Samuele mi scrive:
Salve signor Checchi, sono entrato in possesso di questo muscoloso finale Pro, il quesito che mi toglie il sonno sin da quando l’ ho acceso è un terribile e costante ronzio che proviene dal trasformatore del suddetto finale, mi diletto da me con qualche piccolo lavoro di manutenzione, ma nulla di complicato: mi limito a cambiare condensatori, resistenze, qualche cablaggio e pulizia generale.
Un tecnico mi ha detto che bisogna rifare il trasformatore un po’ più piccolo perché questo è troppo tirato quindi, anche l’ età, non lo metto in dubbio (1980) porterebbe a questa spiacevole situazione. Stiamo parlando di un classico trasformatore a lamierini di circa 2kw molto grande e pesante.
Altre voci dicono soltanto di mettere una sorta di vernice apposita per trasformatori, che smorza le vibrazioni dei lamierini.
Ora, il costo della realizzazione del nuovo trasformatore supera quella dell’intero finale e non so dove avventurarmi per risolvere il problema.
Lei che opinioni ha a riguardo e quale strada percorrerebbe?
Ciao Samuele,
grazie per la considerazione.
Purtroppo l’inconveniente che lamenti non ha molte soluzioni, a parte quelle che ti sono state prospettate.
In realtà il trasformatore è sovradimensionato, probabilmente in funzione delle potenze che sono richieste tipicamente ai finali professionali, in genere piuttosto elevate. Quindi non è tirato, almeno secondo il significato attribuito di solito al termine, ovvero portato ai limiti delle sue possibilità in funzione dell’impiego cui lo si va a destinare, semmai è il contrario. Lo sarebbe stato se insufficiente ad alimentare le circuiterie su cui si articola il finale.
Il punto, semmai, riguarda la necessità concreta di utilizzare un’elettronica del genere per l’impiego domestico. Nel tuo messaggio non hai fatto riferimento a marchio e modello del finale, all’ambiente in cui lo utilizzi e neppure agli altoparlanti cui lo hai abbinato. Immagino comunque che se hai fatto questa scelta avrai avuto un buon motivo, anche in funzione del prezzo d’acquisto, probabilmente influenzato dalla presenza del problema che lamenti.
L’alimentazione purtroppo, insieme a contenitore e finiture esterne è la componente più costosa di una qualsiasi elettronica. Inevitabile pertanto che per la sostituzione del trasformatore ti sia stata prospettata una spesa alquanto rilevante.
I trasformatori toroidali, che hanno il pregio di disperdere campi magnetici di rilevanza notevolmente minore rispetto ai tradizionali esemplari a lamierini, vi associano però la tendenza a produrre il ronzio che lamenti. Non è proprio da dare per scontata, è variabile da esemplare a esemplare, anche in funzione delle modalità di costruzione e avvolgimento.
In essi il problema è ben noto ma talvolta affligge anche i tradizionali esemplari a lamierini.
Facendo una ricerca in rete è possibile trovare un trasformatore da 2000 VA con secondario 55-0-55V, quindi potenzialmente adatto alle tue necessità dato che a valle del raddrizzatore si avrebbero oltre 75-0-75 V, sufficienti per finali di potenza considerevole. Lo si può acquistare a 210 euro, iva e trasporto esclusi, presso un fabbricante nazionale piuttosto noto e affidabile. Si tratta di un prezzo se vogliamo importante, ma non impossibile, Anzi, per un oggetto di proporzioni simili mi sembra anche competitivo.
Non ho idea di quale somma sia stata richiesta dal tecnico per l’intervento nel suo insieme, ma se si ragiona a partire da quella appena menzionata, mi sembra che non sia tale da non poter essere presa in considerazione.
Tu dici che il preventivo che ti è stato fatto supera il prezzo a cui hai acquistato il finale. Questo è anche possibile: data la presenza del difetto, ti potrebbe essere stato offerto a una cifra parecchio allettante, proprio per cercare di toglierselo di torno.
Mi chiedo allora se tu abbia fatto almeno un minimo di ascolto dell’oggetto o lo abbia acquistato al buio.
Al di là di tutto, e anche della possibile sopravvalutazione del costo del ricambio fatta dal tecnico, sarebbe opportuno fare qualche altra considerazione.
Un finale che ronzii o meno si avvicina al mezzo secolo di vita, tantopiù se di tipo professionale è probabile abbia avuto una vita piuttosto intensa. Inevitabile allora valutare la necessità di una sua revisione, soprattutto se si ha intenzione di trarne un funzionamento di buona affidabilità, ai fini del quale sarebbe indicata anche la sostituzione dei condensatori di filtraggio, quantomeno.
Date le tensioni operative in gioco e la capacità rilevante più che probabile degli originali, anche la loro sostituzione comporta spese di un certo rilievo.
Non mi sembra che vi siano molte possibilità diverse dall’affrontarle, a meno che non intenda rassegnarti ad aver buttato via il denaro necessario per l’acquisto del finale, per poi rimanere comunque a piedi.
A me sinceramente non sembra il caso: magari puoi vedere se solo con la sostituzione del trasformatore puoi riuscire a tirare avanti per qualche tempo, nella consapevolezza che prima o poi anche i condensatori di filtraggio, almeno quelli, necessiteranno di sostituzione.
Quale valore?
Al di là della somma pagata per il finale, che al limite ti potrebbe essere stato regalato, per capire se affrontare le spese necessarie al suo ripristino sia un’opzione percorribile o meno andrebbe considerato non il valore commerciale dell’oggetto, ma il suo valore d’uso.
Questo è un parametro che nella realtà di oggi si tende a trascurare completamente. D’altronde è dominata dalla forma di consumismo parossistica figlia di un capitalismo mercatista assurto a un oltranzismo dittatoriale, in particolare per l’autonomia di pensiero che si vuole reprimere non con la forza di cento braccia come il Pastamatic ma con quella di milioni di fonti ufficiali e pseudo-tali, tutte rigorosamente allineate e coperte sulle direttrici inviolabili del pensiero unico.
Quella trascuratezza la si esercita proprio in funzione del paradigma instaurato dalla macchina infernale, come è stata definita giustamente da Giulietto Chiesa, che purtroppo da qualche anno non è più tra noi. Probabilmente non a caso.
Oggi invece sarebbe più che mai necessario poter disporre di analisi come le sue, dall’acutezza rara e soprattutto dalla capacità di anticipare gli eventi in prospettiva futura con una lucidità che ha pochi paragoni.
Produci, consuma, crepa è quel che la realtà attuale pretende da ciascuno di noi, proprio in funzione del diktat dei mercati. Sono emanati in funzione delle loro necessità irrevocabili di crescita continua, all’infinito, per forza di cose impossibili in un contesto finito com’è quello dato dal Pianeta in cui viviamo.
Proprio tale contraddizione insanabile è l’origine prima del tritacarne cui tutti noi siamo soggetti. Dato però che il controllo di quei mercati è detenuto da un pugno di persone pressoché onnipotenti, da esso non c’è scampo.
Tra l’altro le cosiddette autorità, in particolare quelle a capo dell’Unione Europea, intendono l’ultima parte di tale comandamento secondo un significato portato alle conseguenze estreme come mai prima d’ora.
Fino all’altro ieri hanno proclamato l’organismo che presiedono una vera e propria benedizione, poiché avrebbe garantito i famosi “70 anni di pace”.
Lo slogan è stato ripetuto per anni oltre la nausea con una voce sola, dalla pletora dei burocrati UE e dalle legioni di prezzolati eurolirici al loro interessato servizio.
Pace, va detto, di una tipologia particolarissima, come ben sa chiunque ricordi i bombardamenti della Serbia da parte delle forze NATO con la solita scusa dell’uomo nero, favola prediletta da grandi e piccini, oppure l’eliminazione di Gheddafi, come per tutti quelli che hanno progettato di sottrarre il loro Paese dalle grinfie della cupola bancaria sovranazionale tramite l’emissione autonoma di moneta. In quel frangente gli organismi europei hanno avuto un ruolo primario, che ne spiega le reali finalità e ha precipitato lo Stato magrebino in una situazione neotribale. Un tempo era quello in cui il benessere era il più avanzato di tutta l’Africa e anche rispetto a vari Paesi del cosiddetto primo mondo.
Per non parlare dei disastri irreparabili che l’UE ha prodotto in particolare per la qualità della vita delle popolazioni europee e le condizioni di territorio e infrastrutture, per mezzo delle sue esasperate politiche austeritarie, portate avanti oltre ogni considerazione dei danni enormi che hanno prodotto.
Non risale a molto tempo fa la statistica secondo cui quasi la metà degli abitanti negli Stati UE ha problemi ad arrivare alla fine del mese. Valore che per l’Italia sale a oltre il 62,5% (fonte Eurostat).

Ora però, nella schizofrenia propria delle élite moderne, si capovolge completamente quel punto di vista e ci viene detto che dobbiamo prepararci alla guerra. La si preconizza apertamente e se ne parla come fosse già cosa fatta, del tutto inevitabile.
Senza considerazione alcuna di quale sarà l’esito inevitabile per un Continente impoverito a tal punto e sostanzialmente disarmato, dato che tutte le armi sono confluite in Ucraina.
Così, nel momento in cui il leader ungherese, Orban il superfascista secondo la vulgata dominante imposta dai media allineati, utilizza il tempo e le risorse che potrebbe dedicare al benessere del suo popolo per avviare tentativi di mediazione tra le parti in conflitto, tutte le figure di rilievo maggiore dell’UE e della NATO, come se ci fosse qualche differenza, vanno strepitando che non ne ha il mandato. E persino che la sua mediazione sia uno scandalo e un abuso vergognoso.



In sostanza, sembrano dire, che sia pace o guerra lo decidiamo noi, democratici per definizione e alle nostre condizioni. Quali ne siano le conseguenze, anche vittime a milioni, poco c’interessa.
Potendo, chiederei a quelle marionette di spiegare il motivo per cui si lasciano andare a tali crisi isteriche se qualcuno che ne ha la volontà prende iniziative personali per cercare di riportare non dico la pace ma almeno il dialogo tra le parti in causa.
Che chiunque abbia provato nel corso della Storia a invadere la Russia sia andato incontro alla catastrofe non sembra essere d’interesse alcuno per costoro. Guerra dev’essere e guerra sia. Probabilmente sono convinti di poter scampare alle sue conseguenze. Loro, ma noi?
Nei nostri confronti non sembrano granché interessati, sembra persino abbiano un incentivo a produrre le condizioni ideali per uno sfoltimento della popolazione.
Gira da tempo del resto un progetto di divisione della confederazione Russa, con tanto di carta geografica, in una serie di staterelli facilmente controllabili dopo aver messo al vertice di ciascuno di essi il consueto fantoccio, figura prediletta dalle élite occidentali.
Ossia quelle che laddove gli fa comodo definiscono inevitabile e considerano alla stregua di un comandamento divino l’unione forzata tra Stati diversi e persino diversissimi, caratterizzati da origini storiche, culture, realtà sociali, economiche e geopolitiche inconciliabili. Per altri invece pretendono la balcanizzazione, da eseguire con ogni mezzo, soprattutto cruento, come appunto nella ex-Jugoslavia e ora, portata alle sue conseguenze più estreme, per la Russia.
Il progetto è di farne un vero e proprio spezzatino, formato da ben 41 (!) Stati diversi.
Sarebbe il secondo, dopo quello eseguito alla fine dell’URSS, che nel passaggio a Confederazione Russa è stata smembrata di molti degli Stati da cui era formata, in particolare quelli europei e mediorientali.
Combinazione i loro capi, in particolare quelli dei primi, sono i più oltranzisti nel proclamare l’urgenza di muovere guerra alla Russia. Malgrado i loro Paesi rivestano un’importanza relativa e producano un PIL non dissimile da quello di una provincia italiana di dimensioni minori, e quindi siano di grado di apportare ben poco a un eventuale sforzo bellico, la loro voce è tenuta in grandissima considerazione e vengono loro attribuire le cariche comunitarie più indicate a valorizzarla.
Qualora sia necessario un esempio riguardo a cosa servano determinate operazioni, eccolo servito su un piatto d’argento.
Certa gente non ha proprio il senso del ridicolo. Dove troveranno tanti governatori-fantoccio pronti a rispondere ai desideri occidentali, primo fra tutti depredare le risorse incalcolabili presenti in quei territori, è un vero mistero.
Ricordiamo per l’ennesima volta che già oltre un decennio fa, l’economista Nino Galloni ha spiegato che il cumulo tra derivati, titoli-carta straccia e gli altri prodotti finanziari fittizi escogitati per produrre denaro dal denaro assommava a oltre 50 volte il PIL mondiale. Ciò equivale a dire che l’intero mondo dovrebbe produrre ai ritmi attuali per 50 anni, senza consumare neppure una briciola, per poter coprire le somme legate a quella truffa colossale. Dopo tanto tempo, quale ammontare ancor più astronomico avrà raggiunto?
Qualcuno un giorno potrebbe avere la brutta idea di smascherarla e andarla a vedere, proprio come si fa con i bluff al tavolo del poker.
Se quel meccanismo s’inceppasse travolgerebbe l’intero pianeta. L’unica quindi è tamponare, procurandosi un retrostante materiale atto a coprire almeno in parte i frutti di quella “cartiera”.

Però se gli dici che sono un branco di macellai schizofrenici si offendono a morte e lanciano offensive mediatiche colme d’indignazione per mezzo dei media a reti unificate dei quali hanno il controllo totale e definitivo.
Lo sono a tal punto, senza farsi mancare una sostanziosa componente di dissociazione dalla realtà, che nelle immagini atte a pubblicizzare il loro progetto non ci scrivono Russia ma “Eurasia Del Nord”.
Ammettiamolo, questa gente ha del talento e una fervida immaginazione: a chi mai sarebbe venuto in mente di chiamare la Russia in quel modo?
Nelle loro teste quel Paese già non esiste più.
Questo mentre in Medio Oriente sta avvenendo una pulizia etnica a mezzo di genocidio che neppure il più fanatico dei nazisti avrebbe mai sognato di eseguire. Dimostra senza necessità di spiegazioni ulteriori quali siano le reali inclinazioni del popolo che lo sta attuando. Non a caso la sua specialissima religione prescrive di considerare quanti abbiano un credo differente come animali parlanti. Della qual cosa si dà uno sfoggio mai tanto crudele.
Chiunque non levi la propria voce, e avendone le possibilità non faccia nulla per fermare quella mattanza, mentre prima ancora ha lasciato andare le cose affinché potesse aver luogo, è loro complice.
Curiosamente, tutti i politici dei Paesi più o meno importanti si sentono in dovere di recarsi in pellegrinaggio dinnanzi al loro muro sacro, alfine di baciarlo, vestendo la zucchetta d’ordinanza.
Si tratterà sicuramente di un caso.
Ecco allora che le recenti elezioni europee sono andate nel modo che sappiamo. Del tutto incuranti, gli stessi personaggi che hanno causato consapevolmente il precipitare degli eventi, in maniera fattiva o per inerzia, si sono arroccati nei loro feudi, inventando per l’occasione nuove interpretazioni di regole che altrimenti avrebbero imposto loro di dimettersi.
Abbiamo così una nuova dimostrazione di quale sia, nei fatti, la democraticità dell’UE, e in quale misura rispetti la volontà popolare, di chiarezza tale da non prestarsi a male interpretazioni.
Il responso delle urne, in sostanza, è vincolante solo quando va nella direzione gradita da lorsignori.
Altrimenti ciccia.
Senza arrivare a chiedersi che fine abbia fatto il principio di autodeterminazione dei popoli, usato come sempre in funzione delle opportunità e dei desideri di chi risiede colà dove si puote, per quale motivo, loro che sono così evoluti e progressisti dunque progrediti per antonomasia, temono a tal punto la possibilità sia pure remota di una rappacificazione?
Pensano forse che le persone comuni preferiscano la guerra piuttosto che rischiare di essere identificate come sostenitori o assertori delle idee o delle azioni di quello che si vuole far passare come al solito per l’uomo nero?
Quale sottinteso devastante ritengono di aver immesso nel significato oggi riconosciuto di “fascista”, tra l’altro utilizzato nei confronti di qualsiasi posizione o linea di pensiero difforme da quella unica oggi ritenuta accettabile, questo si in base a una logica davvero fascistissima, del tutto accomodata sulla violenza e sulla guerra a ogni costo che oggi si vogliono imporre come le uniche opzioni degne di considerazione?
Possibile mai siano così poco intelligenti da non capire che con atteggiamenti del genere mettono nell’evidenza peggiore la volontà alla quale vogliono soggiogare i popoli che rappresentano in forma mai tanto inadeguata? O forse contano sugli effetti dell’istupidimento di massa che hanno eseguito per decenni? A che titolo e con quale mandato, sarebbe interessante ci venisse spiegato.
In funzione di tutto questo, al produci, consuma e crepa, peggio che mai in conseguenza di una guerra che nessuno vuole, tranne i mandanti dei burattini che siedono a Bruxelles e località affini, ciascuno di noi è chiamato a opporsi come può, nel proprio piccolo, prima di tutto nell’esecuzione delle azioni materiali. Con la prospettiva di raggiungere un bel momento il livello di massa critica indispensabile affinché con certe “politiche” si chiuda, una volta e per tutte.
Ossia quel che nel nostro piccolo, nell’ambito della riproduzione sonora, è avvenuto già una volta, riguardo alla questione dell’analogico.
Probabilmente non vi si riuscirà, si avrà quantomeno la contezza di aver fatto la propria parte in prima persona, come è doveroso, al fine di neutralizzare un modo di procedere assolutamente delirante, che mette a grave repentaglio il destino dell’intero Pianeta.
Combinazione, lo stesso che si fa finta di voler salvaguardare, come sempre con finalità squisitamente affaristiche, per mezzo delle farneticazioni riguardanti la sostenibilità, la difesa dell’ambiente, il lascito che consegneremo ai nostri figli e ai loro, fondamentale fin quando si tratta d’imporre nuove limitazioni alle libertà di ciascuno, ma che diventa d’un tratto completamente privo d’importanza quando si parla di affari.
Il più redditizio dei quali è notoriamente la guerra, come spiega la storia degli Stati Uniti, che l’hanno mantenuta permanentemente in vita nel corso degli ultimi duecento anni almeno.
In particolar modo quando c’è di mezzo il litio, di cui sembra sia particolarmente ricco il sottosuolo della regione orientale dell’Ucraina, come spiega Ulrich Blum, direttore generale dell’Istituto Tedesco del Litio. Senza di esso, dice, Blum, la situazione dell’Europa peggiorerebbe in maniera tale da comprometterne il futuro, non solo a livello industriale.
Si può lasciare alla Cina il quasi monopolio del settore? No di certo, specie dopo i quarant’anni durante i quali l’abbiamo trasformata nella manifattura prediletta dal mondo occidentale, le cui aziende più in vista hanno pagato uno il prodotto ad essa commissionato, per poi rivenderlo a mille sui mercati dei cosiddetti Paesi avanzati.
In sostanza non hanno fatto altro dal realizzare una vera e propria contraffazione del proprio prodotto, per poi urlare e strepitare contro chiunque facesse altrettanto, agendo in modo persino da creare leggi destinate allo scopo.
Di tutto si può attribuire al cinese, tranne che sia uno stupido. Quindi lui ha messo in piedi la fabbrica per realizzare quanto gli è stato commissionato dall’occidente, impiegandovi la propria manodopera, ben consapevole di quale sarebbe stata la ripartizione degli utili di tutta l’operazione.
Inevitabile dunque che abbia prodotto più pezzi di quelli richiesti, anche molti di più, del tutto indistinguibili dagli altri, per poi rivenderli per conto proprio. Senza contare che così facendo ha acquisito conoscenze tecniche, il famoso know how, che altrimenti avrebbe faticato decenni per acquisire, senza contare le spese necessarie.
Ora che le conseguenze di una scelta mai così poco lungimirante e sostanzialmente suicida si sono materializzate, con la Cina arrivata al PIL più elevato al mondo, all’improvviso ci si sveglia.
Il litio, ricordiamolo, è fondamentale per costruire la gabbia digitale nella quale si sta facendo di tutto affinché ciascuno di noi si rinchiuda volontariamente. Le motivazioni sono le solite, di comodità, del tutto indistinguibili da quelle per cui già troppi appassionati di riproduzione sonora, non certo di musica, si sono legati entusiasticamente mani e piedi alla somministrazione da remoto di file audio, meccanismo alla base della cosiddetta musica liquida(ta).
Detta volontarietà è essenziale, poiché le stesse istituzioni che ci stanno forzando in ogni modo al riguardo (su mandato di chi?), tempo addietro hanno promulgato leggi e normative atte a proibire proprio le azioni che compiono oggi.
L’unica pertanto è la volontarietà, che diffondendosi dà luogo alla consuetudine, anch’essa contemplata nella gerarchia delle fonti del diritto, sia pure al gradino più basso. E’ essenziale per aggirare le norme e le procedure causa d’intralcio per la realizzazione di quella gabbia, la sua messa a regime e infine l’impossibilità materiale di sfuggirvi.
A rigore tutto ciò non sarebbe lecito, appunto perché la consuetudine è all’ultimo gradino della gerarchia delle fonti, quindi sovrastata dalle norme di grado crescente in funzione dell’ordine d’importanza dell’organismo che le ha rese operanti. Basta però ricorrere a un’ulteriore forzatura, stante nel far si che chi è demandato a vegliare sul rispetto della predetta gerarchia delle fonti chiuda non un occhio ma entrambi e il gioco è fatto.

Valore d’uso, quale e come
Per riconoscere e poi stabilire l’entità del valore d’uso ci si devono fare alcune domande. Proprio quelle che la logica consumistica ha fatto in modo da rendere incomprensibili. O meglio ancora non formulabili, in quanto contrastanti con la teoria dell’esistenza commerciale, atta a definire i parametri riguardanti il valore dell’immagine proiettata da noi stessi verso l’esterno e i nostri simili.
Facciamo un esempio: quale immagine del nostro valore di appassionati di riproduzione sonora proietteremo verso quanti sono appassionati come noi, nel momento in cui scriveremo sui social che invece di avere il finalone all’ultimo grido coi VU meter grandi come televisori in Cinemascope e colorati del più bel blu dipinto di blu, messi lì apposta per le loro capacità ineguagliate di attrazione e stordimento, ci contentiamo di un ex-professionale a cui abbiamo sostituito il trasformatore perché ronzava, spendendo a paragone meno di un centesimo e con ogni probabilità godendo anche di una sonorità migliore?
Quanti saranno i mi piace che raccoglieremo dopo averne pubblicato la foto sui gruppi social più famosi, come quelli degli Amici degli amici?
Pochi, seppure, più probabilmente saremo apostrofati col termine di barboni, quando va bene, e dovremo subire gli attacchi di apparentemente nostri pari, se solo azzarderemo a proporre un qualsiasi paragone di ordine sonico.
Così almeno comprenderemo una volta e per tutte qual è la reale funzione di certi personaggi, o per meglio dire pseudonimi, che pullulano letteralmente in quel sottobosco dedito essenzialmente allo spallonaggio. Fatto apposta per indurre la convinzione che l’entrare in possesso di certi prodotti sia improcrastinabile se si vuol avere diritto di parola e pertanto di esistenza.
E’ anche vero però che i Vu meter si rivelano sempre più accessori indispensabili. Non a caso a suo tempo qualcuno specializzato nel mettere nero su bianco i concetti più ingannevoli e strampalati nell’ambito del settore di nostro interesse, sempre in funzione di pubblicità occulta, ha coniato la parola “necessori”.
Inevitabile allora metterli dappertutto, anche laddove non s’immaginerebbe.

Magari in questa versione non ben perfezionata potranno sembrare ancora troppo piccoli, quindi di scarsa attrattiva per l’appassionato di impianti stereo e multicanali, ma non si deve disperare: nel prossimo futuro le caratteristiche dell’oggetto che li ospita saranno adattate per accoglierne di molto più grandi, operazione di sicuro successo commerciale che avrà inoltre il merito di rendere quegli oggetti non più mortalmente banali come lo sono stati fino ad oggi.
D’altronde per arrostire a regola d’arte una fetta di pane in cassetta è assolutamente necessario conoscere la temperatura interna e le sue variazioni istantanee per ciascuno dei due scomparti del tostapane, proprio come avviene per i due canali dell’impianto in funzione di quanto richiedono i sacri comandamenti della stereofonia.
Nella speranza che quanto appena descritto sia stato d’aiuto per comprendere o almeno farsi un’idea del contesto in cui ci troviamo e delle finalità che si perseguono con quei metodi, la prima domanda da farsi è quanto vale nelle mie condizioni e necessità il servizio che quell’oggetto necessitante di riparazione sarebbe in grado di offrirmi?
E poi, quanto a lungo potrà farlo?
Quanto dovrei spendere per avere un servizio paragonabile?
Per avere in cambio che cosa?
Le risposte a queste domande ritengo vadano tutte favore del ripristino dell’amplificatore, che si potrebbe eseguire anche per mezzo dell’acquisto di un secondo esemplare, identico e magari non funzionante, ad esempio per via dei finali bruciati, ma dotato di un trasformatore in condizioni di efficienza almeno accettabili.
Tendo a pensare però che la sostituzione del trasformatore verrebbe a costare meno.
Allo scopo va verificata innanzitutto la tensione di secondario del trasformatore originale, tenendo presente che rispetto al prodotto standard, molti fabbricanti di trasformatori offrono con un sovrapprezzo non impossibile la possibilità di avere le tensioni desiderate.
Volendo, ci sarebbe poi la possibilità d’intervenire su quelli che sono i punti deboli per tradizione delle apparecchiature commerciali, ottenendo magari qualcosa che è sostanzialmente indisponibile rivolgendosi al prodotto realizzato in serie.
Così facendo s’imparerà anche qualcosa di nuovo, riguardo alla comprensione dei problemi legati alla riproduzione sonora e all’amplificazione del segnale, che molto probabilmente potrà tornare utile in futuro. Invece, comperando l’oggetto bell’e fatto, impareremo tutt’al più ad aprire il portafogli, a racimolare il denaro necessario, a mettere annunci di compravendita sui siti specializzati e a credere alle valutazioni sempre più inverosimili ammannite senza requie dalla pubblicistica di settore nella costruzione del suo eterno presente, secondo cui ogni oggetto passi di volta in volta al suo vaglio è inesorabilmente migliore di qualsiasi altro.
Tutte cose essenziali, va detto, ai fini del mantenimento in buona salute del mercato relativo alle apparecchiature destinate alla riproduzione sonora.
Infine, anche se un domani l’oggetto ripristinato sarà sostanzialmente invendibile, dato il suo valore commerciale pari a zero, al netto di revival che non sono da dare per impossibili e anzi si susseguono ormai gli uni agli altri con rapidità impressionante, avremo comunque risparmiato un bel po’ di denaro che potremo destinare agl’impieghi più disparati, avendo comunque potuto godere di un servizio almeno equivalente a quello dell’oggetto nuovo di pacca e probabilmente anche migliore.
Dato che oggi si parla tanto di sostenibilità, anche se come sempre con finalità opposte a quelle che si vorrebbero far credere, legate ai profitti enormi susseguenti al sostituire tutto il sostituibile, che allo scopo si dipinge come super-inquinante e scandalosamente e inaccettabilmente obsoleto, ripristinare l’oggetto fuori uso o tale da necessitare solo di una revisione più o meno approfondita è la scelta più indicata. Per il suo tramite infatti si ottiene il massimo risparmio di materie prime per avere la funzione desiderata, il che significa anche non consumare l’energia necessaria alla loro produzione e al loro impiego, oltre a evitare di mandare materiale ancora utilizzabile in discarica, genere di luoghi in cui si produce il massimo inquinamento di terreni, sottosuolo e falde, dove non si sa che fine farà.
Naturalmente a livello ufficiale la sostenibilità è intesa in modo del tutto opposto, riassunto in modo mirabile nella foto che vedremo tra poco.
In essa si vede in primo piano un veicolo inquinante in misura non più tollerabile e del tutto privo dei requisiti atti a soddisfare ogni esigenza ambientale. Per questo motivo la sua circolazione è tassativamente vietata in qualsiasi centro urbano e in varie regioni anche al di fuori di essi. Subito dietro un veicolo che è un miracolo di virtuosa sostenibilità e rispetto per l’ambiente, tanto è vero che può circolare dappertutto senza problemi.
Fino a ieri si è dovuto credere nella $cienza, oggi invece il comandamento numero uno è diventato la $o$tenibità. Curioso rilevare che queste parole hanno la stessa iniziale, solo che $o$tenibilità di $ ne ha due. Sarà un caso?
Vuoi vedere che la prossima tendenza ad adesione obbligatoria sarà il $e$$o, inteso nelle sue più fantasiose coniugazioni come stiamo da tempo avendone le avvisaglie, o qualsiasi altra cosa che di $ ne abbia almeno tre?

Se osservando l’immagine si stenta innanzitutto a credere che un essere umano anzi due o persino tre possano trovare posto all’interno di un abitacolo così portato ai minimi termini, ma dopo qualche istante si ha il vago sospetto di essere presi per fondelli, ma solo un cincinino eh, richiedendo per il servizio offertoci somme assai cospicue, vuol dire che si è diventati dei complottisti all’ultimo stadio, colpevoli di volere la distruzione dell’ambiente, del mondo e dell’avvenire dei gggiovanih.
Benvenuti nel club.
P.S.
Nel frattempo stanno violentando il territorio della Sardegna con la costruzione di pale eoliche che sono quanto di più devastante per l’ambiente già a partire dalle fondamenta, le quali necessitano di tonnellate e tonnellate di ferro e cemento, e poi per l’impossibilità di recuperare e persino di smaltire le pale delle eliche quando arrivate a fine vita.
Così le sotterrano, comportamento di rispetto esemplare per l’ambiente. Nelle fasi di bonaccia, che ci sono persino sull’oceano al largo della Scozia, figuriamoci nel Mediterraneo, vanno tenute comunque in movimento, per mezzo di motori a gasolio.
Vogliono costruire foreste di ecomostri alti come la torre Eiffel e più ancora, quando è noto da anni che il loro bilancio energetico è negativo, per non parlare di quello ambientale. Si sono attivati dei comitati di protesta, in particolare a Oristano, dove sono già arrivati gli altolà del prefetto con un documento di tenore poliziottesco non dissimile al qui tutto è in regola (quale, scritta da chi e per chi?), non c’è niente da vedere, quindi circolare.

Così i TIR destinati a trasportare le pale alla fine sono riusciti a passare, ma della vicenda e soprattutto del rifiuto da parte della cittadinanza ha dovuto occuparsi persino il Financial Times, ovverosia la Bibbia degli onestissimi speculatori globali. I media nazionali hanno tenuto come al solito il loro comportamento omertoso, nei confronti del quale l’osservanza delle famigerate veline del Minculpop era un miracolo d’indipendenza d’informazione.
Lo stesso vale per i pannelli fotovoltaici, coi quali stanno coprendo un’intera montagna della Gallura, il Monte Limbara, noto tra i suoi abitanti per essere un piccolo paradiso terrestre.
Altre devastazioni stanno avvenendo nel Supramonte.

Che poi il proliferare dei pannelli sia tale che nelle ore di maggiore insolazione si debba pagare per vendere energia, o per dire più correttamente smaltirla, anziché ricevere un compenso, mentre sempre più spesso i gestori delle reti elettriche sono costretti a procedere al distacco degli impianti solari per evitare la saturazione e i danni da essa comportati, è un dettaglio privo di qualsiasi importanza.
Come lo è che la reale convenienza dell’affare derivi ormai soltanto dagli incentivi messi a disposizione dai governi. Su mandato di chi?
Come mai nei casi del genere si smette all’istante di parlare del debito pubblico accumulato, definito come insostenibile, quando in ogni altra occasione di spesa per il bene pubblico lo si rende argomento di priorità assoluta?
A chi servono ormai, nel caso reale, Stati, governi, parlamenti e istituzioni tutte?
Malgrado ciò la posta in palio è e resta enorme, per conseguenza la speculazione imperniata sulla distruzione finto ambientalista non ha intenzione di fermarsi di fronte a nulla.
Tanto è vero che ora sembra si stia procedendo a realizzare il nuovo miracolo della $o$tenibilità: un aeroplano grande come 12 Boeing 747, il famoso Jumbo Jet, appositamente per trasportare le pale di 100 metri l’una necessarie per realizzare i mega-ecomostri eolici prossimi venturi, laddove le strade non siano in grado di permetterlo.

A parte che l’immagine è rigorosamente farlocca, dato che una superficie alare come quella illustrata, per non parlare dei motori posti sotto di essa, non basterebbe nemmeno per l’aeroplanino delle giostre, inevitabile chiedersi come si possa pensare di costruire piste di atterraggio delle dimensioni necessarie in luoghi dove non si è riusciti a farci arrivare nemmeno una strada provinciale. Non a caso sono ridotte nelle condizioni che sappiamo, proprio alfine di rispondere a queste priorità nonché ad altre che temo vedremo materializzarsi presto.
Ovviamente il dispendio di risorse e di energia per realizzare un oggetto simile insieme al suo contenuto e poi farlo volare, ammesso che ci riesca, non sarà tenuto nella benché minima considerazione. Altrimenti si comprenderebbe all’istante che si tratta di una grandiosa presa per i fondelli.
Anche la stessa notizia, per come è stata “cucinata” non sembra ai vertici della verosimiglianza.
Ma non fa nulla, non è quello il suo scopo, quanto invece sottoporre a un’ulteriore verifica la capacità umana di bersi le fandonie più inverosimili e ancor più allenare l’utilissima tendenza, dato che la ripetizione di un qualsiasi trattamento produce notoriamente assuefazione.
Come noto, poi, le cosiddette start-up godono del favore degl’investitori, spesso e volentieri attraggono finanziamenti governativi quantomai generosi e pubbliche collette, oltre a costruire un immaginario sul quale si ritiene utile canalizzare il pubblico consenso.
Anche aprire una nuova finestra di Overton ha la sua logica e la sua funzione, proprio perché come disse un noto burocrate dell’Unione Europea, “Noi mettiamo sul tavolo i nuovi provvedimenti che maggiormente c’interessano e poi stiamo a guardare cosa succede. Se, come sempre accade non ci sono reazioni, andiamo avanti per la nostra strada, altrimenti aggiustiamo il tiro così da rendere più digeribile, lasciandolo invariato, quel che in prima istanza ha ricevuto un rifiuto.
Chiaro il concetto?
Nel vercellese Morgan Stanley sta espropriando tutti i campi destinati alla coltivazione del riso fin dal diciassettesimo secolo, per impiantarvi pannelli fotovoltaici. Quelle terre davano un prodotto di qualità molto pregiata, di sostegno per la nostra economia e favorevole all’immagine del Paese. Ora grazie a leggi appositamente promulgate, lo Stato spende denaro pubblico per darlo ai colossi della finanza affinché devastino il territorio in via permanente per mezzo dell’impianto di pannelli fotovoltaici.
A chi rispondono, oggi, i legislatori e i Parlamenti in cui si riuniscono?
Quando infine il patrimonio ambientale del nostro Paese, che costituisce una ricchezza inestimabile e un miracolo della Natura non replicabile in alcun modo, sarà completamente mandato in malora, cosa che stiamo facendo alla velocità della Scienza, solo allora ci accorgeremo dei costi inimmaginabili comportati dalla truffa delle cosiddette rinnovabili, che un pugno di lestofanti potentissimi intende scaricare come al solito sulle spalle della collettività.
A spianargli la strada ha destinato i suoi tirapiedi appositamente posizionati in tutte le istituzioni che contano, dai vertici del Paese giù a scendere fino ai comuni più piccoli.
E’ così d’altronde che si accumulano le più grandi fortune.

P.P.S.
A ulteriore completamento del tema, un breve riassunto ben descrittivo delle logiche secondo cui ci si muove in quello che è a tutti gli effetti il nuovo Far West delle rinnovabili. Lo si può trovare qui.
Sig.Cecchi,aspettavo un suo nuovo articolo,è sempre un piacere leggerla per la visione a 360° che apre partendo in questo caso da un semplice trasformatore.
Grazie dell’apprezzamento, Alessandro.
La rete offrirebbe grande libertà a questo riguardo, ma purtroppo la si utilizza quasi sempre per ben altro, come ho rilevato a suo tempo.
Mi piacerebbe riuscire a pubblicare più spesso nuovi articoli, attribuendo maggiore visibilità al sito, almeno in teoria, ma per una serie di ragioni la cosa diventa sempre più complicata.
Speriamo di riuscirci nel prossimo futuro.
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A presto