“Non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi e di gravi crisi per fare dei passi avanti. I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario. E’ chiaro che il potere politico ma anche il senso di appartenenza dei cittadini a una collettività nazionale possono essere pronti a queste cessioni solo quando il costo politico e psicologico del non farle diventa superiore al costo del farle perché c’è una crisi in atto visibile e conclamata.
Quindi noi (intendendo l’unione europea e le fazioni globaliste di cui è emanazione n.d.A.) come il G 20 abbiamo bisogno di crisi per fare dei passi avanti. Ma quando una crisi sparisce rimane un sedimento perché si sono messe in opera istituzioni, leggi eccetera per cui non è pienamente reversibile“.
Si può dire che la nuova normalità inizi lì, quando chi fa discorsi simili, il cui significato tendente al massacro sociale prima ancora che al sovvertimento dell’ordine democratico Costituzionale è a tal punto evidente, non lo si chiude in manicomio criminale e si butta via la chiave.
Lo si nomina invece presidente del consiglio, la minuscola è d’obbligo.
Proprio perché colà dove si puote si è deciso che al fine di pervenire alle condizioni sociali, economiche e politiche maggiormente gradite in quei consessi divenuti ormai onnipotenti, sia necessario creare artificialmente non delle crisi qualunque, ma quantomeno gravi.
Nel loro utilizzo non ci si ferma di fronte a nulla, così da pilotarle a tavolino in modo che facilitino e abbrevino il cammino che porta ai risultati desiderati.
Poi, come abbiamo imparato a nostre spese, chi fa il lavoro sporco in loro vece lo si trova sempre, vedi foto di apertura.
Quel che è peggio è che quanti agiscono in tal senso non hanno solo la sicurezza dell’impunità ma anche il plauso di una parte consistente delle loro stesse vittime, ormai lobotomizzate al punto di non capire nemmeno di essere messe sulla graticola. Se per caso scampano a quella sorte, di sicuro è toccato a qualche loro familiare, parente o amico, essendo endemica l’incidenza di tali azioni.
Di fronte a evenienze del genere ci si gira dall’altra parte, rifiutando di prendere atto delle condizioni in cui tutti noi siamo stati costretti a vivere: vittime o complici in varia misura di quel sistema criminale istituzionalizzato, altre possibilità non ce ne sono.
Proprio come nel digitale, oggi dominatore incontrastato delle nostre vite, la cui diffusione onnipervasiva ha avuto inizio proprio con la riproduzione sonora amatoriale e ha portato infine a un’esistenza totalmente digitalizzata: l’1 e lo 0 sono privi di alternative.
Per pura combinazione dunque dal 2005, anno in cui si è iniziato a misurarne l’incidenza – prima evidentemente non se ne sentiva il bisogno, come mai? – il numero dei poveri in Italia è triplicato. Con ogni probabilità il diffondersi della povertà è ancora maggiore, e di parecchio. Come noto, tuttavia, per i dati che infastidiscono il conduttore e il coro mediatico incaricato di glorificarlo, s’inventano ogni giorno nuovi pretesti per poter fornire numeri al ribasso e come tali meno impresentabili all’opinione pubblica. Che dal canto suo come sempre tace e acconsente, ormai anche di fronte all’inaccettabile.
Appunto in funzione della nuova normalità, concetto del quale, se ne vogliamo comprendere e valutare gli effetti nei riguardi della riproduzione sonora, è necessario prima assicurarci di avere piena contezza nella sua applicazione e dei suoi significati a livello generale.
Al di là di quel dato nudo e crudo, l’aspetto più rilevante è che un tempo la povertà derivava da condizioni ben precise, prime fra tutte disoccupazione e/o stato di salute precario. Oggi invece si può tranquillamente essere poveri anche se si ha un lavoro a tempo pieno e non si è malati cronici.
Monti peraltro, uomo della Trilaterale, del Bilderberg e quindi dei poteri occulti di origine fraudolenta bancario-finanziaria, i tristemente noti non eletti da nessuno che per i loro scopi si servono appunto di fantocci del suo rango, è stato nominato senatore a vita senza che ne avesse titolo da uno peggio di lui, un ex comunista. Allo scopo di defenestrare l’ultimo capo di governo designato in via democratica, almeno parzialmente, che piaccia o meno.
E’ stato messo in quel ruolo proprio affinché potesse avviare nel modo più alacre la devastazione definitiva del suo stesso Paese, come sempre ricompensato con un piatto di lenticchie.
O meglio, scaricato col classico calcio nel didietro, ricompensa che spetta al servo quando ha assolto alle incombenze assegnategli.
Le parole riportate testualmente in apertura le ha pronunciate nel corso di un’intervista passata alla Storia, quando ormai il procedimento così descritto era sostanzialmente irreversibile.
Non è la sola peraltro. Altrettanto note sono le parole pronunciate di fronte alle telecamere della CNN: “Stiamo distruggendo la domanda interna”. Tradotto in parole concrete significa “Stiamo facendo di tutto per gettare sul lastrico il maggior numero di persone che ci riesce, in modo che il maggior numero possibile di persone non abbia più denaro sufficiente per acquistare i prodotti in vendita ai prezzi di mercato, così da poterli destinare all’esportazione”.
Tutto questo nell’omertà sostanziale di media e istituzioni tutte: mai come in casi del genere vale il silenzio assenso. Mentre il popolo dal canto suo festeggiava, bandiere al vento, perché finalmente lo si era liberato da uno che si era fatto di tutto e di più per renderglielo massimamente inviso. Che poi ciò fosse avvenuto per mezzo di un golpe in piena regola era un dettaglio, evidentemente privo di qualsiasi importanza per chi festeggiava.
Del resto cosa t’importa della democrazia, se non sai che cos’è e quindi cosa fartene?
L’importante era far cadere il nemico pubblico numero 1, replica attualizzata del Goldstein di orwelliana memoria, reso colpevole di ogni misfatto, che se non c’è basta inventarlo. Un intero ventennio di offensiva giudiziaria non ha portato a nulla, tranne che a spendere somme enormi detratte al benessere della cittadinanza e allo sviluppo nazionale, distogliendo l’opinione pubblica dai problemi ben più gravi che si stavano presentando proprio allora. Tutto questo al fine di massimizzare la coesione sociale a proprio favore, scopo tipico per cui s’inventa un falso nemico, lo si addita all’opinione pubblica e lo si agita come un drappo rosso di fronte al toro. Ci si è procurati così un bel fondale di cartapesta, dietro al quale, e al riparo da occhi indiscreti, si è proceduto a spolpare letteralmente il Paese.
Come noto, infatti, dopo quella fase storica più nessuna industria e nessun marchio tra quelli che hanno reso famoso il made in Italy e quelli comunque operanti ai fini di una produzione d’avanguardia e/o profittevole sono più in mani italiane.
A iniziare dall’agroalimentare, il che significa che questi arrivano, si prendono tutto e invece di rimettere in circolo i proventi nell’economia nazionale, il che equivale a crescita, li portano fuori dal Paese innescando deperimento progressivo e inarrestabile. Per poi buttare via quel marchio, una volta che lo si è spremuto come un limone e peggio se ne è squalificato il prodotto, operazione come sempre massimamente profittevole.
Non a caso quelli che inneggiano da sempre agli “investimenti” dall’estero, e si strappano i capelli quando calano anche dello 0,1%, si definiscono progressisti. Ovviamente della corsa al massacro, anche se preferiscono glissare su questa specifica.
Prima ancora lo stesso gioco lo si era fatto con Craxi, Andreotti e ogni altro avesse mostrato la volontà di opporsi anche solo in parte all’agenda del mondialismo, che non tollera ostacoli ed è a sua volta estremizzazione terminale dell’imperialismo.
Un tempo era avversato come null’altro dalla sinistra, o almeno dalla fazione politica che si presentava come tale. Negli anni 60 e 70 un giorno si e l’altro pure ha indetto manifestazioni contro di esso mentre in realtà lo favoriva, dato che come dice Oswald Spengler ha sempre fatto il gioco del grande capitale. Poi con la sua metamorfosi è stata investita da problemi ben più impellenti di cui occuparsi.

Il culmine della prassi descritta fin qui lo si è toccato nel 2020, quando nel tentativo di imporre in via definitiva le logiche e i fini ultimi del mondialismo si è deciso di dare il via alla farsa pandemica. Come ha spiegato il WEF sul suo sito, a chiare lettere, è stato innanzitutto un esperimento sociale, volto a comprendere fino a qual punto si potessero diffondere delle assurdità, oltretutto in piena contraddizione le une con le altre, di fronte alle quali i popoli continuassero a obbedire a oltranza: a tutto e tutto il suo contrario, materializzato in regole mai così demenziali.
Si notino le parole flautate usate su quel sito per significare atti di violenza e dispotismo inauditi, a dimostrazione che in certi luoghi la semantica è utilizzata con la più grande maestria. Per conseguenza occorre innanzitutto diffidare, proprio allo scopo di decrittare il vero messaggio che per quel tramite viene diffuso.
Meglio ancora, ogniqualvolta possibile fare esattamente il contrario di quel che viene raccomandato dai media al servizio del globalismo, ossia tutti quelli in possesso di un qualche crisma di ufficialità, nessuno escluso.
Crisma concesso peraltro da quello stesso sistema, in mancanza del quale non è possibile approdare a nulla paragonabile a una qualche diffusione, restando pertanto nel limbo nei confronti del quale si può muovere a piacimento l’accusa di fare disinformazione.
Il titolo di quel testo è tuttavia chiaro: città sostenibili, che tradotto dalla neolingua globalista significa popolazioni rinchiuse in recinti come animali da allevamento, che si è fatto in modo si lasciassero strappare docilmente anche l’ultimo diritto, quello a muoversi in libertà.
Va ricordato che in Italia e in qualsiasi altro Paese, secondo la legge, quel diritto può essere revocato soltanto dietro decisione motivata del giudice.
Ecco allora che occorre inventare un pretesto, o una serie di essi, che possa permettere di aggirare quell’ostacolo: che lo si chiami pandemia, crisi climatica o altro non cambia il succo della situazione ma solo le sue contingenze.
L’unica vera necessità riguarda la presenza di una quinta colonna all’interno del Paese che è stato deciso di attaccare secondo i sistemi di una guerra ibrida. Non è assolutamente difficile procurarsela, come mostrano le cronache provenienti un po’ da tutte le parti del mondo.
L’emergenza è servita inoltre a permettere d’introdurre un nuovo documento, digitalizzato, che contenga l’intera storia e ogni aspetto dell’individuo, spinto o obbligato a farsene portatore. Che si chiami Green Pass, IO, IT-Wallet o altre astruserie del genere poco importa. L’essenziale è fare in modo che il maggior numero di persone lo utilizzi, in quanto architrave della gabbia digitale, ossia del sistema di controllo totale e totalitario che si è deciso d’imporre.
Quello che una volta a regime, permetterà di impedire, a distanza e a piacimento, che si possa persino mangiare o bere, e quindi sopravvivere, in quanto non sarà concesso il benestare all’acquisto del necessario.
Si tratta più di una mera possibilità tecnologica che di reale necessità sociale: affare di proporzioni incalcolabili che nessun individuo apparentemente sano di mente si lascerebbe mai sfuggire.
Dimostrazione inoppugnabile che il fine ultimo del capitalismo è la dittatura, abbinata alla follia, in funzione della sua evidente deformazione congenita. Proprio perché la volontà di chiudere in un recinto invalicabile intere popolazioni, escogitando i modi che sappiamo per arrivare a ciò, non può essere dettata da altro.

In questo modo il termine nuova normalità è entrato nel lessico e quindi nell’immaginario comune, con ricadute a tutti i livelli.
Suo portato essenziale è l’abdicazione all’utilizzo della logica e di conseguenza alla capacità di comprenderne i meccanismi. Solo così del resto si può arrivare a imporre, pena la revoca del diritto all’esistenza, per mezzo dell’allontanamento dal posto di lavoro e dalla vita sociale, di firmare il consenso informato a trattamenti eseguiti per mezzo di farmaci coperti da segreto militare.
Cosa impossibile per logica, dato che segreto e informazione sono antonimi, l’uno negazione dell’altro.
L’obbligo se non formale quantomeno sostanziale alla vaccinazione, oltre a sfoltire il numero di quanti gl’inventori e i servitori del sistema qui descritto usano definire “mangiatori inutili”, come da esempio dell’ex-ministro Cingolani, è appunto il cavallo di Troia atto a imporre il documento digitale onnicomprensivo.
Al riguardo va ricordato che il DPR 445/2000 vieta alla pubblica amministrazione di richiedere ogni documento e/o informazione che sia già in suo possesso. E’ suo compito procurarselo negli archivi sterminati che gestisce, come sempre a spese della cittadinanza, e non del singolo individuo.
Le conseguenze di tutto questo sul piano pratico sono innumerevoli, in primo luogo a livello istituzionale, con la revoca unilaterale, da parte delle istituzioni stesse, del patto sociale che le lega alla cittadinanza e le pone al suo servizio. Conseguenza inevitabile la loro caduta nell’illegittimità, definitiva e irrevocabile.
Proprio perché tutte le istituzioni, nessuna esclusa, hanno cooperato fattivamente o col silenzio assenso che in realtà è stato un laissez faire deliberato, al fine di sovvertire l’ordinamento democratico, agendo contro la cittadinanza e non più a suo favore, per ordine e su incarico di entità esterne al Paese.
Tra l’altro controllate da privati, secondo il fine ultimo del capitale: la subordinazione, intesa a livello globale, degli Stati e dei loro apparati all’interesse di singoli resi pertanto onnipotenti.
Tutto ciò senza ovviamente che lo si ammetta, in modo tale che il cittadino che ancora tenti di far valere il suo diritto, avvalendosi appunto delle istituzioni predisposte da quello stesso sistema, figuriamoci quindi quali funzionalità ed effetti se ne possano ricavare, si scontri con un muro di gomma.

La caduta nell’illegittimità è Irrevocabile perché dopo che si sono commesse azioni siffatte, obbedendo a ordini dalla provenienza menzionata dal neo ministro della sanità olandese (NCTV è la sigla dei servizi segreti di quel Paese), non è più possibile fare finta di nulla, come invece si sta tentando di far passare a ogni costo.
L’eventuale recupero di legittimità non può che avvenire per mezzo dell’azzeramento totale, a livello istituzionale, e la ricostruzione sulle basi di una vera legalità e non del falso plateale, arrivato a scadere prima nel grottesco e poi nel surreale, cui se ne sono ridotti i valori.
Quel falso, a sua volta è conseguenza dell’applicazione concreta della teoria esposta da Monti e della materializzazione delle sue conseguenze.
Anche una soluzione del genere tuttavia è una pia illusione, non tanto per la fattibilità di un intervento del genere, ma perché nelle condizioni in cui si trova ormai questo Paese non si vede ove e come si possa reperire il personale adeguato allo scopo.
Proprio questo d’altronde è l’esito primario della cessione di sovranità a un potere sovranazionale, o comunitario che dir si voglia, peraltro mediante una falsificazione plateale, visto che a comandare a Bruxelles, e sempre rispondendo a ordini provenienti da fuori, sono sempre gli stessi. Il suo primo effetto è appunto il rimuovere la possibilità che nel Paese cedente si venga mai più a formare una classe dirigente degna di tal nome e all’altezza del suo compito.
Il livello più elevato che potrà aversi, a tale riguardo, equivale a quello di un amministratore di condominio.
Ai fini dell’esperimento sociale psico-pandemico, è stato utilizzato il pretesto di un’emergenza. Non inesistente, come si sente dire da certe pseudo-fonti non allineate, ma inventata apposta e resa verosimile dando mandato di ammazzare persone a decine di migliaia, per mezzo dei famigerati protocolli tachipirina e vigile attesa. Che in termini concreti vuol dire diamo un farmaco atto a peggiorare condizioni di salute già precarie e aspettiamo che faccia il suo corso.
Altrimenti, nei casi di maggior resistenza vitale, si è proceduto alla somministrazione di mix letali di Propofol e Midazolam, abbinati a iperdosaggio di oppiacei e a ventilazione forzata spinta al punto di bruciare i polmoni delle vittime di un sistema sanitario trasformatosi in una mostruosità che farebbe impallidire persino Mengele.

Per poi inviare direttamente all’inceneritore le salme così ottenute, dimodoché non sia possibile autopsia, eseguita peraltro da esponenti di quella stessa classe medica resasi colpevole di simili atrocità per meri motivi di carriera e/o di conservazione del posto di lavoro e dei relativi privilegi. Talmente pesanti, a fronte di una realtà dilagante fondata su precarizzazione e impoverimento di massa, da piegare la schiena di un qualsiasi essere umano.
Anche a questo serve l’austerità, non a caso idolatrata a suo tempo dal santo laico per eccellenza di ogni progressista degno del suo nome, tale Enrico Berlinguer. Ennesima dimostrazione che quando detto da Oswald Spengler corrisponde a verità: la sinistra ha sempre fatto il gioco del grande capitale.
Così facendo, tra l’altro, si è resa impossibile anche la mera constatazione che tutti gli organi delle vittime fossero ancora al loro posto. Come noto l’industria dei trapianti ha bisogno continuo e impellente di pezzi di ricambio, per i quali tuttavia non c’è ancora un’industria che possa fornirli.
Quindi occorre prelevarli da persone vive. Per questo si è inventato lo stato di morte cerebrale, inesistente prima che iniziasse l’era dei trapianti, poiché una volta venuta meno l’irrorazione sanguigna quegli organi non servirebbero più a nulla.
Dunque l’espianto va eseguito su quanti abbiano ancora un cuore battente, se necessario con l’inganno.
Ogni riferimento a fatti e persone realmente accaduti è puramente casuale.

L’esempio qui riportato è solo uno fra i tanti, dovuto probabilmente a un errore di dosaggio del paralizzante, ma non anestetico, sarebbe dannoso per organi da “donare” secondo uno schifoso eufemismo, utilizzato per il protocollo degli espianti.
Il bollettino dei caduti è stato riportato a livello mediatico con un’ostinazione inaudita, vero e proprio bombardamento ininterrotto mai visto in precedenza, atto all’induzione del terrore. Già di per sé avrebbe dovuto far sospettare chiunque non avesse inviato il cervello all’ammasso che c’era molto più di qualcosa che non quadrava.
Si sono mai viste istituzioni democratiche cooperare attivamente ai fini dell’induzione del terrore, mentre tutti gli pseudo-organismi di controllo, nessuno escluso, si giravano dall’altra parte? Motivo di più per prendere atto della loro caduta nell’illegittimità. Totale e definitiva.
Così proprio dal giorno 1 si è reso evidente che si trattasse di una messinscena, oltretutto plateale (chi ricorda l’abbracciamo un cinese dei primissimi giorni di quella farsa?), ma far ragionare persone in preda al terrore, destato dalla stimolazione deliberata e oltre ogni limite dell’ipocondria latente di cui erano portatrici, non è cosa facile.
Se poi al terrore associ la minaccia, di chiusura dell’esercizio che ti dà da mangiare o anche solo di una semplice multa, essa stessa capace di portare al disastro un bilancio familiare già precarizzato da decenni di austerità, quella adorata dai capibastone del PCI, va ripetuto affinché non lo si dimentichi, il gioco è fatto.
Lo diventa meno ancora meno se al tutto si abbina una serie infinita di ordini e contrordini, appunto dall’abbracciamo un cinese al tutti agli arresti domiciliari, con l’accusa di essere portatori potenziali della malattia sterminatrice, che altro non era se non un forte raffreddore cui si è cambiato il nome, tali da produrre quantomeno confusione.
Per poi accordare la possibilità di lavorare e di circolare, secondo un obbligo di tipo materiale, solo a quanti accettassero di farsi iniettare un farmaco sperimentale non autorizzato, comprovato da un documento digitale, al cui controllo si è deputato un qualsiasi operatore di esercizio pubblico, sempre dietro minaccia, secondo una prassi delirante prima che, ancora una volta, illegale sotto ogni aspetto.
Sono entrati così in scena gl’istigatori seriali: ricordiamo chi inneggiava ai rider che sputassero nelle pietanze da consegnare ai no-vax, termine designato appositamente per creare un nuovo nemico pubblico atto a compattare l’esercito di quanti hanno creduto a quella farsa. C’era poi chi voleva vederli ridotti in poltiglia verde, chi li voleva rinchiudere in campi di concentramento e chi giurava che avrebbe fatto finta di non prendergli la vena, per infierire su di loro a mezzo di sofferenze gratuite. Inferte appunto piegando ulteriormente e in via del tutto personale, quindi illecita, il sistema sanitario a strumento di afflizione e tortura.
Il che, evidentemente, presuppone un’inclinazione al sadismo nella stragrande maggioranza di quanti operino in tale ambito. Di essa sarebbe interessante conoscere motivazioni e reale incidenza.
L’essenziale era il distrarre con qualsiasi mezzo dal cumulo inaudito degli elementi d’illegalità messo insieme da tutta l’operazione.
Di fronte a tali aberrazioni nessuno ha fiatato. Caso strano, non è stata organizzata gara alcuna al riconoscimento dei diritti delle minoranze. Al contrario si è dato il via a una vera e propria caccia all’uomo, insieme a quella a chi la sparasse più grossa, riguardo ai metodi con cui punire i rei, con in palio ricchi premi e cotillion dati da un’effimera visibilità mediatica che comunque ha fruttato bei soldoni.
Già, perché la psico-pandemia è stata un affare grossissimo per chiunque abbia avuto un ruolo qualsiasi al riguardo.
Per combinazione, tanti di quegl’individui sono morti, casualità nella casualità, tutti di malore improvviso, nuova formula dall’ipocrisia vergognosa con cui si identificano gli effetti avversi di vaccini che tali non sono ma arma biologica messa a punto diversi anni prima dal sistema militar-industriale e per l’appunto coperta da segreto militare.
Segreto che però, come abbiamo visto, non ostava all’acquisizione del consenso informato, mediante moduli da cui il Ministero che ne era responsabile aveva eliminato, quindi rendendoli illegali e non validi, molte delle possibili controindicazioni già allora diffuse dalle case farmaceutiche nella loro documentazione, che ovviamente si è fatto in modo da far risultare inaccessibile alle aspiranti cavie.
Le si è rese tali mediante una campagna di terrore ancora una volta a reti unificate, mentre l’inoculazione di massa a base di farmaci genici non sperimentati né autorizzati in via definitiva, la si è portata a essere ancora più dilagante per mezzo di sussidi erogati a pioggia. Da quello stesso governo che per qualsiasi opera di vero miglioramento del benessere generale o di sola manutenzione del territorio dice sistematicamente di esservi impossibilitato perché non vi sarebbero fondi sufficienti a disposizione.
Mentendo, evidentemente. Però i vostri soldi li vuole lo stesso.
Ora li usa per comperare armi, al fine di compiacere la lobby industrial-guerrafondaia di Washington D.C.
Abbiamo oltre il 62% della popolazione che incontra problemi per arrivare a fine mese, dati Eurostat, probabilmente e come sempre in questi casi calcolati per difetto, ma con l’ultimo contratto siglato dal governo italiano con l’industria aeronautica americana saremo il Paese al mondo che schiera il numero maggiore in assoluto di aerei F-35, dopo gli USA. Ossia il baraccone più inadeguato, fatiscente e malriuscito, ma proprio per questo costosissimo, che abbia solcato i cieli fin dai tempi di Icaro.
Trattandosi di caccia-bombardieri, quindi armi eminentemente offensive, come tali non rispettano il dettato Costituzionale secondo cui “l’Italia ripudia la guerra come metodo di risoluzione delle controversie internazionali”.
Però li compriamo lo stesso e, ogni volta che avremo intenzione di usarli, dovremo ottenere prima il permesso degli americani, che concederanno graziosamente l’attivazione della chiave di comando.
Quisquilie, pinzillacchere, avrebbe detto il Principe De Curtis.
Come noto la procura di Castrovillari sta indagando riguardo all’elargizione di ben 25 euro per ciascuna dose di pseudo-vaccino iniettata dalle ASL del territorio su cui è competente. Per accumulare quanto più denaro possibile, gli “angeli delle corsie” avrebbero iniettato anche falsi vaccini scaduti.
Tanto poco vale la vita umana agli occhi dei percettori di quella tangente e ovviamente per chi ha organizzato l’erogazione di tale somma.
Della quale sarebbe interessante conoscere la reale provenienza.
Se a Castrovillari funzionava così, perché mai sul resto del territorio italiano le cose sarebbero dovute andare diversamente?
Che le cavie siano state tali e non altro lo ha appena spiegato l’ex presidente degli USA Obama, in un discorso che ha tenuto a Stanford, sede dell’un tempo prestigiosa università.
Dinnanzi a lui un cartello che recita Cyber Policy Center, tutto con iniziali maiuscole, a significare proprio la gabbia digitale nella quale per mezzo della pseudo-pandemia, grazie all’imposizione dei sistemi di controllo cui ha fatto da pretesto, si è inteso rinchiudere l’umanità.
Spiega, ridendo, non si sa per imbarazzo o altro: abbiamo “tecnicamente”, testato il vaccino su miliardi di persone in tutto il mondo.
Ancora una volta Mengele, il famigerato medico nazista a suo tempo innalzato a simbolo del male assoluto in ambito sanitario, nonché a prototipo dello scienziato pazzo, possibilità simili non avrebbe nemmeno potuto sognarle.
Questo dunque non potrebbe suggerire che la realtà attuale della nuova normalità sia andata oltre il peggiore nazismo in maniera che in precedenza si sarebbe ritenuta inverosimile? Eppure accettata di fatto da chicchessia senza nulla eccepire e anzi gareggiando apertamente nell’ideazione e nell’esaltazione di nuovi strumenti con cui colpire chiunque non vi si pieghi.
In un quadro simile che senso hanno i moniti sulla democrazia che un giorno si e l’altro pure un garante supremo mai così in sintonia con le entità che hanno prodotto tutto questo usa lanciare a reti unificate?
Ora però le istituzioni tutte, che si sono adoperate in modo simile contro la cittadinanza di cui dovrebbero essere al servizio, pretendono di conservare ancora la loro legittimità.
Non prima che Bill Gates abbia dichiarato di non essersi accorti che la pandemia non fosse altro da un’influenza.
Come al solito avevano ragione quelli che i benpensanti usano definire complottisti, denotando un serio problema di ritardo cognitivo. Proprio perché, di fatto, si è dimostrato ancora una volta che la sola differenza che separa le teorie definite come complottiste e la realtà è una mera questione di tempo.
Non se ne sono accorti, poverini, però pretendono ancora che li si stia a sentire e si obbedisca alle loro farneticazioni, nello stesso identico modo in cui le istituzioni pretendono di aver mantenuto la loro legalità dopo aver appoggiato quella farsa, oltretutto coi metodi che sappiamo.
Nei sottotitoli c’è un errore di traduzione: quando è scritto tamponi in realtà Gates dice “prognosis”, prognosi. Il succo del discorso non cambia. Ha solo evitato di riferirsi a un altro degli inganni perpetrati al fine di rendere più verosimile la falsa pandemia.
Ulteriore casualità, oggi lo stesso personale sanitario resosi protagonista dell’abominio descritto fin qui, reclama il diritto di essere protetto dalla pretesa violenza di pazienti e loro accompagnatori. Quando a suo tempo si è reso colpevole, in toto perché chi non ha obbedito agli ordini è stato sbattuto fuori all’istante dal sistema, di cose che vanno ben oltre ogni significato di violenza, anche il più crudo.
Combinazione ennesima, dopo la psico-pandemia, i conti INPS relativi alle pensioni sono ritornati in attivo. Come se un ente statale chiamato a erogare prestazioni assistenziali dovesse creare profitti come una qualsiasi azienda privata.
Inganno tipico dell’ideologia capitalista portata alla perversione ultimativa della realtà attuale.
Così quell’ente tanto orgoglioso delle conquiste ottenute, ha pubblicato un documento in cui a pag. 189 si ripropone di tagliare la pensione ai rei di sopravvivenza troppo prolungata.
Se non ti decidi a morire per tempo, ti tagliamo i viveri o meglio quell’elemosina vergognosa che hanno il coraggio di chiamare pensione. A quando l’obbligo di eutanasia? Non credo manchi poi molto.
Dopo aver lavorato tutta una vita per un tozzo di pane, l’umano invecchiato costa troppo per la collettività.
Nel frattempo il diritto a percepire l’emolumento per il quale si sono versati fior di contributi per tutta una vita lo si è ritardato sempre più, fino a ridurlo a una sorta d’inseguimento destinato a rimanere vano.
Eppure quando si è iniziato a lavorare, si è stati obbligati a versare contributi valevoli per l’andata in pensione a una certa età, che poi è stata continuamente aumentata. Così da costringere a versare sempre di più per avere sempre più tardi, oltretutto per mezzo di un valore nel frattempo svalutatosi, e sempre meno.
Come si chiama la sottrazione continuata di denaro che si è promesso di restituire ma poi di fatto ci si rifiuta di farlo e con una scusa o con l’altra si rimanda sine die? Così, se per caso l’avente diritto muore prima, i soldi li si trattiene.
Questo lo fanno le istituzioni dello Stato, ma se lo facesse un privato cosa accadrebbe? E perché mai dall’uno certe cose le si accetta e dall’altro no?
Strano però: da quando invece il problema delle pensioni non sussisteva, il Prodotto Interno Lordo di un qualsiasi Paese ha moltiplicato il suo valore secondo un andamento esponenziale. Lo stesso ha fatto la produttività, in termini di controvalore economico per ora lavorata. Dunque cos’è che manca realmente, la possibilità economica o la volontà di vedere troppi anziani in giro? E chi è che ha fatto in modo da ridurre a tal punto la curva demografica e insieme il numero dei lavoratori attivi, che di fatto sono quelli che per mezzo delle trattenute in busta paga assicurano il flusso di contante all’ente pensionistico? Guarda caso proprio gli stessi che ora si strappano i capelli perché l’esito delle loro prodezze, la cui finalità salvifica si è proclamata ai quattro venti per decenni, ha reso il sistema non più sostenibile.
Però nessuno chiede loro di pagare i danni che hanno prodotto.
Perché mai, oltretutto, uno Stato sovrano, il cui primo elemento di sovranità è appunto il battere moneta, dovrebbe avere bisogno del denaro guadagnato dai sudditi col sudore della fronte per fare fronte ai suoi doveri fondamentali di civiltà?
Perché poi, quello stesso Stato, dopo aver dato con una mano quell’elemosina, con l’altra se la riprende, a mezzo di “imposta sui redditi”? Forse che i versamenti eseguiti a suo tempo non provenivano da denaro tassato già allora?
Quante volte lo Stato messosi consapevolmente nelle mani della speculazione privata ha intenzione di tassare gli stessi denari? Infinite, è la risposta.
Del resto che vi fosse bisogno impellente di sfoltire in maniera drastica il parco percettori dei trattamenti pensionistici era ben noto. Gli stessi poteri bancario-finanziari avevano dato più volte il loro altolà, nel timore che la parte più consistente dei bilanci pubblici non finisse più nelle loro casse senza fondo.
Proprio questa è la fine che fa la massima parte del prelievo fiscale, cui il versamento previdenziale è di fatto equiparato e il relativo adempimento fatto passare come dovere inderogabile dai media controllati da quegli stessi poteri. Per non parlare della politica postasi al loro servizio, qualunque sia la bandiera sotto la quale inganna la sua base di consenso, ormai residuale e composta da pochi, irriducibili disperati.
Al punto da costringere a taroccare non più solo le percentuali di consenso a questo o quel partito, resi indistinguibili gli uni dagli altri se non per questioni di tifoseria, ma proprio il numero di quanti hanno votato, nel tentativo di tamponare il crollo di rappresentatività di una politica che non risponde più alla popolazione, se mai lo ha fatto, ma a chi la controlla dall’alto evitando di esporsi.

La nuova normalità vige ormai anche sul piano burocratico, con la negazione del libero accesso per la cittadinanza, elemento primo di trasparenza e democrazia, con qualsiasi ufficio che opera ormai a porte ermeticamente chiuse. Prima ancora è negazione del diritto, del quale ci si è potuti così sbarazzare, finalmente. E quel che è più importante a livello del sentire popolare, riguardo al quale oggi, a quasi cinque anni dall’inizio di quella farsa macabra, molti non riescono più neppure a ricordare le condizioni della fase precedente, e forse nemmeno lo desiderano.
Troppi infatti, seguendo l’esempio delle istituzioni si sono trasformati in sceriffi di terz’ordine e in persecutori dei loro simili, in particolare di quelli che dimostrassero di non credere alle innumerevoli frottole inventate allo scopo, come il virus che colpisce da seduti ma non all’impiedi e viceversa o a ore alterne. O altrimenti a rifiutarsi di respirare attraverso una pezza lercia, imposta in primo luogo quale simbolo di sottomissione.
Prodotta in condizioni di degrado ambientale e sfruttamento plateali, nell’assenza di qualsiasi elemento di igienicità o di controllo (eh, ma c’era l’Emergeeeenzah!), era atta anche a obbligare al riciclo nocivo dell’anidride carbonica espirata, quindi a una respirazione carente di ossigeno, sfociante in breve in ipercapnìa.
Quello era ritenuto invece tanto salutare. Anche a livello psicologico. Come del resto l’obbligo a stare chiusi in casa senza poter esporsi alla luce solare, fonte naturale di vitamina D notoriamente efficacissima a fini di prevenzione, contro ogni malattia da raffreddamento e non solo.
Ci sono ancora tante persone, soprattutto ma non solo nella popolazione anziana, che il bavaglio non se lo sono più levato.
Insomma qual era veramente lo scopo perseguito, evitare che le persone si ammalassero o farle ammalare nel maggior numero possibile e nel modo più grave, così da rafforzare la narrazione della farsa pandemica, per poi indurne con ogni mezzo il peggioramento? Inevitabile ricordare che ciascun malato di covid ha fruttato alle casse degli ospedali una somma multipla di quello riconosciuto per ogni malato “normale”.
Sempre da parte di un Ministero che non ha mai i soldi per fare nulla, neppure le visite di routine, dove si affrontano liste di attesa lunghe mesi, quando non sono chiuse del tutto. Eppure se non ti presentavi di tua sponte a farti iniettare il falso vaccino, ti telefonavano direttamente a casa, per fartelo subito e pure aggratis.
Dimostrazione tra l’altro che si è schedati, in tutto e per tutto.
Per qualsiasi altra prestazione invece vogliono il ticket. Guardacaso lo definiscono con una parola inglese, come sempre quando c’è di mezzo la fregatura.
Forse sono diminuite le tasse da quando lo si esige? No, sono aumentate.
E poi perché covid lo si è scritto sempre e solo in maiuscolo? Si era mai visto prima scrivere, gotta, appendicite, mal di schiena, fibromialgia, ulcera o infarto usando quello stesso accorgimento? Non era solo quello bastevole a comprendere l’inganno, per chiunque avesse avuto intenzione di accorgersene?
Può la maiuscola rendere più grave la malattia che definisce?
O forse la semantica ha influssi più profondi e subdoli sul nostro comportamento di quel che si crede comunemente, come qui si va ripetendo da tempo?
Per pura combinazione da qualche tempo hanno iniziato a girare studi secondo i quali l’anidride carbonica espulsa per mezzo della respirazione non sarebbe più sostenibile per l’ambiente, in quanto causa del riscaldamento globale. Ossia della panzana preferita oggigiorno per creare una nuova emergenza. Ovviamente falsificata come da prassi, ma nella quale è un preciso dovere civico credere ciecamente.
Per poi obbedire e combattere.

Da ricordare, al riguardo, che la $cienza cui tanti hanno fatto giuramento di credere a oltranza, secondo la stessa logica di un precetto divino, non è mai riuscita a dimostrare l’esistenza di un qualsiasi virus e tantomeno la teoria del contagio e quella degli anticorpi, malgrado ci provi da un numero non indifferente di decenni.
Quanto al riscaldamento globale sta accadendo esattamente il contrario. Come al solito però basta taroccare i dati o persino le caratteristiche ambientali dal luogo in cui li si prelevano.
Per poi diffonderli in mondovisione a reti unificate, avendo cura di colorare le cartine delle previsioni meteorologiche di rosso paonazzo, credendo così di influenzare gli spettatori e forse riuscendovi.
Lo stesso Pasteur, il padre della teoria vaccinale, in punto di morte ha fatto atto di contrizione ma, purtroppissimo, con tutti quei morti giorno per giorno, e in seguito col succedersi incontenibile di emergenze sempre nuove, al telegiornale e sugli organi di stampa proprio non c’è stata una sola possibilità di dirlo.
Le gesta delle persone che hanno servito a vario titolo la falsa emergenza non sarà possibile dimenticarle. Non tanto per quel che hanno fatto o non fatto in concreto, ma perché hanno dimostrato a un’élite decisa come mai prima di arrivare al più presto al proprio scopo, quanto sia facile spingere i comuni mortali al punto di volersi scannare a vicenda.
Cosa che pertanto è inevitabile si riprovi a organizzare in futuro, con una scusa o con l’altra.
Soprattutto se si è ossessionati, secolarmente, dalla mania della sovrappopolazione. Solo che si pretende che siano gli altri a togliersi di mezzo, invece di farlo in prima persona, come appunto vorrebbe la logica ormai eliminata anche dall’orizzonte più remoto della concezione umana.
Chi si è trasformato allora in sceriffo e persecutore dei propri simili, con qualsiasi pretesto, non perderà l’occasione di dare nuovamente la stura ai suoi istinti peggiori.
Mentre chi è stato costretto a subire, per aver mantenuto saldo il proprio raziocinio, il legame imprescindibile con la realtà e il rifiuto dell’irragionevolezza, indotta oltretutto con pretesti tanto paradossali, si troverà a dover subire di nuovo.
Particolare da non trascurare, gli stessi che si sono schierati a favore di tutto questo, e non di rado hanno agito nel concreto, oggi si strappano i capelli perché starebbe tornando il fascismo.
Non si sono accorti di averlo impersonato loro stessi in una forma estremizzata al punto da risultare inimmaginabile persino da parte delle più fanatiche camicie nere del Ventennio.
Pasolini del resto, ultimo vero intellettuale che abbia calcato il suolo di questo Paese sventurato, e proprio per questo ha fatto la fine che ha fatto, lo ha detto vari decenni fa: Io profetizzo l’epoca in cui il nuovo potere utilizzerà le vostre parole libertarie per creare un nuovo potere omologato, per creare una nuova inquisizione, per creare un nuovo conformismo. E i suoi chierici saranno chierici di sinistra.
E’ di queste ore la notizia che un gruppo di azionisti della società Moderna, noto fabbricante degli pseudo vaccini mRNA, abbia fatto causa a quella stessa società perché ha diffuso notizie riguardanti il suo nuovo vaccino anti-sinciziale, tali da aver causato una caduta del valore delle sue azioni.
Moderna in sostanza ha ammesso che la sperimentazione riguardante quel preparato non abbia dato i risultati sperati, con il conseguente calo dei valori borsistici. Motivo per cui i suoi stessi azionisti l’hanno citata per danni.
Secondo loro, dunque, l’azienda avrebbe dovuto mentire e poi mettere in circolazione un prodotto che nella migliore delle ipotesi è inefficace, se non dannoso per chiunque lo assuma, al solo fine di salvaguardare la redditività della loro speculazione.
Qualora fosse necessario un nuovo esempio per mostrare a che punto possa arrivare la follia propria dall’ideologia capitalista, a sua volta base della nuova normalità, eccolo servito.
Quanti saranno i media allineati che avranno il coraggio di riportarlo?
La nuova normalità passa infine, o forse per cominciare, attraverso il capovolgimento del principio riguardante i corsi e ricorsi storici, laddove è noto che la Storia si presentasse prima in tragedia e poi in farsa.
Ora la consecuzione è capovolta, come osservato tante volte: Ne abbiamo un’occasione di più col diffondersi delle morti in simultanea, in particolare delle persone che vivono sotto lo stesso tetto o comunque parte degli stessi nuclei familiari, evidentemente sottopostesi ai medesimi trattamenti a data ravvicinata o forse nella stessa.
A questo proposito risulta più complesso dire che come gl’infarti e i turbo-tumori che ormai colpiscono anche giovani e giovanissimi, “è sempre successo“. Quindi si tende a non parlarne.
Anche questa, censurata o meno, è una tragedia che a suo tempo si è presentata in farsa.
Come ripetuto sovente, e lo facciamo una volta di più, il mondo della riproduzione sonora amatoriale replica e talvolta anticipa le logiche, le dinamiche, le prassi e le contraddizioni della società civile. Per conseguenza anche nel suo ambito si è affermata una nuova normalità, che come ha spiegato il bocconiano affetto da pazzia criminale e per questo ricompensato con una tra le massime cariche dello Stato, ora che la crisi è terminata, lasciando il posto ad altre che si fa in modo si susseguano senza soluzione di continuità, ha lasciato comunque il suo sedimento, di fatto irreversibile.
Anche e soprattutto a livello sociale, dove rapporti vecchi e nuovi non sono e non possono più essere quelli di un tempo, malgrado si faccia finta di niente. E’ rimasta una forma di diffidenza latente, innanzitutto nei confronti di qualsiasi contatto fisico. Poi vagli a spiegare che quelli della mia generazione, e più ancora delle precedenti, sono sopravvissuti mangiando spesso per necessità nello stesso piatto e passandosi l’un l’altro bottiglie di vino, birra o acqua dove ci si era attaccati per bere.
Eppure non siamo morti tra spasmi incontenibili e sofferenze atroci. E’ toccato invece a qualcun altro, pace all’anima sua, che ha creduto nella $cienza e quindi di mettersi al sicuro piegandosi o aderendo con entusiasmo al programma vaccinale, basato su un prodotto sicuro ed efficacissimo, che però si è reso necessario ripetere più e più volte nell’arco di pochi mesi.
Proprio come a suo tempo, altra farsa che ha preceduto la tragedia della gabbia in cui ci stanno richiudendo oggi, il digitale destinato alla riproduzione sonora amatoriale è stato dipinto come perfetto. Mentre invece ha necessitato di un programma serratissimo di evoluzione e miglioramento che nel corso degli ultimi quaranta e più anni non ha lasciato in pace un solo giorno chi vi abbia aderito.
E’ stato anche il primo esempio di quel che oggi è diventato prassi: il perfezionamento del prodotto non eseguito più a priori, nei laboratori e a spese dell’industria, ma sulla pelle di chi acquista il prodotto, per poi renderlo elemento moltiplicatore delle vendite, almeno nelle intenzioni.
Dato che, secondo loro, ti compri una ciofeca fatta passare per perfetta, ti accorgi di quello che è e quindi te ne compri un’altra. Il bello è che hanno pure ragione.
La parola d’ordine su cui si è basata l’intera azione propagandistica a suo favore e utilizzata a oltranza non fino a imporre il relativo concetto ma a renderlo indiscutibile è stata quella mirante a definirlo come dispositivo perfetto. Quando invece era quanto di più lontano dalla perfezione si potesse immaginare, come la Storia successiva ha insegnato.
Quantomeno riguardo al punto di vista e alle necessità degli appassionati di musica e di riproduzione sonora. Si è rivelato tale invece appunto per imporre una svolta epocale alla società civile, basata appunto sul dilagare del codice binario e sulle conseguenze, dell’impossibilità, osservata nel lungo termine, di concepire un’alternativa alla legge ferrea dello 0 e dell’1.
O sei nero o sei bianco: altro non è concesso.
Ecco che da un lato s’iniziano a intravedere le prime similitudini tra la nuova normalità di ordine sanitario-istituzionale e quella che ha luogo nell’ambito della riproduzione sonora, mentre dall’altro ci si accorge che certi meccanismi risalgono ad un passato molto più lontano di quel che si sarebbe portati a credere in prima istanza.
Datano in realtà a una fase di molto precedente a che si parlasse di riproduzione sonora a codifica binaria, figuriamoci di nuova normalità. Ossia al momento in cui un certo sig. Giuseppe, che di cognome faceva Goebbels, spiegò che trasformare in verità anche la panzana più inverosimile è solo questione di quante volte la si ripete e attraverso quali canali. In realtà non era farina del suo sacco, ma di qualcuno che ha teorizzato quel principio ben prima di lui, che si è limitato a riprenderlo.
Condividere lo stesso piatto o passarsi la bottiglia erano gesti banali se vogliamo, ma atti all’induzione della fratellanza, termine non a caso andato in disuso. Al suo posto oggi c’è il dividi e impera portato a un’estremizzazione patologizzante. Proprio perché laddove si decidono le sorti del mondo e di chi lo abita vivono dei malati di mente all’ultimo stadio della loro perversione maniacale, i quali non possono agire in altro modo che al fine di ridurre alle stesse condizioni quanti sono costretti a vivere sotto il loro tallone, che se ne accorgano o meno.
Da un dato momento in poi, ossia da quando l’opera buffa precede il dramma seguendo un corso storico capovolto, una tra le tante formule lessicali come quelle che si utilizzano da decenni per trasformare in altro il mondo che conosciamo, quantomeno ai nostri occhi, così che poi ci si comporti di conseguenza, quindi concretizzando di fatto tale trasformazione, è appunto Nuova normalità, assurta a vera e propria parola d’ordine.
Il malato immaginario è una commedia che risale al diciassettesimo secolo, davvero troppo tempo per una coscienza collettiva ormai perfettamente adagiata sull’eterno presente che è stato costruito per poterla controllare senza troppe difficoltà. Quella farsa dunque non è servita per comprendere la pretestuosità di una tra le travi portanti dell’operazione pandemica, stante appunto nella malattia asintomatica.
Un qualsiasi individuo dotato della capacità di maneggiare i principi della logica, sia pure nella loro forma più elementare, comprenderebbe all’istante che una malattia, per essere tale, deve dare per forza di cose un qualche sintomo. Proprio perché in sua assenza ci si sente bene e quindi non si può essere malati.
Del “Malato immaginario”, nella seconda metà del secolo scorso, è stata riproposta una versione cinematografica con protagonista una delle icone nazionali della storia del cinema. Anche se, a pensarci bene, chiedendo ai veri destinatari del nostro tempo, ossia quanti sono nati dopo il 1990, chi sia stato e cosa abbia fatto quell’attore, molti di essi non saprebbero rispondere oppure darebbero risposte vaghe.
Del resto è la trasformazione stessa delle coscienze, col fine della loro anestetizzazione definitiva, e quindi della realtà nella sua concezione più profonda, appunto eseguibile soltanto dietro il paravento dell’eterno presente, a rendere non soltanto ignoto quell’attore ma persino inconcepibile la valenza simbolica che ha attribuito alle sue interpretazioni, che oggi non troverebbero più addentellato alcuno con l’esperienza di vita, il retaggio, le aspirazioni e le prospettive di chiunque abbia meno di 30-35 anni.
Tuttalpiù lo si potrà ricordare perché gli è intitolata una galleria di centro storico trasformato in suk, entro la quale l’una all’altra si affiancano botteghe di articoli di lusso, ognuno dei quali è venduto per somme con cui oggi i comuni mortali sono condannati a dover sopravvivere per periodi prolungati all’inverosimile, stanti le esigenze sempre più pressanti di suddivisione iniqua della ricchezza disponibile.
Gioco feroce dell’ironia eseguito dai politici-maggiordomi del potere economico, per combinazione pezzi grossi di quello stesso partito del voltafaccia che hanno venduto la realizzazione di quel suk come operazione culturale del più grande spessore. Appunto evidenziando l’incolmabile povertà culturale e intellettiva da cui sono pervasi, altrimenti a certe cose non si presterebbero, vendetta tardiva nei confronti di chi ha sbeffeggiato senza pietà i loro vizi atavici e ne ha messo a nudo le miserie inconfessabili.
Qualcuno che desiderava issarsi a fenomeno dei fenomeni nell’ambito della recitazione, senza averne le capacità ma evidentemente disponendo di ottime aderenze e ancor più spiccata faccia tosta, disse un giorno “Ve lo meritate Alberto Sordi”. Per poi ridursi a interpretare il grande manager petaloso archetipo dell’aristocrazia borghese finto-illuminata cui il popolo fa schifo perché gli puzzano le ascelle – il lavoro fa sudare – che è il vero sogno esistenziale di ogni progressista da ZTL che si rispetti.
Ora che abbiamo un minimo di familiarità con gli strumenti atti a comprendere cos’è la nuova normalità e soprattutto come si presenta, possiamo anche riconoscerne le manifestazioni che hanno luogo nell’ambito della riproduzione sonora.
Esempio N. 1: LP presi a ditate
E’ universalmente noto che a causa dell’avvento e poi del predominio del digitale durato all’incirca un ventennio, l’analogico sia stato dato per morto, in particolare dai fanatici della tecnologia e dell’innovazione a qualsiasi costo. A patto che lo paghi qualcun altro.
Poi però, inopinatamente, è andato incontro a un ritorno d’interesse che a circa trent’anni dal suo primo manifestarsi non accenna ad affievolirsi.
In realtà quella morte è stata presunta o meglio ancora desiderata con tutti sé stessi e descritta come reale e soprattutto inevitabile da quanti erano interessati a vario titolo al digitale. Meglio ancora, si potrebbe dire morte cerebrale, proprio perché indotta a qualunque costo, come vedremo anche quello della dignità personale, da chi era ossessionato dalla brama di spartirsi i brandelli del relativo mercato, ancora a cuore battente.
Così facendo, a brandelli hanno ridotto l’intero comparto della riproduzione sonora amatoriale, che hanno precipitato in una crisi da cui non si è mai più risollevato, ma questi sono dettagli.
La morte dell’analogico di conseguenza è stata il pilastro della narrazione eseguita dai media di settore, come sempre al servizio dell’industria, per poi trasformarsi in prova indiscutibile della loro totale e definitiva mancanza di qualsiasi credibilità. Questa si è mostrata in tutta la sua evidenza nel momento in cui si sono visti costretti a ricominciare a parlare di analogico e lo hanno fatto come se nulla fosse accaduto e sempre coi superlativi d’ordinanza. Nella stessa identica maniera con cui le istituzioni si sono uniformate agl’imperativi della farsa pandemica, in funzione del medesimo porsi al servizio dell’industria di settore. Poco importa che sia farmaceutica o altrimenti elettronica e più ancora discografica, che sul CD avevano scommesso anche le mutande.
Innanzitutto per i costi enormi affrontati per il suo sviluppo e poi per la delibera di un formato adatto ad essere sfruttato a livello commerciale, passaggio quest’ultimo che ha avuto notoriamente i suoi problemi e le sue vittime.
Più ancora per il battage pubblicitario asfissiante prolungatosi da vari anni prima del lancio definitivo a diversi dopo il poco lieto evento, con un dispiego di mezzi mai visto prima e men che meno in seguito.
A suggerire che quel dischetto argentato non doveva servire solo da supporto all’ascolto musicale di un pubblico di sfaccendati, ma da Cavallo di Troia per quel che sarebbe arrivato qualche decennio dopo.
Malgrado tutto questo l’analogico ha continuato a vivere tranquillamente nelle case dei suoi cultori, che in parte significativa non hanno mai smesso di utilizzarlo e in buona sostanza ne hanno tramandato cultura e tradizione. A dispetto dei desideri dell’industria e del sistema mediatico, gli sforzi dei quali hanno comunque dato un effetto, il fenomeno dell’analfabetismo di ritorno riguardante appunto la riproduzione da sorgenti analogiche.
Tra i suoi aspetti più significativi vi è l’irreversibilità dei modi con cui si materializza. A priori, chiunque avrebbe scommesso che, se un recupero dell’analogico si fosse verificato, per quanto nel pieno dell’offensiva digitale sembrasse impossibile, dopo un certo numero di anni vi sarebbe stato un recupero delle conoscenze e delle stesse attitudini al suo riguardo.
Non è stato così e ora che il periodo durante il quale si è materializzato quel ritorno d’interesse è divenuto addirittura più lungo rispetto a quello in cui l’analogico ha subito l’ostracismo e la volontà distruttiva dell’industria e dei media allineati, come sempre finalizzata al profitto, invece di evolvere le attitudini e le conoscenze che lo riguardano, lo ha fatto l’analfabetismo.
Abbiamo di conseguenza la conferma di quanto descritto dal bocconiano psicopatico lustrascarpe delle élite, ossia che una crisi, anche quando è superata, magari da lungo tempo, “lascia comunque i suoi sedimenti, per cui non è pienamente reversibile”.
Nel caso specifico non lo è nel modo più assoluto e anzi va a rafforzare ancor più la solidità delle basi su cui poggiano i suoi effetti, che nell’ambito di nostro interesse hanno prodotto l’analfabetismo di ritorno riguardante l’analogico, ampliando il terreno su cui si dispiegano e toccando nuovi vertici di paradosso, per sfociare infine nel surreale.
Un esempio significativo lo abbiamo nell’immagine che segue, diffusa dal colosso dell’editoria un tempo italiano ma ormai lo è solo di nome in quanto controllato dall’estero come tutto quel che un tempo era la parte migliore della nostra industria. All’inseguimento di nuovi mercati, si è messo in testa di volgere a proprio favore il fenomeno riguardante il ritorno d’interesse che ha interessato l’analogico.
Lo ha fatto appunto secondo i metodi della nuova normalità, e come vedremo rafforzandone gli effetti, entrando in un settore di cui non aveva il benché minimo elemento conoscitivo. Lo ha ritenuto tuttavia un aspetto insignificante, in quanto come da prassi attuale si era sicuri che fosse sufficiente affidarsi alla consulenza a cachet di qualche mercenario più o meno introdotto nel settore, per colmare senza difficoltà il debito di conoscenza.
Naturalmente il tutto è stato coordinato da chi invece della materia non sa nulla e malgrado ciò ha diritto di veto e l’ultima parola riguardo a ogni aspetto dell’operazione.
Come si diceva un tempo, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, e quello del capitalismo terminale evidentemente non può essere secondo a nessuno.
Ecco allora che il colosso dell’editoria, autonominatosi dalla sera alla mattina avanguardia della nuova diffusione dell’analogico, ovviamente a scopo di profitto e quindi fatto coi piedi, se n’esce con l’immagine pubblicitaria che troviamo qui di seguito. Per chi è scampato alle forche caudine dell’analfabetismo di ritorno è semplicemente catastrofica.

In essa vi è il compendio di quel che con l’LP non si dovrebbe mai fare, ossia prenderlo per il bordo servendosi dei polpastrelli di pollice e indice, per estrarlo dalla sua busta e maneggiarlo variamente ai fini della sua riproduzione.
Al tempo lo sapevano anche i sassi che lo si deve evitare, dato che i residui di grasso e altri contaminanti presenti sui polpastrelli si depositano sulla superficie del disco, dando luogo a fenomeni particolarmente fastidiosi che si manifestano in forma di rumore.
Oggi lo si vede fare anche a persone di una certa età, evidentemente arrivate all’analogico solo nella fase successiva al dilagare dell’analfabetismo di ritorno che lo riguarda, senza evidentemente riuscire a immaginare le conseguenze dalla loro azione, per quanto banale e in un certo senso istintiva.
Lo impareranno a loro spese, specie se la collezione di LP e il giradischi che gli serve per suonarli non faranno solo da elemento atto ad arricchire la loro cornice esistenziale secondo i principi della teoria dell’esistenza commerciale, ma li utilizzeranno effettivamente per quel che possono dare.
Si tratta di una vera e propria enormità, i dischi si estraggono dalla busta interna poggiandone il bordo sul palmo della mano per sostenerli con la punta delle dita che toccano sull’etichetta. Appunto per non contaminare la loro superficie, così sensibile nei confronti di qualsiasi elemento spurio, in conseguenza del principio stesso per mezzo del quale avviene l’estrazione dell’informazione sonora dai loro solchi.
Il pubblicizzare in modo simile l’iniziativa editoriale in questione mostra quanto si sia carenti già a livello di fondamentali, per la materia che riguarda, e malgrado ciò non si esiti un istante, se s’intravvede la possibilità di un buon profitto, da ottenersi anche a costo di penalizzare il prodotto che si ha intenzione di vendere.
Poco male, così l’incauto che maneggerà il disco nel modo suggerito dal suo venditore ne dovrà comprare un altro nel tempo più breve, dato che lo avrà inzaccherato per bene con le dita sporche di sugo o di salsiccia, nei suoi ascolti post-prandiali.
Un tempo qualsiasi fabbricante si preoccupava di esemplificare l’utilizzo corretto del proprio prodotto. Oggi come vediamo avviene il contrario: anche questo è un tratto distintivo della nuova normalità.
Di fronte a tanta sciatteria, figlia dell’inadeguatezza e dell’ignoranza, innalzate nel frattempo a status symbol, passa in secondo piano anche il tentativo di manipolazione insito in qualsiasi operazione commerciale degna di tal nome, con quell’accenno alla rivoluzione mai altrettanto fuori luogo, ma a caratteri cubitali.
Quale conseguenza inevitabile dell’aberrazione insita nell’evoluzione terminale del capitalismo, la nuova normalità subordina l’utilizzo di un linguaggio appropriato agli effetti della manipolazione eseguibile per il suo tramite. Pertanto, nei confronti di quella che a tutti gli effetti ha le forme e i contenuti se non di una restaurazione quantomeno di un recupero, appunto quello concernente l’analogico, va da sé che utilizzando i termini corretti non si avrebbe l’effetto sensazionalistico desiderato. Rispetto al quale l’utilizzo della parola “rivoluzione” non ha eguali.
Per il suo tramite oltretutto, non a caso lo si utilizza per la propaganda di un’iniziativa legata al rock progressivo, si va a richiamare in tutta evidenza la pretesa che si diffuse endemicamente nel periodo di massimo fulgore di quel genere musicale, ossia che attraverso la musica, insieme all’evoluzione del costume che portava con sé, si sarebbe “cambiato il mondo”.
Cosa evidentemente non vera e se è accaduta è stato in peggio. Anche se ai tempi lo credevamo tutti, in varia misura, già per il semplice motivo che l’industria discografica, quale parte del sistema d’intrattenimento nel suo insieme, è controllata da una lobby ben connotata già a livello etno-religioso. Il suo scopo non è il cambiamento del mondo nella direzione di una maggiore democrazia o umanità, ma l’inganno delle masse a fini di predominio. Necessario affinché lo si possa acquisire, come in effetti è accaduto nel frattempo, per imporre i fini di un’ideologia delirante, e di un credo che attribuisce ai suoi adepti un’incolmabile superiorità razziale, imponendo pertanto il precetto della non mescolanza.
In loro funzione prosegue da oltre un anno un genocidio senza precedenti per ferocia e disprezzo di ogni forma della vita umana, nell’inerzia più assoluta di chi avrebbe dovuto non porvi termine, ma aver fatto in modo che mai si arrivasse a tanto. E’ solo l’ultimo capitolo di una caccia senza quartiere, iniziata nel 1948 su quel territorio, ma i cui prodromi datano come sempre a molto prima.
Ossia ai capitoli lungo i quali, comprendenti un altro genocidio, quello dei nativi americani, si è articolata l’assunzione del potere e della potenza economica e bellica necessari a far si che si arrivasse infine alla dichiarazione Balfour.
Con essa l’Inghilterra ha promesso la Palestina ai sionisti, quale compimento del loro sogno, senza che ne avesse titolo alcuno, ovviamente. In cambio della loro collaborazione affinché gli Stati Uniti, entrassero al suo fianco in guerra, la prima mondiale. Atto essenziale per i suoi esiti, che hanno sancito l’uscita dal gioco della vecchia Europa nelle sfide per il dominio globale..
Inevitabile osservare allora che i componenti di quella razza e di quella religione siano potuti giungere allo scatenare una guerra mondiale dopo l’altra: il potere necessario, specie economico lo avevano già allora, avendolo acquisito coi metodi che abbiamo appena visto, e lo abbiano usato senza scrupoli, pur di arrivare ai loro scopi.
Tanto le guerre fanno combattere ai goyim, ossia gli appartenenti ad altre religioni, specie la cristiana cui hanno dichiarato una guerra plurisecolare, che secondo i loro libri sacri non sarebbero altro che animali parlanti.
Oggi un approccio coerente alla materia imporrebbe il rifiuto totale e indiscriminato di tutto quanto provenga dalle major a livello di intrattenimento, non a caso confluite gradualmente in un conglomerato che di fatto è un oligopolio inattaccabile di grandi attori industriali che fanno il bello e il cattivo tempo a loro piacimento. Sono distinguibili soltanto dalla denominazione e per la grafia differente di ciascuno dei loro marchi, che in realtà fanno parte di un solo grande organismo. Funzionante tutto alla stessa maniera e ancor più controllato nella sua totalità nelle medesime sedi.
Poi è vero, il progressive è bello, artisticamente impareggiabile e vero segno di un’epoca intimamente legata all’evoluzione, delle idee, del costume, del linguaggio, all’abbattimento dei recinti, primi fra tutti quelli di ordine stilistico, e quindi verso un’ideale di maggiore libertà.
Chi ha controllato e diretto quel fenomeno invece se n’è impadronito per utilizzarlo a fini d’inganno, così da imporre condizioni tali da facilitare e ampliare quanto più possibile il suo dominio.
Non a caso al punto in cui siamo tutto quanto è grande industria è controllato da tre finanziarie di proporzioni colossali: Blackrock, Vanguard e State Street, ai cui vertici siedono solo ed esclusivamente ebrei. Mentre il Credit Suisse ha stimato, probabilmente per difetto enorme, in 250 mila miliardi di dollari il patrimonio dei Rothschild, dinastia ebraica plurisecolare, dedita per antonomasia allo strozzinaggio di livello planetario.
Per fare un paragone, il PIL nazionale italiano è di circa duemila miliardi, quello degli Stati Uniti di 23 mila e dell’intero mondo di 96 mila. Inevitabile pertanto un potere smisurato di controllo e indirizzo di tutto quanto avvenga o si decida, quantomeno in occidente e molto probabilmente anche altrove, coi metodi più spicci per chiunque si metta di mezzo. Ecco perché i politici di ogni razza e colore li si vede regolarmente con la zucchetta da rabbino sulla testa mentre giurano fedeltà alla bestia antiumana.
Ne va del loro stesso destino, al quale non possono sottrarsi per l’ambizione da cui sono divorati, che li ha spinti a cerimoniali di iniziazione indicibili, per mezzo dei quali sono ricattati.
Poi il prog, quello vero e non la sua attuale versione banalizzata, come anche il jazz sono quanto di meglio si possa ascoltare nell’ambito della musica moderna e transeat.
Anche perché, una volta compreso quel c’è dietro, il potenziale ne viene neutralizzato.
Su tutto rimane la volontà di mercificazione che non si ferma di fronte a nulla e a nessuno, anche a livello di ideali. Esemplificata come meglio non si potrebbe da una foto pubblicitaria nella quale si è riusciti a condensare in un solo colpo tali e tanti esempi negativi da porre in evidenza il possesso di un grande talento al riguardo, che come sempre è doveroso riconoscere.
Esempio N.2: ascolto pre-acquisto? Contanti alla mano
Un appassionato con cui intrattengo rapporti con una certa regolarità, nel recente passato ha deciso di cambiare diffusori. Per una somma di elementi ero e resto convinto che abbia commesso un grosso sbaglio, costatogli oltretutto una somma non indifferente, ma questo ha poca o nulla importanza ai fini del fatterello che vado a raccontare.
Ne ha di più con l’argomento che tratterà, spero tra breve, la seconda puntata dell’articolo dedicato alla domanda da un milione di dollari.
Essendo un esponente della vecchia guardia di appassionati, quella che per fortuna dell’industria di settore e dei media al suo seguito è in via di estinzione per sopraggiunti limiti di età, è abituato ad ascoltare in via preventiva il o i prodotti verso cui ha ritenuto di dirigere il suo interesse.
In realtà si tratta di una pratica non così efficace come la si ritiene per solito, in particolare nella mancanza dei parametri atti a esprimere un giudizio che non sia basato sulle impressioni personali. E’ tuttavia un modo per non acquistare a scatola chiusa, che invece è obiettivo primario dell’intero sistema commerciale attivo nel nostro settore.
Si reca quindi presso uno dei pochissimi esercizi rimasti in cui si ritiene sia ancora possibile ascoltare un prodotto prima di acquistarlo, e per questo ha acquisito un potere smisurato di fronte al deserto che lo circonda. Nonostante il prodotto in questione sia presente in negozio e il nostro abbia preso regolare appuntamento, quando un tempo nei negozi si entrava direttamente e ti facevano ascoltare quel che desideravi, magari anche solo perché ti aggregavi all’ascolto di qualche altro cliente, l’ascolto gli è stato negato.
Vero è che quel negozio, si trova nel quartiere romano di San Giovanni, è storicamente restio a far ascoltare i prodotti dei quali ha come noto disponibilità rilevanti, e forse a questo deve gran parte della sua fama tra gli appassionati. Personalmente mi sono sempre rifiutato di avere qualsiasi rapporto con esso, proprio per quelle tradizioni e l’altrettanto radicata malacreanza del suo personale.
A quella negazione si è dato il supporto di un principio inedito, da iscrivere anch’esso nella fenomenologia della nuova normalità: diffusore ascoltato è diffusore comperato. Parole testuali.
Furbissimi, senza dubbio alcuno, d’altronde certi soprannomi regali non sono attribuiti per caso. Evidentemente occorre avere a disposizione mezzi tali da esercitare un potere di persuasione, sia a monte che a valle della propria attività, di rilievo considerevole.
A me della situazione a monte sinceramente interessa il giusto, ossia nulla. Su quella a valle avrei invece qualcosa da ridire, dato che in ultima analisi è proprio la platea degli appassionati ad aver fatto si che si arrivasse a una situazione che si trascina ormai da troppo tempo.
Probabilmente per il solito discorso dei prezzi allettanti e delle offerte cui non si può rinunciare, come si diceva in un film passato alla Storia, ma ora quel risparmio è ripagato dalla platea degli appassionati con interessi centuplicati. Dato che si ritrova costretta a comperare a scatola chiusa anche quando non si rivolge al commercio elettronico ma a un rivenditore in carne e ossa.
Le mostre di settore con il loro meccanismo massificante non possono certo supplire alla capillarità del sistema basato su un’ampia diffusione dei punti vendita sul territorio, presso l’insieme dei quali era possibile la dimostrazione sul campo di un qualsiasi prodotto, attività evidentemente propedeutica alla vendita.
Non solo, proprio tramite la loro frequentazione più o meno assidua tanti appassionati hanno costruito le basi della propria esperienza, grande o piccola che sia, elemento a sua volta essenziale alla crescita del settore secondo una modalità sana, ossia basata sulla verifica concreta, anziché sulle corbellerie interessate del Coro Degli Entusiasti a Prescindere, poi ripetute a pappagallo da un esercito di inadeguati, resi tali proprio dalla mancanza di esperienza diretta, oltretutto in perenne espansione.
Come in ogni fenomeno di tenore simile che si rispetti, non manca l’elemento di paradosso, stante nella pretesa impossibilità di dimostrare il prodotto per via dei costi che questo indurrebbe.
Eppure i prezzi dei prodotti dedicati alla riproduzione sonora, notoriamente andati alle stelle, dovrebbero riuscire a contenere comodamente quelle voci di spesa. Tuttavia ci viene assicurato che ciò non sia possibile.
Anche se poi, per pura combinazione ci si trova al momento giusto presso i luoghi in cui si tengono le mostre menzionate sopra, si vede arrivare il personale di quei negozi con un dispiego di mezzi di trasporto fin quasi travolgente, scelti accuratamente tra quelli più efficaci per buttare in faccia ai presenti il proprio successo economico. Ossia quelli generalmente di provenienza tedesca, di disegno e dimensionamento talmente smargiassi e provocatori per il buon senso, prima ancora che per il buon gusto, da appiccicare all’istante le medesime prerogative a chi quei mezzi li utilizza. Con un certo orgoglio peraltro, anche se non è dato sapere quanto giustificato.
Se questi sono i presupposti, va da sé che anche gli spazi espositivi organizzati da quel negozio siano allestiti, come in effetti lo sono, in modalità faraonica. In essi operano regolarmente gl’impianti più esagerati in termini di composizione, e quindi di costi. Con altrettanta regolarità sono quelli che suonano peggio, e di gran lunga, senza incontrare rivali di sorta nell’opinabile classifica al riguardo.
Proprio perché, come noto, più grandi sono gl’impianti, maggiori sono i problemi che inducono e quindi sono i più complessi da risolvere. Per il semplice motivo che più aumentano le dimensioni dell’impianto e più si rendono tangibili le sue differenze nei confronti dello strumento musicale che vorrebbe scimmiottare.
Malgrado ciò quegli spazi sono spesso i più affollati in assoluto, a dimostrazione delle capacità di analisi e di valutazione dell’appassionato medio, che in quanto tale fa parte di una maggioranza sempre più schiacciante, proprio per via della serializzazione e della massificazione dilaganti.
L’abolizione del senso della misura e più ancora della capacità di comprenderne i valori è del resto fondamentale per qualsiasi normalità voglia imporsi come nuova. Forse allora non è questione di costi, quanto della volontà di sbarazzarsi di una clientela ritenuta troppo scomoda e soprattutto ingombrante.
Vuoi mettere quanto è più riposante lavorare sul venduto e prendere i soldi prima ancora di disporre materialmente dell’oggetto, poi recapitato all’acquirente direttamente dal magazzino del distributore, senza doversi affannare a far nulla se non a incassare?
Ovvio che se la situazione è questa, e ormai hai abituato la gente ad acquistare su una foto e in seguito a commenti la cui origine è meglio non indagare, tutto quanto assuma contorni più tradizionali sia ritenuto impraticabile.
Le scelte, quali che siano, facciano il loro corso. Chi potrà ne vedrà un giorno le conseguenze.
Esempio n. 3, il misurista rinnega la misura
Ai fini dell’esaltazione del progresso e della tecnologia di cui è figlia, la nuova normalità esige la negazione e quindi la cancellazione o meglio l’eliminazione alla radice di qualsiasi risultato sia stato ottenuto nel passato. In particolare di quello in cui la sua imposizione era ancora di là da venire, che secondo la sola narrazione ammessa è quanto di più simile all’età della pietra, mentre quanti lo hanno vissuto sarebbero niente altro che dei poveri cavernicoli, inevitabilmente inadeguati al nuovo che avanza.
Se così non fosse, d’altronde, non sarebbe difficile accorgersi che i risultati di cui ci si gloria, come idolatrando il progresso per farne un feticcio di fronte al quale inginocchiarsi in adorazione, altro non sono che dei regressi poderosi. Ottenuti peraltro con un dispendio di risorse che un tempo non si sarebbe neppure preso in considerazione.
Alla faccia della sostenibilità che oggi è il comandamento numero uno, ma in realtà è solo un argomento di vendita, come sempre falso, ritenuto più convincente degli altri. In particolare nei confronti di una clientela che si è fatto di tutto per lobotomizzare, come dimostra l’esempio numero 1.
Aldous Huxley lo ha spiegato a perfezione nel suo “Il mondo nuovo”. Elemento essenziale per la pace sociale, e quindi per la conduzione più proficua delle dinamiche di mercato e di conseguenza per la possibilità stessa delle condizioni imposte di essere accettate senza eccepire e anzi col maggiore entusiasmo, è appunto la soddisfazione, da parte di ognuno, di quel che si ha e di quel che si è.
In caso contrario non solo l’imposizione dell’eterno presente quale strumento insuperabile di controllo, innanzitutto mentale, sarebbe più difficoltosa e forse impossibile, ma serpeggerebbe il malcontento.
Chi ben conosce la realtà delle condizioni che ha imposto sa perfettamente che se si aprissero gli occhi diverrebbe dilagante e questo non deve assolutamente succedere, proprio perché metterebbe in discussione, e quindi a repentaglio, le posizioni di predominio di quanti le ricoprono e ovviamente non hanno intenzione alcuna di passare la mano.
Lo stesso accade nell’ambito della riproduzione sonora, dove i social che la riguardano sono mere gabbie per polli, entro le quali il parco bestiame con cui le si è riempite possa razzolare beato. Proprio perché inconsapevole.
Per far si che le risorse zootecniche traggano il miglior giovamento da quella permanenza, e quindi non gli passi manco p’a capa di cercare oltre, o solo d’immaginare che possa esistere qualcosa al di là dei confini angusti della loro gabbia, è necessario coccolarle, blandirle e quindi far credere loro che i risultati che hanno raggiunto siano di rilievo assoluto e del tutto non replicabili da quanto avvenga all’esterno.
Ammesso e non concesso che esista qualcosa una volta varcata la soglia di quella gabbia, intesa per conseguenza come una via di mezzo tra la caverna di Platone e le Colonne d’Ercole del ventunesimo secolo.
Costruita per mezzo della narrazione di quanti si sono autoeletti a campioni assoluti del pensiero razionale.
A questo si dedicano persino i pezzi grossi appartenenti ai media di settore, intesi nei termini che si addicono loro, ovvero secondo una realtà ormai meno che residuale, conseguenza inevitabile delle attività finalizzate all’inganno cui si sono dedicati per decenni. Materializzate mediante la diffusione delle baggianate più inverosimili, su commissione degl’inserzionisti, poi inverate per mezzo dell’imposizione di un decalogo tanto falsificato quanto farneticante.
Il suo fine era finalizzato in primo luogo all’affermazione della loggia scientista di cui facevano parte, sorta di clero addetto a dispensare la liturgia basata sull’autismo misurista che dell’intero meccanismo è stato lo strumento di attuazione.
In quei pollai si presenta di tanto in tanto l’appassionato desideroso di mostrare con orgoglio il risultato delle sue fatiche. Rese meritevoli di considerazione grazie alla cancellazione del passato realizzata proprio mediante la costruzione dell’eterno presente cui i media si dedicano senza sosta.
Non sono poche del resto le possibilità che quel risultato sia migliore del prodotto industriale posto in commercio, del quale le logiche di mercato e ancora più quelle della realtà concreta oggi vigente hanno sostanzialmente azzerato ogni valore intrinseco, per il semplice fatto che usi e costumi e voci accessorie siano divenuti ormai prevaricanti a tal punto nella ripartizione dei costi del prodotto finito, da non lasciare praticamente scampo a un qualsiasi oggetto realizzato su larga scala.
Così un bel giorno arriva il giovane appassionato tutto baldanzoso e particolarmente soddisfatto di aver fatto in modo di far riprodurre una frequenza non troppo distante dai 30 Hz al subwoofer che ha realizzato, grosso come un armadio ed equipaggiato con un altoparlante di taglia adeguata e dal costo in proporzione.
Ora, so perfettamente che occorra evitare come la peste certi luoghi virtuali, peraltro moltiplicatisi nel corso del tempo in maniera talmente vorticosa da essere quelli la vera pandemia, i cui sintomi nei confronti del settore di cui si occupano, difficilmente così a sproposito, stanno agendo come e peggio di una vera e propria calamità.
Com’è come non è, malgrado il mare magno della rete renda particolarmente improbabile l’imbattersi in un qualsiasi accadimento che in essa abbia luogo, e per quanto cerchi di di fare in modo di non entrare non in quei pollai, ma proprio sulla piattaforma che li ospita nel numero maggiore, quel giorno vado a finire proprio nella discussione aperta dall’orgoglioso realizzatore del mammozzone in questione.
Più per istinto che per altro, mi viene da rilevare che circa 50 anni prima un risultato paragonabile, e forse persino migliore, quantomeno in termini di estensione, è stato ottenuto da un diffusore che per prima cosa non ha avuto alcun bisogno di essere un subwoofer. Ovvero un oggetto specializzato nella riproduzione delle frequenze basse e bassissime.
Si è trattato invece di un normale diffusore a gamma intera e men che meno ha necessitato di cotanto volume di carico. Soprattutto si è fatto bastare un altoparlante da soli 20 cm operante nella modalità un tempo nota come reflex meccanico ma ormai dimenticata, ossia affiancato da un radiatore passivo da 25.
Subito salta su il ragazzotto dicendo che se è per quello lui quei risultati li ottiene da un 4 cm. Celodurismo a parte, che assume così i suoi contorni emblematici, qui torniamo all’eradicazione del più remoto senso della logica dalle menti di questi poveri sbarbati. Altrimenti si sarebbe chiesto il motivo di ricorrere a un simile bestione se le stesse cose le poteva fare con un altoparlantino tanto striminzito.
Lasciamo andare, ma ecco che salta su il residuato di pezzo grosso, si fa per dire, cui abbiamo accennato in precedenza per giurare che quel che avevo detto non era assolutamente possibile, per questo, questo e quest’altro motivo della tecno-religione della quale lui è notoriamente e in maniera altrettanto orgogliosa officiante in capo.
Più che altro per avvenute dimissioni dei suoi predecessori, che comunque non erano tanto meglio di lui, valutazione basata sull’esperienza diretta, oltretutto prolungatasi per decenni.
Qualcuno forse era (molto) meno ipocrita ma lasciamo andare, che certe considerazioni servono a poco, se non a comprendere meglio la fauna dalla quale siamo circondati.

Il punto è che che i risultati cui avevo tanto incautamente accennato, a suo tempo erano stati messi nero su bianco, dopo avvenuta verifica, dalla stessa rivista della quale il personaggio in questione a suo tempo ha strombazzato ai quattro venti di essere divenuto direttore, non si è capito bene se editoriale, tecnico, e relativamente a tutto l’insieme della materia o solo rispetto a qualche specifico comparto merceologico.
Il succo dunque non cambia: quando gli fa comodo portano avanti i risultati del loro scientismo idolatrico da laboratorio, facendoli valere come parole del Vangelo o meglio come veri e propri comandamenti divini. Quando invece non gli sconfinfera, si arroccano egualmente sulle vette del loro autismo misurista, ovviamente inaccessibili a qualsiasi mortale, ma per negare quel che loro stessi hanno fatto, pubblicato e strombazzato in maniera tanto chiassosa e spregiudicata, al fine di acquisire lo status di strumento di propaganda esclusivo al servizio dell’industria di settore.
Tutto questo ovviamente facendo passare da bugiardo e visionario chiunque ardisca a ricordare un qualsiasi aspetto che a loro esclusivo criterio non si presta più al gioco, perché distruttivo per la narrazione falsificata che loro stessi hanno portato avanti nel corso dei decenni e continuano tuttora. Con la faccia di bronzo dello spessore da corazzata transoceanica che li contraddistingue, requisito fondamentale per ricoprire determinati ruoli.
Non so se sia possibile immaginare un’ipocrisia tanto smaccata. Personalmente non ci riesco e riconosco che è un mio preciso limite. E’ altrettanto vero che loro sono i più competenti ed autorevoli in assoluto. Al punto tale che hanno ritenuto indispensabile scriverlo a caratteri cubitali sulla copertina di ogni santo numero arrivato in edicola della rivista che pubblicano, da oltre quaranta anni a questa parte.
Quella rivista ha ospitato la prova del diffusore cui ho fatto riferimento, destinato oltretutto a un segmento tuttaltro che di vertice ma anzi a una diffusione piuttosto ampia, anche se non la maggiore in assoluto, sul numero con cui ha esordito in edicola.
Il diffusore in questione era il Genesis 2, sistema a due vie equipaggiato appunto da un woofer da 20 cm caricato in reflex meccanico, ossia utilizzante una seconda membrana, passiva, mossa dall’aria spostata dalla faccia posteriore del woofer stesso.

Andrebbe anche osservato che il risultato ottenuto da quel diffusore deriva da una verifica condotta col minimo di preparazione e non da chi esegue certe verifiche in casa, possibilmente senza neppure rendersi conto di cosa in effetti stia misurando.
I grafici che seguono risalgono al luglio 1981 e sono firmati R. G.
Chi indovina a chi appartenessero quelle iniziali vince una riproduzione del Genesis 2 in vero peluche.


Quello rilevato in anecoico si spinge fino ai 35 Hz, con una pressione sonora perfettamente allineata alla media del diffusore su tutta la banda, intorno agli 87-88 dB con un watt. Ossia un livello di pressione ben adeguato alla riproduzione in un normale ambiente domestico.
Nel grafico rilevato in ambiente, verifica forse meglio correlata ai risultati ottenibili all’atto pratico, il terzo d’ottava posizionato sul livello di 0 dB è addirittura quello relativo ai 30 Hz, laddove l’innalzamento del livello alle frequenze immediatamente superiori è causato probabilmente dalle caratteristiche dell’ambiente in cui è stata eseguita la misurazione. Infatti lo si verifica regolarmente sui grafici ottenuti nelle stesse condizioni da altri diffusori.
Ogni altro commento in merito alle potenzialità in gamma bassa del diffusore in questione è da ritenersi superfluo.
Anzi no, va detto che non si tratta di un singolo exploit fine a sé stesso, ma di uno tra i numerosi aspetti rilevanti del comportamento di un sistema dalle caratteristiche ineguagliabili, non solo tra gli esemplari di costo paragonabile.
Era equipaggiato inoltre dal tweeter a cupola rovesciata a suo tempo celeberrimo, caratterizzato da una capacità ragguardevole di tenuta anche su frequenze di taglio ben inferiori alla norma. Il Genesis 2 aveva la frequenza d’incrocio a 1800 Hz, per di più esibiva un’estensione di grande rilievo e un’ampiezza di emissione priva di rivali, allora e con ogni probabilità anche oggi.
Ne derivavano doti sonore particolarmente spiccate, che ne hanno decretato il successo su molti mercati e hanno fatto la fortuna, sia pure di durata troppo breve come sempre accade per chi realizza prodotti tanto fuori dall’ordinario, del marchio che lo ha commercializzato.
Il pur celebrato Advent Loudspeaker e ancor più il successore 5002, all’epoca ritenuti campioni indiscussi della categoria, messi di fronte al Genesis 2 ne uscivano malconci. Quantomeno se vitalità, naturalezza, coerenza e presenza in ambiente della riproduzione erano aspetti su cui si puntava maggiormente l’attenzione.
Le sue doti soniche contraddicevano già allora le teorie propagandate dai media specializzati, dimostrandone in buona sostanza l’inattendibilità o meglio l’ingannevolezza.
Molti però storcevano il naso perché le cerniere verdi erano troppo appariscenti. Già allora l’abitudine all’ascolto con gli occhi era ben radicata.
Per caso o forse per evitarsi riflessioni scomode, i numerosi aspetti di rilievo inerenti la sonorità del diffusore non furono rilevati. Si era del resto nella fase delle prove da una sola paginetta, prive di qualsiasi valutazione riguardante l’ascolto, evidentemente ritenuta poco o nulla importante.
Come l’appassionato è da sempre convinto che le apparecchiature destinate alla riproduzione sonora siano costruite e vendute per appagare la sua passione, così il misurista lo è altrettanto che le si realizzi esclusivamente affinché lui le possa misurare.
Il sistema di caricamento a reflex meccanico, dal canto suo, si dimostrò di grande efficacia e non a caso acquisì ampia diffusione in quel periodo. Non solo tra i diffusori di scuola americana, in particolare da quelli della costa est, cui appartenevano Genesis e la quasi gemella Epicure, ma anche da quelli di origine inglese, tra cui svariati Kef, anche di alto bordo, per l’epoca, e alcuni B&W.
Quella soluzione è stata in seguito abbandonata, in favore del più comune bass reflex. Probabilmente perché un tubo di cartone o di plastica stampata costa meno di un radiatore passivo. Che di fatto è un altoparlante privato di gruppo magnetico.
Un risultato del genere lo si era ottenuto anche e soprattutto con l’impiego per il woofer di un equipaggio mobile a corsa lunga, resa possibile da una cerniera dalla conformazione studiata appositamente, da una bobina anch’essa di lunghezza oltre la media, inserita in un traferro realizzato in maniera tale da contenere i problemi di ordine magnetico, relativi appunto al controllo del movimento della bobina, cui si va incontro realizzando altoparlanti di caratteristiche simili.
Quelle doti di estensione si abbinavano anche a una robustezza non comune, almeno a livello di tenuta in potenza, quella che ha fatto si che ancora oggi i diffusori di quel fabbricante siano reperibili sul mercato dell’usato senza difficoltà eccessive.

Purtroppo però le cerniere erano realizzate in materiale schiumoso, le cui doti di cedevolezza sono ineguagliabili dai materiali gommosi, che con le formulazioni di quei tempi andavano incontro a una disgregazione relativamente precoce. Malgrado l’intervento di ribordatura, le cerniere oggi disponibili non permettono più una corsa tanto lunga dell’equipaggio mobile. Per conseguenza le prerogative di quegli altoparlanti ne sono state in qualche misura parzializzate.
Alla faccia del progresso. Oggi del resto exploit simili sono impossibili, dato che per contenere i costi i fabbricanti di diffusori sono soliti ricorrere ad altoparlanti non più solo di produzione terza, ma di provenienza cinese o da luoghi in cui i costi siano ancora minori. Sono inevitabilmente più serializzati e per conseguenza massificati, quindi non in grado di soddisfare le esigenze di chi voglia spingersi oltre l’aurea mediocrità che è oggi è legge ferrea e quindi non aggirabile.
Meglio ancora, si tratta di un concetto ormai incomprensibile, per l’appassionato dei giorni nostri e per il misurista di ogni epoca.
Chiunque volesse crearsi un’alternativa andrebbe incontro a costi insormontabili, figuriamoci se per un diffusore destinato alla parte bassa della fascia intermedia.
Quindi il regresso è inevitabile.
Sono le stesse condizioni venutesi a creare, un pezzetto alla volta, come usa dire un altro dei lestofanti raffigurati in apertura, quello che ha il soprannome di un insaccato, a renderlo tale. Occorre dunque penalizzare il prodotto, ma non fa niente, tanto chi se ne accorge.
Se poi qualche visionario trovasse da eccepire ci penserebbero le dotte recensioni degl’Illustrissimi Sigg. Redattori, i famosi componenti del Coro Degli Entusiasti a Prescindere, ad assicurare che il tal diffusore o qualsiasi altro suo simile “eclissa i rivali“.
Dire certe cose d’altra parte non sta bene, a revocare un contratto pubblicitario si fa presto, quindi i suddetti se ne guardano con la più grande attenzione. Hai visto mai che qualcuno capisca che tutta la narrazione da loro eseguita idolatrando il progresso tecnico che oggi permette di ottenere risultati che prima non si potevano nemmeno sognare si riveli per quello che è.
L’ennesima panzana, peraltro grossolana, che è la vera e unica specialità in cui quei signori eccellono. Non tanto per acquisita specializzazione ma proprio per inclinazione cromosomica.
Sono d’altronde i più adeguati a sopravvivere nelle condizioni attuali, secondo la logica dell’evoluzione darwiniana. Se la realtà ambientale premia cialtroneria, attitudine alla labilità della memoria, quindi alla narrazione falsificata e alla conseguente dissociazione dalla realtà, serietà, imparzialità e attitudine al mantenimento di un solido contatto con il mondo concreto, anche per aspetti passati da più di qualche istante, sono destinati a soccombere.
La consapevolezza storica poi diventa proprio un reato, come tale da perseguire con ogni mezzo. Primo fra tutti quello del pubblico discredito. In particolare agli occhi di quanti, che sono la stragrande maggioranza, quegli stessi figuri hanno fatto in modo da rendere funzionalmente sordociechi.
Siccome è sempre bene dire la verità e dirla fino in fondo, un’altra prerogativa di quanti fanno parte del Coro Degli Entusiasti a Prescindere va doverosamente riconosciuta. Parlano bene sempre e di tutto, ma è storicamente dimostrato che ogniqualvolta ci sarebbe stato davvero da parlare bene e forse persino meglio di qualcosa, per le sue caratteristiche intrinseche, hanno sempre mancato di farlo.
Il perché è presto detto: non la beccano mai, funzione stessa della loro specialissima attitudine congenita.
“Ogni disco è stato distrutto o falsificato, ogni libro è stato riscritto, ogni immagine è stata ridipinta, ogni statua e ogni edificio è stato rinominato, ogni data è stata modificata. E il processo continua giorno per giorno e minuto per minuto. La storia si è fermata. Nulla esiste tranne il presente senza fine in cui il Partito ha sempre ragione”.
George Orwell – 1984
Chiaro il concetto?
Esempio n.4: il dettagliante pilatesco
Per l’ultimo esempio di questo articolo lo spunto mi è stato dato dal racconto di un artigiano attivo nel settore della riproduzione sonora col quale sono in contatto.
Da qualche tempo ha realizzato una amplificatore che ha dimostrato di suonare piuttosto bene, ovviamente ben oltre i limiti che sono stati attribuiti alla produzione di serie dalle caratteristiche confrontabili.
Per conseguenza ha richiamato l’interesse di un commerciante di buona notorietà, che gliene ha richiesto un esemplare per una prima valutazione, con l’opzione di realizzarne un certo numero.
Inutile dire che l’amplificatore in questione ha passato l’esame a pieni voti ma purtroppo il committente si è tirato indietro, almeno per il momento.
Motivo, i costi troppo elevati all’origine, che rispetto alla produzione dozzinale il cui dominio è più che mai indiscusso non lascerebbero spazio a un margine sufficiente. Questo malgrado non ci sia proprio confronto a livello di qualità sonora.
Le finiture oltretutto lasciano a desiderare, non in assoluto ma nel confronto coi migliori campioni della specialità, quindi il confronto si fa duro, specie se nel frattempo abbiamo spinto le persone ad ascoltare con gli occhi più di quanto fossero già abituate a fare.
D’altra parte è vero che l’interpretazione degli stimoli che da essi provengono è più facile e istintiva rispetto al decidere in autonomia, ossia senza l’imbeccata della recensione di turno che si può imparare a memoria e ripetere a pappagallo all’occorrenza, se quanto ci viene porto dall’udito possa essere valutato come attendibile o meno.
La nuova normalità dunque prescrive che l’oggetto dozzinale fabbricato in Cina, ancora per poco perché anche lì i costi sono saliti e quindi si andrà in Birmania, Vietnam o persino in casa del diavolo se offre un contenimento maggiore dei costi di produzione, e che esce da una linea di produzione che ne sforna 100 al minuto, sia da preferire all’oggetto realizzato a mano in settimane di lavoro da una persona che vive in occidente e quindi ne deve affrontare i costi della vita e dei materiali. In ogni caso i prezzi dell’uno e dell’altro devono risultare confrontabili, e senza ovviamente che le rispettive doti sonore abbiano voce in capitolo.
Del resto sono state derubricate tra le varie ed eventuali, quando va bene, e pertanto non hanno più significato alcuno nelle modalità di confronto oggi vigenti.
Non a caso si fanno ormai quasi esclusivamente sulla carta.
Una volta che tutto sia stato considerato, in termini di costi, il prezzo al pubblico dell’oggetto artigianale non sarebbe più concorrenziale con quello del prodotto asiatico, anche se il nome altisonante suggerirebbe altro, mentre ovviamente il compratore potenziale guarda al blasone del marchio e non certo alla provenienza effettiva dell’oggetto. Come del resto il mercato dell’alta moda ha insegnato ormai da parecchio.
Quindi il dettagliante alza le mani. La sua abilità di venditore, proverbiale secondo la narrazione che di sé fa a sé stesso viene meno fatalmente, nel momento in cui quelle capacità occorra usarle per far capire al compratore troppo danaroso per avere una reale capacità di valutazione, che il prodotto fatto a mano e dotato di una qualità sonora neppure confrontabile hanno il loro valore. Che sostanzialmente è incalcolabile, anche se e proprio in quanto resta quasi del tutto intraducibile in termini monetari. Quel valore tra l’altro eccede largamente l’eventuale differenziale di prezzo esistente nei confronti della paccottiglia di grandissima serie che come sempre è tirata a lucido fino allo spasimo, proprio per nascondere la sua inadeguatezza.
Far capire certe cose sarebbe un’inutile perdita di tempo. In particolare nei confronti dell’acquirente potenziale, appunto sordocieco, reso tale dall’azione dei media di settore e dal loro personale.
Perché dunque farsene carico quando c’è il prodotto che si vende da solo, offre maggior ricarico e il cliente è comunque contento tanto ha le orecchie foderate di prosciutto, il cervello all’ammasso, quantomeno nella considerazione del commerciante, e compera pensando solo alle condizioni a cui rivendere?
Dunque il dozzinale è destinato a prevalere, anche quello a prezzi da gioielliere, e lo è da ben prima che la nuova normalità ci venisse imposta, come un numero di esempi sta a dimostrare.
La differenza rispetto ad allora è che qualcuno in grado di cogliere la differenza dal lato dell’utilizzo, e di accettare la sfida sul versante dell’offerta c’era. Oggi anche questo non è più da dare per scontato.
Però poi se le apparecchiature costano sempre di più e in compenso fanno sempre più pena, e l’unico parametro in tendenza alla crescita, geometrica, è quello della pacchianeria, non lamentatevi.
Siete voi che l’avete voluto, per aver aderito alla nuova normalità.
Non di rado in maniera entusiastica.
Poi, se quel dettagliante trascura che favorendo quella tendenza fa in modo che presto di lui non vi sarà più bisogno alcuno, dato che le modalità di acquisto cui si è voluto uniformare sono realizzate con più scelta per l’acquirente e maggiore profitto per chi vende da un sistema elettromeccanizzato, penso non rimanga più molto altro da dire.

Mi auguro tu possa trovarne una coppia da ricondizionare.Mi piacerebbe sentirle abbinate ad un buon amplificatore e cavi di livello.
Sono convinto che in un blind test potrebbero stupire non pochi…purtroppo non posso chiedere al mio amico di ridarmele,altrimenti era fatta.
Io aspetto di leggere l’articolo,sono sicuro che il progetto ti stuzzica.
Saluti.
Speriamo presto, nel frattempo teniamo le dita incrociate 🙂
Salve Caudio,ricordi di tempi di gioventù.Il mio primo impianto “serio” per quanto concerne le finanze era composto da Genesis 210 con woofer passivo,appunto,pilotate da un Proton D 540.
I diffusori li ho regalati ad un amico che ha fatto rifare le sospensioni,effettivamente poco durevoli nel tempo e suonano ancora egregiamente.
Per quando riguarda come estrarre un LP vien da sorridere per un over 60 come me.
Bell’articolo,che va ben oltre l’aspetto audio,come tua (posso permettermi ? ) abitudine.
Lode al pensiero critico e controcorrente.
Grazie.
Alessandro.
Ciao Alessandro,
grazie innanzitutto per l’apprezzamento.
Ho avuto anch’io i 210, all’epoca molto lodati dalla stampa, il che mi convinse a prenderli al posto dei 2: ero giovane e non troppo esperto. Forse dei predecessori non avevano lo stesso carattere e risultavano un po’, come dire, addomesticati.
Probabilmente molte delle differenze erano dovute al frontale “alla Boston”, allora molto di moda, quindi più ampio e poco profondo. Come tale era tendente a favorire la riflessione dell’emissione degli altoparlanti, oltre ad avere le griglie a filo anziché incassate.
Il cabinet del 2 era più tradizionale anche come proporzioni, se vogliamo più vicine a quelle di classici come gli AR 3a e similari.
Poi alla fine ho avuto anche i 320, capaci di maneggiare potenze decisamente maggiori, grazie ai 2 woofer da 20 cm, ma che non erano più in grado di replicare la “magia”, dei modelli inferiori, anche a causa del crossover a 3 vie, stante la presenza di un midrange da 10 cm. che penalizzava in maniera sensibile le doti originarie del segnale.
A volte penso che mi piacerebbe recuperare una coppia di 2, di 210 o anche di 2+ per sottoporli a un intervento di ripristino e ottimizzazione alla mia maniera.
Sono sicuro che a parte le limitazioni proprie dei materiali da ribordatura oggi disponibili, ne uscirebbe qualcosa capace di far strabuzzare gli occhi, e cadere le mascelle, agli assertori della tecnica attuale.
Chissà che una volta o l’altra non riesca a trovare una coppia di esemplari adatti all’impresa, cosa che diventa sempre più difficile perché chi ne ha in condizioni decenti chiede di solito cifre fuori dal mondo.
Staremo a vedere.
Se mi riesce ti dico fin da ora che l’articolo è garantito.
A presto, speriamo 😉