
Il titolo di quest’articolo è ovviamente ironico ma fino a un certo punto: se non sotto l’aspetto della possanza quantomeno da quello delle vendite si tratta di due dominatori assoluti.
Il 1060 è stato l’oggetto dei sogni proibiti della sua epoca: allora, stiamo parlando dei primi anni settanta, già arrivare al 1030 era roba per pochi.
Era l’integrato alla base del listino amplificatori Marantz e aveva un’uscita di 15 watt per canale su 8 ohm. Il 1060 ne aveva 30 e sembrava chissà cosa, oltretutto con le sensibilità tipiche dei diffusori di allora, alquanto più basse rispetto alle epoche successive e più ancora nei confronti di oggi.
Se poi per caso riuscivi ad arrivare al 1120, coi suoi 60 watt per canale, la progressione degli integrati Marantz andava al raddoppio della potenza per ogni modello che si saliva, eri un grande signore.
Il 3020 dal canto suo ha detenuto a lungo il titolo di amplificatore integrato più venduto della storia. Per come sono andate le cose in seguito, è assai probabile che lo sia anche ora.
Poi, come vedremo, ha tutte le carte in regola per essere un dominatore anche sotto un altro aspetto: un po’ di pazienza e ci arriviamo.
Medioevo e Rinascimento
Ne abbiamo parlato più volte e lo facciamo di nuovo: con tali appellativi si usava definire le due epoche fondamentali della storia della riproduzione sonora amatoriale, con particolare riguardo agli amplificatori. Ora volendo se ne potrebbe aggiungere una terza, quella della decadenza, a tutti i livelli: dalla realizzazione delle apparecchiature, al piegarsi della pubblicistica di settore a ogni desiderio degl’inserzionisti, del quale è la consapevolezza degli appassionati a risentire maggiormente, com’è del resto inevitabile. A dimostrare che anche arrivati al fondo del barile si può tranquillamente iniziare a scavare e continuare a oltranza.
Il cosiddetto Medioevo è stato segnato dall’ostinazione con cui si perseguì la strada dell’abbattimento della distorsione armonica totale. Si arrivò a un certo punto a diversi zeri tra la virgola e la prima cifra di qualche significato e proprio su tale parametro s’ingaggiò una battaglia senza quartiere tra i marchi più in vista del periodo. La sua origine deriva dall’allora recente passaggio dai tubi a vuoto, quali componenti attivi, allo stato solido, che ha portato con sé distorsioni armoniche più contenute ma ancora più fastidiose. Per il loro manifestarsi sulle armoniche dispari anche di ordine elevato invece che su quelle pari di ordine basso, nettamente più accettabili per il nostro udito, e per il loro manifestarsi tutto d’un colpo, andando così a costituire una sorta di muro invalicabile, anziché con la progressività tipica del valvolare.
Già questo pone per l’ennesima volta l’accento sull’ingannevolezza delle misure, ma ancora non basta: l’assurdo di tutta la questione è che più diventavano infinitesimali, i valori di distorsione, e più gli amplificatori peggioravano la loro doti musicali. Per il semplice motivo che l’abbattimento di quei valori lo si otteneva essenzialmente a botte di controreazione, con tutto quel che comporta in termini di qualità sonora.
Oggi forse si potrebbe non saperlo: per controreazione s’intende il prendere una parte più o meno rilevante del segnale presente alle uscite e reimmetterlo in ingresso: della singola sezione circuitale o addirittura di tutta l’elettronica.
Le conseguenze che ne derivano sono intuibili: a livello strumentale si ottiene la riduzione della distorsione armonica, ma a prezzo del tarpare le ali all’apparecchiatura sottoposta a quel trattamento, pregiudicandone la capacità di seguire in maniera efficace il repentino e incessante variare delle caratteristiche del segnale musicale. Ne deriva un effetto di tosatura e di perdita di velocità che penalizzano in modo particolare la sensazione di naturalezza, cui si sostituisce quella sorta d’immanenza informe apprezzata da molti perché tuttora è la caratteristica primaria di numerose amplificazioni ed elettroniche di potenza e costo elevati. Si ha così la percezione drammaticamente sbagliata, ma largamente condivisa, che il prodotto di classe superiore debba suonare proprio in quel modo.
Se si aumenta ulteriormente la controreazione si finisce tra le altre cose con il porre a repentaglio la stabilità stessa dell’elettronica, al punto di comprometterne la sicurezza operativa.
Ai tempi la cosa non dispiaceva, dato che le sonorità gonfie, ottunderate e prive di dettaglio tipiche dell’adozione di tassi di controreazione elevati sembravano in qualche modo richiamare quelle del valvolare, cui la clientela tipica del settore era affezionata e in buona parte lo è tuttora. Erano ritenute preferibili alle timbriche ispide e taglienti del primo stato solido.
Tutto questo dimostra per l’ennesima volta ciò che in questa sede si è sempre sostenuto, ossia che le misure e le caratteristiche tecniche non sono semplicemente inutili ma proprio dannose, in quanto prospettano realtà del tutto inesistenti alle quali si è portati a credere, più o meno in buona fede.
Se durante il medioevo della riproduzione sonora più le tabelle delle caratteristiche tecniche riportavano valori lusinghieri e più le apparecchiature suonavano male, abitudine che hanno mantenuto fino ad ora e da cui probabilmente non si libereranno mai, il rinascimento arrivò nel momento in cui qualcuno, in un inopinato momento d’ispirazione, decise che se i parametri che avrebbero dovuto dare conto della qualità funzionale di un’amplificazione vedevano capovolgere la loro valenza nel passaggio alla realtà concreta, con particolare riguardo alla qualità sonora, forse era il caso di tentare una strada diversa.
Si era d’altronde nei primi anni settanta, periodo di grande libertà, in particolare di pensiero e a livello individuale. Se accadesse oggi una cosa del genere, ci si ritroverebbe convinti all’istante che quanto si è osservato si verifichi semplicemente perché non si è insistito abbastanza e non si è spinto sufficientemente a fondo con l’azione o il ritrovato, rivelatisi controproducenti solo perché utilizzati in dosi troppo blande.
Di questo modo di pensare abbiamo avuto esempi innumerevoli nel corso degli ultimi decenni, un po’ in tutti gli ambiti.
L’esempio più tipico riguarda l’austerità, secondo la pretesa che azzerando l’investimento pubblico si migliorino le condizioni economiche generali. Si è trattato evidentemente di un pretesto, dato che mai come oggi la povertà ha ampliato i suoi domini e la classe media è ormai pressoché cancellata, anche se la parola più indicata è estinta.
Questo c’insegna che al di là di tutte le chiacchere e le falsificazioni, sono i risultati concreti che si ottengono alla fine di un ciclo, storico, economico o quello che si vuole, a spiegare alla lettera quel che in effetti si volesse ottenere. A corollario pone in evidenza che a dispetto di tutte le pretese di democrazia del mondo occidentale, se politici e istituzioni mentono in maniera a tal punto plateale al popolo, del quale dovrebbero essere al servizio, e che poi è quello che paga il loro stipendio, in democrazia non si è.
Nello stesso tempo, non ha senso che il popolo paghi alcunché per sentirsi riempire di panzane da mane a sera. Volte oltretutto a giustificare il vero e proprio attacco che si sta portando da tempo alle sue condizioni di vita. Questa la si tende a concedere solo se si accettano vessazioni sempre più intollerabili e contrarie a qualsiasi forma di diritto. Politica e istituzioni ritengono di dover mentire al popolo? Facciano pure ma a loro spese.
Staremo poi a vedere come va a finire.
In secondo luogo la democrazia è o non è, non ci sono vie di mezzo, proprio come non ce ne sono riguardo all’essere o meno in stato interessante. La donna o è incinta o non lo è: nello stesso modo se si è in democrazia lo si può essere solo se questa è compiuta, fino in fondo. In caso contrario non è più tale, quindi trattasi di altro ossia di dittatura, sia pure dissimulata, per mezzo di una serie di messe in scena. Come appunto nella realtà che stiamo vivendo, dove politica e istituzioni non si contentano più di mentire sistematicamente al popolo, ma prendono ordini non da esso, al quale richiedono comunque legittimazione, e in maniera sempre più pressante, ma da entità esterne e quasi sempre posizionate fuori dai confini dello Stato, con finalità volte a nuocere altrettanto sistematicamente a chi è stato spossessato delle sue prerogative e dei suoi diritti sociali, che allo scopo si sono sostituiti con quelli civili.
Una strada del tutto diversa
Fu così allora che invece di aumentare ulteriormente le dosi della controreazione, nella certezza incrollabile della giustezza del suo impiego, con l’unico errore stante nella misura troppo blanda con cui la si era applicata fino a quel momento, qualcuno decise di cambiare completamente strada.
La figura più in vista del nuovo corso fu l’ing. Matti Otala, che all’epoca acquisì una certa notorietà, ristretta ovviamente ai praticanti del settore. La strada che decise di percorrere fu per certi aspetti scontata, anche se almeno in parte controintuitiva rispetto alle conoscenze di allora. Si articolò su due direttive principali, alle quali se ne aggiunse poi una terza: il ricorso a un’alimentazione in grado di rispondere positivamente alle necessità energetiche indotte dall’andamento del segnale, caratterizzato da mutamenti repentini e da picchi di livello largamente superiore al valore medio del segnale audio, e la riduzione dei fattori di controreazione, da utilizzarsi solo nello stretto necessario e applicandola solo localmente, ossia a livello del singolo stadio circuitale invece che dall’ingresso all’uscita come si era soliti fare in precedenza.
Se ne avvantaggiavano le doti dinamiche degli amplificatori, che in precedenza si usava verificare solo in regime statico, ossia a partire da un segnale fisso, quindi la loro capacità di seguire l’andamento del vero segnale musicale e per conseguenza le loro doti sonore.
Se i valori di distorsione armonica totale salivano, a livelli inconcepibili per gli oltranzisti dello 0,000000%, poco male: se ne sarebbero giovate le sensazioni d’ascolto, per quanto poco verosimile ciò potesse sembrare. Almeno nell’accezione semplicistica di chi si limita a considerare il singolo dato, senza curarsi di quel che esso porta con sé e peggio su quali aspetti va a ripercuotersi. Dunque senza tener conto che nel mondo reale se da un lato si migliora, c’è sempre un altro aspetto su cui si deve pagare pedaggio.
Arriviamo così al terzo aspetto: preso atto che nel modo descritto la sonorità delle amplificazioni migliorava in maniera ben percettibile, appunto in funzione di un deciso cambiamento di mentalità e per conseguenza dell’approccio del tutto nuovo alla loro realizzazione, perché non spingersi oltre lungo la strada di quel cambiamento, radicalizzandolo per certi versi?
Le amplificazioni tipiche del medioevo connotavano e quindi rendevano riconoscibile dall’esterno la loro gerarchia essenzialmente in due aspetti primari: potenza di uscita e dotazione comandi. In quel modo si permetteva all’acquirente potenziale di individuare a colpo d’occhio l’appartenenza di un’elettronica a una determinata classe di prodotti piuttosto che a un’altra.
L’amplificazione di gran classe, pertanto, oltre a una potenza superiore doveva essere corredata da tutta una serie di controlli, atta a intervenire con un’efficacia più o meno rilevante sulle caratteristiche del segnale, anche in funzione della realtà di quel periodo, inerente le stesse modalità di riproduzione.
Questo a livello commerciale aveva un’importanza fondamentale, proprio perché costituiva un argomento di vendita di efficacia impareggiabile: l’apparecchiatura di gran classe era tale per la sua potenza di uscita, le dimensioni e il possesso di un arsenale di dispositivi di controllo tale non solo da poter intervenire sul segnale a piacimento, quantomeno nelle intenzioni. La capacità di comprenderne funzioni ed effetti era il metro di misura stesso dell’esperienza e della competenza dell’utilizzatore, che in un immaginario creato appositamente arrivava ad acquisirla solo dopo un lungo itinerario preparatorio ad assimilare le necessità e gli scopi di quella dotazione comandi a tal punto pletorica, atta pertanto a rafforzare la percezione di sé stessi e insieme la consapevolezza di essere parte di un’élite aperta a pochissimi.
Tutto ciò era chiaro per altri versi anche al profano, messo istintivamente in soggezione dall’ampiezza di tale corredo di bottoni, levette, manopole e lucine, quindi pronto a riconoscere la sapienza, la genialità, la superiorità addirittura, di chi riuscisse a governare senza difficoltà un quadro comandi siffatto, pieno oltretutto di scritte incomprensibili, con la lusinga che ne è conseguenza primaria.
Come abbiamo imparato a capire, anche se poi si è fatto in modo con ogni mezzo che lo si dimenticasse, ognuno degli elementi su cui si articolava la complessità di dotazione fin qui descritta va a costituire un ostacolo posto lungo il percorso del segnale, tale da penalizzarne inevitabilmente e in maniera irrimediabile le modalità e la qualità di trasferimento. In misura piccola o grande ma che sommata al resto dell’equipaggiamento formato dalle cosiddette funzioni accessorie va a costituire in ogni caso una palla al piede significativa. Come tale è in grado di degradare in misura rilevante le doti sonore di qualsiasi amplificazione o elettronica.
All’epoca se ne inventava una al giorno per arricchire la dotazione comandi delle apparecchiature, più o meno lussuose che fossero, e proprio in funzione di esse il successo commerciale era quasi sempre assicurato. Anche in virtù dell’immancabile azione mediatica per mezzo della quale si convinceva il pubblico che in nessun caso si potesse rinunciare al nuovo ritrovato.
La terza gamba su cui si articolò il passaggio da medioevo a rinascimento fu pertanto l’eliminazione di tutto il superfluo all’essenzialità del funzionamento di un’amplificazione, aspetto che forse comportò più di tutti gli altri il miglioramento epocale che si ebbe in termini di qualità sonora.
Nulla è più efficace dell’eliminazione di contatti elettrici, interruttori, cablaggi, complicazioni circuitali e relative piste di stampato per migliorare le doti musicali di un’elettronica.
Dal togliere di mezzo tutta quella zavorra deriva anche un risparmio non indifferente in termini economici, che può essere giocato attribuendo un costo minore al prodotto finito rispetto alla concorrenza di pari potenza o altrimenti reinvestendolo in un’alimentazione più solida e prestante, in componentistica di qualità migliore o nelle soluzioni tecniche in grado di aumentarne l’efficacia funzionale, ancora una volta a vantaggio delle doti sonore.
Si va così a innescare un circolo virtuoso che da un lato tende a migliorare sempre più le doti sonore e dall’altro precipita letteralmente quanto non realizzato a partire da tale approccio in uno stato di evidente inadeguatezza. Destinata peraltro a manifestarsi sul campo ovverosia sul piano del concreto per eccellenza.
Non a caso proprio seguendo questa strada la riproduzione sonora amatoriale ha conosciuto la sua epoca di più grande splendore, raggiungendo la massima penetrazione nei confronti del pubblico, proprio in funzione dell’avergli offerto il controvalore storicamente più elevato in assoluto, in termini di qualità sonora, a fronte della somma che gli si chiedeva di spendere.
Conseguenze
A suo tempo Erich Fromm ha scritto un libro fondamentale, “Essere o avere”. Oggi forse lo intitolerebbe “Essere o apparire” o persino “Essere per apparire”, data proprio la centralità della funzione attribuita alla cosiddetta immagine, al ruolo che assume e che attribuisce a ciascuno di noi in funzione della Teoria dell’esistenza commerciale. Attinente appunto la spendibilità di ogni individuo e delle caratteristiche che si attribuisce, in funzione della loro visibilità, nei confronti dei suoi simili.
Diversamente da quel che si può ritenere, il passaggio al rinascimento non ha avuto solo risvolti positivi, in particolare nella misura in cui si attribuisce importanza agli elementi non strettamente attinenti la qualità sonora.
Togliere di mezzo tutto quell’orpello ha significato anche rendere più anonime le apparecchiature. Non a caso buona parte del ritorno d’interesse nei confronti del vintage, follia dei prezzi attuali a parte, la si deve proprio alla personalità delle apparecchiature a maggiore densità di comandi.
Proprio su quella forma di anonimizzazione si è giocato in una prima fase, specie da parte di inglesi e assimilati, che del nuovo corso dettato dal Rinascimento sono stati tra gl’interpreti più convinti e convincenti. Proprio il 3020 ne è un esempio se vogliamo paradigmatico, con la sua estetica dimessa, specie se osservato in confronto all’aspetto del 1060, che al confronto appare come un oggetto dal lusso fin quasi strabiliante.
La ricerca di personalizzazione dell’apparecchiatura destinata alla riproduzione sonora è divenuta pertanto più complessa, proprio perché se prima la si risolveva a suon di levette e pulsanti disposti in modo opportuno, in seguito quella possibilità si è resa di fatto indisponibile.
In una prima fase non ci si è curati molto della cosa, considerando che l’apparecchiatura audio in fin dei conti è fatta per suonare, possibilmente al meglio. Poi però, magari da parte di quanti non si sentivano ferratissimi nell’arte di migliorare le doti sonore o solo non volevano impegnarsi su quella direttrice, si è cercato qualcosa di più, proprio sul versante dell’estetica. Dando il via alla tendenza che col tempo è arrivata alle sue coniugazioni più estreme e sfrontate.
Immancabile è stato l’accompagnamento mediatico da parte dei soliti noti, a iniziare dai luoghi comuni. Dall’anche l’occhio vuole la sua parte ai veri e propri pretesti inventati per l’occasione, come WAF e similari, cucinati e conditi nei modi più impensati e insensati per tenere distratta l’opinione del pubblico da quelli che sono i suoi obiettivi primari. Che nell’ambito della riproduzione sonora dovrebbero riguardare appunto la possibilità di avere le apparecchiature che suonino il meglio possibile al prezzo più basso.
Controrivoluzionari e revisionisti, solitamente prezzolati o comunque ben oliati da chi ha il maggior interesse affinché le cose prendano la piega più indicata per i suoi interessi, trovano sempre il modo di affermare le conseguenze della loro doppiezza. Stranamente li si ritrova sempre nei punti da cui hanno l’agio maggiore di influenzare più a fondo i poco accorti e gl’inconsapevoli.
Sarà un caso?
Non di rado sono gli stessi che fino a cinque minuti prima hanno recitato la parte dei profeti dell’intransigenza più massimalista, pronti evidentemente a cambiare idea non appena le condizioni lo rendessero opportuno.
La loro opera, indefessa nel corso dei decenni, ha portato a risultati un tempo inimmaginabili: oggi se il finale non ha una carrozzeria da 30 chili di prezioso metallo massiccio, tirato a lucido come se non ci fosse un domani, e soprattutto se non ha l’orologio al centro illuminato come una discoteca, o almeno una coppia di vu meter da 48 pollici del più bel blu dipinto di blu, non è degno neppure di essere preso in considerazione.
Al suo interno una pletora di componenti, i più vistosi che sia possibile, sono allineati ed equipaggiati di tutto punto come soldati pronti a scendere in battaglia. Nessuno si chiede mai se tanta abbondanza sia effettivamente necessaria per le funzioni che l’apparecchiatura è chiamata a svolgere o se sia solo una questione d’immagine e di richiamo. Oltreché di fotogenìa naturalmente, a favore dei media di settore e delle loro capacità di affabulazione.
Oggi una realizzazione interna come quella del NAD 3020 sarebbe semplicemente rifiutata a priori. Di lazzi, sberleffi, epiteti e faccine vomitanti ve ne sarebbe un’alluvione, ma che dico, uno tsunami, nei confronti dello sventurato che si azzardasse a pubblicare la foto dell’integrato a coperchio rimosso, sui forum e i social come quelli degli amici degli amici.
Se poi si azzardasse a dire che suona meglio di tanta altra roba molto più costosa, a volte enormemente, scansati proprio: verrebbe condannato alla gogna a vita e mai più riabilitato. Le leggi delle aree di discussione pubblica sono notoriamente inflessibili.

Ecco perché prima ho parlato di decadenza, per definire la fase storica attuale, anche e soprattutto nei riguardi del nostro settore, ormai invaso da una quantità d’individui che non solo non hanno la minima idea sul come si faccia andare un’apparecchiatura meglio o peggio di un’altra, ma neppure sanno cosa sia il meglio, il peggio e come distinguere l’uno dall’altro.
Proprio in funzione di un’offensiva mediatica a tutto campo e portata alle conseguenze più estreme anche a livello temporale, che alle sue vittime ha eradicato non solo il barlume di consapevolezza più residuale, ma persino la possibilità di costruirsene una, un giorno o l’altro.
Il tutto ovviamente per far si che sia ritenuto sempre e comunque impellente avere di più, sempre di più e per conseguenza spendere non in proporzione ma secondo una progressione geometrica. Per ottenere in cambio qualcosa che neppure può ambire a paragonarsi a quel che si avrebbe con l’impiego di un prodotto realizzato con semplicità e persino con una frugalità, parola ormai in disuso, non a caso, francescana.
Proprio perché mai come in questo settore, molto spesso il meno è di più. Ma dopo il trattamento di candeggio a oltranza di meningi e possibilità di percezione, praticato per decenni dai pezzi grossi della pubblicistica di settore, mentre tanti altri sgomitano per subentrare loro e fare anche di peggio, il comprenderlo è stato doverosamente eliminato dalle possibilità esistenti su questa Terra.
Poi però, non appena chiusa la pagina internet o di rivista inneggianti allo spreco oltre ogni limite e al cambia-cambia a oltranza, si passa alla successiva. Quella in cui s’innalzano la $ostenibilità e la necessità di non distruggere il futuro dei nostri discendenti a priorità assoluta e inderogabile. Quali, se per procurarsi il denaro per comprare roba sempre nuova e sempre peggiore di quella che avevamo prima, tempo per procreare e accudire la prole non ne abbiamo più?
Così per sostenere tali nobili ed elevatissimi ideali, mero ariete di sfondamento per l’ennesimo affare di portata incalcolabile, stante nel sostituire tutto il sostituibile, in nome della $ostenibilità, ma senza mai dire che fine fa la roba ancora funzionante perfettamente che ci viene gentilmente imposto di buttare via, gli stessi che un secondo prima sbavavano dietro ad apparecchiature mai così inutilmente ridondanti di costose materie prime e ricolme d’orpello, ingaggiano battaglie senza quartiere a colpi di tastiera, nei confronti di chiunque non mostri l’adeguata sensibilità nei confronti dell’ambiente, intesa ovviamente secondo i canoni suaccennati.
Ecco a cosa è servita tanta propaganda, a farci diventare un branco di schizoidi all’ultimo stadio, proprio come alla fine degli anni sessanta raccontava un certo Pete Sinfield.
Esoterico e abbandono
Nell’urgenza dei media di categorizzare tutto ciò verso cui rivolgono la loro attenzione funesta, era necessario trovare un termine per mezzo del quale rendere riconoscibili le apparecchiature realizzate secondo i dettami del nuovo corso rispetto a quelle tradizionali. Non solo ai fini di individuazione ma anche per attribuire al prodotto un elemento di merito, ovviamente in funzione degl’interessi di chi tira le loro fila.
Fu così che s’inventò uno dei termini più detestabili tra tutti quelli coniati dalla fervida fantasia degli scribacchini di settore, la cui attitudine primaria è come noto sottolineare l’eccellenza di qualsiasi cosa pervenga di volta in volta alla loro attenzione, che assicurano sia immancabilmente superiore a tutto il resto. Senza curarsi assolutamente di un qualsiasi elemento di contraddittorietà nella loro descrizione.
A forza di ripetere un trattamento del genere s’induce un disorientamento del quale alla lunga non ci si rende più conto. Perduta la percezione di come siano posizionati i punti cardinali, elemento appunto necessario ai fini del senso dell’orientamento, non si riesce più a cogliere l’incompatibilità di due cose in antitesi, come dell’impossibilità di procedere contemporaneamente verso nord e verso sud. Ne deriva una sorta di bipolarità inconsapevole che porta da un lato all’essere con tutti sé stessi dalla parte del progresso, o almeno dell’idea deviata di esso resa oggi obbligatoria, secondo la normativa inflessibile del pensiero unico, e quindi rappresentarsi innanzitutto di fronte a sé stessi come veri e purissimi progressisti. Mentre dall’altra si tifa senza requie per qualsiasi manifestazione del capitalismo più oltranzista, sfacciato e privo di scrupoli, come appunto le apparecchiature ricolme di spreco e inutilità dietro alle quali si sbava sulle pagine di siti e riviste. O altrimenti si narrano mirabilie, come al solito inesistenti, in funzione della parte della barricata in cui ci si trova.
Il tutto naturalmente senza farsi domanda alcuna riguardo alla compatibilità tra le due cose. Da parte di chi legge, e tantomeno di chi scrive, addestrato ormai da tempo a non curarsi del significato concreto di quel che mette nero su bianco.
S’inventò pertanto e si andò a diffondere il termine esoterico, che personalmente detesto. E’ sinonimo di stregonesco, iniziatico, frutto di arti magiche e proprio quello fu il senso che si volle attribuire alla parola, suggerendo per il suo tramite che tutto quanto non aderisse alla ricetta classica, che aveva evidenziato i suoi limiti tecnici e funzionali come meglio non si sarebbe potuto, fosse appunto roba da veggenti, chiromanti e relativa clientela, ossia all’antitesi della vera scienza. Quella che ha avuto il merito di inalberare per prima l’iniziale della $ maiuscola. Proprio perché pronta a pubblicare studi contenenti tutto e tutto il suo contrario, a seconda delle preferenze di chi ne finanzia la ricerca, nello stesso identico modo con cui la stampa di settore compila i suoi resoconti.
Il termine esoterico, inoltre, proprio per ciò che è stato detto fin qui suggeriva che un qualsiasi oggetto realizzato nel modo classico fosse quanto di meglio desiderabile, dato che volendo andare oltre si ricadeva necessariamente nelle pratiche sciamaniche e da santoni. Altro termine che non a caso appare spesso nelle discussioni tra gli appassionati del settore.
Non son tutte rose e fiori
Ogni cosa di questo mondo è notoriamente contraddistinta da due facce, come una medaglia. Se il rinascimento comportò l’avanzamento tecnico, sonico e di consapevolezza che abbiamo visto sopra, dando vita alla fase storica più favorevole per l’espandersi del settore, paradossalmente è stato anche il punto di partenza per la sua crisi, che poi il digitale ha fatto si che precipitasse.
Abbiamo visto prima che l’eliminazione di levette e manopole ha causato una perdita di personalità per le apparecchiature, non per le loro doti sonore ma certamente a livello dell’estetica, dunque di riconoscibilità.
Un altro aspetto legato alla semplificazione, per le modalità realizzative delle apparecchiature, sta nella loro applicabilità alle diverse tipologie di modello industriale e quindi alla percorribilità stessa delle scelte operate al riguardo.
Un oggetto semplice, ma curato nei particolari fin negli aspetti in apparenza più insignificanti si addice maggiormente all’artigiano o comunque alla produzione in piccola serie. Viceversa la grande industria ha la maggiore attitudine nella capacità di espandere fin quasi all’infinito la produzione di oggetti perfettamente identici gli uni agli altri. E poi nell’integrazione, ossia nell’inzeppare di funzioni e dispositivi più o meno accessori l’interno di contenitori che nemmeno s’immaginerebbe si possano stipare a tal punto. Infine nella standardizzazione che permette le economie di scala tali da rendere il suo prodotto di concorrenzialità, in primo luogo per il prezzo al pubblico, inimmaginabile per il piccolo e il medio. Ma anche irrimediabilmente dozzinale, proprio perché per via delle economie di scala delle quali va perennemente alla ricerca, in funzione delle sue attitudini, tende a utilizzare le stesse componenti sia sull’oggetto economico che sul costoso.
Proprio come le Skoda e le Audi utilizzano lo stesso blocchetto di frecce e devioluci, per fare un esempio banale, poi ricoperto da materiali di aspetto diverso.
Dunque prodotti di grande serie e persino grandissima, dove necessariamente il particolare è realizzato a tirar via o comunque lasciato al suo destino, proprio perché i costi causati dal curarlo oltre un certo limite, ossia il minimo indispensabile, divengono insostenibili. Anche se si tratta di pochi centesimi, dato che moltiplicati per milioni di esemplari sballano comunque i conti.
La semplificazione del prodotto avvantaggia quindi il piccolo costruttore e non è un caso che dall’avvento del rinascimento in poi nomi sempre nuovi dalle dimensioni di Davide abbiano insidiato in misura sempre crescente i grandi marchi, veri e propri Golia del settore, fino a indurli uno dopo l’altro all’abbandono.
Non è un caso, allora, che prima di arrendersi definitivamente i grandi nomi dell’elettronica abbiamo tentato la carta dell’home theater.
In un primo tempo con risultati discreti, almeno a livello commerciale, ma poi andando incontro a un ulteriore fallimento, basato sull’integrazione ai massimi livelli, quindi sulla complicazione a oltranza, proprio col fine di rendere inaccessibile a chiunque non avesse capitali ingentissimi da investire in un affare che fin dagli inizi ha mostrato le sue pecche ineliminabili.
Peggio, ha reso le amplificazioni talmente complesse, e per conseguenza costose, da essere sostanzialmente impossibili da gestire nelle loro opzioni innumerevoli. Ma sempre destinate a scontrarsi contro la mediocrità insuperabile data dalle loro stesse premesse realizzative. Al punto che persino l’impareggiabile gran direttor – lup mannar – figl di put della megarivista ultraspecializzata, il giorno che ha voluto tentare personalmente di tirarci fuori qualcosa si è trovato costretto ad andare alla ricerca delle fantomatiche funzioni più esclusive, dato che con quelle normali non solo non era riuscito a cavare il classico ragno dal buco, ma nemmeno era riuscito a capire dove caspita si trovasse, quel dannato buco.
Così, dopo essere stato due ore di fila a smanettare senza esito su frontale e telecomandi ha dovuto arrendersi, dichiarando che fosse necessario indagare più a fondo il manuale di istruzioni, che però si trovava altrove. Erano libroni da centinaia di pagine, somiglianti più che altro a volumi della Treccani. La sola differenza è che questa almeno è scritta in italiano.
Risultato, dopo tanto sbattimento, non ultimo quello di assemblare materialmente cotal impianto a settecentosedici canali punto 47 (morto che parla), di musica nemmeno una nota. Si dovette fare sostanzialmente a memoria, e a colpi d’immaginazione. Non che fosse chissà quale novità, per quel fatterello verificatosi, in occasione del trentennale del disco più venduto e dal maggior numero di riedizioni in tutta la storia del supporto fonografico, che si era deciso si dovesse a tutti i costi celebrare. Proprio quello con la copertina nera con al centro un prisma che scinde il raggio di luce bianca nelle sue componenti primarie.
Ecco dove ha portato l’oltranzismo votato a favore della complicazione a qualsiasi costo, oltre ogni opportunità e concreta possibilità utilizzativa: all’impossibilità materiale del suo impiego.
Come abbiamo visto, se la via indirizzata alla ricerca dell’essenzialità ha causato un miglioramento delle doti timbriche della media delle apparecchiature, e una loro razionalizzazione, non era assolutamente un male, almeno in relazione alla funzione primaria degli oggetti destinati alla riproduzione sonora.
C’è però un ma e anche bello grosso. I grandi marchi hanno uffici pubblicitari molto potenti e dalle possibilità di spesa praticamente illimitate. Una volta venuti meno, e insieme a loro le capacità di attribuire visibilità e desiderabilità al settore nella percezione del pubblico generalista, che poi è il serbatoio da cui attinge il ricambio degli appassionati, il terreno su cui poggia isterilisce, facendolo diventare sempre più di nicchia. Quindi praticato soltanto da chi già da prima era al corrente della sua esistenza e delle sue potenzialità. Tutti gli altri, a iniziare dalle nuove leve, sono destinati a restarne esclusi.
Non a caso per molto tempo i giovani non hanno saputo nemmeno che esistesse la specialità della riproduzione sonora, per come la conosciamo noi vecchi appassionati. Il massimo a cui arrivavano era il telefonino con attaccata una cuffia e per larga parte è così ancora oggi.
Dunque il prevalere di una concezione semplificata dell’oggetto destinato alla riproduzione sonora ha messo fuori gioco la grande industria e i suoi marchi più noti, i quali ormai parecchio tempo fa hanno abbandonato il settore, del tutto o in parte.
Poi i corsi e ricorsi storici, che per quanto ci riguarda hanno comportato un ritorno d’interesse per le apparecchiature di maggiore ridondanza e oggi di nuovo di moda, ha fatto si che alcuni di quei nomi siano tornati alla carica. Tra di essi mi vengono in mente Technics e Yamaha, anche se per mezzo di apparecchiature che non hanno più nulla della concorrenzialità del prezzo che ne costituiva il primo elemento di attrattiva, sia pure in combinazione con altri aspetti, inerenti l’affidabilità e l’onestà delle prestazioni. Vanno invece a sfruttare l’onda dei prezzi folli oggi in auge, facendo valere il prestigio del loro marchio che tendono a imporre come se rimasto scevro da qualsiasi appannamento.
Inevitabilmente tornano anche a esercitare le loro funzioni di richiamo, che si spera possano attribuire un vantaggio anche ai marchi più piccoli, almeno in forma indiretta e in seconda battuta. Ossia portandosi all’attenzione di appassionati che si sono avvicinati al settore proprio per la rinnovata presenza dei grandi nomi e, nella sua esplorazione, si avvedano della presenza di realtà molto meno appariscenti ma non per questo meno efficaci per avvicinarsi ai traguardi legati all’eccellenza delle prestazioni soniche.
Le apparenze che non ingannano
Il confronto tra i due integrati a livello visivo è già di per sé una sintesi efficace di quanto descritto fin qui. Ancor più se non ci si limita al colpo d’occhio, già di per sé ben significativo, ma si va a considerare lo specifico dei comandi presenti sul frontale dell’uno e dell’altro.
Il 1060 possiede innanzitutto il controllo dei toni medi, prerogativa su cui a suo tempo si elucubrava oltremisura in merito ai risultati timbrici esclusivi che avrebbe permesso di ottenere. Non era cosa da tutti anche nella media degli equipaggiamenti ridondanti del periodo e con ogni probabilità ha offerto un contributo al suo successo tuttaltro che irrilevante. Ci sono poi gl’ingressi microfono, filtri antirombo e antifruscio, i pulsanti per l’ascolto in mono, del singolo canale o della loro somma, l’anello di monitor per il registratore, la possibilità di collegare e selezionare due coppie di altoparlanti, il selettore per ben sei ingressi, il loudness e l’uscita cuffia.
Insomma c’era tutto quanto un domani si sarebbe potuto rivelare necessario e nella schiacciante maggioranza dei casi sarebbe rimasto inutilizzato. Allora però si riteneva essenziale tenere con sé bendaggi in quantità, nel caso un domani ci si dovesse rompere la testa. Soprattutto qualsiasi assenza dalla dotazione d’ordinanza avrebbe prodotto una sensazione d’insicurezza tale da far tornare presto all’ovile qualsiasi considerazione di acquisto di un’apparecchiatura di maggiore essenzialità. Così da attribuire ancora una volta la preferenza a quanto avesse di tutto e di più nel proprio equipaggiamento, dimostrando quel che era in realtà, una riedizione della coperta di Linus.
Il tutto era inserito in una cornice dall’aspetto evidentemente lussuoso, tale da far pensare che nel suo piccolo, poi mica tanto, il 1060 fosse un oggetto di rilievo e destinato a una clientela ambiziosa e che sapeva il fatto suo.
Il confronto visivo col 3020 è se vogliamo disarmante. il suo aspetto non è solo dimesso ma denuncia senza mezzi termini l’impiego di materiali ben più modesti. A vantaggio non tanto di quel che c’era all’interno, ma delle sue capacità soniche, le quali non solo non erano sbattute doverosamente in faccia per mezzo del trailer costituito dalla ridondanza dell’estetica, ma abbisognavano anche delle capacità e della cultura necessarie per comprenderne il valore.
Coi criteri di oggi si direbbe che si rendesse la vita difficile già per conto proprio. Eppure è stato l’integrato più venduto della storia, segno che le capacità di comprensione tipiche della clientela della sua epoca erano all’altezza della sfida. Si potrebbe giurare che sia lo stesso anche per quelle attuali?
Malgrado tutto il 3020 disponeva di loudness e controlli di tono, nonché di stadio fono, allora irrinunciabile per qualsiasi integrato. Era adatto anche per testine a bobina mobile, cosa non disprezzabile e soprattutto tipica delle elettroniche di costo maggiore.
Rendeva esplicita così la sua vocazione all’eccellenza, quantomeno nelle intenzioni, ossia per mezzo di un elemento meno vistoso ma volto se possibile a far riflettere il suo osservatore.
C’era persino un indicatore del livello di uscita, sia pure elementare, costituito da cinque spie a led di colore rosso, posizionate sopra la manopola del volume.
Ad ogni buon conto c’era poi la versione 3120, dotato soltanto dello stretto indispensabile. Anche di essa sarebbe interessante verificare le potenzialità. Chissà se un giorno ne capiterà un esemplare da ascoltare.
Sul retro spiccava la presenza di morsetti di uscita adatti anche ad accogliere terminazioni a banana, quando all’epoca molti si affidavano ancora ai mefitici morsetti a molla, utilizzati anche dal 1060.

Anche la possibilità di separare la sezione pre dagli stadi finali non era assolutamente da dare per scontata per le elettroniche della classe in cui si collocava il 3020, ulteriore esempio delle modalità con cui eseguiva il suo richiamo nei confronti degli appassionati, ossia puntando sulla loro consapevolezza.

C’è poi un interruttore abbastanza strano, denominato “Soft Clipping” ossia saturazione morbida. Di fatto attivandolo si abbassava la tensione di alimentazione dei finali, ottenendone in tal modo una sonorità riconoscibile come più gradevole. Anche se, di fatto, lo stadio di uscita saturava prima.
In effetti uno stadio finale, se alimentato a tensione inferiore, eroga meno potenza ma esibisce un comportamento più “gentile”. Per accorgersene occorre prestare l’orecchio, cosa che nella fretta del giorno d’oggi si ritiene del tutto inutile, tanto le caratteristiche tecniche dicono già tutto, secondo certuni. Quando invece non dicono un bel niente e, se lo fanno, raccontano cose dalla capacità singolare di contraddire la realtà. Allora, invece, qualcuno che ascoltasse c’era, anche con buone capacità d’interpretare quanto giungeva alle sue orecchie.
E’ stato così che il 3020 oltre a essere il capostipite di una nuova scuola di pensiero, lo è stato anche per una lunga serie di prodotti, i cosiddetti piccoli inglesi: dimessi, talvolta bruttini, dalla dotazione spartana e dalla potenza appena sufficiente ma capaci come in virtù di un incantesimo di suonarle di santa ragione, per qualità sonora, ad amplificazioni di ben altro rango, con cui sulla carta non poteva esistere alcuna possibilità di paragone.
Chissà forse è stata proprio la rabbia di vedere smentite in maniera così palese le loro convinzioni a far coniare ai capobanda della propaganda di settore l’aggettivo di esoterico, che poi hanno utilizzato a oltranza, imponendolo nell’immaginario collettivo. Proprio volendo significare lo stregonesco che ne è sinonimo, loro autoelettisi a campioni del pensiero razionale.
Proprio non si capacitavano che bastasse tanto poco, insieme al minimo di sale in zucca, per andare molto oltre ai limiti che non ritenevano invalicabili ma oltre ogni possibilità ipotizzabile.
Fine della prima puntata