Quando si è in procinto di lanciare un nuovo sistema di riproduzione, radicalmente diverso da tutto quel che c’è stato fino al momento prima, e con la consapevolezza che non sarà trascurato alcunché per far si che abbia non solo il successo maggiore ma elimini qualsiasi concorrenza nel tempo più breve, può accade di sovrastimare gli effetti che da esso deriveranno.
Prendendo atto delle nuove modalità operative e delle funzioni che sarebbero state permesse dal formato audio digitale e dal supporto che lo avrebbe reso fruibile, il CD, non era così fuori dal mondo pensare che sarebbero state desiderate anche nella riproduzione dei “vecchi” dischi analogici. Quantomeno nell’intervallo di tempo che si riteneva necessario affinché il digitale facesse scomparire dalla faccia della terra l’analogico e tutto l’armamentario ad esso destinato. Un anno o due, non di più.
Un po’ come le guerre: al momento di cominciarle si dice solo pochi mesi e poi tornerà la pace, giusto il tempo di ammucchiare quelle poche migliaia di morti necessarie per arrivare al tavolo delle trattative con qualcosa in mano. Poi si trascinano per anni, di morti ne fanno a decine di milioni, seminando ovunque distruzione e tragedia.
Quella mossa a suo tempo dal digitale all’analogico, pur nella differenza enorme di proporzioni costituisce un riferimento storico dai numerosi elementi affini alla situazione attuale e quindi anch’essa è in grado di dare i suoi spunti di riflessione. Oggi sappiamo perfettamente com’è andata a finire.
A questo proposito l’elemento più significativo non è il se e il come si sia riusciti effettivamente a togliere di mezzo il vecchio perché tutto lo spazio doveva essere appannaggio del nuovo. Riguarda invece l’esistenza di un gruppo di individui che condividono le stesse idee quali che siano. Nel momento in cui oltrepassa la soglia di massa critica, è inevitabile accettarne le rivendicazioni, che vanno esercitate nel concreto.
Fin quando ci si limita a formulare delle richieste, sono destinate a cadere nel vuoto.
Pertanto, nel momento in cui il ritorno d’interesse per l’analogico ha assunto il rilievo necessario, volenti o nolenti l’industria discografica e quella elettronica si sono trovate costrette ad assecondarlo. Malgrado siano state loro stesse a toglierlo di mezzo qualche decennio prima, nei modi, con la brutalità e il dispendio di mezzi che sappiamo.
Se tutti gli appassionati avessero continuato a “obbedire” alle lusinghe dei fabbricanti e alle esortazioni dei pennivendoli al loro servizio, rinunciando definitivamente all’analogico per passare al digitale, pensiamo che oggi avremmo ancora una produzione di giradischi ed LP?
Nel momento in cui il confronto tra i due formati divenne più cruento, ossia quando iniziò a palesarsi una resistenza ad esso, sembrava che la sorte dell’analogico fosse segnata, allora e per sempre. Infatti una volta raggiunto il livello di diffusione previsto per il digitale, e soprattutto il livello di penetrazione nell’immaginario collettivo del pubblico, stanti le sue pretese doti sonore e quelle più realistiche di silenziosità e praticità d’impiego, si ritenne con certezza che non vi sarebbe stato spazio per niente altro. Cosicché di tutto quanto non avesse una codifica binaria non si potesse più neppure concepire l’esistenza, se non come cimelio del passato.
Col tempo abbiamo imparato anche che certe previsioni in realtà non sono realmente tali. Ricalcano invece la tabella di marcia messa in agenda da quanti si trovano nelle posizioni adeguate a decidere i destini di un settore, o quantomeno a credere fermamente di esserne in grado, che può avere dimensioni limitate a una tipologia merceologica più o meno di nicchia ma anche un ambito di rilevanza globale.
D’altronde le leve controllate a quei livelli sono tali e tante da dare una sensazione non dico di onnipotenza, ma di poter dirigere a piacimento i destini di tutto quanto entri a vario titolo nella loro sfera d’influenza.
E’ noto però che quel tipo di sensazioni abbia la tendenza a dare alla testa. Pertanto chi le prova viene spinto alla convinzione di saper e poter calcolare tutto il necessario e anche di più, alfine d’imporre il proprio volere. Però poi salta sempre fuori qualcosa che è sfuggito, magari un particolare in apparenza insignificante che invece va a costituire un ostacolo insormontabile e a bloccare un meccanismo ritenuto perfetto, oppure che si verifichi l’imponderabile.
Col tempo allora le cose possono prendere una piega diversa da quella ritenuta esente da alternative, o meglio che si è voluto fare in modo apparisse come tale. Soprattutto, la verità infine emerge, permettendo a un numero sempre maggiore di persone di vedere le cose come stanno in effetti. Basta che ne abbiano la volontà
Si tratta comunque di processi lunghi e accidentati, che hanno in comune la tendenza a suddividere le comunità che con essi vanno a confrontarsi in tre grandi categorie.
La prima è formata da quanti già nella fase iniziale del processo sono in grado di comprendere o almeno di intuire a grandi linee la realtà cui si trovano di fronte. Questi però costituiscono sempre una minoranza, spesso trascurabile ma soprattutto trascurata se non per essere tacciata dei crimini più efferati.
Proprio in quanto colpevole di non aderire all’istante, entusiasticamente e senza la minima remora, alla narrazione che si fa cadere dall’alto.
Non a caso quanti continuarono a suo tempo a ritenere l’analogico più soddisfacente in termini di qualità sonora, e col digitale di allora ci voleva ben poco, furono accusati di essere degli obsoleti e inguaribili passatisti, nemici del progresso, della tecnologia, applicata alla riproduzione musicale quindi della musica stessa, e quel che è peggio intenti alla difesa di interessi personali.
Non si arrivò al punto di additarli a nemici dell’umanità solo perché allora determinati meccanismi non erano ancora pervenuti alle estremizzazioni e al tasso d’isteria conseguente che li hanno caratterizzati sempre più a fondo col passare del tempo. Anche le facce di bronzo utilizzate all’epoca, per quanto fossero già considerevoli, non avevano ancora lo spessore necessario per cimentarsi in imprese siffatte.
Non mancò tuttavia chi ritenne opportuno trascendere nell’insulto, dando ai cosiddetti analogisti degli ignoranti, ripetutamente. Che per un cattedratico, o per chi si ritiene tale non si sa fino a che punto a ragione, è quanto di peggio si possa immaginare. Resta in ogni caso dimostrazione della mancanza di argomenti migliori.
La seconda categoria, che rappresenta quasi sempre la maggioranza, è quella che col tempo, magari può volerci anche qualche decennio, finisce col capire le cose come stanno. Non prima però di averci sbattuto per bene la testa. Come tale è destinata a scindersi in due parti, una delle quali sarà formata da quanti pur essendosela rotta non riescono a trarne l’insegnamento necessario. Pertanto al ripresentarsi della medesima evenienza, solo variata in qualche particolare insignificante, non saranno in grado di riconoscerla e quindi destinati a ripetere tutta la trafila.
La terza infine, anch’essa numerosa, è fatta da coloro che qualsiasi cosa succeda non riescono proprio a capire. Più spesso non vogliono o meglio si rifiutano recisamente di farlo. Continuano ad aderire alla narrazione ufficiale, anche la più inverosimile e impensabile fino a un momento prima e persino quando spinta oltre i limiti del grottesco arriva al surreale.
Per conseguenza in Sony, marchio più coinvolto in assoluto nel conflitto volto all’affermazione del digitale e all’eliminazione dell’analogico dalla faccia della Terra, e che più di ogni altro ne ha tratto profitto in termini economici, di visibilità e fama, si ritenne che l’esordio del CD e delle macchine adibite alla sua riproduzione avrebbe avuto una risonanza enorme.
Così è stato e non solo al mero livello del supporto fonografico e delle macchine destinate a riprodurlo, ma anche nel farlo passare da marchio di terza fila a dominatore incontrastato e persino a titolare della dettatura dell’agenda evolutiva dell’intero settore per vari decenni. Ossia fin quando ha ritenuto profittevole ricoprire quel ruolo.
Dopodiché ne è uscito in quattro e quattro’otto, dopo averlo stravolto e indirizzato a una crisi irreversibile, conseguenza stessa del digitale e delle scelte fatte per imporlo a ogni costo. Esempio mirabile delle logiche e delle finalità dell’abito mentale capitalista, che in quanto tali non possono far altro da distruggere il terreno sul quale sono esercitate.
Il digitale si provvide del resto a pomparlo con ogni mezzo, anche quelli inimmaginabili il giorno prima. Esempio tipico, il cooptare allo scopo intere testate specializzate, appositamente fondate allo scopo, invece di limitarsi a comprare le pagine pubblicitarie di quelle già esistenti.
Questo dà l’idea di quale fosse la determinazione nel conseguire il proprio fine, la quantità di mezzi, in primo luogo finanziari, che si era pronti a mettere sul piatto e di conseguenza l’assenza di scrupoli o remora alcuna che ha caratterizzato tutta l’operazione, dai suoi ideatori giù giù fino a quanti se ne sono fatti strumenti. Col ricavo, da parte di questi ultimi, d’introiti che è difficile anche solo stimare nelle loro proporzioni.
Se l’obiettivo primario era il CD, nell’ordine del rafforzamento del suo successo in parallelo si vollero anche spingere i residuali utilizzatori dell’LP all’impiego di qualcosa che fosse quanto di più possibile simile nell’aspetto e nelle funzioni ai nuovi lettori digitali. Nell’attesa che l’analogico scomparisse del tutto, innanzitutto dalla considerazione del pubblico ad esso più affezionato, e le relative collezioni discografiche finissero dal robivecchi per essere sostituite in breve con le riedizioni pubblicate sul nuovo supporto.
Allo scopo fu realizzato il Sony PS-FL9, giradischi cui venne attribuito il compito d’interpretare la riproduzione da supporto analogico secondo le tendenze e le modalità imposte dal formato digitale.
Per prima cosa si nota la somiglianza delle sue forme a quelle del Philips CD 100, sia pure nell’ambito di proporzioni diversificate, stanti le dimensioni dei supporti che erano destinati rispettivamente ad accogliere.

Philips oltretutto era per Sony il concorrente se non più temuto di sicuro il più odiato, nonostante i due marchi avessero condiviso per anni le ricerche necessarie a rendere l’audio digitale e quindi il CD e i suoi riproduttori una realtà. Dovevano essere arrivati però a un punto di stallo: come rilevato a suo tempo, infatti, solo poche settimane prima della data stabilita per l’esordio, non si era riusciti neppure a stabilire il formato dei dati da immagazzinare sul CD e vi era indecisione persino sulla forma e le caratteristiche da attribuire al supporto. Quello raffigurato qui di seguito è come si riteneva che sarebbe stato, già in una fase ragionevolmente definitiva: a 14 bit, con incisione su entrambe le facciate. L’etichetta centrale, oltre a essere un retaggio dell’analogico, suggerisce si trattasse di un prodotto in veste tale da essere pronto all’esordio. Salvo appunto ripensamenti dell’ultima ora.

Fu così che avvenne il colpo di mano, da parte di Sony, per forza di cose preordinato in anticipo, che si diresse sul 16 bit, mentre gli accordi precedenti erano stabiliti per il 14. Tanto è vero che il fabbricante olandese si trovò costretto a modificare in fretta e furia i suoi lettori, già pronti per essere spediti ai dettaglianti, con l’aggiunta di un secondo convertitore sempre a 14 bit e di un sovracampionamento a fattore 2.
L’accaduto somiglia alquanto alle liti tra banditi, nel momento in cui si vanno a stabilire le modalità di spartizione del bottino, dove ciascuno cerca di far fuori gli altri o comunque di metterli in difficoltà. Dimostrazione che la pratica capitalista altro non è che una forma di banditismo eseguita in giacca e cravatta ma che ha molte meno remore di quelli che si suole definire malviventi.
Allora si disse che Philips, malgrado sia stato costretto a correre ai ripari, si trovò persino più avanti dell’avversario, dal punto di vista tecnico e di qualità sonora, che in teoria avrebbe dovuto essere favorito dalla disponibilità di convertitori a 16 bit. Tuttavia stabilire quale sia la verità non è facile.
In una prima fase, alle macchine di concezione europea fu attribuita una naturalezza sonica maggiore, malgrado il digitale di allora ne avesse ben poca o forse nulla.
A questo riguardo è da notare che fino al giorno prima le fonti ufficiali e appresso a loro tutto il Coro Degli Entusiasti A Prescindere, avevano giurato che grazie alla perfezione del digitale tutte le apparecchiature avrebbero suonato alla stessa maniera. Quindi un’eventuale scelta la si sarebbe dovuta solo a fattori estetici e di ricchezza delle dotazioni.
Facciamoci caso, quando le élite sono intenzionate a imporre le loro decisioni, in particolare quelle meno condivisibili, cercano sempre di farle passare come una cosa tanto, ma tanto democratica. Tanto il ricco quanto il relativamente povero avrebbero potuto godere della stessa identica qualità sonora.
Quanta magnanimità, quale filantropia da parte di coloro che se volessero potrebbero imporre il classismo più ottuso, intollerante e sfrenato.
Artefici del nuovo sistema e propagandisti sul loro libro paga hanno cambiato versione da un giorno all’altro come se nulla fosse, fingendo di dimenticare quanto avevano sostenuto per anni fino ad allora, facendone uno dei punti salienti della loro narrazione.
Proprio quello che accade anche oggi, come stiamo vedendo anche in queste ore. Tutte le fonti e in particolare quelle ritenute più degne di considerazione non hanno remora alcuna a capovolgere all’istante la loro versione dei fatti. Che su di essa abbiano scatenato una vera propria caccia all’uomo non ha alcuna importanza.
Allora era chi si ostinava a ritenere l’analogico sonicamente migliore del digitale, oggi è chi non crede all’inverosimile, ma la sostanza non cambia.
Il problema al riguardo è che dopo due o tre volte che vede ripetersi lo stesso gioco, chiunque abbia un minimo di spirito d’osservazione ne comprende il meccanismo. Ecco perché al ricambio generazionale si attribuisce tanta importanza, i giovani li si porta in palmo di mano, li si blandisce e, da qualche tempo a questa parte, si fa di tutto affinché gli individui che hanno avuto modo di accumulare l’esperienza maggiore si tolgano di mezzo nel più breve tempo possibile.
Conseguenza del colpo di mano dei 16 bit fu che i marchi legati fino al momento prima da un accordo ferreo e in apparenza irrevocabile, a seguito del quale sembrava fossero andati d’amore e d’accordo fino al giorno prima, divennero nemici giurati.
Di li a poco lanciarono ognuno il proprio sistema digitale di registrazione, Sony il Minidisc e Philips le cassette DCC. Essendo basati entrambi su formati compressi furono penalizzati già all’origine nei confronti del DAT, anche se poi tutti e tre ebbero vita breve.
Dunque il il PS-FL9 somigliava in maniera evidente a un Philips CD 100. Volendo pensar male, cosa con cui si fa peccato ma spesso s’indovina, come suggeriva un politico tra i più famosi e ammanicati della Prima Repubblica, si potrebbe ritenere che Sony lo avesse fatto apposta per un oggetto che secondo le concezioni di allora era nato in partenza obsoleto, atto a simboleggiare l’arretratezza di un sistema di riproduzione, alfine di suggerire a che punto fosse inadeguato il prodotto realizzato dall’ex partner e proprio per questo rivale più odiato.
In ogni caso il giradischi in questione riprendeva le modalità operative tipiche di un lettore CD.
Tanto per cominciare l’LP spariva all’ìnterno del telaio, per mezzo del piatto montato su un vassoio scorrevole, mosso da un servomeccanismo, proprio come in una macchina digitale.

Le guide del meccanismo adibito al movimento del vassoio, realizzato per mezzo di una struttura metallica di scarsa qualità, allo scopo di contenere i costi, sono uno tra gli elementi del giradischi maggiormente esposti a rotture.
Anche il passaggio tra un brano e l’altro era eseguito elettronicamente, grazie a un braccio servoassistito e di un sistema ottico di riconoscimento degli spazi vuoti tra le tracce incise. Proprio questa forse era la prerogativa che più di tutte faceva assomigliare quel giradischi a un lettore digitale, macchina caratterizzata appunto dalla possibilità di passare da un brano all’altro in maniera fin quasi istantanea.
In questo caso naturalmente il procedimento prendeva un po’ più di tempo, data la necessità di alzare il braccio, spostarlo e farlo calare di nuovo su un altro punto del disco con la dovuta delicatezza, e in considerazione della massa maggiore per le parti meccaniche coinvolte. Al di là della velocità di esecuzione, tuttavia, la sostanza era la stessa.
Sony del resto disponeva già da tempo della tecnologia necessaria all’esecuzione di funzioni del genere, avendo commercializzato alcuni anni prima i giradischi della serie Biotracer, caratterizzati appunto dalla capacità di eseguire tutti i movimenti del braccio e la ricerca tra le tracce per mezzo di servomeccanismi. Qui di seguito il PS-LX 75.

Tutto ciò era reso evidente dalle dimensioni assunte dall’articolazione del braccio, non si sa quanto efficaci ai fini delle sue doti meccaniche.
La cosa era ancor più vistosa sui modelli realizzati in precedenza, come il PSX 700.

La differenza sostanziale stava nel fatto che i Biotracer e i successori che ne riprendevano le funzioni erano macchine alto di gamma, mentre il PS-FL9 apparteneva a una classe più modesta, anche se il suo costo non era proprio alla portata di tutti.
A quel punto del resto, nell’ambito delle sorgenti incluse nel catalogo Sony i segmenti di vertice non potevano che essere affidati alle macchine digitali.
Come queste, il PS-FL9 annoverva sul frontale una lunga fila di pulsanti, adibiti proprio all’accesso diretto a ciascuno dei brani inclusi nella facciata dell’LP in riproduzione. Ovviamente non potevano mancare quelli dedicati alle funzioni standard, come la selezione della velocità e il movimento dell’alzabraccio. Queste ultime erano abbinate alla possibilità di spostare a piacere il braccio in senso orizzontale lungo la superficie del disco, funzione che nella sua esecuzione manuale risulta istintiva, mentre nella versione resa possibile via servocomando diventa ovviamente macchinosa. Oltretutto a fronte dell’incremento sostanziale dei costi realizzativi di una soluzione siffatta.
Si tratta del resto delle delizie tipiche dell’automazione, portato del progresso e dell’innovazione tecnologica, in particolare quando si ritiene necessario piegare questi ultimi a esigenze propagandistiche e commerciali.
Come un lettore CD, il PS-FL9 poteva eseguire inoltre la riproduzione casuale dei brani, differenziata da quella tipica di una sorgente digitale dalla lunghezza dell’intervallo tra l’uno e l’altro, necessaria al posizionamento del dispositivo di lettura. Era presente anche la possibilità di riproduzione programmata, secondo l’ordine prestabilito dall’utilizzatore.
Non poteva mancare ovviamente il display illuminato, anche se semplificato rispetto a quello delle macchine digitali. Nelle sue vicinanze si nota inoltre l’adesivo posto su tutte le apparecchiature Sony di quel periodo, caratterizzato dalla stilizzazione dell’audio digitale. Alla causa del quale il fabbricante aveva cooptato anche il prodotto dedicato espressamente all’analogico, cosa del resto resa evidente dalle fattezze e dalle modalità utilizzative di macchine come quella di cui ci stiamo occupando.
In sostanza il discorso era: ” Se non ancora non te la senti di mettere da parte i dischi vinilici della tua collezione, te ne suggeriamo una modalità d’impiego che ti porterà nel periodo più breve tra le braccia dell’audio digitale”.
A proposito di braccia, quello del PS-FL9 è tangenziale, da un lato in ossequio alle tendenze dell’epoca e dall’altro per la necessità di caratterizzare tecnicamente il prodotto secondo i dettami della modernità allora più avanzati. Un sistema d’illuminazione non particolarmente efficace aveva il compito di permettere l’osservazione del dispositivo di lettura a vassoio chiuso.
Il braccio era predisposto unicamente per il montaggio delle testine T4P, allora piuttosto diffuse sulle sorgenti economiche, allo scopo di renderne meno complessa la taratura per l’utenza non particolarmente esperta.
La trazione diretta con motore controllato al quarzo era un altro aspetto irrinunciabile per una macchina caratterizzata tecnicamente in maniera siffatta.
In definitiva, a fronte di modalità funzionali e d’impiego destinate a fare sensazione, al pari di un’estetica molto lonana dalla concezione tradizionale del giradischi, il PS-FL9 è una macchina di stampo economico nei suoi fondamentali, come tale non in grado di attribuire alla riproduzione del supporto analogico le prerogative tecniche e soniche che gli sono proprie.
Anzi la volontà di attribuire a questo giradischi le prerogative tecniche più caratterizzanti le affossa ulteriormente, come sempre avviene quando ci s’imbarca nella realizzazione di prodotti che non sono né carne né pesce.
Nel caso specifico si è finiti col realizzare un testa-coda tecnico e logico: a partire dalla volontà di dar vita al giradischi più avanzato, prendendo a prestito funzioni e modalità d’impiego delle allora nuove sorgenti digitali, Sony di fatto ha prodotto una riedizione dei mangiadischi tanto diffusi una quindicina di anni prima.
Nei loro confronti la differenza maggiore è che il PS-FL9 non era portatile.
Resta tuttavia un oggetto d’interesse notevole a livello storico, proprio in quanto interprete delle concezioni e della linea di pensiero in voga all’epoca. Come tale testimonia al meglio le finalità attribuite all’intero comparto della riproduzione sonora amatoriale, rivolto in quella fase all’affermazione definitiva del digitale, che tuttavia si sarebbe realizzata soltanto negli anni a venire.
Ciao Claudio, sono Dario, il proprietario del giradischi PS-FL9 di cui al tuo articolo, interessante e istruttivo. Da quando me lo hai restituito è a casa mia (non gli ho tolto neppure le tue viti di blocco) e lo tengo come una reliquia…
L’occasione mi è gradita per farti i complimenti per il sito e per salutarti cordialmente. Un abbraccio. D
Grazie Dario, un saluto anche a te. Se poi deciderai di ascoltare il giradischi e mi farai avere le tue impressioni, sarà una testimonianza interessante. A presto.