Croce e delizia degli appassionati di riproduzione sonora, ai tempi d’oro dell’analogico e oggi per i molti chi si rivolgono o sono tornati ad esso, è la gestione del supporto vinilico.
In particolare per quello che è da sempre il suo punto debole principale, l’attitudine a sporcarsi.
Essendo fatto appunto di vinile, materiale incline di per sé a caricarsi elettrostaticamente, l’LP è un attrattore efficacissimo di polvere e contaminanti vari. Questi vanno a depositarsi nei suoi solchi e, pressati dalla puntina che scorre in essi, poi con l’aiuto dei grassi utilizzati per facilitare il distacco dalla pressa di stampaggio e tranne casi rari mai più rimossi, col tempo causano disturbi all’ascolto e non sono semplicissimi da rimuovere.
A tal fine nel corso dei decenni i possibili rimedi sono stati numerosi, a partire dalle spazzoline in velluto, e più tardi, in carbonio, con finalità antistatiche, la cui capacità più spiccata è quella di spostare la polvere da una parte all’altra del disco.
L’esperienza ha insegnato che la cosa migliore sarebbe stata l’evitare che il disco si sporchi, cosa più facile a dirsi che a farsi. Nel suo impiego, infatti, che la polvere si depositi su di esso, anche in funzione delle condizioni ambientali, è qualcosa di sostanzialmente inevitabile.
Quello che varia, eventualmente, è la quantità di polvere e altri contaminanti presente nell’aria e la tendenza dell’ambiente a favorire le cariche elettrostatiche, anche in funzione del suo tasso di umidità e della presenza di materiali d’arredo inclini a causarle.
D’altronde non è che per ascoltare gli LP ci si può trasferire in una calle veneziana e neppure dotarsi di un ambiente ad atmosfera controllata. Bisogna fare con quello che si ha e nel caso prendere i provvedimenti opportuni.
Uno di essi è il fare in modo da ridurre la tendenza del disco ad attrarre la polvere, limitando il suo caricarsi elettrostaticamente. Questo si è dimostrato possibile, per via chimica, e infatti esisteva un prodotto, all’epoca piuttosto caro ma efficace allo scopo.
Si tratta del Permostat, liquido prodotto dalla Milty, che spruzzato e poi disteso sul disco nuovo ne abbatteva drasticamente la tendenza a caricarsi elettrostaticamente.

Per conseguenza la polvere era molto meno attratta dalla sua superficie e non tendeva ad attaccarsi ad essa. Tra i dischi della mia raccolta, quelli trattati col prodotto menzionato sono i meglio conservati in assoluto e a decenni di distanza quasi tutti hanno conservato una silenziosità invidiabile.
Trattandosi di un liquido fortemente volatile, riusciva difficile rendersi conto della quantità che si andava a spruzzare sul disco. Se troppo poco l’effetto salvifico non si produceva, se invece si esagerava, nell’ascolto del disco la puntina tendeva a sporcarsi coi residui del prodotto, con le ovvie conseguenze all’ascolto, elemento che costi a parte ne rappresentava il punto debole principale.
La sua validità di fondo è comunque indiscutibile, dato che anche a decenni dall’impiego ha dimostrato di mantenere inalterate le sue caratteristiche e continua a proteggere i dischi che con esso sono stati trattati, con la stessa efficacia del primo giorno.
Aspetto curioso, anche la tendenza ad accumulare residuo da parte della puntina è rimasta la stessa.
E’ stato uno tra i pochissimi prodotti in tutta la mia vita che fatto davvero quel prometteva e forse anche di più.
Dunque, esistendone la volontà, si sarebbe potuto ovviare già in origine al problema delle cariche elettrostatiche, intervenendo sulla composizione del vinile. La stessa esistenza di quel prodotto dimostra che la tendenza a caricarsi elettrostaticamente, elemento iniziale del processo di deterioramento del supporto vinilico, sia un aspetto tuttaltro che insormontabile. Se avessero voluto, le case discografiche avrebbero potuto porvi rimedio senza difficoltà. Probabilmente senza incorrere nei piccoli difetti del prodotto menzionato.
D’altronde tutto il vinile che si stampava aveva gli stessi problemi. In loro assenza, al momento del passaggio al digitale ci sarebbe stato un motivo di meno per cantarne le lodi. Dunque eliminarer il difetto, o solo minimizzarlo, sarebbe stato doppiamente controproducente. Uno perchè la materia prima del disco sarebbe costata marginalmente di più e, due, perché sarebbe venuto meno uno tra i motivi primari per la tanto osannata “perfezione” del CD.
Senza contare che un minimo di obsolescenza programmata non guasta mai. Nella fattispecie potrebbe spingere l’utilizzatore di supporti analogici a ricomprarsi lo stesso disco quando il precedente è diventato rumoroso. Per poi restare deluso nove volte dieci, data l’abitudine di seconde e terze stampe a non suonare come la prima.
Col passare del tempo, la tendenza dell’LP ad accumulare cariche elettrostatiche va ad attenuarsi. Si potrebbe pensare che sia una buona cosa, ma invece è solo l’effetto del depositarsi sulla sua superficie di una patina formata dal contaminante atmosferico.
Pulire l’LP
Quando un disco vinilico ha un rumore di fondo consistente si tende a dire che è rovinato. In realtà potrebbe essere soltanto sporco. Quindi una volta ripulito, cosa tuttaltro che facile, non dico che riprenda la silenziosità della prima volta che lo si è estratto dalla busta, ma può recuperare in maniera inaspettata, tornando a rendere godibile il suo ascolto. Fermo restando che ci sono sempre stati dischi rumorosi già da nuovi.
Secondo Stan Ricker, tecnico del mastering tra i più validi dell’epoca d’oro dell’analogico, la colpa è dei batteri che si nutrono dei residui del grasso atto a favorire il distacco del vinile dalla pressa dopo lo stampaggio e non rimossi, i quali in breve vanno a formare colonie di entità tale da essere rilevata dalla puntina.
Passiamo quindi in rassegna alcune tra le modalità di pulizia che è possibile eseguire.
Ribadito il concetto inerente l’incapacità delle classiche spazzoline di fare altro dallo spostare la polvere da una parte all’altra del disco, vediamo che ce ne sono di due tipologie principali: in velluto e in carbonio.
Quelle in velluto penetrano meglio all’interno dei solchi, ma spesso favoriscono l’accumularsi delle cariche elettrostatiche, producendo iin ultima analisi l’effetto contrario al desiderato. Quelle in carbonio evitano il problema ma sono meno efficaci, tendono a graffiare superficialmente il disco, sia pure maniera quasi impercettibile, e soprattutto hanno spigoli vivi alle estremità del manico, che in caso di utilizzo malaccorto possono causare il danneggiamento permanente dell’LP.
Il loro impiego pertanto serve a poco o nulla e riguarda più che altro una questione di pace mentale. Tanto è vero che anche nel loro utilizzo ogniqualvolta si pone il disco sul piatto, nel lungo termine il disco si sporca lo stesso.
A tal fine il disco andrebbe pulito non prima di ascoltarlo, ma dopo. Ossia nel momento in cui è stato per quasi mezzora a girare per ciascuna facciata, tempo durante il quale ha avuto modo di accumulare polvere e sporcizia. Che a quel punto non può che andare a finire nella busta interna.
Ecco perché, quando lo si sottopone a qualsiasi forma di pulizia più radicale della solita spazzolina, la busta interna andrebbe sostituita.
Un disco non si valuta dalla copertina, per quanto ce ne siano di bellissime, ma una in buone condizioni di conservazione contribuisce a migliorarne l’esperienza d’uso. Specie quando li si conserva strettamente affiancati in una libreria o scaffale, tende a rovinarsi e a formare l’impronta del disco contenuto al suo interno. Per evitarlo basta dotarsi delle apposite buste esterne di plastica trasparente che le mantengono come nuove, anche a decenni di distanza.
Le macchine lavadischi
Già all’epoca d’oro dell’analogico esistevano le macchine lavadischi, il cui utilizzo tuttavia era circoscritto quasi solo alle stazioni radiofoniche e laddove si gestissero collezioni particolarmente ampie, anche a livello istituzionale. I loro costi d’altronde erano quelli che erano e pertanto non era semplice per il comune appassionato equipaggiarsi in tal senso.
Fare il gran salto allora non era da tutti, non solo in termini economici ma anche concettuali, non esistendo possibilità intermedia tra la solita spazzolina e il macchinario, complesso pur nella sua rudimentalità, ma soprattutto costoso.
In sostanza una macchina lavadischi è basata su un piatto che gira a velocità ridotta e possibilmente in entrambi i sensi di rotazione, una spazzola con cui distribuire e rendere più efficace l’effetto del liquido di pulizia mediante l’azione meccanica e infine un dispositivo di aspirazione.
Proprio quest’ultimo è l’elemento dirimente nella funzionalità delle macchine lavadischi. Il normale lavaggio infatti, per quanto possa dare risultati visivi interessanti, recuperando almeno in parte la lucentezza originaria della superficie del disco e abbattendo almeno in via provvisoria le cariche elettrostatiche, può rivelarsi all’ascolto una cura peggiore della malattia stessa.
Lo sporco compresso sul fondo del solco infatti viene riportato in sospensione dal liquido con cui si esegue il lavaggio. Se non è asportato in maniera efficace va a ridistribuirsi sulle pareti del solco, aumentando la rumorosità di riproduzione che diviene più evidente e soprattutto continua, tale da causare fastidio d’ascolto soprattutto quando il segnale inciso è di livello contenuto.
Questo è anche il motivo per cui si diceva un tempo che se il disco lo si riproduceva “in umido”, grazie agli appositi braccetti come il Lencoclean, poi non lo si poteva più riascoltare da asciutto.
Quindi, per evitare che lo sporco messo in sospensione dal lavaggio si ridepositi sulle pareti del solco è necessaria la sua asportazione, che le macchine lavadischi propriamente dette eseguono mediante aspirazione.
Data la potenza con cui va eseguita questa funzione per dare i risultati attesi, il difetto primario delle macchine lavadischi, oltre al loro costo, è la rumorosità. Alcune comunque riescono a conenerla meglio di altre.
La loro efficacia tuttavia è degna di considerazione, soprattutto in funzione preventiva, ossia nel mantenimento di dischi in buone condizioni. Può accadere infatti che nel caso di dischi già molto sporchi non riescano a migliorare più di tanto la situazione.
Nel tentativo di ridurre i costi di tali macchine, e quindi di conquistare nuove fasce di acquirenti, l’industria di settore ha sfornato modelli che via via hanno rinunciato a elementi della loro funzionalità da ritenersi significativi. La Nitty Gritty ad esempio ha fatto a meno del piatto su cui appoggiare il disco, limitandone la presa alla superficie coperta dall’etichetta così da rendere possibile la riduzione sostanziale delle dimensioni dell’insieme e di conseguenza i costi, pur conservando una discreta efficacia.
Questa scelta è stata ripresa da alcuni modelli che ad essa s’ispirano, tra cui la Record Doctor, una delle lavadischi ad aspirazione più a buon mercato oggi in commercio.
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In seguito si è eliminato addirittura il sistema di aspirazione, dato che costituisce anch’esso una voce rilevante nell’elenco dei costi di produzione, come nel caso della Knosti. A quel punto però la lavadischi non è più da ritenersi tale, poichè non può esserlo una semplice vaschetta conformata in modo da contenere la quantità di liquido necessaria per bagnare parte del disco, corredata solo da setole adibite a una pulizia per forza di cose sommaria e da un perno per la rotazione. Non a caso la denominazione ufficiale è Knosti Antistat. Quindi il fabbricante la vende come dispositivo atto a ridurre le cariche elettrostatiche, promosso a lavadischi nell’immaginario comune, e nelle didascalie di qualche venditore, dato che per ottenere il suo scopo bagna la superficie del disco. Un altro suo problema è dato dai costi di confezionamento e di filiera che causano la vendita del prodotto con margini enormi rispetto alle spese vive di produzione di quello che rimane comunque un pezzo di plastica variamente accessoriato.
La sua efficacia oltretutto non può che essere marginale, appunto nella mancanza di un dispositivo di aspirazione del liquido di pulizia. La semplice scolatura, sulla rastrelliera fornita in dotazione, allo scopo non è abbastanza.
Costa relativamente poco, ma quel che dà nei fatti è ancora meno.
Sotto un altro punto di vista, la Knosti può essere vista come un ulteriore sottoprodotto dell’analfabetismo di ritorno nei confronti dell’analogico, causato dal suo abbandono pressoché totale per oltre un ventennio.
La funzione primaria di una macchina lavadischi propriamente detta, appunto l’aspirazione del liquido di pulizia, può essere affidata a un bidone aspiratutto, del tipo adatto anche ai liquidi. Lo si munisce di un piedino aspirante di dimensioni opportune, magari recuperato da un vecchio aspirapolvere, la cui bocca d’entrata sia appositamente ricoperta da materiale inoffensivo per il disco, come ad esempio del velluto. Un giradischi anche con motore non funzionante può fare da supporto, facilitando le operazioni di pulizia a liquido della superficie incisa, da eseguirsi per mezzo di una comune spazzolina.
Se l’aspirazione è troppo potente, basta praticare dei fori di sfiato sul piedino, fino a ottenere la forza desiderata.
Braccetti di pulizia
Ai tempi ormai lontani della mia gioventù era alquanto diffuso l’impiego dei braccetti pulisicidischi. Ce n’erano di varie forme e tipologie, uno di essi era commercializzato da Audio Technica. Il loro funzionamento era ed è semplice: una base metallica di una certa consistenza andava poggiata sulla base del giradichi e su di essa era imperniata una cannuccia metallica alla cui estremità si trovava un cilindretto morbido ricoperto in velluto. Un elementare sistema di caricamento provvedeva a tenerlo premuto sulla superficie dell’LP. L’insieme è più difficile a descriversi che a realizzarsi e il suo costo non era impossibile, persino per un giovincello perennemente squattrinato come me.
D’altronde se tutti i soldi che racimolavo li spendevo in dischi…
Purtroppo l’effetto primario di prodotti siffatti era lo spandere con buona uniformità la polvere su tutta la superficie del disco, caricandola elettrostaticamente oltretutto, per quanto a fine riproduzione una certa quantità ne restasse intrappolata sul cilindretto.
Questo poteva essere sostituito quando consumato e allo scopo la confezione conteneva in genere un elemento di ricambio o due.
Insieme a tutto il resto dell’armamentario dedicato all’analogico, anche questo tipo di braccetti è tornato a essere reperibile, con la sola differenza che al posto del cilindretto in velluto atto a raccogliere la polvere ora c’è un pennellino con setole in carbonio.

Lettura in umido
Arriviamo ora a parlare di una specialità che a un certo momento ha acquisito una buona diffusione, per poi cadere anch’essa nel dimenticatoio dati i motivi che vedremo. La si eseguiva per mezzo di una variante dei braccetti di pulizia realizzata allo scopo, dotata di una cannetta cava in materiale plastico che funge da serbatoio per il liquido destinato a realizzare questo tipo di lettura. Una “testina” dalla superficie ricoperta di setole si occupa del “tracciamento” del braccetto, in modo tale che la testina vera, quella montata sul braccio del giradischi, si trovi a lavorare sempre sulla porzione bagnata del disco. Su di essa, un sistema di parzializzazione del flusso era atto almeno idealmente a evitare il completo allagarsi del disco.
Per il suo tramite, e poi agendo anche sull’angolo di tracciamento, si riusciva a regolare l’afflusso di liquido, almeno a grandi linee.

Il più noto a suo tempo era il Lencoclean, che veniva commercializzato appunto da Lenco. La lettura in umido è in effetti di silenziosità sorprendente. Inoltre il liquido depositato sulla superficie del disco contribuisce a smorzare i movimenti dell’equipaggio mobile, con effetto non disprezzabile per il rendimento sonico delle testine all’epoca più diffuse, sempre piuttosto economiche. Il loro comportamento alle frequenze elevate, in genere penalizzato dalla frequenza di risonanza dell’equipaggio mobile ben all’interno della banda audio, ne traeva un certo beneficio.
In breve ci si accorse che il Lencolean causa dipendenza, dato che dopo averlo utilizzato, se si provava a riascoltare il disco a secco ci si ritrovava con una quantità di rumore di fondo fortemente aumentata. Questo avviene perché il liquido riporta in sospensione lo sporco annidato sul fondo del solco, ridistribuendolo sulle pareti. Una volta evaporato il liquido, le pareti del solco restano coperte di sporco, rendendo il disco pressoché inutilizzabile.
Solo in epoca relativamente recente si è trovato il modo di recuperare alla lettura a secco i dischi bagnati con il liquido del Lencoclean e similari. Ne parliamo tra poco.
All’epoca del Lencoclean e dei suoi succedanei, inoltre, gli stili di lettura erano incastrati nell’asticciola o cantilever. A un certo punto si sono diffusi quelli incollati, tecnica necessaria allo scopo di ridurne massa e dimensioni per migliorarne le capacità di tracciamento, e per l’impiego di materiali più rigidi rispetto all’alluminio, come il boro. Entrambe sono soluzioni tipiche per le testine di qualità elevata.
Il liquido utilizzato per la lettura in umido, una miscela di acqua distillata e alcool isopropilico in percentuale variabile, a lungo termine causa l’indebolirsi delle capacità adesive del collante utilizzata allo scopo e di conseguenza il distacco dello stilo. Con quelli reincollati a freddo, a seguito delle operazioni di ristilaggio, possono bastare pochi minuti di lettura in umido per far si che si scollino e vadano irrimediabilmente perduti.
Pertanto la lettura a liquido, che mantiene la sua utilità per i dischi molto sporchi e usurati, andrebbe eseguita soltanto per mezzo di testine con cantilever in alluminio e stilo montato a incastro.
Imbibente fotografico
Ai tempi d’oro dell’analogico un metodo di pulizia prevedeva l’impiego di prodotti tipo Photoflo e simili, utilizzata nella stampa delle immagini catturate su pellicola. In sostanza si agiva con pennello e bacinella, con risultati tali da rendere il procedimento degno di menzione.
Malgrado oggi la fotografia analogica sia praticata molto meno di un tempo, è comunque possibile reperire il necessario, facendo attenzione a prendere dell’imbibente e non il fissativo, che si potrebbero confondere l’uno con l’altro.
Un metodo originale
Se l’utilizzo delle macchine lavadischi, intendendo come tali quelle vere, ha il suo elemento dissuasivo iniziale nel loro costo, esiste un sistema almeno altrettanto efficace che non abbisogna di un’attrezzatura tanto costosa.
Sto parlando della colla vinilica, sistema venuto in auge non molto tempo addietro, la cui efficacia è ottima come ho avuto modo di verificare di persona già da diversi anni. Un barattolo di colla da mezzo chilo può costare intorno ai 5 euro, dopodiché servono solo un minimo di manualità, una vecchia carta di credito o similare e un po’ di pazienza.
La procedura tutto sommato è semplice: si prende il disco e innanzitutto lo si pulisce in via preventiva, con un liquido a piacere, anche quello per vetri oppure una miscela di acqua distillata e alcool isopropilico al 30%. Si riducono così le probabilità che il grasso eventualmente depositato sulla superficie del disco non permetta l’aggrappaggio migliore del collante.
A disco asciutto si prende il barattolo della colla, che per versarla più facilmente e nella quantità voluta conviene svuotare per metà, e si procede a farla cadere sul disco.

Idealmente il risultato da ottenere è quello dell’immagine sopra, versando con una certa parsimonia la colla in cerchi concentrici. Allo scopo un vecchio giradischi anche non funzionante, basta che giri il piatto sia pure a mano, torna parecchio utile.
Non avendolo a disposizione, se ne può costruire un simulacro senza eccessive difficoltà. Fare in modo da avere una tavoletta che giri su un perno, anche rudimentale, non è così difficile.
Versata la colla, con una carta di credito la si distribuisce sul disco, cercando di darle la migliore uniformità, a coprire tutta la superficie.

Il risultato da ottenere è quello dell’immagine qui di seguito. Con un po’ di pratica si riesce senza troppe difficoltà.
La cosa migliore è provare su qualche LP privo d’interesse e prendere la mano con la procedura, prima di passare ai dischi meritevoli.

A questo punto si tira su il disco dal piatto, e lo si depone in posizione di asciugatura. Allo scopo tornano comodi dei bicchieri, del comune tipo da tavola. Fanno da base di sostegno, da porre sotto l’etichetta, e poi anche da fermo perché il disco resti in posizione. Se ne possono impilare fino a tre, qualora per sveltire le operazioni si decida di pulire un certo numero di LP alla volta.

Durante il periodo estivo la colla impiega circa 8-12 ore per asciugarsi. Per facilitare la sua stesa sul disco e far si che penetri al meglio, la si può allungare appena con dell’acqua distillata, mescolando poi con cura.
A questo punto ci si arma di pazienza e si attende che la colla asciughi perfettamente. Da evitare è il tentativo di toglierla anzitempo. In quel caso ci si ritrova col disco inzaccherato ma nulla è compromesso. Occorrerà solo ricominciare da capo l’intero procedimento.
Qui di seguito un disco cosparso di colla quando la sua asciugatura è ormai a buon punto.

Questo è il momento in cui non ci si deve far prendere dalla fretta. Occorre attendere che la colla secchi completamente. Quando ciò avviene, la superficie del disco si presenta come nell’immagine qui sotto.

La colla ha assunto un aspetto traslucido ed è distribuita in maniera uniforme sull’intera superficie dell’LP. Al riguardo è essenziale disporre i dischi bene in piano, altrimenti la colla tende ad andare tutta da una parte e la sua asciugatura prende molto più tempo. In questo caso anche il distacco corretto potrebbe causare dei problemi, dato che dalla parte opposta lo strato di colla potrebbe assottigliarsi troppo.
Giunti fin qui si ripete il trattamento anche sull’altra facciata e si attende ancora una volta che il tutto asciughi perfettamente.
Allora si prende il disco e con l’unghia del pollice si va a sollevare la colla. La cosa avviene con maggiore facilità in un punto in cui ha lo spessore maggiore. Pian piano si solleva, procedendo sempre lungo il margine esterno, come nell’immagine che segue.

Qui si nota il punto in cui si è agito per iniziare il distacco. Eventualmente si può affogare nella colla un qualche elemento atto a migliorare la presa, come un pezzetto di cartoncino, di plastica o altro.
Fondamentale per la riuscita dell’operazione è fare in modo che la colla venga via in un pezzo solo. Questo si ottiene più facilmente quando ha uno spessore sufficiente e la temperatura ambientale è adeguata. In estate problemi al riguardo non ce ne sono, quando fa più fresco ci si può aiutare con un asciugacapelli, regolato a temperatura intermedia. Quando la colla è scaldata un minimo, infatti, non tende a spezzettarsi come avverrebbe altrimenti.
Se malgrado tutto resta qualche pezzo di colla appiccicato che risulta difficile da togliere, basta procedere a una nuova stesura per poi rimuovere il tutto non appena asciutta.
In fase di rimozione della colla, avere un elemento che tenga il disco al suo posto, evitando che vada a seguire lo strato in via di separazione, è senz’altro d’aiuto. Un clamp o altro oggetto pesante da poggiare sull’etichetta possono fare al caso nostro.

Quando si è sollevata una porzione di colla sufficiente procedendo lungo il margine esterno, si va a rimuovere con un minimo di cautela tutto lo strato, sempre facendo in modo che non si strappi.
A questo punto ci si ritrova in pratica con un’impronta speculare della superficie del disco. E’ come se gli avessimo fatto una sorta di maschera facciale, che non a caso è il metodo più efficace per la pulizia in profondità della pelle.
Se avremo staccato correttamente lo strato di colla, potremo anche metterlo sul giradischi e suonarlo, con l’accortezza di iniziare dall’interno, dato che i solchi girano in senso opposto.
Potremo scoprire così se è vero che nei dischi di Beatles, Rolling Stones e altri gruppi sono contenute invocazioni sataniche, come sosteneva certa stampa degli anni ’60, ascoltabili riproducendoli al contrario.

Distaccato lo strato di colla da una facciata, si procede anche con l’altra.
Completata l’operazione, sollevando il disco dal piatto è probabile sentire una bella raffica di scariche elettrostatiche. Questa è una prima conferma per l’efficacia della pulizia mediante colla vinilica. Fenomeni simili sono caratteristici del disco nuovo, condizione alla quale la superficie dell’LP è assimilata con l’impiego di questo metodo.
In seguito l’ascolto del disco pulito conferma i risultati ottenibili secondo un sistema economico ma alquanto impegnativo. Tutto d’altronde non si può avere.
Lettura in umido – 2
La colla vinilica funziona anche per il ripristino dei dischi suonati “in umido” con l’aiuto degli appositi braccetti tipo Lencoclean, che quindi si possono ricominciare ad ascoltare mediante la normale riproduzione a secco. Ciò in passato era ritenuto impossibile, ulteriore dimostrazione dell’efficacia di quel metodo.
Torniamo sull’argomento perché alla luce dell’esperienza fatta con la colla vinilica, e per quanto possa apparire un paradosso che una volta tanto però va a vantaggio dell’appassionato, questa pratica assume non solo una sua efficacia ai fini della pulizia del disco analogico, ma nel concreto può rivelarsi uno tra i sistemi più efficaci in assoluto, anche se a partire da una procedura lunga e complessa.
Infatti, trovato il modo di portar via i residui che va a distribuire sulle pareti del solco, all’atto pratico la lettura in umido è ancora oggi il solo sistema capace di entrare all’interno del solco ed eseguire il sollevamento di quanto è ancorato sul suo fondo per via meccanica.
Questa funzione è svolta dalla puntina, che per l’appunto traccia il solco e trova al suo interno lo strato di sporco già ammorbidito dalla soluzione moderatamente alcolica distribuita in esso dal braccetto a liquido. A quel punto sollevare lo strato di sporco non è un problema, compito che verrà eseguito in maniera tanto più efficace quanto la puntina è in grado di esplorarlo a fondo.
Una volta estratto, il deposito presente in fondo al solco viene messo in sospensione nel liquido. Quando quest’ultimo è evaporato resta come sappiamo bene sulle pareti del solco. Pronto per essere portato via mediante l’applicazione della colla vinilica, che funzionando nello stesso identico modo di una maschera facciale per utilizzi cosmetici non ha difficoltà al riguardo.
Alla luce delle convenzioni vigenti, il funzionamento di questo sistema potrebbe sembrare impossibile. Come al solito basta provare.
Ci si munisce di un braccetto a liquido, che costa qualche decina di euro e spesso ha già in dotazione la bottiglia di liquido, si prova su qualche disco di poco interesse o ritenuto irrecuperabile e in prima persona si fa l’esperienza, madre di ogni conoscenza.
Non solo, si vedrà anche che senza arrivare a tanto, il liquido riesce a silenziare le fonti di disturbo con ottima efficacia. E anche se poi ci rimane sopra il residuo, che volendo si può eliminare, si tratta comunque di un disco dato per perso.
Ricordiamo sempre di utilizzare allo scopo una testina con cantilever in alluminio e stilo incastrato in esso. Mai quelli incollati.
La pulizia a vapore
Anche questo è un metodo che è andato diffondendosi, per modo di dire, negli ultimi tempi. In ambito generale il metodo di pulizia a vapore è noto per la sua efficacia e perché non presuppone l’impiego di detergenti.
Ci troviamo nuovamente di fronte a un sistema economico, dato che basta una vaporella, di quelle a mano che si usano per la pulizia di piccole superfici, tendaggi e tappezzerie.
Si dà sempre una pulita preventiva al disco, con liquido e spazzolina, poi si procede, previo caricamento della vaporella con acqua distillata.
Dirigendo il getto sulla superficie del disco e tenendocelo per qualche istante, pian piano si copre tutta la sua superficie. A quel punto è opportuno asiprare il liquido rimasto sul disco, con una macchina lavadischi oppure con il bidoncino aspiratutto provvisto di piedino appositamente ricoperto in velluto.
Malgrado il getto di vapore sia rovente, anche quando s’indugia per alcuni istanti sullo stesso punto, toccandolo con la mano ci si accorge che la temperatura dell’LP è rimasta abbondantemente entro i limiti di sicurezza. Ovviamente, affinché il vapore produca il suo effetto, un minimo di riscaldamento deve verificarsi, altrimenti lo si bagna e basta.
Nuovo passaggio di spazzolina, la cui azione meccanica completa l’effetto del vapore, e poi via di aspirazione.
Anche in questo caso i risultati sono interessanti e come sempre prove su dischi privi d’interesse da eseguirsi in via preliminare sono raccomandabili.
Il sistema a vapore è anche abbastanza economico. La mia vaporella l’ho acquistata anni fa presso un magazzino di elettrodomestici al prezzo di 30 euro. Ora ce ne vorranno forse una decina in più.
Il vero limite della pulizia a vapore è che le vaporelle a mano hanno un serbatoio per l’acqua non particolarmente capiente e quindi tende a esaurirsi con una certa rapidità. Prima di rifare il pieno occorre che la caldaia interna si raffreddi, se non si vuole rischiare che le sue pareti si spacchino, all’immissione dell’acqua, se questa non è stata previamente riscaldata.
Mettersi a lavorare con quelle da pavimento non so quanto sia il caso.
Attenzione anche a quando le si lascia a lungo ferme. E’ possibile che le pareti interne della caldaia si ossidino e a quel punto non so se siano recuperabili. Forse ci si può riuscire con una serie di utilizzi a vuoto. Si può evitare il problema con liquido per radiatori di automobile.
Vasca a ultrasuoni
Eccoci arrivati infine al metodo di pulizia che ha trovato più di recente la sua diffusione. Si basa sull’impiego di vasche a ultrasuoni come quella raffigurata in apertura, oggi piuttosto comuni, da corredare dell’accessoristica necessaria agli scopi inerenti la pulizia dei dischi vinilici.
Riguarda essenzialmente la rotazione del disco, eseguita per mezzo di un motorino dotato di una demoltiplica tale da compiere un giro completo in un minuto, più o meno, l’alimentatore ad esso dedicato, l’asse su cui inserire il disco o i dischi e relativi distanziali aventi anche funzione di blocco, il collarino per il suo collegamento al motore e i supporti per tutto il marchingegno, da poggiare sui bordi della vasca.
A completamento torna utile una piccola rastrelliera dove depositare i dischi, nell’attesa che il liquido rimasto sulla loro superficie scoli.
Nel caso della pulizia a ultrasuoni non sembra più necessaria l’aspirazione del poco liquido che resta sul disco.
Se ne trovano in commercio già attrezzate di tutto punto a prezzi non indifferenti, ma in questo caso il tutto, insieme a una vasca da 15 litri, mi è stato fornito da Michele Zovatto, appassionato versato nell’arte del fai da te che ha deciso di costruire il suo dispositivo di pulizia, essendo approdato da qualche tempo all’analogico e all’acquisto di vinile usato.

Il primo aspetto di cui tenere conto è che la vasca fa un rumore ben poco sopportabile e possibilmente dannoso per l’udito, specie a lungo termine. Quindi è necessario disporre di un luogo chiuso all’interno del quale farla funzionare.
Personalmente l’ho sistemata sul terrazzo della mia abitazione, tanto d’estate il tempo è bello.
Soddisfatta questa condizione, il ricorso alla vasca a ultrasuoni è da considerarsi raccomandabile. Non solo perché pulisce i dischi in maniera efficace, ma anche perché dopo il trattamento i dischi sfoderano una sonorità in larga parte inattesa.
Va da sé che un disco pulito suoni meglio, ma in tale misura non lo s’immaginerebbe. La sonorità diventa più chiara e presente, voci e strumenti acquiscono maggiore realismo e tendenza a uscire dagli altoparlanti, nonché una maggiore presenza della loro caratterizzazione ambientale. Soprattutto emergono elementi nuovi.
Non si tratta dei soliti “particolari che non avevo mai percepito prima”, formula usuale tra i recensori di ogni epoca, il cui utilizzo non si è mai capito quanto avvenisse a giusto proposito, ma di vere e proprie linee strumentali. Prima, evidentemente, restavano sepolte sotto la coltre di sporco e grasso, presente già a disco nuovo.
La sonorità dei diversi strumenti viene indagata ben più a fondo: in sostanza è come se si ricorresse a una nuova sorgente analogica, di qualità superiore. Mi chiedo anzi a quale tipo occorrerebbe rivolgersi per ottenere risultati del genere. Di solito infatti i miglioramenti che si ottengono per quel tramite vanno a interessare parametri diversi e comunque si estrinsecano con altre modalità.
Non potrebbe essere diversamente, dato che un solco ricoperto per buona parte da materiale che in sostanza ne impedisce l’esplorazione a fondo da parte dell’equipaggio mobile della testina, tale rimane per il giradischi da 300 euro come per quello da 30.000. E’ probabile anzi che quest’ultimo si trovi peggio.
Anche la dinamica di riproduzione e la tridimensionalità del fronte sonoro ricavano un beneficio consistente.
Dal passaggio nella vasca a ultrasuoni, almeno quella che ho avuto modo di utilizzare, i dischi e di conseguenza l’intero sistema analogico acquisiscono un incremento di prestazioni tale da catturare ancor più l’ascoltatore, spingendolo al desiderio di ricorrere al suo impiego in via pressochè esclusiva.
Ovviamente anche il resto dell’impianto dev’essere all’altezza del suo compito, che in questo caso riguarda la capacità di rendere conto del miglioramento intervenuto all’inizio della catena. Ossia laddove gli aspetti indotti da prestazioni accresciute anche in misura rilevante possono essere tranquillamente mangiati via dal numero maggiore di elementi non all’altezza del loro compito che il segnale è costretto ad attraversare, prima di vedere gli altoparlanti alle proprie spalle.
Anche altri metodi di pulizia comportano un miglioramento per la qualità sonora ma, almeno nella mia esperienza, nessuno si avvicina a quello che riesce a fare la vasca. Per conseguenza, una volta verificato questo, ci si ritrova praticamente costretti a sottoporre l’intera collezione vinilica, o quantomeno la parte più importante di essa, a una nuova operazione di pulitura.
Con l’aiuto della vasca sono riuscito a recuperare dischi che ritenevo perduti per sempre, senza rivangare i motivi per cui sono arrivati a tal punto. Non sono tornati proprio perfetti, ma rispetto alle condizioni precedenti è qualcosa di insperato. Quelli nelle condizioni peggiori hanno tratto maggiore giovamento dal trattamento doppio, prima colla vinilica e poi vasca.
La doppia pulitura sembra inoltre causare un ulteriore miglioramento della qualità sonora, in misura marginale ma percettibile.
Non volendo spingersi a tanto, si può dare una pulita preventiva al disco prima di metterlo in vasca, sempre con del liquido per vetri o anche con la solita miscela acqua distillata + isopropilico al 30%, avendo cura di strofinare un pochino, sempre con la dovuta delicatezza, usando una spazzola per dischi.
Malgrado tutto, con qualche LP non c’è stato verso di ottenere risultati: nonostante ripetuti passaggi il sottofondo di disturbo è rimasto pressoché inalterato. Eppure almeno visivamente le loro condizioni non sembrerebbero poi così male, anzi.
Probabilmente perché sullo strato di contaminante che causa il rumore di fondo, i metodi e le sostanze utilizzate non hanno avuto effetto.
Non mi sono dato per vinto e dopo un paio di passaggi ho provato la pulizia preventiva con un detergente più aggressivo e quindi dalla maggiori capacità sgrassanti. A quel punto ho iniziato a vedere qualche risultato e probabilmente insistendo su quella strada si riuscirà ad arrivare in fondo.
In alcuni casi è possibile tuttavia che il disturbo non sia causato dallo sporco e allora c’è ben poco da fare.
Casi disperati a parte, avvalendosi di una vasca a ultrasuoni succede che molti dischi, soprattutto quelli più vecchi, che hanno passato le più grandi battaglie, finiscono col suonare meglio di quel che suggerirebbe il loro aspetto, generalmente vissuto. Di solito invece è il contrario: se l’aspetto è a un certo livello, di solito l’ascolto è anche peggio.
Giacché ci siamo, parliamo anche dell’aspetto del disco in buone condizioni di conservazione una volta uscito dalla vasca. Nella maggior parte dei casi recupera una brillantezza che forse non aveva neppure da nuovo. Per quanto sia un elemento secondario, dato che quello che conta è il suono, la cosa fa sempre un certo piacere.
La pulizia riesce meglio se la temperatura dell’acqua è intorno ai 37-40 gradi, massimo 42. Andare più su non so fino a che punto sia consigliabile. Dato che, una volta prodottisi gli effetti di un riscaldamento troppo forte per il materiale vinilico, non si torna più indietro.
L’ho imparato a mie spese a suo tempo, quando ho sottoposto alcuni dischi ondulati all’azione di una pressa per la loro spianatura, purtroppo utilizzata da personale forse non in grado di comprendere le conseguenze delle proprie azioni.
Anche quelle presse, malgrado il loro costo, non dovevano essere questo miracolo di sicurezza, proprio in quanto le temperature potenzialmente sviluppabili al loro interno non sono state calcolate, e men che meno verificate, con l’accuratezza necessaria.
Tornando alle vasche, va rilevato anche che per l’impiego specifico, la loro capacità risulta alquanto sovrastimata. Quindi in una da 15 litri come quella che ho potuto utilizzare, ci vanno 10 litri circa di liquido. L’impiego anche di detergente in soluzione blanda, diciamo al 10%, non fa male. La prima prova l’ho fatta con quello che avevo in casa, ovverosia liquido per vetri. Visti i buoni risultati ho continuato così, anche per via del costo ridotto.
Ne ho trovato di buona qualità a 80 centesimi la bottiglia. L’acqua con cui riempire la vasca dev’essere quantomeno demineralizzata. Personalmente ho preso quella per batterie al piombo e ferri da stiro. Ho trovato anche quella a 80 centesimi per il boccione da 5 litri, presso un discount qui in zona.
Riempire la vasca di liquido secondo le modalità descritte, pertanto, ha un costo inferiore ai 3 euro.
L’acqua va tenuta possibilmente pulita, quindi ho provveduto alla sua sostituzione dopo un certo numero di dischi, filtrandola anche a metà strada per mezzo di una pompetta sommersa per acquari, altra idea di Michele. Magari non avrà un’efficacia eccezionale ma si è rivelata in grado di trattenere almeno il grosso delle impurità.
E’ possibile che al primo tracciamento dei dischi la puntina trattenga ancora qualcosa, fenomeno che va ad attenuarsi nel corso delle riproduzioni successive, con tendenza a scomparire. L’acqua di risulta, una volta filtrata di nuovo, va benissimo per il lavavetri dell’auto, in particolare se la si è miscelata come descritto in precedenza.
Dato che la potenza delle resistenze di riscaldamento a corredo delle vasche non è granché, se si vuol fare la pulizia a 40 gradi si rischia di dover attendere delle ore, specie coi modelli grandi. Meglio allora portare quasi a ebollizione un paio di pentolini di acqua demineralizzata e versarli nella vasca.
Le vasche a ultrasuoni in grado di accogliere l’LP fino all’altezza dell’etichetta, quel che serve per la loro pulizia, sono in genere da almeno 6 litri. Con modelli di capacità maggiore è anche possibile pulire più dischi alla volta.
In conclusione, i metodi oggi disponibili per la pulizia degli LP sono diversi e dotati di una loro efficacia. Al di là del fatto in sè, comunque significativo per la conservazione di una raccolta destinata non solo a fare bella mostra ma anche ad essere ascoltata, la loro esistenza permette di ricorrere con minore insicurezza al mercato dell’usato discografico. In particolare quello risalente all’epoca d’oro dell’analogico, che dà conto delle vere potenzialità sonore dei dischi LP.
La loro produzione infatti non era soggetta ai processi di digitalizzazione pensati e attuati soprattutto in funzione delle necessità commerciali del supporto a codifica numerica e regolarmente gravati dalla volontà di strafare di quanti non hanno il retroterra culturale sufficiente per comprendere che, se a suo tempo le cose sono state fatte in un certo modo, è probabile che ci sia un buon motivo.
Diversamente da quel che si può leggere oggi in rete, e si sente ripetere a oltranza, I dischi pubblicati prima della scomparsa dell’analogico che sono stati realizzati con tecniche digitali non hanno i problemi di quelli stampati attualmente. Per il semplice motivo che quelle tecniche erano utilizzate secondo una logica e con scelte e finalità concernenti l’ottenimento del risultato migliore dal supporto analogico. Soprattutto vi si è fatto ricorso prima che subentrasse l’analfabetismo di ritorno prodottosi lungo i decenni in cui gli LP sono stati soppiantati dal digitale.
Una delle sue conseguenze è anche il ritenere indegno a prescindere qualsiasi LP d’epoca che derivi da un processo di produzione non totalmente analogico.
Ciao, Claudio. È passato qualche anno, ma l’argomento è attualissimo.
Volevo perciò aggiungere un piccolo contributo riguardo la miscela da usare nelle macchine a ultrasuoni: l’additivo non deve essere necessariamente un detergente, anzi! La pulizia avviene per cavitazione (microbolle ‘cruente’ create dagli u.s.), quindi l’additivo serve per abbassare la tensione molecolare dell’acqua, rendendo la creazione delle bolle ancora più efficaci per quantità e dimensioni. L’alcol isopropilico è ottimo per questa funzione e inoltre non rilascia residui in evaporazione. Ne basta anche poco, direi il 10-15 %
In questo momento (gennaio 2025) sul noto sito di vendita online, c’è una macchina cinese a due frequenze ultrasoniche (!) con argagno per gli LP a 240 euro…
Buonasera Roberto.
Il problema con gli alcoli e più in genere con le sostanze volatili è che se si lavora con acqua calda, anch’essa più efficace nella pulizia, specie dei grassi residuati dal processo di stampaggio, tendono a evaporare.
Grazie comunque del commento e dell’attenzione.
salve, mi chiamo Giuseppe purtroppo sono in questo momento ho scoperto questo sito e ne sono rimasto veramente affascinato e maggiormente dai tuoi preziosi consigli che offri al fine di avere un ottims pulizia di dischi in vinile.
Sono un forte appassionato di dischi in vinile, e per la lori pulizia negli anni ho fatto innumerevoli tentativi ma senza mai avermi soddisfatto pienamente.
Sono possessore da circa 4 mesi di una macchina ad ultrasuoni con capacità vasca fino a 4,5 litri.
Con il kit compreso di motorino girevole posso lavare fino a 6 dischi contemporaneamente.
Inoltre non essendo ancora molto soddisfatto, servendomi di due lastre di pexiglass da 3mm di spessore ho fatto una modifica.
La modifica è riferita che con il plexiglass ho creato, rintagliandole a misura, due lastre che vengono immerse nella vasca riempita con l’acqua bidistillata e ad ogni lastra nella parte interna alla stessa altezza è stata messa una striscia adesiva con peli di capra lunghezza di circa 10 cm.
Per poter fare in modo che le due strisce nel compaciarsi siano troppo vicine, ho creato due fori sulla parte alta delle lastre ove ho inserito una vite senza testa con diametro da 6mn e lunga 10 cm ove al centro di questa vi è una piccola molla in acciaio, la quale molla può essere regolata al fine di portare le due strisce all pressione giusta per poter fare roteare il vinile che passa nel loro mezzo.
Quando faccio questa operazione uso solamente acqua bidistillate e 7/8 gogge du Kodak professional photo-flo 200, portando il liquido sui 38/39 gradi.
Per migliorare il lavaggio dei miei vinili, voglio chiedere a te quale esperto nel settore…ma nell’acqua bidistillata + 7/8 gogge del precitato liquido kodak, mi consigli di aggiungere qualcos’altro (tipo liquido per pulizia vetri) e possibilmente se mi puoi riferire la percentuale da aggiungere.
Continua sempre così.
In attesa di un tuo benevole riscontro cordialmente Giuseppe
Ciao Giuseppe, grazie dell’apprezzamento.
Vedo che l’inventiva non ti manca, dote che nell’ambito della riproduzione sonora permette talvolta di arrivare a risultati non ottenibili altrimenti.
Riguardo al lavaggio dei dischi, sono fondamentali le condizioni di partenza. Un disco molto sporco è probabile richieda scelte diverse rispetto a uno sul quale, magari, è necessario solo abbattere le cariche elettrostatiche.
Nella mia esperienza l’ideale è lavare un solo disco alla volta. Personalmente utilizzo mezza bottiglia di liquido per vetri per ciascun riempimento della vasca, sempre in una da 6 litri nominali, che quindi ne porta in effetti 4 e mezzo o poco più.
Importanti sono anche le temperature, ho verificato che si può salire anche a 42-43 gradi senza rischi per l’incolumità del vinile.
Quanto alle superfici ricoperte con pelo di capra, idealmente potrebbero avere la loro efficacia, anche se in realtà potrebbero comportarsi maggiormente come distributori dei residui prelevati in precedenti e rimasti per forza di cose intrappolati.
Verifica quindi con attenzione i risultati che ottieni con il loro impiego.
Buongiorno Claudio,
mi permetto un suggerimento economico per eliminare la carica elettrostatica dai vinili. Lo uso da qualche anno con risultati eccellenti. Mi riferisco al braccetto di pulizia di cui hai pubblicato la foto. Quel braccetto è un accessorio praticamente inutile per quanto riguarda la pulizia, soprattutto a causa del fatto che spesso raggiunge la fine dei solchi ben prima della testina di lettura, però se si usa quel cavetto visibile in foto collegandolo alla base del braccetto da un lato e alla massa del preamplificatore dall’altro, svolge una imbattibile azione nell’eliminazione di ogni carica elettostatica presente sulla superficie del disco. Ovviamente va usato per tutto il tempo in cui la testina è poggiata sul disco, senza curarsi della posizione del braccetto rispetto a quella della testina riguardo ai solchi.
Un saluto e complimenti per il sito.
Ciao Antonio, grazie dell’apprezzamento.
Quando si affronta un tema, e al riguardo si fa una rassegna dei diversi dispositivi utilizzati nel corso del tempo per arrivare a un certo risultato, è d’uopo mostrare sia quelli che hanno dimostrato una certa efficacia, sia quelli che ne avevano molta meno ma per un motivo o per l’altro hanno acquisito una certa diffusione in un determinato momento storico.
Questo è appunto il caso dei braccetti puliscidischi, dei quali nel testo sono descritti i numerosi difetti.
Aggiungendo ad essi un cavetto atto a far si che fossero collegati a terra, si otteneva in effetti un buon dispositivo per ridurre le cariche elettrostatiche, nemico numero 1 del mantenimento delle condizioni minime di pulizia dei dischi vinilici. A patto però che lo spazzolino a contatto della superficie del disco sia anch’esso conduttivo e sia collegato elettricamente al resto della struttura. In caso contrario quell’accorgimento servirebbe a ben poco.
Così facendo però restano al loro posto gli altri difetti del sistema, primo fra i quali l’attitudine a distribuire polvere e sporcizia lungo la superficie dell’LP, che almeno tende a essere meno “calamitata” nei confronti di quest’ultima, grazie alla riduzione delle cariche elettrostatiche.
Oggi il vantaggio principale di quei braccetti resta la loro relativa economicità, anche se per un’azione davvero risolutiva per le condizioni dell’LP e la sua conservazione a lungo termine la scelta che reputo più indicata è quella della vasca a ultrasuoni.
Non solo perché il loro impiego elimina il problema delle cariche elettrostatiche, ma anche perché permette di eliminare la patina che ricopre il disco già da nuovo, essenzialmente residui dei grassi utilizzati per facilitare il distacco del vinile dalla pressa di stampaggio. Questo permette di ricavare dal supporto una qualità sonora che altrimenti non sarebbe ottenibile.
Tuttavia c’è di più: anche le normali macchine per il lavaggio sono in grado di eliminare quella patina, ma i risultati che si ottengono con il loro impiego non sono paragonabili, sonicamente parlando, a quelli delle macchine a ultrasuoni.
A mio avviso questo si deve proprio al principio funzionale di queste ultime, che in qualche modo potrebbe influire sulla struttura molecolare stessa del vinile, permettendo risultati sonici non ottenibili altrimenti. Questo viene suggerito dal fatto che insistendo a lavare più e più volte lo stesso disco, la sua sonorità perviene a livelli qualitativi crescenti, che a quel punto potrebbero non essere dovuti a una semplice questione di pulizia.
Si potrebbe ipotizzare infatti che dopo due, al massimo tre lavaggi ben eseguiti, un disco che non abbia trascorso nella fanghiglia gli ultimi tre o quattro decenni sia ormai pulito a fondo e quindi non ci si possano attendere ulteriori miglioramenti sotto tale profilo.
Dunque, se questi avvengono ci dev’essere qualcos’altro, che in una prima, superficiale analisi potrebbero essere attribuiti a quanto detto sopra. Ferma restando la possibilità di smentita della teoria, nel momento in cui dovessero emergere nuovi elementi al riguardo.
In ogni caso, un sistema di lavaggio realmente efficace, quale che sia il suo principio funzionale, è da considerare ormai irrinunciabile per qualsiasi impianto basato sulla sorgente analogica che voglia trarre da essa una parte ragionevolmente completa del suo potenziale.
Buonasera,e complimenti per la rivista.Diverse volte ho seguito i suoi consigli,e per questo Le dico grazie.Volevo farle una domanda a proposito della pulizia ad ultrasuoni.Mi stò attrezzando con una macchina come quella in testa all’articolo,ma volevo sapere quanto tempo di pulizia gli devo dare.Inoltre non mi è chiara la percentuale di detergente da aggiungere.Il 10% di 5 lt,è mezzo litro!Non mi sembra tanto blanda.Non potrebbe fare schiuma in eccesso?Poi quale?Il Vetril va bene?O isopropilico.Una bella ricetta come fa,il dottore….Grazie
Ho provato la macchina a vuoto (non ho lavato nessun vinile,aspetto la sua risposta)e ho notato che quando si fanno partire gli ultrasuoni dopo il riscaldamento la temperatura sale ulteriormente di due gradi e mezzo.Con 37° impostati arriva a 39,5°.Siccome si lavora a temperature al limite della sopportazione del vinile è meglio munirsi di un comune termometro e controllare prima di immergere i vinili.Continui sempre così,noi audiofili abbiamo sempre l’esigenza di confrontarci e di conoscere.Meglio se lo si fà con una persona appassionata e competente..
Ciao Ettore, grazie dell’apprezzamento.
Mi sono trovato bene con un detergente per vetri a marchio del supermercato di colore blu. Dato che costa poco e funziona bene, continuo con quello. Lo uso disciolto al 10% circa in acqua demineralizzata.
Appena lo si versa fa un po’ di schiuma, che scompare dopo qualche istante.
Eviterei alcool e similari, data la loro tendenza all’evaporazione. In particolare se si usa la vasca a temperature superiori a quella ambientale.
Coi dischi particolarmente sporchi faccio anche due o tre cicli da mezzora l’uno e finora sono arrivato a temperature di 41-42 gradi, stando all’indicazione della vasca, senza problemi.
Per quelli normali un ciclo di mezzora dovrebbe essere più che sufficiente.
Il fenomeno riguardante la salita della temperatura quando si fanno partire gli ultrasuoni, sinceramente non l’ho mai rilevato.
Ovvio che se si lascia acceso il riscaldamento dell’acqua, continui a fare il suo lavoro fino al raggiungimento della temperatura impostata.
Essenziale comunque è fare un minimo di sperimentazione, magari con dischi che non interessano, per trovare le modalità d’impiego più adatte per le proprie necessità.
Buonasera , ho letto gran parte dei suoi articoli tutti molto interessanti e professionali , grazie. Sono interessato all’acquisto una lavadischi ad ultrasuoni e a tal proposito vorrei farle delle domande. Che soluzione stà utilizzando per il lavaggio ? Sempre al 10% ? L’isopropilico si può utilizzare ? Come asciuga i vinili ? La ringrazio per la sua cortese attenzione .
Ciao Gianni,
grazie per l’attenzione.
La miscela che uso è sempre quella descritta nell’articolo.
L’isopropilico penso si possa utilizzare, mescolato in bassa percentuale con acqua distillata.
Per l’asciugatura lascio evaporare su una rastrelliera.
Buongiorno Claudio,
due anni fa mi sono scontrato con il problema della pulizia dei vinili della mia collezione. Inizialmente ho trattato alcuni dischi con acqua ossigenata ottenendo un lievissimo miglioramento della qualità di ascolto. Poi un giorno, durante una visita in un noto negozio di elettroniche ho scoperto l’esistenza di questa macchina lavadischi a ultrasuoni: Klaudio kd-cln-lp200. Il titolare del negozio dà la possibilità alla clientela di lavare i dischi con questa macchina, presso il negozio, per una spesa di circa € 2,50 a vinile.
Ti dico solo che in un anno a più riprese ho lavato a ultrasuoni tutta la mia collezione ottenendo dei risultati strabilianti. Come dicevi tu alcuni dischi hano davvero cominciato a suonare un’altra musica.
Da allora qualsiasi vinile entri nella mia collezione, nuovo o usato che sia, passa preliminarmente al lavaggio con la Klaudio e poi li ripongo nelle buste antistatiche NAGAOKA RS-LP2.
Spero che la mia esperienza possa essere interessante e saluto.
Alla prossima
Ciao Andrea, grazie della testimonianza.
Si, il metodo a ultrasuoni dà risultati molto interessanti.
A presto
Vasca ad ultrasuoni tutta la vita. Ce ne sono sul mercato anche alcune”audiofile”, che , vi parrà strano, costano cifre irragionevoli, con varie “scuse”, quali la frequenza di funzionamento, ed altre frottole audiofile assortite.
La soluzione “cinese” é a mio parere ottima.
Esiste la Humminguru, che dovrebbe iniziare la produzione a Novembre ed avere un prezzo giusto.
Ciao Luca, grazie del commento. Vero, la vasca a ultrasuoni, una volta provata difficilmente la si lascia. Staremo a vedere se col diffondersi del suo impiego per la pulizia dei dischi vinilici si diffonderanno modelli specifici a costi abbordabili.
Grazie Claudio per l ´articolo sul mio kit, che ho costruito per lavare i dischi in vinile.
La vasca ad ultrasuoni la comprai in realtà per pulire gruppi farfallati, iniettori e pezzi della mia auto…Essendo in Inox ci puoi buttare quasi tutto dentro , tanto dopo basta sciacquare. Pensare che la imprestai l´anno scorso al mio collega, che ci ha pulito le teste dei pistoni di un trattore d´epoca…
Il modello e´ di origine cinese, non volendo investirci troppo. Comunque fa il suo lavoro e anche bene.
Come accennavi tu, comprando dischi usati ho iniziato a pensare a come fare a lavarli…
Girando in internet vidi alcuni esempi.
Allora ho pensato di progettare due sostegni per un motore DC con max1 RPM.
Ho disegnato i pezzi in CAD 3D e poi li ho fatti stampare… Ho dovuto fare ancora qualche adattamento a mano… Se ne serviranno ancora faro´ gli accorgimenti necessari.
Nella foto non hai messo anche il supporto per la ventola che asciuga i dischi. Da te all aperto in mezzo ai colli tira l ´arietta buona e non serve, ma in appartamento e´stata di aiuto.
Son contento che e´servito a qualcosa…
Sono d´accordo con la tua analisi. Oltre a diventare silenziosi i dischi, si “aprono”…
Io ho adirittura usato come detergente quello per i pezzi meccanici…funzioana pure quello.
Bisogna perdere un po di tempo a trovare la soluzione migliore.
Buongiorno Claudio, grazie dell’esaustiva e interessante panoramica sui diversi metodi di pulizia. Io, nel mio piccolo, sto provando il metodo proposto da Diego Nardi, tanto semplice quanto efficace (certo mi manca il confronto con una macchina a ultrasuoni) e non dissimile da quello prosposto da Viscardo.
Il sito web da cui si poteva scaricare liberamente il PDF non è più attivo, comunque questo è il documento:
https://drive.google.com/file/d/1Qd83dpyhwgb5unI8iOmZToex9uwG2a7V/view?usp=sharing
Grazie ancora e alla prossima.
Ciao Massimo, grazie dell’attenzione.
Ho dato un’occhiata al testo linkato e, senza voler assolutamente entrare in polemica, ho ritrovato le stesse identiche cose, e forse persino peggiorate,
che a suo tempo mi hanno indotto a non prestare molta attenzione agli scritti di quell’autore.
Non so, nei confronti di certe cose, e ancor più di certi atteggiamenti, soffro di allergia acuta oltreché irrecuperabile.
Pur avendogli dato solo una rapida scorsa, ho trovato nello scritto alcuni errori di fondo e di concetto, almeno a parere mio, sui quali non voglio entrare.
Comunque se ti trovi bene con un metodo e lo ritieni efficace, giusto continuare con quello. Tantopiù se è economico.
Al riguardo contano molto le condizioni di partenza del disco. Magari di quelli che si hanno da tanti anni si conoscono più o meno le condizioni e le battaglie che hanno dovuto affrontare. Quelli presi usati spesso hanno già usufruito di una qualche forma di pulizia.
Personalmente, ora che ho verificato i risultati ottenibili con la vasca a ultrasuoni, non solo in termini di pulizia e magari abbinata a qualche altro accorgimento per i casi più ostici, lo ritengo il sistema migliore, e di gran lunga, in particolare per chi ha collezioni di una certa entità.
Se il loro valore non è trascurabile, già dal lato artistico, affettivo e per quello che possono dare nell’ascolto, trovo giusto spendere somme tutto sommato abbordabili per fruirne nelle condizioni migliori.
A risentirci presto.
Buongiorno Claudio, grazie del prezioso feedback. Vero, magari in un futuro prossimo quando la discoteca sarà, si spera, un po’ più folta, la vasca ad ultrasuoni potrà essere la soluzione definitiva per ripulire l’intera collezione e i nuovi successivi ingressi.
A presto.
ciao Claudio,
articolo interessantissimo, specie il metodo con colla vinilica, alla prima occasione lo proverò certamente. Un altro argomento ad esso correlato e cruciale è la pulizia della testina, spero che potrai dedicargli un articolo in futuro.
Grazie e alla prossima
Grazie a te Alberto.
Il metodo della colla è efficace ed economico, ma ha le sue regole per dare i risultati migliori. Segui scrupolosamente le indicazioni dell’articolo e soprattutto fai prima pratica con dischi privi d’interesse.
Quanto alla pulizia della puntina, ne ho parlato nell articolo ” IL giradischi 7 – installazione e messa a punto”.
https://www.claudiochecchi.it/il-giradischi-7-installazione-e-messa-a-punto/
Magari si potrà riprendere l’argomento in un prossimo futuro.
Buongiorno Claudio , grazie come sempre per questi interessanti e utili spunti sul mondo del vinile; ottimo l’ultimo sui VDG Generator!
Per quanto attiene alla pulizia del vinile , avendo in passato fatto diversi acquisti nel mondo dell’usato, alcuni anche ottimi per rapporto cifra spesa/qualità del supporto, mi sono dovuto adoperare per trovare un sistema di lavaggio che fosse il più efficiente ed economico possibile. Acquisto un detergente specifico della OkkiNokki o dell’ Audio Technica, 50/60 ml che utilizzo miscelato con acqua distillata nella giusta misura, in apposito appretto con spruzzino; posizionato il disco spruzzo una certa dose di liquido e lo distribuisco con spazzola dedicata ( setole di pura capra, morbidissime..) . Fatta l’operazione su entrambi i lati, lasciato il liquido agire qualche minuto, procedo al risciacquo attraverso una bacinella riempita con 5 lt. di acqua distillata nella quale immergo il disco facendolo girare energicamente, attraverso apposito clamp proteggi etichetta avvitato su entrambi i lati . Evito di fare il risciacquo attraverso l’acqua corrente del rubinetto, perché piuttosto calcarea ..
Terminata questa energica “centrifuga” faccio colare un poco e subito procedo ad asciugare, anche qui con appositi panni super morbidi e rigorosamente puliti. Dopo aver letto il tuo articolo ,devo dirti che sto rivalutando l’ipotesi di una lava dischi a ultrasuoni, magari cercando nell’usato, perché i prezzi sono effettivamente poco incoraggianti. Non so però se nell’usato questi oggetti possano essere affidabili! Cosa ne pensi?
Una saluto e un augurio per un buon ferragosto e grazie per la tua attenzione.
Ciao Viscardo, grazie per l’apprezzamento.
Sistema interessante il tuo: dal momento che ne hai parlato immagino che dia risultati degni di nota.
Non so quanto sia possibile reperire vasche a ultrasuoni per la pulizia dei vinili sul mercato dell’usato. Forse la cosa migliore, per risparmiare sui costi rilevanti di quelle già attrezzate allo scopo, potrebbe essere la realizzazione in proprio degli accessori necessari, che in fin dei conti si riducono ai supporti per il motorino, realizzabili per mezzo di una stampante 3D, e ai distanziali, realizzabili eventualmente per mezzo di grossi gommini. Il motorino infatti si può acquistare già completo della riduzione necessaria a portarne la velocità di rotazione a un giro al minuto e a quel punto bastano un collarino, una barra filettata ed eventualmente la pompa sommersa per la filtratura del liquido usato.
Un augurio anche a te e alla prossima