30-11-1997: questa data è incisa, insieme alla firma del progettista, sullo stampato del Graaf GM 20, finale a valvole senza trasformatori d’uscita che quindi è prossimo a tagliare il traguardo dei venticinque anni di vita.
Si potrebbe pensare che si tratti della data di costruzione dell’esemplare in proprio possesso: è invece di quella della delibera del progetto definitivo, destinato alla vendita al pubblico, che ha fatto seguito agli esemplari di preserie realizzati con la tecnica punto – punto allo scopo di verificare la fattibilità del progetto.
Ormai quindi il GM 20 può essere definito a pieno titolo come un finale vintage, categoria i cui appartenenti mostrano il limite maggiore non tanto nell’affidabilità o nella necessità di sottoporli a revisione non di rado approfondita, al fine di poterne fare un impiego continuativo e affidabile, quanto nel dubbio che si tratti di apparecchiature sorpassate dal punto di vista tecnico e musicale.
Proprio questo è l’aspetto primario che andiamo ad affrontare, per un amplificatore finale che non è stato compreso appieno alla sua presentazione e in seguito negli anni della sua presenza sul mercato, ma come avviene di frequente per gli oggetti che hanno conosciuto lo stesso destino, sta avendo un forte recupero d’interesse ora che non è più costruito.
Il GM 20 oggi
Credo non sia una novità per nessuno che il GM 20 è un amplificatore a valvole senza trasformatori di uscita, soluzione definita dalla sigla OTL che sta per Output Transformer Less. Per molti è sinonimo di magia, per altri di grattacapi, pochissimi sono quelli rimasti nel mezzo, come sempre avviene nei confronti di oggetti dalle caratteristiche tanto spiccate.
Inutile girarci intorno, l’assenza dei trasformatori d’uscita ha i suoi costi, come tutte le cose di questo mondo. Resta comunque una tra le modalità più indicate per comprendere fino in fondo la vera sonorità dei tubi a vuoto, gravata appunto da componenti in teoria imprescindibili che oltre a tarpare loro le ali hanno costi che non sono mai indifferenti. Soprattutto se si cerca di fare in modo di contenerne l’influsso sulla sonorità dell’elettronica di cui vanno a far parte.
Le dimensioni del problema sono ben note, ma più che a altro a livello letterario o meglio ancora di vulgata. Nel momento in cui si ha l’opportunità di ascoltare la medesima amplificazione equipaggiata da trasformatori d’uscita diversi, per quanto ugualmente adatti al progetto che vanno a completare, ci si può rendere conto di quale sia il loro peso sulla timbrica di un’amplificazione.
A quel punto l’idea di togliere di mezzo un componente tanto critico, scomodo e costoso potrebbe apparire tuttaltro che peregrina, anche se gli OTL Graaf, marchio modenese nato grazie agli sforzi comuni di Giovanni Mariani, progettista, e Omer Malavasi, direttore commerciale e amministrativo, sono nati per un altro motivo.
Valvole o stato solido?
In seno al gruppo di appassionati e tecnici di cui facevano parte, il Gruppo Ricerche Audio Alta Fedeltà, da cui la sigla GRAAF, si decise di esplorare e definire le possibilità musicali dei componenti attivi a vuoto e a stato solido, con lo scopo di stabilire quale fosse il più efficace in termini di musicalità.
Si trattava di un quesito che in quell’epoca era all’ordine del giorno. Se oggi è pacifico che amplificazioni valvolari e a stato solido possano convivere nella stessa categoria di prodotti, ciascuna rispondendo a precise esigenze, allora la contrapposizione era più netta, anche in funzione di quel che era avvenuto nella fase storica precedente, in cui lo stato solido era andato a soppiantare il valvolare con buone ragioni, ma anche destando più di qualche rimpianto e motivo di rivalsa.
In questo, molto ha a che fare l’atteggiamento della pubblicistica di settore, allora come oggi concentrata soprattutto nel porsi in maniera stolida e autolesionista al servizio degl’interessi del miglior offerente. Se oggi la sua funzione concreta di mera grancassa a disposizione di chiunque possa pagarne i servigi è ormai pacifica, allora lo era forse molto meno.
Non era ancora patrimonio comune il concetto orwelliano secondo cui, nelle condizioni date, il compito primario del sistema d’informazione non è più l’informare ma l’esatto contrario ovvero fare disinformazione. Dunque vi si attribuiva un’autorevolezza che in realtà aveva da tempo svenduto in funzione dei flussi di cassa e soprattutto della sua incapacità di far comprendere al suo pubblico che l’informazione libera, ovvero non pilotata dagl’interessi prevalenti del comparto merceologico entro il quale agisce non è e non sarà mai a buon mercato e meno ancora gratuita.
Si tratta del resto di una realtà riguardo alla quale, in un ambito che deve la sua esistenza al senso dell’udito, permane una sostanziale sordità. Ennesimo paradosso di un settore che sembra votato in primo luogo alla loro produzione su scala industriale.
Per meglio dire, il fenomeno dà l’impressione di essere legato a una sorta di percezione selettiva, meccanismo grazie al quale tutto ciò non sia di proprio gradimento rimane di fatto inudibile o forse muto. Sembra così che si faccia a volte persino un punto d’onore del non voler considerare che, immersi come siamo all’interno di un regime capitalista, la vita stessa di chi si dedica al compito di analizzare e divulgare una materia specifica, oltre agli elementi di contorno che vanno a spiegare i fenomeni che in essa si concretizzano, abbia i suoi costi.
Quei costi sono pari o anche superiori a quelli che deve affrontare il comune appassionato, il quale da semplice fruitore non è tenuto ad sostenere gli sforzi e gli esborsi per lo studio della materia e la sperimentazione che è il solo modo con cui si riesce a mettere insieme il patrimonio di esperienze, qualora si possegga il sale in zucca necessario necessario, altra cosa da non dare mai per scontata, a non parlare della qualunque.
Ora, quei costi vanno necessariamente pagati, se s’intende usufruire di un determinato servizio. Insistendo a non volersene far carico, a volte in nome della propria passione con atteggiamento alquanto fanciullesco, necessariamente lo dovrà fare qualcun altro. Chiedendo per forza di cose in cambio un controvalore adeguato: innanzitutto dell’investimento che si è sobbarcato e poi perché non si vede il motivo per cui si dovrebbe fare beneficenza a chi dispone del denaro necessario ad acquistare determinate apparecchiature, che oltretutto sono spesso molto costose.
In conseguenza di quel rifiuto, motivato da una serie di considerazioni personali tra le più varie. dalle quali il costo delle apparecchiature non è quasi mai disgiunto, dato che se già esse sono così care non ci si vuol sobbarcare spese ulteriori, chi lo ha opposto pur nell’interesse di avere un sistema d’informazione che faccia il proprio dovere, finirà col pagare quel costo più e più volte.
La prima perché comunque la rivista in edicola la compera e non gli viene data gratis. La seconda perché i costi che ha rifiutato di sobbarcarsi, credendo di poterli scaricare su qualcun altro o forse senza capire che non poteva essere altrimenti, se li ritrova moltiplicati nel prezzo delle apparecchiature che prima o poi dovrà comperare. A loro volta andranno poi a gravare anche sulle quotazioni dell’usato, casomai qualcuno ritenga di poterli evitare rivolgendosi a tale mercato.
Potendo fare riferimento solo a un’informazione pilotata, che di fatto è mera propaganda camuffata, si ritroverà a seguirne i consigli, in maniera consapevole ma non di rado anche a propria insaputa, essendo le tendenze che di volta in volta prendono piede e si sostituiscono l’una con l’altra nel corso del tempo frutto della volontà di chi di fatto paga i costi in questione con moneta sonante.
Pertanto ognuna delle scelte necessariamente errate che l’appassionato farà e ripeterà un numero di volte difficilmente calcolabile a priori, e i costi che ne deriveranno, conterranno ognuna la quota parte dei costi che l’appassionato si è rifiutato di pagare in prima persona al momento opportuno. Però moltiplicati almeno per dieci, dati i costi vivi della filiera a cui li ha demandati e la presenza al suo interno di figure professionali che bene o male di qualcosa devono campare. Un rapporto pari almeno a 1 a 10 è infatti all’incirca quel che intercorre tra il costo vivo di produzione della singola apparecchiatura di serie più o meno grande e il prezzo richiesto dal dettagliante, comprendendovi sconti e facilitazioni varie.
Chi le riviste non le compera, o non le compera più, non creda di essere al riparo da quel meccanismo che egli ha stesso ha contribuito in prima persona a innescare. I siti internet presso i quali crede d’informarsi o si scambia impressioni coi suoi simili secondo una logica ancor più distruttiva, di fatto fanno solo pubblicità occulta e hanno anch’essi i loro costi. Sono sostenuti da quanti desiderano che si parli dei loro prodotti e dai link alle piattaforme presso cui è possibile acquistarli, a prezzi che nella loro formazione tengono conto per forza di cose di tali costi e della relativa scala provvigionale, approssimandoli ovviamente per eccesso.
E ancora non basta, dato che il crollo o meglio l’azzeramento dei compensi riconosciuti ai redattori proprio in funzione dell’instaurarsi di queste dinamiche e delle logiche che ad esse sottendono, hanno comportato la caduta al suolo della qualità dei testi, e per forza di cose dei concetti che per quel tramite vengono diffusi, le cui conseguenze sono quantomai evidenti.
Ormai anche in questo settore domina incontrastata la qualunque, intesa secondo la logica degli ultras da stadio, anche e soprattutto negli ambiti che pretenderebbero invece di essere formati da eletti.
Di conseguenza, essendo le tifoserie cieche per antomomasia e forza di cose, figuriamoci le accozzaglie di ultrà e uligani all’interno delle quali vige la legge della giungla, nella coniugazione propria delle scimmie urlatrici. In quei consessi di sedicenti ottimati, i loro stessi appartenenti hanno dimostrato pubblicamente di non essere più neppure capaci di rilevare, non dico comprendere, le differenze che ci sono tra un’astronave e la macchina degli Antenati, quelli di “Wilma, dammi la clava!”
Figuriamoci allora quale possa essere la condizione dei comuni appassionati, che purtroppo non hanno neppure più il minimo barlume di consapevolezza rispetto a come funzionino gli oggetti che vorrebbero utilizzare, facendolo per forza di cose in maniera impropria e parziale, così da restare sistematicamente esclusi dai traguardi ottenibili con il loro tramite.
Dal modo di fare di certuni, inoltre, traspare fin quasi la pretesa che certe cose siano dovute, non si capisce bene per quale motivo. Forse in omaggio alla loro passione o alle loro esigenze, secondo l’atteggiamento tipico di chi per sua sfortuna ha visto piovere dall’alto tutto ciò di cui ha usufruito nel corso della vita, e per forza di cose non ha potuto capire cosa significhi sudarsele, le cose. E’ rimasto quindi nell’incapacità concreta di attribuire ad esse il loro valore, per poi trovarsi rinchiuso eternamente nella fase della prima adolescenza, auto-condannato a non diventare mai adulto. Permanendo quindi nella condizione di quelli che il sociopatico passato ormai a miglior vita rispondente al nome di Tommaso Padoa Schioppa definì con proprietà di linguaggio e sintesi eccellente bamboccioni.
D’altro canto l’appassionato non desidera l’informazione, quella vera, per il semplice motivo che un brutto giorno potrebbe demolire il mito in cui crede, non di rado ciecamente. Ad essa preferisce la narrazione, fiabesca, che lo culli nel suo sogno a occhi aperti (e orecchie chiuse?) dando avallo alle leggende che ha fatto proprie. Pronto a scatenarsi a suon di epiteti e illazioni contro chiunque osi mettere in discussione la realtà parallela nella quale si è calato, a uso e consumo della sua tranquillità mentale.
Fine anni novanta e prima ancora
Quando la realtà attuale era ancora di là da venire, e non era nemmeno immaginabile nei suoi diversi aspetti di decadenza e degenerazione, anche se già allora vi era chi s’impegnava alacremente alla sua edificazione, si riconosceva ancora al sistema d’informazione una qualche residua autorevolezza, Dunque, nel momento in cui si comprendeva che la vulgata da esso diffusa andava contro la realtà, o meglio trascurava una serie crescente di elementi relativi agli argomenti affrontati, si sentiva più forte il sentimento d’insoddisfazione e quindi la spinta a cercare la propria verità e a dimostrarla coi fatti.
Questo potrebbe essere uno dei moventi per cui nella cerchia delle persone che in seguito avrebbero dato vita a Graaf si ritenne fosse necessario dare una risposta tanto concreta al quesito inerente la superiorità delle valvole o dello stato solido.
Del resto il prodotto del marchio modenese era già stato doverosamente misconosciuto nelle sue qualità, da parte di alcuni tra i grandi nomi della stampa di regim… ehm, di settore. Senza farsi mancare nulla, quindi aggiungendovi anche lo sbeffeggiamento.
E’ noto del resto che taluni tendano a deridere quanto non sono in grado di comprendere. Se poi si rifiuta persino di provarci, come fecero quelle che oltretutto erano ritenute le punte di diamante del settore, da parte di chi evidentemente, non ne doveva capire granché, va da sè che chi va al traino di certi esempi possa fare soltanto di peggio.
Questo spiega le modalità, in primo luogo in termini di abito mentale, con cui in certi ambienti ci si pone di fronte ai prodotti che si pretende di valutare. Proprio in essi l’ascolto con gli occhi, con i cartellini dei prezzi, con le targhette del marchio, le cartelle stampa, le tabelle delle caratteristiche dichiarate e soprattutto i contratti pubblicitari sono un’abitudine inveterata.
O meglio una realtà rispetto alla quale non si hanno gli strumenti necessari, a livello economico, culturale e di consapevolezza, per poterne prescindere. E’ evidente allora che non ci si possa lamentare quando ci si accorge che numerosi tra i comuni appassionati oltre a tutto quanto appena elencato sono usi ad ascoltare anche con le recensioni e coi luoghi comuni. E fanno del possesso di determinate apparecchiature non un mezzo per ascolti più coinvolgenti ma lo strumento della loro affermazione sociale e dell’appartenenza di casta.
Tra i pezzi grossi della pubblicistica di settore, inoltre, è particolarmente sentita la necessità di riverginarsi. Ovvero di tentare il recupero di un minimo di credibilità, dopo anni di invenzioni e valutazioni a senso unico. Chi ne fa le spese non può che essere il piccolo marchio, essendo il suo potere contrattuale, o meglio di ricatto, consistente nella revoca degli accordi pubblicitari, in genere limitato o del tutto inesistente. Quindi se ne approfitta per provare a ripulirsi la coscienza, insieme alla pubblica immagine, non si sa fino a che punto senza comprendere che invece la s’insozza in maniera ancora peggiore.
Tornando alla questione inerente la maggiore attitudine alla riproduzione di musica tra valvole o stato solido, come spesso accade la risposta era già nella testa di chi formulò il quesito. Così prese forma l’idea di realizzare delle amplificazioni a valvole ma con l’approccio dello stato solido. Non solo in merito all’eliminazione dei trasformatori d’uscita, che pure sono il tratto saliente oltreché il più noto e suggestivo per gli appassionati, ma anche per quel che riguarda elementi meno vistosi ma non meno significativi a livello tecnico, come la realizzazione di congiunzioni dirette tra i diversi stadi di amplificazione, eliminando anche in quel caso la componentistica di solito utilizzata allo scopo.
Ne derivò un oggetto così convincente, all’ascolto, da indurre alla realizzazione di apparecchiature adatte alla commercializzazione.
Stiamo parlando del GM 400, il primo finale a valvole privo di trasformatori d’uscita rimasto allo stadio di prototipo, che se non ricordo male era un monofonico. Da esso derivò il GM 200, amplificatore finale sterofonico cui venne attribuito il ruolo di modello di vertice tra gli OTL Graaf. Da un ulteriore dimezzamento prese forma il GM 100, che però dato il numero di valvole finali insufficiente per un accoppiamento diretto con il carico obbligò a ricorrere all’impiego di traslatori d’impedenza, da cui il suffisso TL che lo contraddistigue.
Il GM 200 e il GM 100 utilizzavano le stesse valvole finali, le PL 504 note come amplificatori di riga nei televisori in bianco e nero. Il modello maggiore ne utilizzava 12 per canale, l’altro “soltanto” 6.
Il GM 20 fu l’ultima evoluzione, nata in realtà da un progetto del tutto diverso, basata sull’utilizzo di una topologia circlotron. Cambiarono anche le scelte per la sezione finale, basata su un push pull di 6C33C, le valvole caratterizzate dalla minore resistenza interna mai costruite, vero e proprio simbolo del primato tecnologico russo, che non trovò mai un equivalemnte nella produzione occidentale. In origine le 6C33 vennero costruite per essere utilizzate nella sezione di alimentazione dei radar montati sugli aerei da caccia MIG 25. Erano caratterizzaye inoltre da una transconduttanza molto alta ed elevata corrente.
In realtà si trattò della penultima evoluzione, dato che qualche anno dopo il suo esordio fu realizzato il Modena, versione monofonica del GM 20, che oltre all’incremento sostanziale della potenza di uscita godeva anche del migliore accoppiamento con il carico, dovuto al raddoppio dei componenti attivi utilizzati nello stadio finale.
Si trattava in realtà dell’attribuzione a un nuovo modello, quale funzionalità primaria, di una predisposizione già presente sul GM 20. Quest’ultimo infatti aveva già il necessario per poter essere configurato in mono, sia pure a seguito di un intervento tecnico inerente il cablaggio interno.
Il Modena avrebbe rappresentato la maturazione completa del progetto, eliminando gran parte dei limiti del modello stereofonico in termini di potenza d’uscita e capacità del pilotaggio, con in più una maggior durata delle valvole, sottoposte a uno sforzo minore. Purtroppo però, come avviene spesso in questi casi, non ebbe il tempo materiale per trovare la sua affermazione.
Il più piccolo degli OTL
Il GM20 è stato un grande piccolo amplificatore, o meglio grandissimo. Il suo pregio maggiore fu quello di rendere più abbordabile il valvolare OTL, ponendolo alla portata di fasce più ampie di appassionati.
Abbordabile per modo di dire, dato che a fine anni novanta, ossia all’epoca del suo esordio, aveva un prezzo di listino di 8 milioni e cinquecentomila Lire, somma che all’epoca aveva un potere d’acquisto assolutamente non paragonabile ai 4.250 euro di oggi. Elemento su cui tutti gli eurolirici dovrebbero riflettere, quando sostengono che la moneta unica ci ha salvaguardato dall’inflazione. Sebbene sia proprio questa la credenza più diffusa, sono i fatti a dimostrare che si è trattato in realtà della moneta che ha conosciuto la svalutazione più rapida, pesante e distruttiva nella storia del mondo occidentale da novant’anni a questa parte.
Solo il marco tedesco è riuscito a fare di peggio, ai tempi della sua iperinflazione neglii anni 1920.
Un ulteriore elemento d’interesse del GM 20 era dato dalle sue capacità di pilotaggio generose nonostante i soli 20 watt per canale erogati dalla sua sezione d’uscita, che oltretutto andavano a ridursi al calare dell’impedenza dei diffusori. Questa era una tendenza già allora piuttosto diffusa, essendo sempre meno i modelli da 8 ohm effettivi. Ciò dimostrava, e dimostra tuttora, l’aleatorietà dei valori di potenza e più in genere dei numeri inerenti le caratteristiche tecniche delle apparecchiature audio, che invece s’insiste a prendere tuttora per vangelo.
Sono del resto l’unico termine di valutazione, per quanto improprio e inadeguato, in una fase come quella attuale caratterizzata dalla scomparsa dei dettaglianti, e quindi della possibilità di ascoltare le apparecchiature in prima persona, a favore del commercio elettronico che come parametri di scelta offre qualche fotografia e una tabella di numeri il cui aspetto primario è l’essere ingannevoli.
Il GM 20 sembrava disporre di un numero di watt maggiore, ancor più se si aveva l’accortezza di corredarlo con un cavo di alimentazione adeguato alle sue caratteristiche di assorbimento, che se la memoria non m’inganna già a vuoto richiedevano ben 600 watt.
Questo significava la dissipazione di quantità di calore particolarmente consistenti, che se lo rendevano gradevole da utilizzare nella stagione invernale, nell’afosa estate italiana risultavano meno godibili.
Al GM 20 inoltre è stata attribuita la nomea di divoratore implacabile delle valvole finali. Le 6C33 in effetti sono caratterizzate già all’origine da una longevità non molto estesa: del resto prerogative come le loro devono trovare per forza di cose una contropartita. E’ altrettanto vero però che detta peculiarità è stata esasperata dall’impiego di valvole non accoppiate nel modo dovuto, trascuratezza che ne accorcia la vita in maniera considerevole. In quel caso è una valvola di ogni coppia sola a sobbarcarsi gran parte del lavoro del canale in cui lavora, con le ovvie conseguenze.
Valvole finali ben selezionate e accoppiate, sulle quali poi si applichino gli accorgimenti dovuti, hanno dimostrato di poter assurgere a una durata che non è assolutamente disprezzabile, tenuto conto delle prerogative dell’amplificatore in cui operano, in particolare se è tenuto bene a punto.

In sala d’ascolto
Collegato a un impianto all’altezza delle sue prerogative, il GM 20 denota ancor oggi doti sonore di prim’ordine. Ancor più se si ha l’accortezza di sostituire i componenti che più risentono degli anni passati con altri di maggiore modernità. Si tratta di un’operazione da eseguire come sempre con le dovure accortezze e soprattutto tenendo conto delle condizioni operative che si troveranno ad affrontare, cosa che invece si tende spesso a trascurare, a favore ancora una volta della nomea del componente.
Comunque sia, il GM 20 mette in luce le doti sonore tipiche delle amplificazioni OTL senza farsi pregare. Anzi conferisce ad esse un’evidenza che difficilmente può lasciare indifferenti. La fluidità e la nitidezza della sua sonorità sono i tratti salienti di un comportamento che è difficile descrivere a parole: va ascoltato e basta per potersene fare un’idea. L’assenza di ruvidezze, metallicità, spigoli o altri disturbi del genere è persino disarmante, dando luogo a una raffinatezza forse maggiore rispetto ai modelli superiori di casa Graaf, contraddistinti dal canto loro da una potenza più elevata e persino sconfinata nel caso del GM 200.
Tutto questo a patto naturalmente che il carico su cui si fa lavorare il finale sia quello indicato per le sue prerogative.
Per sfruttare al meglio la potenza messa a disposizione dal GM 20 occorrono diffusori che non tendano a scendere d’impedenza rispetto agli 8 ohm nominali e che abbiano anche una buona sensibilità. Soddisfatte queste condizioni, il più piccolo degli OTL Graaf si esibisce al meglio delle sue potenzialità, che sono davvero considerevoli. Se poi si procede a rimuovere gli elementi di potenziale limitazione qualitativa, la voce che esibisce è ancora più attraente, canto di sirena al quale riesce oltremodo difficoltoso resistere per qualsiasi appassionato del bel suono, e soprattutto che lo sappia riconoscere, cosa da non dare mai per scontata.
A tale proposito va considerato che la componentistica disponibile all’epoca della sua progettazione non può competere con quella del giorno d’oggi. Oltretutto le quantità di calore sovrabbondanti che si sviluppano all’interno del contenitore non favoriscono certo la conservazione delle sue doti originarie.
Ecco perché da un intervento di sostituzione si ottengono risultati di evidenza ancora più grande del solito, oltreché di qualità parecchio spiccata in termini di sonorità, favoriti del resto da condizioni di base di prim’ordine, come tali in grado di porre ogni elemento migliorativo sotto la luce più vivida ed esplicita.
Messo nelle condizioni di esprimersi al meglio, il GM 20 dimostra ancor oggi di avere pochissimi rivali in termini di qualità sonora. Meno che mai nel panorama della produzione commerciale, sempre più tendente a soddisfare velleità con l’eccellenza sonora hanno ben poco a che vedere.
Fluidità, nitidezza, pulizia, velocità sono di grande rilievo e ancora di più. In particolare è quest’ultima che sorprende maggiormente, essendo in grado di surclassare anche le elettroniche a stato solido più versate nello specifico parametro.
Il GM 20 in definitiva è un amplificatore che se è sempre più difficile possedere, dato il numero esiguo di esemplari reperibili di tanto in tanto sul mercato dell’usato, dovrebbe essere ascoltato con la massima cattenzione da qualsiasi appassionato. Esperienza che in seguito si rivelerà oltremodo formativa ai fini della capacità di discernimento. In particolare nei confronti della paccottiglia che oggi si affolla sul mercato, oltretutto a prezzi sempre più improbabili e fuori dalla portata di troppi appassionati.
Il rovescio della medaglia sta nel fatto che dopo aver ascoltato una sonorità di simile eccellenza, trovare qualcosa che possa accontentarci sarà molto ma molto più difficile.
Se queste sono le valutazioni espresse nel 2020, figuriamoci quale potesse essere l’entusiasmo generato dal GM 20 a fine anni novanta, quando la qualità sonora media delle apparecchiature, la concorrenza potenziale e per forza di cose i parametri di valutazione che si possedevano erano ben altri.
Chiunque avesse avuto la possibilità di ascoltarlo allora, non avrebbe potuto far altro che osservare la produzione più “normale”, con ben altri occhi e soprattutto con un altro orecchio. Percependo quindi all’istante i limiti, non di rado marchiani, di apparecchiature che sarebbero state valutate da chiunque altro come il non plus ultra.
Questo sempre a patto di porre il GM 20 all’interno di una catena che non ne penalizzasse troppo le potenzialità, cosa da non dare per scontata oggi e meno ancora all’epoca.
Al di là del successo commerciale che hanno riscosso, delle loro prerogative soniche e tecniche, forse il merito più grande degli OTL Graaf è stato proprio questo: rendere consci gli appassionati del potenziale ottenibile per mezzo di apparecchiature audio destinate alla vendita al pubblico e dall’altro dei limiti spesso poderosi di oggetti nei confronti dei quali si esercitava una vera e propria idolatria.
Oggetti scomodi, che rovinavano la piazza, come si suol dire. Per questo subirono un ostracismo un po’ a tutti i livelli, di carta stampata come di rivenditori.
Stereophile arrivò addirittura a scrivere che il GM 200 avesse un rapporto segnale/rumore di 57 dB, a livello di un registratore a cassette. Più volte mi è accaduto di entrare in qualche negozio e vederli messi in un angolo, invece di essere dimostrati nelle condizioni che avrebbero meritato.
Sei così presuntuoso da volerti distanziare a tal punto dalla mediocrità imperante?
Ricorda sempre che lo fai a tuo rischio e pericolo, esponendoti alla rappresaglia pubblica e privata dei mediocri. Destinati a vincere per forza di cose, dal momento che sono e sempre più saranno in maggioranza schiacciante.
Gli OTL sono sempre stati amplificatori di nicchia. Per funzionare bene richiedono attenzioni particolari. Forse è questo il motivo del generale ostracismo nei confronti di questa tipologia di apparecchi. I rivenditori non vogliono problemi, vogliono vendere l’oggetto che fa più scena. Cosa importa del suono, tanto, dicono loro, la maggior parte degli audiofili non sa distinguere un violino da una tromba…
Ciao Vittorio,
mi trovi assolutamente d’accordo.
L’atteggiamento prevalente, in ambito hi-fi è “Voglio la Pagani Zonda ma i tagliandi uno ogni 100 mila chilometri, gomme dell’Ape e come olio motore quello del fritto di domenica scorsa è pure troppo”.
I rivenditori avallano, tanto a loro che importa, basta che vendono.
A ben guardare non hanno tutti i torti: loro stanno lì per quello, non per riportare i miscredenti sulla retta via.
Anche perché tentando di far ragionare le persone spesso ci si rimette.
Sempre un piacere leggere disamine così precise. Grazie Claudio
Grazie a te Roberto per l’attenziome e l’apprezzamento.
Alla prossima.