi pseudo-concetti. Non solo erronei, ma tali da denotare la mancata comprensione, sia pure a grandi linee, del livello più elementare dei fenomeni riguardanti la riproduzione sonora.

A queste persone non se ne può fare una colpa, innanzitutto perché non ci sono più, se mai sono esistite, fonti diffuse a sufficienza e dotate del minimo di autorevolezza che spieghino loro almeno i rudimenti della materia. A partire dai quali, armandosi di buona volontà e a patto di non aver abdicato all’utilizzo della materia grigia, si può pian piano acquisire una visione un tantino più approfondita della specialità. Osservando le loro reazioni, tuttavia, viene da pensare che se anche quella crescita esistesse, in presenza di un qualche meccanismo atta a favorirla, ne rifiuterebbero a priori coordinate ed elementi conoscitivi, in quanto andrebbero a cozzare in maniera troppo dura contro i loro pregiudizi, forgiati in mesi e forse anni di disinformazione particolarmente solida, il cui martellamento è avvenuto senza requie.

E’ anche vero, d’altro canto, che anche chi avrebbe il compito di fare chiarezza non ne è stato capace innanzitutto con sé stesso. Alquanto improbabile allora che vi riesca nei confronti di qualcun altro.

Le fonti di cui sopra inoltre usano da tempo pescare in quel brodo di coltura tanto disastrato il personale cui demandano la stesura dei testi cui molti appassionati vanno ad attingere, coi risultati che è facile immaginare.

Come se non fosse già più che abbastanza, spesso ho potuto osservare come i responsabili di alcuni gruppi social dedicati alla riproduzione sonora adottino una politica di moderazione che per carità di patria definisco stravagante, ma in concreto produce danni incalcolabili. Laddove si affrontano i temi più caldi, si verificano le contrapposizioni più accese, con illazioni, lanci di accuse e persino di epiteti o altre simili amenità, loro cosa fanno? Chiudono direttamente la discussione o addirittura la cancellano.

In questo modo fanno in tutta evidenza il gioco dei guastatori in servizio permanente effettivo, i quali sovente riuniti in squadracce, almeno è ciò che appare, sembrano ormai sapere perfettamente che proprio quelle sono le conseguenze dei loro assalti. In sostanza, allora, ogniqualvolta non desiderano si affronti un determinato argomento, o non gradiscono la piega che prende la discussione al riguardo, gli è sufficiente buttarla in caciara, cosa di cui hanno fatto la loro specialità – con risultati eccellenti, va riconosciuto – disseminando in modo capillare le loro provocazioni e le argomentazioni ingannevoli di cui si fanno latori. Immancabilmente la discussione viene bloccata e l’ultima parola è sempre la loro.

Per quanto mi riguarda, ritengo improbabile che i responsabili della moderazione non comprendano gli effetti concreti di quelle azioni e della loro risposta ad esse.

Invece di chiudere gl’interventi e/o cancellare le discussioni, esercitando di fatto una forma di censura tanto grossolana quanto controproducente, per non dire altro, forse sarebbe più giusto che siano gl’interventi sopra le righe, offensivi e fuori contesto a essere rimossi, insieme a chi li ha inviati, ma così non è.

Da tempo il fenomeno è osservabile, più complesso è comprenderne i motivi. In seguito al suo costante ripetersi sono giunto alla conclusione che ciò avviene perché gli amministratori sanno perfettamente che se operassero con minore grossolanità i gruppi che controllano rischierebbero di perdere visibilità e iscritti, che di fatto sono il loro fine concreto. Del resto in quelle sedi del numero degl’iscritti si fa vanto costante e dimostrazione di primato. Su tali elementi si giocano il lustro e la produttività di quei gruppi, dunque ci si guarda bene dal tenere a bada i provocatori, ai quali si lascia sostanzialmente campo libero, preferendo invece la censura delle idee e degli argomenti. Questo peraltro non sembra dare fastidio alla massa, dato che non si coglie traccia di lamentela.

Iniziative del genere si sono mostrate da subito ben funzionali sotto l’aspetto della comunicazione. Anche se poi, alla lunga, non hanno potuto che evidenziare la loro valenza concreta, agli occhi di chiunque abbia la volontà di osservarla. Non appare dissimile da quella che hanno avuto certi movimenti politici in apparenza rivoluzionari: all’inizio si è lasciato credere fossero sorti spontaneamente, dal popolo per il popolo, così da avere un successo tanto istantaneo quanto imprevedibile. Alla resa dei conti si sono dimostrati lo strumento più efficace per la canalizzazione e la neutralizzazione del dissenso, alfine di affermare le volontà di potere nelle mani di uno sparuto gruppo di oligarchi, che difficilmente avrebbero potuto immaginare qualcosa di meglio per stringere ancor più le redini sul resto dell’umanità.

Non a caso, proprio dai governi espressi da quei movimenti, e da quelli che vi hanno fatto seguito, sono scaturite le misure più liberticide e tirate per i capelli sotto il profilo della legalità, già a partire dalla gerarchia delle fonti, che mente umana possa ricordare.

Qualcuno potrebbe sostenere sia stata colpa del caso, proprio come per puro caso le condizioni della comunità costituita dagli appassionati di riproduzione sonora sono oggi le peggiori storicamente mai verificatesi.

Chi si è visto chiudere nel modo descritto prima la discussione, aperta in buona fede, con ogni probabilità andrà prima o poi a riaprirla. Proprio così si dà vita ai pollai in cui lo starnazzare aumenta esponenzialmente a ogni passaggio e di conseguenza il chiasso e i polveroni, che evidentemente piacciono e attraggono secondo la stessa dinamica per cui risse e incidenti d’auto richiamano frotte di sfaccendati perché lo spettacolo è troppo interessante affinché lo si possa perdere.

Si pongono così in evidenza almeno due aspetti: il primo è che, come sempre avviene, preso di per sé il numero è quanto di più ingannevole esista, malgrado una quota rilevante del pubblico che segue le attività di quei gruppi lo ritenga elemento alla base di verità assolute e inoppugnabili. Il secondo è che di fatto quei gruppi malgrado traggano dalla riproduzione sonora il motivo della loro esistenza, in concreto arrecano danno incalcolabile ad essa e al pubblico che vi è interessato.

In questo il loro destino appare indistinguibile da quello della stampa specializzata e dei siti che da tempo ne hanno preso il posto.

In quelle sedi, tuttavia, esisteva una forma di controllo, che fino a un certo punto ha impedito di trascendere oltre certi limiti. Anche se poi, per motivi più che altro di ordine politico, ai rottamatori, ossia quelli che hanno operato affinché si mandassero in discarica la logica, la ragione, il buon senso e persino i frutti dell’esperienza, non solo è stato lasciato campo libero ma addirittura sono state fornite loro una spinta e una visibilità tali da fargli assumere ruoli del tutto fuori luogo ma evidentemente in linea con la direzione verso cui si è voluto sospingere il settore. Propedeutici soprattutto, e con efficacia impareggiabile, a sdoganare e poi a far dilagare il malcostume di cui ora vediamo gli effetti di medio-lungo termine.

Il tutto secondo il principio delle “finestre di Overton”: ancora una volta quel che avviene nel piccolo mondo della riproduzione sonora, che da sempre fa del suo meglio per ridursi proprio all’infimo, trova in seguito applicazione su scala ben più ampia e talvolta globale.

Ovvio che in tali condizioni non possa esistere crescita alcuna ma solo regresso, sempre più diffuso per la legge che da sempre favorisce le argomentazioni sballate e superficiali, in quanto più semplici e soprattutto meno faticose da assimilare e poi da attuare, che a quel punto basta ripetere con convinzione e frequenza adeguate per trasformarle in verità inattaccabili.

 

Mondo Disneyland

Qui s’innesta il cosiddetto effetto Disneyland, così definito perché simile a quello prodotto dai parchi di divertimenti così smisurati, per estensione e popolarità, e di conseguenza anche nei loro costi di allestimento, che se a suo tempo li si è affrontati dev’essere stato per più di qualche buona ragione. Probabilmente è la stessa per cui ogni canale mediatico di qualche visibilità li ha pubblicizzati fino a imporli per quello che sono nell’immaginario collettivo dell’intero occidente.

La loro capacità più interessante, per l’osservatore terzo, e probabilmente per chi li ha ideati e gestiti, è che con un opportuno pre-condizionamento è possibile portare le persone a credere in maniera più o meno consapevole che l’intero mondo sia fatto a immagine e somiglianza di quei luoghi, che quello da essi costituito sia l’ideale verso cui tendere nelle proprie aspirazioni di vita e soprattutto a farle vivere permanentemente in uno stato mentale del tutto simile a quello che si verifica quando ci si trova in quei luoghi.

Ne deriva in sostanza una condizione che impedisce non solo di comprendere la realtà in cui si vive in effetti, ma persino il fermo rifiuto di prendere atto di un qualsiasi elemento tale da far sorgere il dubbio che le cose non stiano esattamente nel modo desiderato. A tale proposito il sistema che ha operato col fine d’imporre quell’ideale ha fornito un completo arsenale di elementi atti al rifiuto dei tutto quanto è indesiderabile, fatto di vocaboli e concetti azionati sullo stesso principio del cane di Pavlov, recepiti col massimo entusiasmo perché il sogno è bello e nulla di peggio può esistere di qualsiasi elemento possa disturbarne la prosecuzione.

Di qui il dilagare nell’utilizzo quotidiano di parole come complottista, visionario, negazionista e soprattutto negli ultimi tempi No-qualsiasi cosa. Definizione alla quale il gregge umano condotto con criteri zootecnici ha imparato spontaneamente ad attribuire in automatico, ossia senza forma alcuna di discernimento o ragionamento, la rinuncia al quale rende sempre più faticoso e remoto anche il solo immaginare d’impegnarsi in esso, il connotato dispregiativo e di indesiderabile ritenuto opportuno colà dove si puote.

Ora, quale orientamento si può avere, quale indirizzo di vita o di ideali ci si può attribuire, quale consapevolezza temporale si può acquisire per proiettare la propria azione nel futuro in funzione della propria condizione del tempo presente e dell’esperienza acquisita in passato, che per mettere a frutto occorre mettere nella giusta prospettiva, se neppure si ha una pallida idea della realtà in cui ci si trova?

In sostanza si rimane in balia degli elementi, senza neppure l’ombra di uno strumento, prima di tutto a livello individuale, atto a mantenerci in una qualsiasi direzione, per quale che sia, improntata a una qualche coerenza. Si è così privati della capacità di assumere ogni prospettiva, calati come si è più o meno consapevolmente in un eterno presente, che nel settore di nostro interesse è costituito dalla heavy rotation in stile radiofonico, ossia dal bombardamento mediatico eseguito a ritmi crescenti e sempre più forsennati. Non di brani predestinati a primeggiare nella classifica dei “dischi caldi”, ma di apparecchiature che dato il loro moltiplicarsi, insieme a quello delle categorie in cui sono comprese, non possono che essere sempre più inflazionate, quindi svuotate di valore e uguali le une alle altre, nel loro concreto.

Si differenziano rispetto a quelle che le hanno precedute per due aspetti principali. Il primo è il costo, in crescita esponenziale e sempre più dissociato dalle dinamiche retributive, già indirizzate a suo tempo verso un regime di caduta libera, la chiamano moderazione salariale, dal quale non si sono mai risollevate. Dopodiché sono state ulteriormente falcidiate da un’inflazione risvegliata per mezzo di una serie di accadimenti opportunamente calcolata, ma fatti apparire come inevitabili alla vista di quanti sono stati messi nell’impossibilità di comprendere persino dove si trovino mediante la favola dell’uomo nero. Appositamente utilizzata in età infantile affinché vi si creda anche e soprattutto da grandi.

La condizione attuale è tanto peggiore rispetto al passato perché non esistono più meccanismi di equiparazione del salari ai livelli di inflazione, come la cosiddetta scala mobile, ideati per compensarla e poi aboliti iniziando dagli anni 80 perché accusati di generarla, per mezzo di un’inversione plateale del rapporto tra causa ed effetto. Allora tutti o quasi vi hanno creduto, in quanto ripetuto dai media con forza e frequenza sufficienti, tale da trasformare la baggianata in verità. Oggi che quei meccanismi non esistono più, si vede come tale accusa fosse priva di ogni fondamento. In realtà l’inflazione la si scatena a piacimento coi mezzi più disparati ogniqualvolta si desidera abbattere il valore reale dei salari. Innanzitutto agendo sul costo dell’energia, il resto arriva a cascata.

I suoi effetti aumentano la loro efficacia quando la si fa seguire a una lunga fase deflazionistica, per mezzo della quale la dinamica salariale ha subito una forte compressione.

A suo tempo fu sostenuto da tutte le fonti allineate che la deflazione salariale era necessaria al sistema-Paese in conseguenza dell’entrata in vigore della moneta unica. Questa in sostanza obbligava a spingere al massimo sulle esportazioni, condizione che a sua volta presupponeva il contenimento del costo delle merci da esportare, appunto per mezzo dell’abbattimento del valore delle retribuzioni. Si è così prodotto un miglioramento sensibile della bilancia dei pagamenti italiana, relativa al commercio con l’estero.

Nel momento in cui si è voluto aderire alla guerra per procura combattuta dall’Ucraina, inviando le armi “necessarie al mantenimento della pace” e aderendo ai ripetuti pacchetti di sanzioni comminate alla Russia dai Paesi NATO, la bilancia dei pagamenti è diventata all’improvviso sacrificabile. Quindi il frutto di anni e anni di sacrifici dei lavoratori italiani lo si è dilapidato, passando nel giro di un anno da un attivo di quasi 18 miliardi di euro a un disavanzo poco sotto i 15.

Il secondo elemento di differenziazione è l’estetica, resa sempre più dominante nei confronti di qualsiasi altro aspetto, così da rendere meglio giustificabile l’aumento di prezzo arrivato a livelli peggio che scandalosi, nei confronti del quale il disorientamento delle folle è arrivato al punto tale da far scrivere ai decerebrati di turno, che a loro volta agiscono da decerebratori compulsivi nei confronti altrui, che chi se li può permettere è giusto e sacrosanto che li acquisti e se non si è d’accordo è solo per una questione d’invidia.

Si elimina così ogni possibilità di critica, di senso della misura non vale nemmeno più la pena parlare e ancor meno di buon gusto. La cosa più inverosimile è che questo “ragionamento” sia ormai accettato senza porsi alcun dubbio e nessuno abbia più la forza o solo il coraggio di opporvisi. Ne mancano gl’ingredienti atti allo scopo, di ordine etico e sociale, essendo ormai venuta meno ogni concezione valoriale, prima ancora che di classe, proprio in conseguenza della mancata esperienza di vita o meglio della capacità di trarne una dal proprio vissuto personale.

Conseguenza tipica dell’eterno presente di cui abbiamo parlato poco fa.

Temo però che più di tutto sia la paura, o meglio il terrore, di uscire dal confortevole flusso della massa plaudente, e peggio d’impattare contro la teoria dell’esistenza commerciale, facendo la figura dei falliti che non sono neppure capaci di spendere per il nuovo finale balzato sulla cresta dell’onda una somma pari o superiore a quella che qualsiasi individuo dotato di un residuale barlume di buon senso destinerebbe all’acquisto di un’abitazione.

Qui si apprezza tutta la cruda abiezione del ricatto eseguito a livello etico e sociale su masse ormai inebetite e ridotte a un corpo inerte, come tale privo della capacità di una qualsiasi reazione: prima s’instaurano le condizioni per cui la rarefazione del denaro circolante divenga sempre più esasperata e del tutto rimossa da determinati circuiti sociali, i soli cui abbiano accesso i più, oltretutto in numero sempre crescente. Dopodiché s’instillano nell’immaginario di chi si è visto sottrarre ogni strumento di critica innanzitutto di ordine sociale quelle che di fatto sono imposizioni al consumo più sfrenato e privo di logica, quale sinonimo di successo, a sua volta imposto come doveroso altrimenti si è dei perdenti, che nelle condizioni date non possono che essere portate a compimento mediante il corrompere, il derubare e lo sbranare il proprio simile. Per il sommo gaudio di chi, privo di qualsiasi remora, dalla sua balconata posta a una distanza di sicurezza che si trova sempre più fuori portata si gode lo spettacolo. E per effetto di esso vede moltiplicarsi il potere che è in grado di esercitare a ogni istante che passa.

Questo gioco al massacro ha oltrepassato ormai da tempo il punto di non ritorno. Quindi non esiste più una qualsiasi possibilità di compromesso, proprio perché è stato portato alle sue conseguenze estreme. Non certo da parte di chi si trova costretto a subirlo, che ha la sola colpa di non aver reagito per tempo, con l’energia e l’unità necessarie. Di conseguenza è ormai il noi o loro: prima se ne prende atto e più saranno le persone di buona volontà che riusciranno a salvarsi. Dal tritacarne globale, che prima dei corpi provvede come necessario a triturare i cervelli.

“Nell’epoca del Kali Yuga la frode sarà la norma. […] Le persone saranno bugiarde e peccatrici. Non rispetteranno la Tradizione. Gli ignoranti saranno al governo ed opprimeranno i Sapienti. Essi pretenderanno inoltre di essere Maestri. E, orrore degli orrori, la gente comincerà a credere in questi fraudolenti maestri” (1).

“Nel Kali Yuga le persone non avranno la conoscenza delle scritture. L’eloquenza sarà scambiata per sapienza. Solo coloro che sapranno approfittarsi degli altri saranno reputati intelligenti (2)”.

“Il diritto starà nella forza e l’uno all’altro saccheggerà la città. Né il giuramento sarà rispettato, né lo sarà chi è giusto o dabbene; piuttosto l’autore di mali e l’uomo violento rispetteranno; la giustizia sarà nella forza e coscienza non vi sarà; il cattivo porterà offese all’uomo buono dicendo parole d’inganno e sarà spergiuro (3).

1– Kurma Purana: 23

2- Visnu Purana:3.6

3- Esiodo: Le opere e i giorni

Leggendo questi passi con la mente sgombra dalla mitologia permeata dalle sorti magnifiche e progressive che definisce la modernità nel suo insieme, non è difficile rilevare che quanto vi è descritto assume i tratti di una cronaca della nostra epoca.  In essa, per quella parte del mondo che, un tempo, si riteneva essere il faro della civiltà destinato ad illuminare la restante parte del globo, è ormai scomparso un qualsiasi barlume di pensiero dotato del minimo di contenuto e di logica. Per non parlare di cultura, tradizione e costumi, sedimentati nei millenni, che costituiscono l’identità e insieme l’eredità dei popoli. Di tutto ciò non rimane più nulla, soppiantato dai due elementi che costituiscono gli assi fondamentali dell’esistenza concepita e concepibile al giorno d’oggi: consumo e predominio, spinti a una forza di penetrazione e di pervasività talmente invincibile e assoluta che più nulla è possibile immaginare che non sia in relazione ad essi.

Se queste sono le premesse, è giocoforza che l’effetto Disneyland applicato alla riproduzione sonora, come pure a qualsiasi altro settore commerciale, abbia conseguenze evidenti sugli individui presso cui si dispiega. La prima di esse è inevitabile per chi ormai non ha più neppure la consapevolezza del luogo e del tempo in cui si trova, pertanto non comprende la realtà dell’ordinamento capitalista in cui volente o nolente si trova immerso fin dalla nascita e tantomeno dell’esistenza delle leggi ferree che lo regolano.

Dunque, come per un’opera di benevolenza divina, tutto quanto ha a che fare con l’oggetto della sua passione, o solo del suo interesse, viene a essere svincolato da esse ed esiste unicamente in funzione, appunto, della sua passione. E poi della necessità, da parte sua, o di quello che vede come un dovere da parte del fabbricante, e per conseguenza come un diritto di carattere ereditario in capo a sé stesso, di soddisfarla.

Per questo esistono secondo lui le apparecchiature, gl’impianti e tutto quanto ad essi ruota attorno. Nulla di strano pertanto che in questa concezione para-religiosa, da cui come sempre è intriso ogni elemento abbia a che fare con la modernità e quindi con il cosiddetto progresso tecnico e scientifico, il suo rapporto con tali oggetti e con tutto il sistema industriale e commerciale ad essi necessario assuma contorni indistinguibili dall’idolatria.

Anche questa per forza di cose ha le sue leggi, la prima delle quali è relativa all’ortodossia che a sua volta produce la realtà relativa agli infedeli e la conseguenza necessità di fare quadrato coi propri correligionari al fine di combatterli senza quartiere, secondo una logica inerente la suddivisione per marchi, soluzioni tecniche e classi di appartenenza: quanto basta per generare lotte intestine tali da rendere sempre più inattaccabile il predominio di chi controlla il settore nel suo insieme, secondo il principio del divide et impera.

Se ogni apparecchiatura è realizzata non per trarne un profitto, anche solo quello necessario alla sopravvivenza di chi l’ha pensata e poi costruita e venduta, ma per il diritto ancestrale del suo utilizzatore a soddisfare la propria passione, va da sé che non possa essere altro che perfetta, e come tale non migliorabile. Dunque ciascuna delle soluzioni presenti al suo interno è perfetta e immutabile per definizione. O meglio, per legge divina.

Di conseguenza, chiunque ritenga di poter migliorare sotto qualsiasi aspetto quel prodotto già perfetto compie il peccato di sacrilegio, a seguito di un atto inemendabile di superbia, che è appunto il più grave tra i peccati capitali e come tale va sottoposto alla pubblica gogna, meglio se di tipo mediatico, e tacciato di essere un visionario megalomane. Paradossalmente, da chi della megalomania applicata all’impianto di riproduzione sonora ha fatto il proprio credo.

Solo in tali condizioni d’altronde si può credere di essere più bravi, intelligenti e creativi dei progettisti del famoso marchio XY o KZ, che magari è gente che rimastica da tempo immemore lo stesso progetto apportandovi variazioni di dettaglio che spesso fanno più danno che altro, ma sono innalzati allo stato di semi-dei dalla folla osannante. Giusto il contributo dei media di settore. tra le cui specialità migliori c’è appunto quella di far credere all’inverosimile i loro seguaci, che dal canto loro per quel servigio hanno pagato per decenni la dovuta quota mensile.

Dunque è la perfezione stessa di quel prodotto, indubitabile per dogma evangelico, a far si che non abbia bisogno di nulla per esprimersi al meglio, tranne che di un contatto per quale che sia, con la rete di distribuzione elettrica e con gli altri componenti dell’impianto. Del resto il passaggio degli elettroni e quindi della corrente elettrica e del segnale è notoriamente opera dello Spirito Santo e come tale non è possibile influire su di esso in modo alcuno.

Animati dal sacro fuoco della passione, a quello che di fatto agisce come un guardiano di un’ortodossia farneticante applicata alla riproduzione sonora, non passa manco per l’anticamera del cervello che il prodotto da lui posseduto, e per conseguenza idolatrato nei modi che abbiamo visto, per essere commercialmente percorribile debba rispondere a una serie di necessità. Inerenti innanzitutto l’esistenza di un margine tra il prezzo di vendita e la somma di quelli di produzione, distribuzione e comunicazione, e poi quelle che riguardano le modalità con cui si procede al posizionamento del singolo modello nella scala gerarchica dei diversi prodotti realizzati da ciascun marchio, appunto definita da due elementi che devono mantenersi rigidamente proporzionali, almeno in apparenza: costo e prestazioni.

D’altronde le ferree leggi del capitale e del mercato da cui trae la sua esistenza a lui sono ignote. Non solo non gl’interessano ma le rifugge persino ed è sempre pronto a biasimare chiunque le tiri in ballo: riguardano la politica e come tutti sanno perfettamente non la si deve mai mischiare con cose che non c’entrano un bel niente. In ogni caso è di pessimo gusto tirarla in ballo quando si discute di riproduzione sonora o di qualsiasi altro argomento.

Un tempo in certi casi si parlava di mentalità a compartimenti stagni, definizione andata in disuso ormai da parecchio, della quale probabilmente non si riesce neanche più a comprendere il significato.

Per conseguenza la necessità di restare all’interno di costi di produzione ben precisi, per non sospingere fuori mercato il prezzo finale del prodotto, che va di pari passo a quella di proporzionare le sue prestazioni, e quindi spesso a limitarle, in maniera tale da attribuire organicità a un listino ovviamente basato su apparecchiature di prezzo crescente, non possono trovare spazio nell’immaginario dell’appassionato. Questi è convinto di vivere nella Disneyland perenne e senza confini, dove tutto è finalizzato al soddisfacimento dei suoi desideri personali, quale suo preciso diritto. Persino il più recondito e addirittura quelli che ancora non sa di avere, ma già inquadrati e catalogati dall’occhio onnisciente dell’Intelligenza Artificiale, senza che alcuna contrarietà possa frapporsi.

Del resto sono gli stessi organi di (dis)informazione ad aver operato per decenni affinché vi si credesse, con la loro narrazione vieppiù martellante e come tale destinata fatalmente a trasformarsi in realtà. Fin quasi inevitabile allora cadere nella trappola tesa in maniera tanto costante e accurata.

Il buon senso in realtà avrebbe dovuto far domandare al destinatario di siffatto impeto comunicazionale com’è  possibile che tutto sia efficacissimo, perfetto oltre i limiti dell’eccellenza e incomparabilmente migliore di tutto il resto. E, come tale, possa immancabilmente primeggiare nei confronti di qualsiasi concorrenza. Evidentemente la contraddizione di termini e l’abolizione di quelli sgraditi, ma soprattutto della logica atta a riconoscere la contraddizione non viene più neppure notata. Forse per la brama di far proprio sempre e comunque l’oggetto migliore in assoluto, in funzione della legge non scritta ma ugualmente propagandata con solerzia insuperabile da quello stesso sistema di disinformazione, che da un lato impone il dovere di acquistare il meglio nella propria classe di appartenenza e dall’altro certifica che ogni oggetto risponde appieno a tali caratteristiche.

Nel mondo reale se e laddove qualcosa emerge nei confronti di tutto il resto, è inevitabile vi sia una moltitudine che risulti perdente. Questo però non è più contemplato dalla logica commerciale e comportamentale dei nostri tempi, che divinizza il primeggiare e rifiuta a priori l’idea stessa della sconfitta, inevitabile per i più che proprio in funzione di un’illogicità a tal punto delirante è causa di una frustrazione di massa così profonda da porre ciascuno contro tutti gli altri, così da rafforzare ancora, fino a renderlo invincibile, il dividi e impera.

In realtà è proprio quando ha i margini di profitto più elevati che la sopravvivenza del fabbricante viene meglio assicurata. Per conseguenza, il marchio più solido e attivo dal maggior numero di anni, ossia quello che ha la fama maggiore, è proprio quello che è riuscito a realizzare un prodotto mediocre, in quanto poco costoso, facendolo passare però per chissà cosa. In modo da aumentare gli utili e quindi costruirsi i margini per un’esistenza il più possibile lunga e serena.

Sono invece i marchi che hanno realizzato i prodotti caratterizzati dai costi di produzione maggiori, vuoi per raffinatezza delle scelte tecniche, vuoi per qualità della componentistica, vuoi per ambizione, trovandosi poi costretti a moderare i prezzi a listino per non andare troppo fuori da un mercato in cui a dettare legge sono le tabelle delle caratteristiche tecniche dove tali elementi d’eccellenza non hanno mai trovato riscontro, ad aver attentato con le loro stesse mani alla propria sopravvivenza.

Non per inadeguatezza del prodotto alle richieste del mercato, ma paradossalmente per il motivo opposto: aver realizzato un prodotto troppo valido. Quindi destinato in base alle premesse che abbiamo visto fin qui a non essere compreso, nei tempi brevi concessi dalle leggi del capitale all’operare in perdita oppure in condizioni troppo vicine ad essa, tranne forse che da una sparuta minoranza, insufficiente a permetterne il mantenimento in vita.

Da qui una fine prematura, e soprattutto immeritata secondo i criteri della qualità, tecnica e sonora. Col tempo i pochi esemplari prodotti acquisiscono una valenza leggendaria e a distanza di decenni dal momento ultimo in cui sono stati disponibili all’acquisto diventano oggetti che gl’intenditori dalle maggiori capacità di spesa si disputano a suon di bigliettoni e di rilanci tanto generosi quanto insostenibili dai comuni mortali.

Questo però non influisce in alcun modo sulla percezione generale, dato che in un lasso di tempo tanto lungo di ricambi generazionali ne sono intervenuti almeno un paio, proprio affinché la giostra possa continuare a girare indisturbata, sempre nello stesso senso.

In sostanza, l’appassionato medio vive in una realtà parallela, ovvero la sua Disneyland personale, che si è costruito a uso e consumo della propria tranquillità mentale, stante il contributo delle fonti cui attinge, che a tal fine si devono attenere, perché è grazie ad essa che il mercato si regge e produce dividendi per tutti quanti obbediscono alle sue leggi. Dunque è necessaria la disinformazione, quella appunto atta alla costruzione della realtà di facciata in cui l’appassionato possa trovarsi più a suo agio e per conseguenza vi si trattenga il più a lungo possibile.

In quel lasso di tempo è necessario far si che egli spenda la somma più elevata, ricevendo in cambio il meno possibile. In primo luogo perché l’utente troppo soddisfatto è quello che non compera più, poi perché in tal modo avrà contribuito nel modo migliore al mantenimento in vita di tutto il sistema commerciale che fa capo alla riproduzione sonora come a qualsiasi altra delle sue passioni, tali proprio perché contemplano il possesso e l’apprezzamento di un qualsiasi genere voluttuario.

Nello stesso tempo però deve anche essere mantenuto contento, malgrado gli si corrisponda il minimo indispensabile in funzione della somma spesa. Proprio perché altrimenti tenderebbe ad allontanarsi. In questo la comunicazione è essenziale. Non solo quella pubblicitaria, palese o dissimulata che sia, atta a guidarne la percezione, ma anche e soprattutto quella tendente a inquadrarlo in una delle fazioni esistenti, impegnate a combattere una lotta fratricida contro l’infedele, colui che preferisce un altro marchio o soluzione tecnica, e ancor più contro l’impostore, ossia chi prospetti la possibilità di migliorare le condizioni e la qualità dell’ascolto senza passare attraverso le forche caudine del cambio di prodotto o d’impianto e la spesa necessaria allo scopo.

Più lo si tiene impegnato nelle guerre di religione, che allo scopo è raccomandabile inventare a getto continuo, compito per il quale forum e gruppi social si rivelano effettivamente indispensabili, e meno l’appassionato avrà tempo e modo di crescere e di dedicarsi all’impianto per quello che un tempo era il suo utilizzo primario. Oggi serve soprattutto a fotografarlo e pubblicarne le immagini ovunque possibile, facendone l’oggetto di un vanto tanto improbabile quanto fuori luogo e pregno di una connotazione feticista. In tal modo potrà evitare di aumentare la propria esperienza e affinare le proprie capacità sensoriali, ammesso e non concesso che il baccano assordante prodotto a livello virtuale, le cui conseguenze materiali sono tuttavia di concretezza indiscutibile, le abbia risparmiate da quello che è il suo scopo concreto, azzerarle una volta e per tutte.

In questo proprio i forum e i social assumono un ruolo essenziale anche per via della loro attitudine a far prevalere gli elementi clanisti o meglio tribali che ne costituiscono l’ossatura, con le relative gerarchie, rispetto alla valutazione individuale e priva di preconcetti dei pregi e difetti di quanto si possiede, nonché della relativa valutazione nei confronti della spesa affrontata per l’acquisto. Presto o tardi ciò finirebbe fatalmente per mostrare l’inganno, almeno a una percentuale non del tutto trascurabile di appassionati, inducendoli a farsi domande che sarebbe meglio per tutti non venissero mai formulate.

Qui il cerchio si chiude e quindi torniamo a parafrasare Jacques Attali nel suo noto detto “Cosa credeva la plebaglia europea, che l’euro fosse stato fatto per la sua felicità?” Applicando la ratio della sua dichiarazione all’argomento che stiamo analizzando, potremmo dire: “cosa credeva il popolo degli appassionati, che i forum e i gruppi social di settore fossero fatti per la loro felicità?”

E’ cosa nota del resto, ormai oltre i limiti della banalità, che nell’universo digitale virtualizzato tutto quanto è gratuito può esistere solo perché riduce a prodotto il suo stesso utilizzatore e ne viviseziona i diversi aspetti a fini di schedatura. La chiamano di volta in volta profilazione, misure di sicurezza eccetera, ma di quello si tratta, oltretutto con un livello di approfondimento, con una vastità di elementi indagati e profondità di classificazione inimmaginabili ai tempi della tradizionale schedatura cartacea.

In questo il virtuale riesce ad avere un’efficacia maggiore persino del capitalismo materiale, che più di ridurre a merce, o a pezzo di ricambio se si tratta di lavoratori, le sue vittime non è riuscito a fare: il virtualizzato digitale invece le trasmuta proprio, trasformandole in un prodotto che invece di dover essere venduto, con tutte le incertezze del caso, è una miniera che tiene gelosamente per sé, in quanto necessario alla costruzione della sua realtà fittizia e del complessivo basato sul castello di carte degli inganni percettivi, amministrato non di meno con fermezza ferrea, su cui basa la sua esistenza doverosamente falsificata. Proprio in quanto derivante da null’altro che dal susseguirsi a velocità folle di uni e di zeri. Per quel tramite è possibile costruire pseudo-realtà che con l’abitudine diventano tanto convincenti da spingere non solo a credere che siano vere, ma addirittura a sostituire con esse la realtà concreta.

In un quadro del genere, l’appassionato che vive da apparentemente sveglio nel sogno ininterrotto della Disneyland fatta a immagine e somiglianza dei suoi desideri è convinto di vivere in una democrazia. Crede che sia tale perché al momento che si ritiene opportuno gli è permesso di votare e gli viene detto persino che farlo è suo dovere. Dunque è chiamato a dare il proprio avallo a gente che, quando va bene, poi fa come gli pare. Più spesso invece obbedisce senza fiatare a ordini provenienti da una direzione del tutto contraria rispetto al luogo in cui tale avallo ha avuto origine, le finalità dei quali sono ovvie.

Inoltre crede, in perfetta buona fede, che gli sia riconosciuta libertà di parola. Questo è assolutamente vero, ma solo fin quando la sua parola resta nel solco del pensiero ammesso ufficialmente. Nel momento in cui ne esce, le conseguenze possono diventare inimmaginabili, in funzione del rilievo che ad esse viene attribuito, con la revoca di qualsiasi diritto universalmente riconosciuto, sulla carta, e la deroga a qualsiasi legge, iniziando da quella sulla pena di morte.

Qui allora voglio ricordare Sebastien Cochard, economista democratico nel senso più genuino del termine e uomo di rara umanità, che per tutti o quasi era un totale sconosciuto. Mi riconoscevo in pieno e fino in fondo nelle sue analisi e valutazioni, e proprio grazie ad esse ho potuto formulare previsioni che in capo a un paio d’anni si sono rivelate esatte.

A un certo punto di lui si perdettero le tracce: ricordo perfettamente che stavo assistendo al dibattito settimanale sul canale Youtube del quale era partecipante fisso. Era prevista la sua presenza anche quella volta, ma non si collegò, facendo chiedere agli altri partecipanti, tra cui Fabio Dragoni e Giuseppe Liturri, la ragione della sua assenza. Non poteva intervenire perché sembra fosse caduto dal 27mo piano di un grattacielo di Dubai (si è mai visto un grattacielo con le finestre apribili?). Accidentalmente, sia chiaro.

La cosa si è saputa a oltre un anno di distanza, per quanto il necrologio diffuso dal padre sia stato tempestivo, senza che trovasse spazio di sorta, neppure tra i circuiti più vicini all’economista. Nel frattempo i suoi contributi sono pressoché spariti dalla circolazione e non è possibile trovarli in rete, specie servendosi dei motori di ricerca “ufficiali”. Se per caso si riesce a recuperare il link a una delle tante discussioni video cui ha preso parte, si ottiene la solita finestra “Video non disponibile”. Letteralmente vaporizzato, come le vittime dei buchi della memoria descritti nel “1984” di Orwell. L’hanno chiamata distopia, quella dello scrittore inglese, rendendone implicita l’irrealtà. Sempre più spesso tuttavia le sue profezie trovano il loro concreto manifestarsi.

Probabilmente il lavoro di Cochard conteneva qualcosa che non doveva essere mantenuto alla pubblica accessibilità. Neppure doveva continuare la propria attività di divulgazione: si tratterà sicuramente di un caso.

D’altra parte le sue colpe erano evidenti, basta vedere il modo in cui con quattro parole ha smascherato i piani delle élite globali. Sarà una coincidenza, ma da diversi mesi ormai vari economisti dissidenti stanno tenendo un profilo basso e i loro contributi in rete non hanno più la frequenza di prima.

Il numero di morti misteriose e fatte passare sotto silenzio o insabbiate, avvenute nell’ambiente finanziario in questi ultimi anni è del resto rilevante. Una fra le tante è quella di David Rossi, manager del Monte dei Paschi di Siena, avvenuta subito dopo aver minacciato di rivelare notizie compromettenti sulla gestione dell’istituto. Malgrado le telecamere di servizio abbiano inquadrato in un video che ha fatto il giro del mondo la sua caduta e poi quella del suo orologio ad alcuni istanti di distanza, mentre poco dopo qualcuno si è avvicinato al suo corpo per constatarne il decesso, la verità processuale ha stabilito che la causa ufficiale della sua morte è il suicidio.

Senza arrivare all’esempio plateale di Julian Assange, resosi colpevole di aver diffuso a mezzo video le pratiche innominabili dell’esercito americano in Iraq mentre “esportava la democrazia”, quindi sottoposto a una tortura infinita tale da averne fatto un martire dei nostri tempi, secondo la logica del colpiscine uno per educarne cento, basta parlare di Giulietto Chiesa.

Mente lucidissima, oltreché massimo esperto contemporaneo della realtà e della cultura dell’est europeo, denunciava con argomenti fin troppo inattaccabili la volontà dell’occidente di scatenare un conflitto. Inevitabile per cercare di arginare, depredando le quantità incalcolabili di materie prime giacenti sul territorio russo i problemi enormi causati nel lungo termine da una politica economica farneticante che ha posto la finanziarizzazione al culmine dei suoi interessi, con la produzione di quantità inverosimili di carta straccia fatta passare per valore reale. Ora che i nodi rischiavano di venire al pettine, col rischio sempre maggiore che qualcuno andasse a vedere il bluff gigantesco fatto dal banco, la colpa di un conflitto esacerbato da un costante innalzare del livello di scontro, dev’essere attribuita a chi per anni ha subito pazientemente ogni genere di provocazione e un accerchiamento sempre più stretto, a dispetto degli accordi stipulati a suo tempo. Soprattutto doveva essere indicato quale suo esclusivo responsabile, con relativa demonizzazione. Chiesa è stato colpito da un infarto fulminante, avvenuto in un’epoca in cui il dilagare dei cosiddetti malori, ai quali non si riesce e sempre più sembra non si voglia trovare spiegazione, era ancora di là da venire.

Arne Burkhardt era un patologo di grande autorevolezza, colpevole di aver eseguito le “sconsigliate” autopsie sui corpi dei morti da C-19 e di quelli il cui trapasso è avvenuto dopo aver ricevuto il cosiddetto vaccino, riscontrando condizioni non solo devastanti in percentuali elevatissime ma che non vi era nessuna intenzione di ammettere. Il 3 maggio 2023 ha presentato i dati in suo possesso al Parlamento Europeo e subito dopo è deceduto, per un incidente non meglio chiarito.

A questo proposito la Corte Suprema, ossia il grado più alto di giudizio degli Stati Uniti, ha riconosciuto che i cosiddetti vaccini contro il C-19 non prevengono il contrarre e il ritrasmettere la malattia, quindi si tratta di altro. I lavoratori licenziati per aver rifiutato l’inoculazione devono essere riammessi al lavoro, con il pagamento degli arretrati. Quanti sono i media allineati e/o ufficiali del nostro Paese che hanno riportato questa notizia? Quando il livello della censura e dell’omissione deliberata si spinge a tal punto, si può ancora parlare di democrazia?

Un altro tedesco, il giornalista Udo Ulfkotte, ha ammesso di essere stato pagato dalla CIA lungo il corso della sua carriera. Gli venne concessa persino la cittadinanza onoraria dell’Oklahoma, per essere stato “un diligente professionista dell’informazione”. E’ stato trovato morto nella sua abitazione e frettolosamente sepolto senza eseguire alcuna autopsia.

Qui di seguito il testo della sua dichiarazione.

“Sono giornalista da circa 25 anni. Durante quel periodo mi è stato insegnato a mentire, tradire e non dire mai la verità al pubblico. Sono stato pagato dalla CIA, dai miliardari americani, dai servizi segreti, ecc. per spingere per la guerra con la Russia. I giornalisti in Europa e in tutto il mondo sono abituati a manipolare il pubblico.”

Ha scritto anche un libro sull’argomento, dal titolo “Giornalisti comprati”.

All’arcivescovo Viganò, ormai la voce dissenziente viene da sparute gerarchie ecclesiastiche, sono stati cancellati tutti i video su youtube ed è stato revocato l’accesso a twitter, poi restituito. Si tratta comunque della dimostrazione di quale forma di censura della libertà del pensiero e della sua espressione sia esercitata non più dagli Stati, ormai ridotti all’inerzia tramite cooptazione e relativo controllo delle classi dirigenti, vantato pubblicamente dal capo del WEF Klaus Schwab, ma dalle piattaforme social, alle quali vengono delegati poteri concreti sempre più invasivi nei riguardi di quelli che un tempo erano diritti personali dell’individuo.

Sempre in tema di libertà di pensiero, il verde Angelo Bonelli ha appena presentato una bozza di legge atta a reprimere il cosiddetto “negazionismo climatico”. Al di là della questione, questo spiega come il tema ambientale sia utilizzato come una clava, anche per reintrodurre il reato di opinione. Proprio quello per cui le dittature del secolo scorso sono state demonizzate fino a ieri dall’occidente democratico, dai suoi “maestri del pensiero” e dagli organi di stampa. Ora casualmente quello stesso occidente si ritrova permeato da un livello di democrazia talmente evoluto da sentire impellente il bisogno di tornare a reprimerlo, nel momento in cui il dissenso sembra manifestarsi su larga scala nei confronti delle fandonie che si ostina a tentare d’imporre come verità indiscutibili.

Sempre a proposito di ambientalismo e della follia irrecuperabile pregna di fanatismo tipica della sua accezione attuale, e ovviamente di chi se ne serve per il suo tornaconto, politico, economico e sociale, è stato reso noto da fonti ufficiali che dal 2000 a oggi in Scozia si sono abbattuti 15,7 milioni di alberi, per fare posto alle pale eoliche. Costosissimi e quindi ultra-remunerativi ecomostri che per essere costruiti, installati e tenuti in efficienza necessitano di quantitativi di energia enormi, da fonti fossili. Anche per far girare le loro pale, ai cui fini si utilizza il diesel. Per non parlare delle colate di ferro e cemento necessarie alla loro messa in opera. Addirittura, è uscito fuori che le loro pale le fanno girare a diesel… Però poi ci strappiamo i capelli che i livelli di CO2 stanno andando alle stelle e così si progetta di rinchiudere di nuovo le persone in casa per tenerlo basso, mentre si fanno avanti i progetti concentrazionari delle “Città dei 15 minuti”, di cui fanno parte Roma e Milano. Sbaglio o i lager sono il simbolo dell’orrore nazista? Come mai ora tornano in auge grazie a forze politiche che non solo si definiscono democratiche ma accusano di fascismo chiunque non si allinei all’istante alle loro “idee”?

Ammesso che i livelli attuali di CO2 siano davvero così fuori controllo, e soprattutto che sia così dannoso, visto che proprio gli alberi ne fanno la materia prima per produrre l’ossigeno che respiriamo e ci serve per sopravvivere, grazie alla fotosintesi clorofilliana che per avvenire ha bisogno di luce. Come mai allora uno tra i progetti più ambiziosi e propagandati di Bill Gates riguarda proprio l’oscurare il sole? Qualcuno riesce ancora a unire i puntini?

Interessanti a questo proposito gli esiti di un’audizione condotta negli Stati Uniti dal senatore Kennedy, con particolare riguardo all’incapacità di rispondere del segretario aggiunto al Dipartimento dell’energia nel merito delle domande formulategli.

 

A Nigel Farage, uomo-simbolo della brexit, dalla sera alla mattina è stato chiuso il conto bancario, con la motivazione che il suo pensiero non sarebbe in linea con i valori di quella banca. Per l’occasione la stampa lo ha definito razzista, ha rilevato che molti lo considerano un truffatore e peggio di ogni altra cosa non è sufficientemente vicino ai valori LGBT. A chi appartengono dunque i soldi che ciascuno deposita in banca? Siamo sicuri che nel prossimo futuro, al momento del bisogno, ne avremo piena e immediata disponibilità?

Se nei confronti di una persona di quel calibro una banca qualsiasi può agire in modo simile, nel momento in cui il contante fosse sostituito dalla moneta elettronica quale potrebbe essere il destino di un individuo qualsiasi, colpevole di non aderire col massimo entusiasmo a una qualsiasi delle panzane inverosimili che sempre più spesso sono fatte calare dall’alto?

Anche persone che potrebbero sembrare quasi del tutto ininfluenti fanno una brutta fine. Di questi giorni è il caso di una storica tedesca, Marie Sophie Hingst, che aveva inventato storie riguardanti la persecuzione della sua famiglia di religione ebraica e inviato allo Yad Vashem 22 pagine di testimonianze di persone non esistenti. E’ stata trovata morta nella sua abitazione.

Trovato morto anche Oleg Khorzhan, capo del Partito comunista della Transnstria, fresco reduce dall’accordo con Mark Tkachuk, capo del partito d’azione collettiva moldavo, per la riapertura dei colloqui finalizzati alla pacificazione di quei territori. Vuoi vedere che qualcuno sta facendo l’impossibile per far propagare la guerra?

Non solo queste notizie costituiscono lo specchio reale del tasso concreto di democrazia oggi presente nel mondo occidentale, quella per cui il convinto abitante della sua Disneyland personale giurerebbe sul capo dei suoi figli, ma anche del livello omissivo parossistico, di censura e menzogna plateale espresso dai media allineati. Abbiamo a disposizione centinaia di canali nella TV digitale di oggi, ma si preferisce parlino tutti di cucina, di tronisti e di calciatori, quelli che si salvano dai “malori” che li colgono in campo o durante gli allenamenti.

Soprattutto, danno tutti le stesse “notizie”.

A proposito di menzogna, e del livello portentoso di sincronia raggiunto dai media di tutto il mondo, credo che l’ultimo lavoro di Massimo Mazzucco non solo sia pregevole, ma debba essere visionato da chiunque abbia ancora intenzione di rendersi conto qual è la realtà che lo circonda, nella fase attuale. E anche di farsi qualche bella risata lungo i 12 minuti della sua durata.

Ci hanno fatto il lavaggio del cervello per decenni, con le veline che il regime fascista diramava per mezzo del famigerato Minculpop, definite inaccettabili e vergognose. Ancora una volta ci si trova costretti a rilevare che, al confronto con la democraticissima realtà attuale, era roba da asilo infantile.

Oltre i limiti dell’assurdo è anche il livello puerile dei sotterfugi con cui si cerca di far credere che le temperature siano in crescita perenne. Di fronte a cose simili è inevitabile chiedersi se ci si affidi a trucchi così maldestri per semplice cialtroneria o perché le richieste al riguardo sono così pressanti da non lasciare il tempo necessario ad escogitare nulla di meno inverosimile.

Da sempre le temperature rilevate per essere diramate per mezzo dei bollettini metereologici, che un tempo si riteneva dovessero essere caratterizzate da un minimo di affidabilità e confrontabilità erano rilevate in luoghi in ombra e a 2 metri di altezza. Oggi invece, per far credere al loro aumento, le temperature sono rilevate al suolo. E’ evidente che già se le si rileva su asfalto o su un tappeto erboso la loro differenza sarà tale da rendere del tutto privo di significato il numero che le esprime.

Le ingannevoli rilevazioni al suolo sono state eseguite nientemeno che dall’ESA, Agenzia Spaziale Europea, stando al noto metereologo Giulacci. A che titolo? Con quale mandato? Non è inusuale che un ente che si dovrebbe occupare di Spazio, faccia invece rilevazioni a livello del suolo?

Siccome non si era del tutto sicuri che ciò fosse bastevole, si è pensato anche a variare la scala di colori associata a ciascun intervallo di temperature. Così il rosso ora contraddistingue quelle a partire dai 20 gradi, livello al quale ci si trova in una zona perfettamente confortevole. Come noto l’idiozia di certi personaggi, oltretutto retribuiti lautamente, non ha limiti. Così la zona da 0 a 10 gradi, in cui si ha obiettivamente freddo e quindi dovrebbe essere contraddistinta dal blu, ora è diventata verde, colore associato tradizionalmente a uno stato di benessere.

Occorre ammettere però che il risultato è visivamente efficacissimo, con cartine che mostrano un intero continente che va dall’arancione al rosso scarlatto all’amaranto sangue di bue: non vi viene caldo solamente a guardarle?

Arrivati in questa fase storica, però, trovo non del tutto corretto dare ogni colpa di questi misfatti a chi li ordina e li pone in essere. Per tre anni abbiamo creduto al pangolino goloso che al mercato di Wuhan il pipistrello mangiò, al virus più pericoloso della storia che nessuno ha mai dimostrato di aver isolato, alla malattia mortale priva di sintomi, alla cura prestata restandosene a guardare l’aggravarsi progressivo del paziente, alla prevenzione tramite il vaccino efficacissimo e definitivo da ripetersi ogni 3 mesi. Era talmente sicuro che lo si è dovuto proteggere con lo scudo penale per chi lo ha somministrato e coprire col segreto militare riguardo ai suoi effetti avversi. Farselo iniettare è sempre stato volontario ma per i recalcitranti c’erano l’allontanamento dal lavoro e la privazione dello stipendio, roba che manco ai carcerati: notoriamente un ricatto del genere è indice del più alto grado di democrazia. Per non parlare dell’obbligo di esibizione del lasciapassare nazista anche per andare a pisciare nel bagno del bar o prendere l’autobus, senza contare che prima il virus micidiale lo si prendeva bevendo il caffè all’impiedi e quindi al bar si poteva stare solo seduti, poi dopo un po’ contrordine, lo si prende seduti e quindi si resta tutti all’impiedi.

Inevitabile che se l’esito del test eseguito da lorisgnori è stato quello che tutti non hanno solo obbedito ma in larga parte si sono trasformati in kapò, pronti ad assalire chiunque mostrasse di non essere del tutto rincretinito, mentre l’accumulo delle dosi lo si esibiva al pari del più ambìto status sociale, vuol dire che con l’opportuno supporto mediatico alla maggioranza schiacciante si riesce a far credere l’inverosimile. Anche e soprattutto se la narrazione è disseminata di elementi così teatralmente contraddittori secondo i criteri minimi della logica. Quello è stato il test nel test, a tal punto il resto viene da sé.

Nel bel mezzo della presunta crisi climatica addebitata all’inquinamento di cui noi comuni mortali siamo i riconosciuti colpevoli, le vendite e il numero dei voli dei jet privati, mezzo di trasporto notoriamente proletario, segnano il nuovo record assoluto.

Tutto molto verosimile, altroché!

Prima di passare all’elemento successivo mi sembra importante rilevare un aspetto proprio della menzogna, mai analizzato come merita. Riguarda le sue capacità psicotrope, che hanno poco da inviare al più efficace degli stupefacenti. Nello stesso modo, il suo impiego prolungato determina assuefazione e l’incapacità di controllarne gli effetti, sia pure a breve termine. L’immagine che segue penso ne sia una testimonianza interessante.

Per chiudere col tema climatico, credo sia giusto riflettere col necessario raccoglimento sui moniti dell’onnipresente Gretina.

Vi sembra che “tutta l’umanità” sia scomparsa definitivamente il 21 Giugno 2023? A me sinceramente no, ma potrei sbagliare.

 

Terza fase

Entriamo dunque nella terza fase, ossia laddove s’innesta l’effetto Dunning-Kruger, con tutto il suo contenuto paradossale. Come abbiamo rilevato più volte, è proprio nella costruzione del paradosso che il microcosmo relativo alla riproduzione sonora trova la sua massima efficacia e di conseguenza la sua sublimazione. Qui ne abbiamo l’ennesimo esempio.

Il grafico utilizzato quale immagine d’apertura e per comodità è riproposto qui ci fa vedere come procedano i livelli di sicurezza e di esperienza, riguardo a una qualsiasi materia, tipici dell’individuo.

Nella fase iniziale, quando entra in contatto con una qualsiasi materia, l’individuo-tipo non ne sa nulla, quindi si trova al punto di massima insicurezza. Pertanto, se lo ritiene necessario inizia la ricerca delle fonti che gli permettano di acquisire con essa il minimo di dimestichezza. A quel punto il livello di sicurezza sale, con andamento prossimo alla verticale, e in breve arriva al punto più alto della sua scala.

L’individuo in questione ha imparato a ripetere a pappagallo il significato di qualche caratteristica, il nome di alcune tipologie di apparecchiature, componenti o soluzioni tecniche e così è convinto di aver compreso tutto quanto è necessario per destreggiarsi nel settore. Che per pura combinazione è uno tra i più complessi in assoluto, al punto tale che neppure si è riusciti a indagare fino in fondo i processi e i fenomeni che lo regolano.

Forte del suo bagaglio decide di entrare nei pollai descritti in precedenza e qui il cerchio si chiude. Proprio il suo contributo per forza di cose caratterizzato da scarsa conoscenza ma grande convinzione di essi è il carburante migliore, proprio perché capace di generare diatribe senza costrutto e soprattutto prive di qualsiasi possibilità di arrivare a un punto fermo, In primo luogo perché non si accetta che a determinati elementi, a prima vista inverosimili e comunque fuori dalla visuale, e spesso anche dalle capacità di comprensione di chi si trova ai suoi primi passi, si possano attribuire un rilievo e una capacità d’influire sul comportamento del sistema in discussione che appare del tutto privo di logica e di verosimiglianza.

Qui s’innesta un secondo fenomeno, al quale la rete e le opportunità che ha messo a disposizione di chiunque hanno dato contribuito enorme. Un tempo, quando le discussioni avvenivano al bar, di fronte a un caminetto o in qualsiasi altro luogo di aggregazione fisica anziché virtuale, trovavano un supporto la cui importanza era fondamentale, anche se forse non compresa in fondo, quello della comunicazione non verbale. Nel momento in cui qualcuno diceva un’assurdità erano soprattutto le espressioni facciali dei presenti o magari gli scoppi d’ilarità e gl’inviti a far pace col cervello, espressione doverosamente abolita, a fargli comprendere la realtà più e meglio di qualsiasi parola o discorso.

Con la comunicazione virtuale tipica della rete e l’aumentato livello di isolamento che ne è derivato, per non parlare dell’autoreferenzialità, tutto questo è venuto meno e le faccine che in seguito sono state inventate non sono adeguate a sostituirlo. Quindi ciascuno può pensare o dire qualsiasi assurdità restando convinto di essere nel giusto. A nulla valgono i commenti e le esortazioni di chi ha maggiore esperienza, se non a esasperare il confronto con chi è convinto di aver capito tutto mentre ancora deve assimilare l’ABC e si comporta di conseguenza. Di qui le fiammate, le gazzarre, le illazioni, gli scambi d’insulti e il falso propalato in via deliberata dagli specialisti di questa materia, ossia il materiale da costruzione più efficace che sia possibile immaginare per l’edificazione di pollai solidissimi, capaci di resistere a qualsiasi elemento basato sulla logica o sulla ragione.

Giunto a un livello di sicurezza tanto elevato, difficilmente l’individuo medio ritiene sia il caso di approfondire ulteriormente, tanto sa già tutto. Se lo facesse del resto andrebbe incontro al crollo, come spiega l’andamento del dato inerente il livello della sicurezza, che all’aumentare dell’esperienza cala drasticamente, lungo una curva discendente che sembra senza fine. Proprio perché l’esperienza non solo pone di fronte a una serie di contraddizioni in apparenza irrisolvibili, ma anche perché più è complessa la materia, e di complessità la riproduzione sonora ne ha finché se ne vuole e nemmeno la si è esplorata che per minima parte. E’ altrettanto vero che più s’impara e più ci si rende conto di non sapere abbastanza, concetto che proprio il tracciato in questione va a rappresentare in forma grafica.

L’esordiente certe cose le capisce per istinto e quindi nella maggior parte dei casi si guarda bene dall’avviarsi lungo un cammino, che intuisce già in partenza irto di difficoltà, delusioni ma soprattutto costoso. Non solo a livello di dispendo di energie, ma anche in termini materiali.

Pochi lo fanno, o meglio lo hanno fatto in passato e a loro rischio e pericolo, oggi proprio a causa del predominio della virtualità certe cose stanno perdendo di senso, proprio in quanto non racchiudibili e neppure rappresentabili sullo schermo di un display, che col passare del tempo sta sempre più diventando il limite ultimo dell’universo concepibile.

Comunque sia, addentrandosi nella materia con determinazione necessaria a comprenderne i fenomeni da cui è caratterizzata si va incontro alla caduta o per meglio dire alla valanga, tale da azzerare qualsiasi forma di sicurezza, che non torna ai livelli di partenza solo perché nel frattempo, e con grande fatica, qualche punto fermo si è riusciti a conquistarlo, in particolare se nella consapevolezza che non si smette mai d’imparare si ha la volontà di farlo.

A quel punto la curva comincia faticosamente a risalire, anche se per quale può essere l’esperienza che si mette insieme è essa stessa a porre in evidenza che mai nulla può essere dato per scontato e persino laddove si ritiene non possa esservi nulla di nuovo le sorprese sono dietro l’angolo.

Orwell diceva che l’ignoranza è forza. La stessa con cui chi ha imparato che i trasformatori possono essere toroidali fa sfoggio di tale definizione convinto che gli dia la prevalenza in una discussione che invece non può far altro che porre in evidenza i limiti della sua competenza in materia. Per sicurezza ha provveduto a disseminare il suo “contributo” di elementi atti a delegittimare il suo interlocutore agli occhi di eventuali terzi, che sa perfettamente assisteranno alla discussione, secondo il modello che ha imparato dai modelli di comunicazione diffusi dai media dominanti, dei quali ovviamente non comprende il significato concreto. Dato che in caso contrario eviterebbe certe cose. Ma dato che così fan tutti, dev’essere senz’altro quello il modo più efficace di relazionarsi con un qualsiasi interlocutore.

E chissà, può darsi pure che a furia di reiterare tale atteggiamento, ovviamente nella forma più chiassosa possibile, arrivi la chiamata da qualche giornalone o sito di settore. Per una collaborazione rigorosamente a titolo gratuito, in sostanza ti promuovono a portatore d’acqua, ma che dà tanto lustro e permette d’innalzarsi sopra il livello dell’audiofilo comune. Quale soddisfazione!

Altri magari hanno imparato a memoria la forma dei magneti utilizzati per gli altoparlanti di una serie di diffusori e di quella diversa montata sulla serie successiva. Ne parlano con sussiego, convinti o almeno con l’espressione di chi è conscio di aver acquisito i galloni della più grande competenza. Senza poter neppure immaginare come sia possibile che chi si trova ben oltre quel punto ritenga che la propria invece non è abbastanza e molto probabilmente non lo sarà mai.

Ecco perché anche arrivati al punto massimo dell’esperienza considerato dal grafico, la curva della sicurezza rimane sempre al di sotto del suo picco iniziale.

Per quello stesso motivo molto speso si ritiene più indicato starnazzare nei pollai atti allo scopo: certi percorsi sono roba da fachiri e di soffrire su letti di spine non piace a nessuno. Oggi meno che mai, data l’esistenza di schermi luminosi in grado di ricostruire qualsiasi desiderio o velleità in maniera talmente realistica da far credere di trovarsi di fronte al vero.

Ciascuno d’altronde ha tutto il diritto alla sua Disneyland personale, bolla dove l’impossibile diventa concreto e il sogno si tramuta in realtà.

Guai a chi gliela tocca.

 

 

 

2 thoughts on “Pollai audiofili, Disneyland e il paradosso di Dunning-Kruger

  1. articolo lungo ed impegnativo.
    le classi di “utente” che ho visto in giro sono riconducibili a tre.
    1: chi “ascolta” leggendo riviste, classe stupida, 3 amplificatori, 8 casse… ecc.
    passa il tempo ascoltando lo stesso brano con varie combinazioni.
    2: gli autocostruttori, strana classe, per una buona percentuale sono gente che vuole competere con i prodotti commerciali. a parte qualche raro esempio tutti fanno cose giá viste e sentite, con qualche vena di esoterismo per renderle interessanti oppure prendono un finale cinese e gli cambiano la targhetta.
    3: chi ascolta la musica e non l’impianto. sono quelli che vivono bene la loro vita.
    pur avendo un impianto di rispetto sono arrivati alla conclusione che quando sono a casa di fronte al loro impianto, sono felici di come suona.

    1. Ciao, grazie per l’attenzione.
      I miei articoli sono quasi sempre lunghi e impegnativi, dato che dietro di essi ci sono dei concetti, condivisibili o meno, al posto del nulla che al giorno d’oggi costituisce la prassi e non solo in rete: quella dei contenuti privi di contenuto, della quale ho parlato ormai parecchio tempo addietro. Questo poi è anche più lungo del solito e non di poco.
      In primo luogo tengo a precisare che l’articolo non intendeva suddividere gli appassionati in un numero più o meno maggiore di categorie, ma solo descrivere quel che mi è capitato di osservare in giro nel corso del tempo, in particolare di recente.
      Riguardo ai termini da te suggeriti, personalmente la vedo come segue: nell’insieme 1 aggiungerei chi ascolta con gli occhi, con le targhette del marchio, con il portafogli e più in genere coi prezzi di listino, con le tabelle delle caratteristiche, con le misure e così via. Le possibili modalità sono in continuo aumento e di conseguenza l’ascolto con il mero utilizzo dell’udito, che se ne sia consapevoli o meno, è ormai relegato a una minoranza sempre più marginale.
      Riguardo all’insieme 2 non sono molto d’accordo: a volte gli autocostruttori sono tali per questioni economiche, che attengono non solo le possibilità di spesa individuali ma anche l’opportunità di spendere quanto richiesto per gli oggetti oggi sul mercato, oppure perché al di là del prezzo il mercato non offre quanto li possa soddisfare. A volte, anche se forse si tratta di una minoranza, si diventa tali in funzione di una ricerca e di approfondimento della materia, per quanto si tratti di termini ormai desueti, pertanto non sempre facili da contemplare. Come forse saprai detesto la parola esoterico e derivati in quanto a suo tempo, e ormai ne è passato parecchio, la si è coniata volendo suggerire che tutto quanto non rispecchiasse la vieta mediocrità del prodotto di origine industriale e grande o grandissima serie costituisse qualcosa di arcano, iniziatico e stregonesco, cosa che se non è del tutto priva di senso è solo per il tentativo evidente eseguito con quel termine di delegittimare tutto quanto riesca a sollevarsi da tale mediocrità, per tanti insopportabile.
      Per di più, spesso e volentieri, intervenendo in un certo modo si può migliorare sensibilmente il comportamento di una qualsiasi apparecchiatura, proprio per le ragioni descritte nell’articolo, inerenti costi di produzione e necessità di armonizzare prezzi e prestazioni dei prodotti a listino secondo una precisa scala gerarchica.
      Il numero 3 del tuo elenco, per finire, lo ritengo proprio un nonsenso, che se è riuscito ad affermarsi con tanta ampiezza è appunto per le ragioni che ho cercato di spiegare nell’articolo. Infatti un mezzo di riproduzione, per quale che sia, è tuttora indispensabile per ascoltare musica. Le sue prerogative risultano inoltre imprescindibili per il livello di completezza con cui la si ascolta, quindi per l’approfondimento con cui si può godere dell’opera d’arte che è a tutti gli effetti il brano musicale ed entrare in simbiosi con essa. Ovviamente ammesso si tratti effettivamente di musica e non di roba che viene da gente che per attirare l’attenzione si sente costretta a levarsi le mutande sul palco, come ha detto giustamente James Senese. Infine il mezzo di riproduzione è imprescindibile, per forza di cose, anche per il grado di soddisfazione che si può ricavare dall’ascolto.
      Di conseguenza non è possibile ascoltare musica, in particolare se lo si fa col minimo di attenzione e concentrazione, senza ascoltare l’impianto, prima ancora di essa. Dunque, per quanto mi riguarda tale diffusissimo modo di dire altro non è da un elemento tra i più tipici dell’arsenale di luoghi comuni privi di senso che si sono stratificati nell’immaginario comune di quanti si dedicano alla riproduzione sonora. Tu dici che sono quelli che vivono bene la loro vita ed è senz’altro possibile. In tutta sincerità, per quanto mi riguarda, sono invece quelli che non hanno compreso ancora l’ABC dell’attività di cui fanno la loro passione e quindi che le due cose sono inscindibili. Confido tuttavia che con il tempo anch’essi troveranno il modo di osservare con maggiore coerenza e profondità l’attività cui dedicano tanta parte del loro tempo libero, che è sempre più prezioso.
      Grazie ancora, anche per avermi dato modo di puntualizzare alcuni aspetti che ritengo significativi.

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