Sandro mi scrive:
Caro Claudio,
seguendo i tuoi consigli ho preso la decisione di modificare il mio 7000 e devo dare ragione a tutto quello che hai scritto nei tuoi due articoli.
Questo oggetto mi sembra un buon progetto realizzato male.
La prima cosa che ho notato sono stati i ponticelli sulle linee di potenza identici a quelli utilizzati per la sezione pre. Un filo misero di sezione 0,4 mi chiedo come possa trasferire gli ampère necessari a muovere una bobina di altoparlante che si rispetti.
Per farla breve ho iniziato sostituendo tutti i ponticelli che portano corrente con rame da 1mm partendo dalla sezione alimentazione, fino ai relais di uscita.
Eliminati i connettori che portano tensione di potenza e saldato direttamente su stampato con cavo di sezione 1,5mm, tolto filo diretto da lampada e messa vaschetta, sostituiti anche i fili interni per le connessioni 230V fino al trasformatore, sostituiti i connettori di uscita.
Quando li ho smontati e dissaldati ho visto il piedino di contatto… Beh che dire, ti ho capito!
Ho messo dei morsetti simili a quelli che hai utilizzato per il tuo progetto ma li ho montati tutti e 8 seguendo il progetto originale ma utilizzando cavo adeguato. Probabilmente i miei non hanno la qualità di quelli usati da te ma comunque nettamente superiori agli originali.
Dalle prove di ascolto direi che sono migliorati i bassi ma soprattutto mi sembra molto più dettagliato sento particolari che prima rimanevano impastati con il resto dell’orchestra. Anche la scena è più aperta. Complessivamente direi che esprime meglio il suo potenziale.
Ti ho scritto qui per non appesantire con miei nuovi messaggi l’articolo sul 7000
Ti saluto ringraziandoti per l’articolo, per i consigli, per le risposte che mi hai dato e che mi hanno incoraggiato a operare questa modifica.
Grazie Claudio
Ciao Sandro,
grazie per la testimonianza.
Devo iniziare però contraddicendo il tuo punto di vista: purtroppo per lui e in generale, il PM 7000 non è costruito male o quantomeno non peggio di tantissimi altri prodotti di grande serie. Semplicemente, corrisponde ai criteri propri della logica industriale, di cui abbiamo parlato tante volte.
A questo riguardo non è neanche l’esempio peggiore.

Al di là delle implicazioni derivanti da tale realtà, che il tuo gradito messaggio rende evidenti, ci sono un paio di aspetti che al riguardo mi sembrano fondamentali.
Il primo è quello su cui non si batterà mai abbastanza: né le tabelle delle caratteristiche tecniche, né le misure di laboratorio eventualmente eseguite su una qualsivoglia apparecchiatura sono influenzate dalle modalità realizzative che abbiamo visto. Tuttavia basta così poco, giusto un po’ di buona volontà e di manualità, per toglierle di mezzo almeno in parte, coi risultati che tu stesso hai sottolineato.
Malgrado la realtà odierna del mercato attribuisca loro l’importanza maggiore, e di gran lunga, quale rilievo concreto possono avere tabelle e misure se non sono in grado di porre in evidenza le differenze di qualità sonora tra un amplificatore realizzato secondo le consuetudini, sia pure a tal punto nefaste, e un altro del tutto simile a livello di soluzioni circuitali eppure così differente a livello di ascolto?
In sostanza, allora, a cosa servono quelle tabelle e quelle misure se non sono grado di porre nell’evidenza che meritano le differenze tra un’emerita schifezza e un amplificatore che inizia quantomeno a suonare in maniera decente?
Forse a finalità squisitamente commerciali, oggi più che mai in passato, dato che il mercato della riproduzione sonora offre come unica possibilità di acquisto quella effettuata al buio?
In secondo luogo, perché siti e riviste, in ottemperanza alle veline distribuite da fabbricanti e distributori, insistono da sempre ad attribuire tutta l’importanza alle soluzioni circuitali, se poi come vediamo esiste un numero incalcolabile di altre cose, piccole o grandi, capaci di attribuire al prodotto finito una differenza a tal punto significativa?
Forse perché proprio sulle soluzioni circuitali si può ricamare maggiormente e in definitiva sono la piattaforma da cui il recensore di turno possa lanciarsi per narrare con l’efficacia migliore le cronache rosa delle sue estasi onaniste?
E’ altrettanto vero che tutto quanto serve a riempire la bocca si rivela ancor più efficace a inibire le funzioni intellettive, in particolare quelle analitiche e riguardanti la capacità di discernere la teoria, in particolare la più affabulatoria, dalla pratica, che tende a esserlo molto meno. Tra l’altro ha la maledetta e irrecuperabile abitudine a manifestare i suoi contorni in maniera tale da rovesciare quel che in teoria sembrerebbe irrefutabile.
Quante volte, nel corso della storia, di tutto questo abbiamo avuto la riprova? Eppure si continua sempre nello stesso modo come se nulla fosse, quantomeno a livello ufficiale e ufficioso, secondo un metodo che nel suo decalogo prevede anche la messa ai margini, se non addirittura al bando, di qualsiasi voce dissenziente, che per maggior sicurezza si provvede a delegittimare nelle modalità consuete. Ossia quelle che chiunque le veda utilizzare può comprendere all’istante il grado di credibilità della fonte da cui originano.
A patto, ovviamente, che si abbia la volontà di farlo, cosa che sempre più spesso manca per il semplice motivo che a quel punto ci si ritrova nelle condizioni di dover ricostruire tutto il proprio sistema di riferimenti, il che implica un impegno personale che non sempre o meglio quasi mai si ha voglia di profondere.
Così si preferisce rimanere nell’alveo più confortevole della pseudo informazione allineata, cosa che richiede solo il piccolo sforzo di ricacciare nell’angolo più nascosto della propria coscienza la consapevolezza di essere presi in giro, sempre e comunque, cosa a cui si fa presto l’abitudine e si finisce in breve col non considerare più, secondo la prassi tipica dell’autoinganno orwelliano.
Questo tra l’altro è il motivo per cui quella che si autodefinisce informazione, anche se in realtà si tratta di mera propaganda, qualunque sia il settore di cui si occupa, parla sempre più con una voce sola, e con essa va a presidiare tutti gli spazi, fin quasi militarmente. Così da porre i suoi destinatari-vittime di fronte a un vero e proprio ricatto: o me o il nulla.
Altre motivazioni
In realtà il metodo di comunicazione osservato fin qui ha il suo motivo di essere in funzione del modello commerciale che vige in pratica da sempre, tendente a formare una gerarchia di prodotto in funzione delle soluzioni tecniche per esso utilizzate, mettendo da parte per il momento quelle di ordine estetico, per poi eseguire una sostanziale massificazione all’interno delle categorie create in maniera tanto strumentale e pretestuosa.
Per conseguenza ed esempio, tutti gli amplificatori in Classe A, nessuno escluso, devono essere obbligatoriamente superiori a tutti quelli operanti in Classe AB. Non importa se poi qualcuno dei primi può essere realizzato coi piedi, resta comunque tale sfruttando il paravento costituito da quella pomposa definizione, efficacissima come sempre per riempire la bocca, con tutto quel che ne consegue.
Così facendo se ne penalizzano a fondo le doti soniche, ma senza che ciò trapeli assolutamente da tabelle di caratteristiche o misure di laboratorio, che proprio per questo si vogliono affermare come unico discrimine provvisto di qualche verosimiglianza. Poi, per quanto riguarda la visibilità materiale delle soluzioni adottate, basta fare le inquadrature giuste affinché non ci si possa accorgere della cosa, quantomeno dalle pagine internet o di rivista.
Una volta arrivato nella propria abitazione, quanti si prendono la briga di smontare l’oggetto, quasi sempre molto costoso, per vedere com’è fatto realmente? E anche se lo facessero, quanti ne capirebbero qualcosa, riguardo ai suoi punti davvero salienti?
Al confronto di un oggetto penalizzato nel modo che abbiamo visto, che però resta comunque insignito di un titolo nobiliare tanto roboante come quello riguardante il funzionamento nella Classe più dispendiosa dal punto di vista energetico, sarebbe così fuori dal mondo realizzare che un Classe AB, al confronto intollerabilmente plebeo ma costruito in maniera più accurata, soprattutto per quello che influisce realmente ai fini della sua sonorità, possa comportarsi in maniera migliore al punto di non renderlo neppure paragonabile proprio là dove conta, ossia sul campo?
Questo suggerisce tra l’altro l’oltranzismo classista e corporativista che gronda letteralmente dai commenti dei Sigg. Recensori Ufficiali, i quali tuttavia fanno il punto d’onore numero 1 del rivendicare le loro virtù indiscutibili di progressismo e di attaccamento alle virtù democratiche. Che non a caso tradiscono ogniqualvolta si apprestano a mettere le mani sulla tastiera del PC per redigere la qualunque con cui pompano a oltranza e a prescindere qualsiasi prodotto che gli cade dal cielo.
Quanto appena descritto vale per mille altre cose, tutte riguardanti sempre e solo le soluzioni tecniche, che a quel punto diventano anche un comodissimo paravento per nascondere quel che non si può né si deve confessare, come ad esempio le magagne che il PM 7000 condivide con la maggioranza schiacciante dei suoi pari.
Tuttavia riesce persino a svettare per accuratezza di costruzione rispetto a molti di essi, dato che spesso adottano soluzioni ancora più a tirar via e al risparmio.
Le conseguenze sono inevitabili, ma essendo fatti tutti così, mentre la stampa di settore col suo fare omertoso stende da sempre una cortina fumogena su tutto quel che non vi è interesse a far notare, provvedendo inoltre a delegittimare sistematicamente chiunque possa far emergere l’ambiguità del suo atteggiamento, di esse non si accorge nessuno.
Quantomeno fino al momento in cui qualcuno fa notare la cosa, inevitabilmente da una posizione esterna a un certo giro, ovverosia al cerchio magico, che è quello che conta perché frequentato dalla quasi totalità degli appassionati, privi pertanto della voglia, oltreché del tempo, di cercarsi fonti ulteriori, ammesso che esistano.
A quel punto qualcun altro, magari per caso, decide di verificare di persona se certe asserzioni siano vere, magari contando su una predisposizione alla manualità che proprio per questo si cerca da sempre di reprimere in ogni modo. Più che mai tra le generazioni più giovani, sulle quali si punta per portare un consumismo ormai da tempo dilagante all’estremizzazione parossistica. Ovviamente a vantaggio del conto in banca dei soliti noti.
Qui di seguito un’immagine fortemente esemplificativa, anche se riguarda un settore merceologico del tutto diverso. Ma come tutto il mondo è paese, così tutto il capitalismo funziona alla stessa maniera: spendere il meno possibile e far pagare a chi acquista il prodotto finito la somma più alta. Meglio se spinta all’inverosmile, poi ci pensa il cartello: non stradale o pubblicitario, ma quello formato dalle aziende operanti nel medesimo ambito commerciale, che si organizzano appunto per imporre il prezzo che più aggrada loro.
E guai a chi sgarra.

La verifica di cui sopra può spingersi poi su un piano ancora più approfondito, come accade nel momento in cui un secondo appassionato, magari in base alle esperienze messe insieme fino a quel momento, decide di provare a vedere se quel che è possibile realizzare da zero, affrancandosi dalle disinteressatissime veline di regim… ooops di settore, valga davvero la pena di essere preso in considerazione. Facendo allo scopo la prova direttamente in casa propria e sul suo impianto, come vedremo più avanti.
Sommi capi
C’è poi un altro elemento da considerare in merito alla consuetudine esemplificata dal confronto tra un’ipotetica elettronica in Classe A e una in Classe AB, il cui esito lo si vuole determinato a priori.
Ha a che vedere con la semplicità e di conseguenza la praticità con cui ci si va a rapportare alle scelte inerenti le soluzioni tecniche e quelle realizzative di un prodotto incluso in un qualsiasi settore, che a loro volta possono diventare, e quasi sempre lo fanno, le madri della superficialità.
Per mezzo di quella e di tante altre soluzioni si appronta un armamentario di valutazione preconfezionato, operante per sommi capi e come tale non troppo complesso da maneggiare, per mezzo del quale in breve tempo si ritiene di poter esprimere un parere sufficientemente vicino al vero. O almeno non del tutto inverosimile, che poi è quello che in effetti viene richiesto dalle funzioni date.
Figuriamoci cosa accadrebbe invece se si dovessero analizzare minuziosamente tutte le scelte operate per la realizzazione di una qualsiasi elettronica: semplicemente non se ne uscirebbe più, e più nulla potrebbe esistere della coreografia propagandistica studiata appositamente per questo settore come per qualsiasi altro.
Per conseguenza chi si occupa di essa potrebbe dover trovarsi un brutto giorno a dover andare a lavorare per davvero, ossia svolgendo un lavoro serio, fatto di sudore, fatica, impegno e dedizione. Vuoi mettere quanto è più comodo, riposante ma soprattutto accessibile alla qualunque discettare di Classe A o AB, di ingressi e uscite bilanciate o single ended, di stadi finali da 100 watt che sono per forza meglio di quelli da 75, di controlli di tono si o no eccetera, per poi accusare delle nefandezze peggiori, tramite i social di settore, chiunque non sia d’accordo con le idee più diffusamente accettate dalla massa?
Purtroppo però l’esperienza tende a sottolineare come le scelte che non si ha la voglia, il tempo e soprattutto la testa e il vissuto adeguati a comprenderne il significato, siano quelle che spesso possono assumere il rilievo maggiore ai fini non solo delle doti sonore in senso lato delle apparecchiature, ma soprattutto di quelle che in assenza di certe scelte non solo non è possibile ottenere, ma neppure immaginare.
Non è un caso infatti che la stampa di settore sia andata avanti per decenni a sostenere, e lo faccia tuttora, che l’alta fedeltà, intesa nel senso letterale del termine di maggior vicinanza alle sensazioni dell’evento reale sia un nonsenso, qualcosa d’irrealizzabile che quindi non vi è motivo alcuno di perseguire.
Come vediamo allora, alla ricerca delle necessarie praticità e semplicità dei criteri di valutazione consegue una superficialità figlia della mancanza di tempo che ci si concede o comunque ci viene offerto dai modi di vita attuali e si ritiene di dover accettare. Da tutto questo deriva un atteggiamento ben preciso, che consiste nella cosiddetta mentalità a compartimenti stagni, appunto praticissima da maneggiare ma che per sfortuna dei suoi utilizzatori quasi mai porta a risultati concreti di qualche rilievo che non siano la negazione stessa delle finalità primarie del settore di cui ci si va a occupare.
Nel momento in cui criteri simili diventano prassi, e come tali sono perseguiti con la maggior sistematicità, cosa ne è delle capacità di giudizio e peggio della stessa comprensione di cosa sia in realtà un sistema di riproduzione sonora e cosa debba fare o non fare per qualificarsi come tale, e sia provvisto pertanto della necessaria efficacia nelle funzioni che gli si attribuiscono?
Come sarà possibile farsi un’idea di tale efficacia, se gli stessi criteri di valutazione utilizzati allo scopo vanno a negare la stessa possibilità di comprendere il suo significato concreto?
Se questo è l’abito mentale tipico di recensori, misuratori da laboratorio, direttori tecnici ed editoriali della stampa di settore, cosa ci avranno raccontato in tutti questi anni?
Una marea di?
E’ così fuori dal mondo la conseguenza prima di questa prassi, che all’atto pratico ha determinato una maggioranza di appassionati che hanno la testa talmente riempita di pregiudizi da essere capaci di raccontare per filo e per segno storia, gloria e prerogative di apparecchiature rispetto alle quali hanno letto sulle pagine della rivista o in rete. Nel momento in cui però si trovano di fronte a qualcosa che non conoscono, o meglio di cui non hanno letto alcunché si dipinge sul loro viso un’evidente espressione d’incertezza mentre cominciano a farfugliare parole sconnesse e prive di qualsiasi senso. Nello stesso tempo l’incompetente assoluto, quello che nulla sa della materia e per pura combinazione si trovi seduto vicino a loro, riesce comunque a esprimere un giudizio di buona e talvolta ottima attinenza con la realtà di quel che esce effettivamente dai diffusori.
Ecco i veri risultati di decenni di attività della pubblicistica di settore, a parte ovviamente la vendita di tutto e tutto il suo contrario a livello di apparecchiature. Sempre a caro prezzo quando non addirittura oltraggioso.
La legge del Saikebòn
Un ulteriore aspetto, conseguente a quanto detto finora, riguarda l’assimilare fino in fondo il discorso affrontato, evitando di replicare, magari senza accorgersene, lo stesso atteggiamento del quale abbiamo visto le contraddizioni marchiane.
A tale riguardo va compreso allora che l’importanza non sta solo nei ritocchi che si apportano al prodotto d’origine, ma anche nelle modalità con cui li si esegue. Anzi, proprio queste ultime finiscono con l’assumere il rilievo maggiore, in particolare nella valutazione sul campo dei risultati ottenuti, la sola che conti e più ancora che sia in grado di porre in evidenza il significato di interventi del genere.
Va da sé allora che se l’esecuzione di quei ritocchi la si affida a chi ha maggiore esperienza in tale ambito, e in funzione di essa è probabile abbia escogitato o solo trovato per combinazione il modo di migliorarne ulteriormente il rendimento e le potenzialità, i risultati all’ascolto dell’intervento nel suo insieme saranno ancora più significativi e andranno a ripercuotersi su parametri che altrimenti ne rimarrebbero esclusi.
Chi si appresta per la prima volta a lavori del genere, infatti, è probabile che li esegua in maniera scolastica: l’esempio più diffuso al riguardo è quello inerente la sostituzione dei componenti per il crossover dei diffusori. I risultati che si ottengono sono ben noti, ma vanno ben oltre nel momento in cui quello stesso lavoro lo si affronta con maggiori organicità e consapevolezza, da cui la cura di particolari che per il neofita resterebbero del tutto inosservati o persino incomprensibili.
A fronte di tutto questo, per chi è abituato a (s)ragionare per numeri, grafici e tabelle, che in conseguenza assumono il ruolo di unico piano su cui può poggiare la propria comprensione, accorgimenti e modalità d’intervento come quelli che stiamo discutendo non solo sono privi di qualsiasi importanza, ma qualificano ai suoi occhi chiunque ne tenga conto come un visionario o meglio ancora un illuso in preda ad allucinazioni di carattere uditivo, ricorrenti con frequenza allarmante.
In conseguenza, chi procede in modo simile è destinato a possedere un impianto, qualunque sia il costo dei suoi componenti, inamovibile dal suo stato di profonda mediocrità.
Lo stesso vale per quanti sono convinti di vivere a Disneyland e per ciò stesso non sia possibile che quello che per essi non è altro da un loro pari, secondo la logica funesta dell’uno vale uno,l possa apportare una qualsiasi miglioria all’oggetto pensato e realizzato dai progettisti più eccelsi che abbiano calcato il suolo di questa Terra. “Cosa crede, l’incauto e presuntuoso modificatore, o meglio ancora cantinaro, di essere più bravo, furbo e intelligente delle menti inarrivabili che lavorano per fabbricanti di cotanto successo, simbolo e dimostrazione già di per sé delle capacità superiori da essi possedute?”
E’ difficilissimo produrre una linea di pensiero più efficace per rinchiudere le greggi umane e immobilizzarle nel recinto che si è appositamente predisposto, tracciando una linea di demarcazione invalicabile tra i pochissimi eletti in possesso della conoscenza e tutti gli altri, destinati pertanto ad accettare passivamente qualsiasi cosa sia lasciata cadere dall’alto da tale élite di ottimati, irraggiungibile nel suo olimpo.
Vediamo così che l’uno vale uno, preso erroneamente a simbolo supremo di uguaglianza, serve essenzialmente a tracciare un divario invalicabile tra predestinati: quelli che devono restare nel recinto degli ovini sopravvivere secondo lo slogan lavora, consuma, crepa, e chi invece è destinato a simboleggiare l’iperurano della conoscenza, che non è detto possieda realmente, e quindi dell’affermazione sociale.
Si tratta in sostanza dello stesso messaggio veicolato dalla pubblicità del Saikebòn, atroce brodaglia destinata non a caso alle generazioni più giovani, che allo scopo è necessario convincere a tutti i costi di essere degli inetti totali e irrecuperabili, quindi di non essere capaci di prepararsi neppure un piatto di pasta a burro e parmigiano e quindi di provedere in autonomia alla propria sopravvivenza.
Allo scopo si fa passare la più semplice delle ricette per un compito improbo e irto di difficoltà oltre i limiti dell’umana comprensione, dunque irrealizzabile, malgrado sia di ben altra salubrità rispetto a quel marcescente preparato industriale. O forse proprio per quello.
Come se non bastasse, la preparazione di quel piatto di pasta sottrarrebbe quantità di tempo intollerabili ad attività di ben altro valore sociale e umano, come bruciarsi il cervello a suon di videogiochi o di fronte allo schermo del telefonino perdendosi dietro alle idiozie di TikTok e similari.
Un tempo le pubblicità procedevano essenzialmente alla lusinga del pubblico cui intendevano proporre il prodotto reclamizzato. Oggi fanno di tutto per ridurlo a un minorato, un subumano e renderlo rassegnato ma felice di tale realtà.
Affinché vi sguazzi dentro senza provare ad affrancarsene.
Siamo sicuri che si tratti solo di una questione di vendite o attraverso quei messaggi a diffusione planetaria, per un prodotto o per l’atro, si ha intenzione d’indurre una vera e propria regressione epocale nei loro destinatari?
Questo e non altro è lo scopo del consumismo.
Come fa, inoltre, un prodotto realizzato per forza di cose in perdita, chi mai vorrebbe comperare una schifezza del genere, a rimanere sul mercato così a lungo, oltretutto coi costi enormi della pubblicità martellante con cui lo si spinge? Forse siamo passati, senza che ce ne accorgessimo, direttamente alla fase post-capitalistica, in cui i profitti non sono più d’interesse, in particolare per uno specifico ceto sociale, ossia quello che il denaro in circolazione lo controlla già tutto, e in conseguenza al fine d’imporre ciò che gli aggrada i costi da affrontare per quali che siano divengono insignificanti?
Lobotomia, di questo e non di altro si tratta per i messaggi di tenore simile a quello che reclamizza il Sakebòn,, eseguita non più in sala operatoria ma a botte di una propaganda mai così ignobilmente vergognosa, i cui mandanti, ideatori, esecutori ed interpreti sono da riconoscere per quello che sono, veri e propri nemici dei loro simili e quindi dell’umanità.
Peggio, si riducono a tali solo per qualche spicciolo.
Rispetto al recinto cognitivo sopra descritto, qualcuno riesce a suggerire qualcosa di più simile al campo di concentramento? Non più destinato a rinchiudere fisicamente gli adepti di una qualche religione o ideologia avversaria, ma le menti di quanti si desiderano tenere soggiogati.
Scopo ancora più futile e tale pertanto da rendere ben più abietta l’azione per mezzo della quale lo si esegue.
Quale differenza si riesce allora a individuare tra il nazismo storico, issato a suon di corde e verricelli a male assoluto di questa Terra perché ha dimostrato come fosse possibile liberarsi dal giogo monetario con cui il sistema bancario tiene sotto scacco l’intero Pianeta, guardacaso controllato da individui di etnia e credenza religiosa ben precisa, e una simile linea di pensiero, per combinazione instillata a forza nei loro destinatari proprio dagli scribacchini che si professano detentori dell’idea stessa di democrazia, spinta ai vertici del suo ideale?
Non è per caso che quel male assoluto lo si è adibito a paravento dietro al quale abbandonarsi a pratiche ancora peggiori?
Si può immaginare una cornice concettuale, il cosiddetto frame, meglio indicato per chiunque ritenga opportuno tenere saldamente nelle proprie mani l’egemonia di un qualsiasi settore, così da assicurarsene il controllo e renderlo inattaccabile, sotto l’aspetto tecnico, commerciale e puramente gerarchico, mettendo inoltre fuori gioco la temuta concorrenza?
Sarà verosimile pertanto, in funzione di quanto osservato fin qui, che il modo tipico di vedere le cose del residente in pianta stabile nel Paese Delle Fiabe sia andato diffondendosi a tal punto e per pura combinazione, negli ultimi anni, al punto di rendere quantomeno inusuale e persino detestabile qualsiasi idea da esso divergente?
Per chiunque risieda in quel luogo fantastico, sia pure a propria insaputa, i costi di produzione e la conseguente necessità di restare entro determinati limiti per poter collocare un qualsiasi oggetto nel segmento di mercato che gli compete, la necessità di attribuire a ciascun prodotto un livello prestazionale tale da mantenerlo entro la scala gerarchica conseguente al suo posizionamento nel listino dei prezzi al pubblico e, più ancora, l’inevitabilità del margine di profitto che ogni singolo esemplare uscente dalla linea di montaggio deve poter garantire affinché chi lo produce possa rimanere in attività, non sono soltanto aspetti d’importanza marginale, ma proprio incomprensibili nel loro significato. E, come tali, inesistenti.
Per costoro le apparecchiature esistono, e di conseguenza sono state ideate, progettate e infine realizzate e vendute per il solo fine di soddisfare la loro passione personale, come tale posta al vertice della scala d’importanza e avente di conseguenza un primato assoluto nei confronti di qualsiasi altro aspetto. In modo particolare nei confronti di quelli provvisti di una qualche concretezza terrena.
Quale sia il percorso che conduca infine a un abito mentale del genere è per me cosa ignota, tranne appunto il risultato della propaganda “stile Saikebòn”.
Per pura combinazione ha assonanza quasi perfetta con Saigon, simbolo del Vietnam in cui si sono volute costringere la percezione e la coscienza di milioni d’individui per motivi che non c’è bisogno di ripetere ancora.
Il numero rilevante delle persone da cui quell’abito mentale è indossato al giorno d’oggi spinge a pensare che la sua esistenza non sia una mera coincidenza ma un risultato, ottenuto da menti raffinatissime, provviste oltretutto di mezzi di persuasione più o meno palese di efficacia devastante, anche se utilizzati per scopi ben poco commendevoli.
Riguardano il tenere il maggior numero possibile di persone sotto il proprio tallone, sia pure soltanto a livello concettuale. Che poi da tale subordinazione di pensiero derivino comportamenti e atteggiamenti dalle ripercussioni rilevanti sul piano concreto, oltre a flussi di danaro oltremodo consistenti, è ancora una volta pura coincidenza.
Se per puro caso, infine, si applica la linea di pensiero “stile Disneyland” alla “Legge del Saikebòn” si ottiene che nessun cibo possa essere migliore di quello, ammesso che quell’infame miscuglio sia definibile come tale. Chi è infatti l’uomo della strada per poter pensare di realizzare qualcosa di meglio rispetto a quello che gli studiatissimi, iperpreparati e mentalmente inarrivabili addetti alla progettazione dei nuovi prodotti destinati a essere distribuiti dai fabbricanti attivi nel settore dell’alimentazione?
Poi però se alle persone che la pensano in modo simile, ma rifiutano di osservarne le conseguenze dirette, cerchi di spiegare che nel loro atteggiamento non differiscono molto da quella particolare tipologia di schiavi che invece di cercare di liberarsi lotta a favore delle proprie catene, si offendono a morte, ti tolgono il saluto e ti fanno in ogni modo terra bruciata intorno.
Modalità e strumenti di verifica
Un elemento ulteriore di grande importanza riguarda la verifica dei risultati ottenuti intervenendo sulle limitazioni più marchiane tipiche del prodotto di serie. Allo scopo occorre munirsi di uno strumento adeguato, ossia una catena adeguatamente selettiva, proprio per porre i cambiamenti interventi nell’evidenza che è loro propria.
Va da sé che un impianto trascurato, installato alla come capita secondo le prescrizioni della pubblicistica di settore, dato che per essa quello che conta è sempre e solo l’apparecchiatura cui fà la reclame, e condotto senza il minimo della sensibilità che è richiesta in particolare nell’ambito della riproduzione sonora, quantomeno quella meritevole di essere ascoltata, non serva a nulla in evenienze del genere.
Proprio perché come vado ripetendo fin dalla notte dei tempi, col binocolo non si riesce a vedere il microbo e neppure col cannocchiale. Ci vuole il microscopio. Malgrado si tratti in apparenza di un esserino minuscolo, la sua efficace è tale che uno sparuto gruppo di essi riesce ad abbattere anche un poderoso elefante.
Quella appena descritta è la situazione tipica di quanti rifiutano di osservare la realtà concreta dell’evoluzione di un qualsiasi impianto adibito alla riproduzione sonora, immersi come sono nell’eterno presente costruito dalla pubblicistica di settore a uso e consumo del compra-compra inteso quale unico mezzo di miglioramento degno di considerazione.
In quanto tale assolve magnificamente allo scopo, dato che per il suo tramite non si perviene ad alcunché, o quasi, che non sia uno spostamento laterale. Per il semplice motivo che la maggioranza schiacciante della produzione di serie è afflitta dagli stessi problemi, proprio in quanto la logica realizzativa del prodotto industriale ha le sue leggi, inderogabili.
Questo avviene, sia pure a fronte di costi che stanno andando sempre più fuori dalle possibilità di spesa per un numero crescente di appassionati, in modo tale che la compulsione all’acquisto resti comunque stimolata, grazie ai commenti entusiastici e alle parole alate della stampa di settore, secondo la quale ogni singolo oggetto che di volta in volta passa al suo vaglio non può che essere incomparabilmente superiore a qualsiasi altro, ma per altrettanta forza di cose non altezza di quello che vi arriverà nel prossimo futuro. Ossia quando ciò che oggi è dipinto come il massimo dei massimi, e come tale è irrinunciabile, sarà diventato irrimediabilmente superato.
Roba di cinque, dieci minuti, non di più.
Si produce così un vorticare portentoso di apparecchiature, che in quanto strumento di concretizzazione dell’eterno presente entro cui la propaganda di settore chiude i suoi destinatari, ha il risultato gattopardesco di tenerli sempre fermi o quasi al punto di partenza. Così da produrre un continuo stimolo al nuovo acquisto, dato che un cliente completamente soddisfatto è il cliente perduto per sempre.
Quello che invece si riesce a tenere sul filo, sarà portato a comperare ancora e ancora. Ovviamente finché dura, ma quanti esempi abbiamo di chi è andato avanti così per una vita?
Un terreno del genere è per conseguenza il più efficace a negare ogni metodo di miglioramento che non sia compreso nei canoni dell’ortodossia, basata appunto sul rituale dell’acquisto trasformato in pulsione incontrollabile, che in funzione dell’autogratificazione che induce si è portati a ripetere a ritmi sempre più serrati. Per quel tramite si verificano allora le condizioni più indicate per dar luogo alle cosiddette e ben note profezie autoavveranti, delle quali abbiamo già parlato.

Tradotto, il diagramma pubblicato qui sopra sta a significare che credenze, pregiudizi e presupposti influenzano le aspettative che si hanno nei confronti di un qualsiasi fenomeno. Queste a loro volta si ripercuotono sul comportamento che si assume nei suoi confronti, il quale influisce inevitabilmente sui risultati che è possibile ottenere, che infine vanno a rafforzare i pregiudizi a partire dai quali la giostra è pronta per ricominciare il suo giro.
Destinato a riportare sempre e comunque al punto di partenza.
Con fondamenti del genere si può ipotizzare la mera possibilità di sottrarsi da quel circolo vizioso?
Quante volte abbiamo visto adottare comportamenti simili, sia pure in maniera non del tutto conscia?
Va da sé allora che un impianto privo di ogni qualità sia talmente oberato da problemi di carattere sonico e funzionale da inibire l’emergere di qualsiasi miglioramento possa intervenire in uno o più dei suoi componenti, in un qualsivoglia parametro. Proprio perché i suoi problemi sono almeno di un ordine di grandezza superiori ai miglioramenti cui è possibile dar vita.
Anche qualora detti miglioramenti riescano a manifestarsi, le probabilità maggiori sono che, contrariamente alle attese, finiscano col dare luogo a riscontri negativi. Proprio perché l’aumento di selettività da essi derivante non farebbe altro che porre in evidenza, non di rado marchiana, limiti della catena generalmente grossolani che prima passavano inosservati.
A questo riguardo esiste una casistica piuttosto ampia, della quale prima o poi dovrò decidermi a fare un’elencazione ragionata.
Un esempio significativo e ben comprensibile ce l’offre lo stesso racconto che stiamo per leggere, ma per il momento ci accontentiamo di osservare che quando ci troviamo di fronte a un lago, e l’acqua cala di livello o solo si fa in modo di renderla più limpida, sotto la sua superficie s’incominciano a intravvedere le rovine che giacciono sul fondale e nei casi più eclatanti emergono direttamente.
Testimonianza n.2
La seconda testimonianza che ho deciso di pubblicare in quest’articolo è divisa in due parti, corrispondenti al divenire degli interventi eseguiti sull’impianto della persona che la sta portando a nostra conoscenza.
La prima parte è già stata pubblicata a suo tempo: viene ripresa qui per dare al tutto la necessaria consequenzialità e quindi attribuire al racconto la sua logica, necessaria affinché sia comprensibile.
Caro Claudio,
il Mister Y dell’articolo che hai pubblicato tempo fa, e poi di quello che vi ha fatto seguito, come sai, sono io.
Devo dire che il percorso che abbiamo (e sottolineo abbiamo) intrapreso ha condotto a risultati che, rapportati alle elettroniche ed ai costi sostenuti, posso personalmente ritenere, nel mio piccolo, eccezionali.
Siamo partiti da un pre ed un finale messi male (solo appena sistemati da te hanno iniziato a suonare), siamo transitati per il secondo amplificatore finale, in ordine al quale abbiamo discusso a lungo (rectius: ti ho disturbato a lungo), e siamo arrivati al tuo DAC (buttando nell’immondizia lo streamer).
Ecco, in questo esatto momento (ossia all’accensione del DAC) si è aperto un nuovo mondo: quello della musica “vera”. Fatto di dinamiche, timbriche, dettagli, precisione, tridimensionalità e pulizia.
E qui ho iniziato a capire che il mio impianto, che è costato una frazione, forse suonava meglio di quello fantascientifico e bellissimo di Mister X.
Contestualmente, o quasi, sono arrivati i tuoi cavi (potenza, segnale, alimentazione ed usb) ed il risonatore di Schuman: altro sensibile miglioramento.
In questo momento Mister X ha reagito molto male: ha dovuto ammettere che il suo impianto, costosissimo, non suona altrettanto bene.
Infine, è arrivata la meccanica CD (da te trovata e consigliata, anche questo va sottolineato) cui ho abbinato sempre i tuoi cavi: qui il passo ulteriore è stato, a mio sommesso avviso, davvero notevole.
Di contorno: l’isolamento delle casse e delle elettroniche, i consigli sull’ambiente, sui cd, sui software, ecc. ecc.
Il tutto, ci tengo a sottolinearlo, “a casa mia ed a due ore di macchina dalla tua”: nel senso che tu hai deciso di venire da me, graditissimo ospite, per valutare “sul campo” quello che andava e che non andava e se miglioramenti effettivamente c’erano o no, passo dopo passo. Nessuno al mondo, di qualsiasi negozio o struttura, lo avrebbe mai fatto per un impianto come il mio.
E’ stato un percorso di mesi, fatto di piccoli passi, durante il quale ho apprezzato ancor più la tua estrema competenza, la tua grande professionalità, la tua gentilezza, la tua disponibilità e la tua simpatia. Nonché la grazia, simpatia e gentilezza della tua compagna.
Insomma, grazie di cuore.
Un caro saluto.
Andrea
Dopo lungo, lunghissimo tempo (oramai anni), siamo arrivati a compiere (dopo la ristrutturazione delle elettroniche, l’acquisto di un secondo finale, la costruzione del DAC, l’acquisto della sorgente ed il cambio dei cavi, nonché il setup dell’ambiente, che è ancora in corso) due ulteriori passi: la sostituzione degli amplificatori finali con due finali monofonici ed il tuning delle casse.
Metto assieme le due novità perché, a mio sommesso avviso, sono mutamenti che hanno prodotto diversi effetti strettamente connessi fra loro, che provo a descriverti.
Arrivati i finali, i dati positivi che sono emersi subito sono due: la coerenza e la chiarezza dell’immagine sonora. Il suono che prima, a causa della differenza di marca e specifiche dei due finali, appariva “slegato” ed un po’ confuso, è divenuto limpido e senza perdite di coesione. Ne è uscito un palco tridimensionale assai ben delineato ed una gradevolezza dell’ascolto molto migliorata.
Questo cambiamento, però, ha messo in luce un difetto: le casse.
Sono emerse subito le pecche dei diffusori: medi ed alti abbastanza limpidi ma “strillati” e bassi, nonostante i woofer da 25 pollici, (in realtà cm. n.d.C.C.) abbastanza udibili ma poco definiti ed assai poco “robusti”. Il tutto un po’ “rumoroso”, come se ci fosse una “nebbia” di fondo.
Di qui il tuning.
Il risultato è onestamente, almeno per me, strabiliante: medi ed alti puliti, precisi e non più “urlati” e bassi precisi, netti, profondi e corposi. Oggi è facile identificare la posizione di ogni strumento sul palco, capire cosa sta facendo ogni musicista e percepire le minime variazioni di intonazioni della voce. Addirittura diventano intellegibili le scelte di registrazione fatte live, ossia dove sono stati posizionati i microfoni on stage in occasione di registrazioni dal vivo.
Insomma, un altro mondo: è sparita ogni confusione e tutto è diventato chiaro come l’orizzonte in un giorno di sole ventilato dopo la pioggia.
Resta quello che, a questo punto, è, sempre a mio sommesso avviso, diventato l’anello debole della catena: il pre.
Siamo arrivati al punto, credo, che finali e diffusori tirano fuori esattamente quello che il pre gli dà, il che è, in realtà, proprio quello che dovrebbe accadere sempre.
Ebbene, il mio pre è po’ un troppo “asciutto” come suono e, soprattutto, incapace di “spingere” a dovere i nuovi finali, vuoi per via della sua filosofia costruttiva, vuoi per la sua naturale inadeguatezza, vista anche l’età, rispetto ai due cuccioloni monofonici. Insomma, quel pre andava bene prima, quando l’intero sistema era “tutto sommato buono” e “tutto sommato abbastanza ben suonante”; non va più bene oggi perché la qualità della sotto-catena finale si è alzata molto. Troppo per lui.
Di qui l’ulteriore step: un pre valvolare, che oggi stai costruendo, il quale dovrebbe colmare il gap e rendere il tutto un “buon impianto”.
Ancora una volta, l’ennesima, grazie.
Reperire sul mercato apparecchiature e cavi di eguale pregio sarebbe stato, almeno per le mie tasche, semplicemente impossibile. Del resto, il confronto – fatto peraltro prima dell’arrivo dei finali e del tuning delle casse – con un impianto composto da elettroniche, cavi e diffusori di altissimo lignaggio, aveva già dato esiti impietosi per lo stesso possessore: anche per lui suonava assai meglio il mio “piccolo sistema”.
Inoltre, la tua è sempre stata una consulenza (e spesso parte del lavoro è stata fatta) sul posto, ossia a casa mia, cosa che ben difficilmente sarebbe accaduta qualora avessi acquistato, anche l’intero impianto, in un qualsiasi negozio.
Infine, mi hai fatto toccare con mano quanto paghi la politica dei piccoli passi: sistemare, ascoltare, riascoltare 1000 volte, fare un’analisi obiettiva del risultato e solo dopo intervenire.
In conclusione, grazie ancora.
Andrea
Devo essere sincero: sono particolarmente orgoglioso dei risultati ottenuti con l’impianto di Andrea. In termini assoluti e ancor più in funzione della differenza tanto significativa nei confronti di un impianto costato somme che tanti comuni mortali non vedranno mai nell’intero corso della loro esistenza.
Questo appunto a significare quello che per esse viene dato in cambio, ossia ben poco, se non proprio il nulla, al di là delle apparenze, queste si fantasmagoriche, in cui di fatto si concentra l’intero valore, inteso in termini meramente commerciali, dei sistemi assemblati coi criteri più frequentati. Ovvero quelli spinti ossessivamente dal sistema di profitto e da quello di propaganda del settore.
Tra l’altro ha avuto ulteriori sviluppi, dei quali ci sarà forse l’occasione di parlare tra qualche tempo.
Detto questo, non credo ci sia molto altro da aggiungere, se non che dell’esperienza raccontata da Andrea, voglio doverosamente ringraziarlo per la partecipazione e la precisione con cui ha dato il resoconto dell’evolvere del suo impianto, tanti appassionati potrebbero fare tesoro. Non per ripercorrere le sue stesse scelte ma in termini di metodologia, ai fini di un’evoluzione ragionata e come tale libera, almeno nei limiti del possibile, dalla compulsione all’acquisto che la pubblicistica di settore tenta in ogni modo, dal più palese al più subdolo, di instillare nei propri seguaci.
Proprio allo scopo di rendere più efficiente e veloce possibile il meccanismo del quale è un ingranaggio fondamentale, quello volto allo svuotamento dei loro portafogli.
Chi vi è preso in mezzo ha in cambio il meno che sia possibile, in termini di musicalità, dissimulato però da un aspetto particolarmente sfarzoso, che lo diviene sempre più, ogni giorno che passa.
Non a caso, potremmo dire: con una mimetizzazione efficace si riesce a nascondere qualsiasi cosa.