Scontro fra titani: Marantz 1060 – NAD 3020i seconda parte

La prima puntata di questo articolo si è chiusa con lo sbigottimento, da parte di molti, nell’osservare come apparecchiature in apparenza banali e realizzate con poco riuscissero con tanta facilità a suonare in modo più gradevole e musicale rispetto a veri e propri mostri, nei confronti dei quali sembrava non potesse esistere possibilità di confronto alcuna.

Se questi ultimi continuavano inevitabilmente a prevalere sotto l’aspetto quantitativo, quegli oggettini cui non si sarebbe accordato un soldo di fiducia obbligarono di fatto ad accettare che, anche nella riproduzione sonora, come in tutte le altre cose di questo mondo, quantità e qualità sono cose distinte e separate, del tutto prive di elementi in comune.

Notoriamente non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire e questo vale tanto di più nell’ambito del settore di cui ci occupiamo. E’ comprensibile tuttavia che si sia restii a capire certe cose nel momento in cui si è messo in piedi un intero sistema di valutazione, legato a doppio filo al complesso commercial-industriale da cui discende e centrato su parametri di tipo strettamente quantitativo, mediante i quali si è preteso di pervenire a una valutazione di mero ordine qualitativo.

Il che però è impossibile, proprio per la diversità tra le due cose e a causa della loro inconciliabilità. Meglio ancora, dell’antitesi in cui si trovano reciprocamente.

Così si è andati avanti per decenni a cercare la correlazione tra misure e ascolto, senza mai riuscire a trovarla ma annunciando ogni volta, tra rullar di grancasse e trombe a fanfara, squillanti al punto da sembrare fanfarone, che per questa volta non ci si era ancora riusciti ma giusto per un nulla, meno ancora un’inezia. Dunque si era proprio sul punto di arrivarci e la prossima sarebbe stata di sicuro quella buona.

Un annuncio dopo l’altro, ogni volta corredato dall’immancabile rimando, e sono passati gli anni. Poi i decenni, sempre con lo stesso esito, nulla di fatto. Com’è inevitabile del resto ogniqualvolta si va alla ricerca di quel che non esiste e lo si sa perfettamente, ma si trascina la recita a uso e consumo del pubblico pagante.

Tra l’altro il poco summenzionato non era assolutamente tale, se non dal punto di vista dei materiali, dietro al quale invece vi era una concettualità di rilievo, in particolar modo per quei tempi.

Proprio quella che permise di capire, al culmine dell’epoca del di tutto e di più, che più si semplifica il percorso del segnale, riducendo all’indispensabile il numero degli ostacoli che incontra lungo il cammino dall’ingresso alle uscite, e minori saranno i problemi che si creano per il mantenimento delle sue caratteristiche iniziali.

Il principio non è dissimile da quello che trova la sua espressione meglio comprensibile nell’auto sportiva e ancor più in quelle da corsa, ambito che mi ha attratto fortemente fin dalla più tenera infanzia.

La sua realtà mostra che è del tutto inutile, oltreché costoso, realizzare un’auto potentissima, ma che per effetto stesso del traguardo che per essa ci si prefigge, ovvero l’ottenimento delle potenze più elevate in assoluto e il loro scarico a terra, si trascurano gli aspetti riguardanti pesi e dimensioni.

Così facendo si ottiene soltanto di spendere un mucchio di denaro, per poi realizzare qualcosa di più lento e difficile da guidare, lungo un qualsiasi tracciato che non sia un rettilineo infinito. Soprattutto se s’intende portarlo al limite delle prestazioni, rispetto a qualcosa di meno potente ed esasperato ma agile e leggero. Dotato come tale di ben altre doti dinamiche che a loro volta si ripercuotono sulla facilità di guida e, inevitabilmente, sul tempo sul giro o solo quello necessario a percorrere la distanza che separa il punto A e il punto B.

Il 3020 traduce in ambito hi-fi questi principi e riesce a farlo con una semplicità e una naturalezza sorprendenti.

Per il suo tramite è facile e soprattutto economico realizzare un impianto capace di dare grandi soddisfazioni, anche se ovviamente non potrà mai paragonarsi a realtà molto più costose sotto gli aspetti inerenti la quantità. Ovvero quanta potenza? Quanta pressione sonora? Quanti bassi? Quanta estensione verso il limite inferiore?  Quanto lontano riesco a rompere gli altrui zebedei con la caciara furibonda prodotta col mio impianto da millemila watt? Che del resto sono del tutto inutili, perché se già il primo di quei watt si sente ‘na schifezza, di tutti gli altri cosa me ne faccio?

Purtuttavia la piacevolezza dell’ascolto realizzabile dall’impianto realizzato intorno al piccolo integrato resterà non semplicemente superiore, ma soprattutto basata su elementi sottili ma ben tangibili, solo prestando il minimo di attenzione. E in particolare essendo portati a preferire una valutazione ragionata e basata sulla centralità e sulla predominanza dell’elemento umano, tale da mantenere pieno controllo nei confronti del dispositivo utilizzato, invece di essere travolti dal dispiego delle sue potenze inusitate, dalle sue pressioni sonore strabordanti, dalle adunate oceaniche di basse frequenze che riesce a produrre senza sforzo apparente. Ma, nello stesso tempo, senza riuscire a indurre la percezione e il riconoscimento di qualcosa in effetti riconducibile a una vera esperienza musicale.

A quest’ultimo aspetto, invece, può bastare una sonorità caratterizzata da elementi numerici ben più ridotti, ma dotata di quel qualcosa che i numeri non riusciranno mai a esprimere, proprio perché non attiene ad aspetti meramente quantitativi. O meglio, non ha proprio nulla a che fare con essi.

Nel dominio assoluto di tabelle, caratteristiche e misure, oggi tornato in auge in maniera prepotente e simbolo inarrivabile della decadenza che stiamo non solo vivendo ma ai fini della quale troppi contribuiscono, più o meno a loro insaputa, quanto detto fin qui può essere preso come un mero esercizio di fantasia. Fino a che, ovviamente, non si fa l’esperienza diretta in prima persona, con l’unica condizione di essere in grado di cogliere determinate sottigliezze.

Cosa che diventa più complessa, persino enormemente e ai limiti dell’impossibile, quanto più a lungo si è rimasti esposti al battage eseguito per mezzo di quegli elementi numerici, come tali atti a esprimere parametri esclusivamente quantitativi, rispetto al quale l’aggettivo più specifico e meglio indicato, non a caso, è assordante.

Per non parlare di tutta la retorica costruita attorno a quel mucchio di scartoffie.

Di più, per essere percepite, prima ancora che comprese, certe esperienze hanno bisogno di alcuni elementi di contorno, in assenza dei quali sarà molto più difficile arrivare ad averne contezza.

Riguardano un ambiente sufficientemente silenzioso e poco affollato, meglio se si è da soli o al massimo con un’altra persona: in tre si è già in troppi. Occorrono poi tranquillità, rilassatezza e mente sgombra ma vigile, tutte cose che nello stile di vita attuale e più ancora nella forma mentale che induce tendono a essere negate fin dai presupposti. Così da rendere del tutto inutile l’impiego di determinate elettroniche e degli impianti che si possono realizzare intorno ad esse, proprio perché vengono a mancare gli elementi atti a permettere di cogliere, ad assaporare e infine a comprendere il significato di determinate qualità.

Quanto al fattore dei partecipanti all’ascolto, personalmente ho rilevato più volte come il numero degli astanti sia inversamente proporzione alle qualità sonore che è possibile percepire da un qualsiasi impianto.

Questo potrebbe essere uno dei motivi, insieme ai numerosi altri, per cui nelle mostre di settore gli ascolti sono inevitabilmente mediocri, per quali che siano il livello delle apparecchiature in dimostrazione e la giustezza del loro abbinamento. Proprio perché oltrepassati certi livelli, l’eccellenza della sonorità e quindi della sua riproduzione si manifesta per mezzo di elementi talmente sottili, ma comunque ben percettibili in presenza delle condizioni adeguate, da essere del tutto negati nel momento in cui una o più di esse vengano meno.

Altrettanto inevitabile è che se la percezione delle qualità si basa su sottigliezze sempre più fini, di pari passo vada la loro delicatezza e quindi la facilità di compromettere le loro possibilità di rivelarsi.

Ecco perché con il cosiddetto doppio cieco, esempio mirabile di grossolanità prima di tutto a livello concettuale, che tanto per cominciare cieco non è in quanto si è a conoscenza di star eseguendo quell’esperimento, non solo non si riesce a cavare mai il classico ragno, ma neppure è possibile immaginare dove si trovi il buco in cui si nasconde. Vengono a mancare quantomeno le condizioni di tranquillità, rilassatezza e le possibilità stessa di concentrazione minima necessaria affinché sia possibile cogliere determinati aspetti.

Poi magari c’è chi con l’esperienza riesce a percepirli almeno in parte anche in condizioni meno agevoli. Resta il fatto che quel che si definisce cieco, tale non è e nel modo più assoluto. Quella parola infatti non è intesa a sinonimo di non vedente, bendato come crede qualcuno, ma di inconsapevole. Ossia ignaro di star eseguendo una verifica e quindi nelle condizioni mentali, ossia dell’elemento verso cui convergono tutti i segnali sensoriali, dei quali esegue poi l’elaborazione, al fine di attribuirvi un significato, più incline alla percezione di stimoli che in altri casi passerebbero inosservati.

Credo che quanto detto fin qui basti e avanzi per far capire, almeno a chi è intenzionato a farlo, le prerogative soniche del 3020. Anche se in realtà dei parametri ad esse attinenti si è parlato poco o nulla.

Quindi aggiungo solo una cosa che durante gli ascolti cui l’ho sottoposto si è verificata più volte ed è forse quella che più di tutto il resto dà luogo a certe convinzioni e sarebbe un peccato non menzionarla.

In genere quando s’inizia ad ascoltare si è intenti a seguire la musica, ma poi dopo un po’ la mente inizia a vagare e a spaziare su altri pensieri. E’ proprio allora che, per quanto lontano si sia andati, il 3020 richiama a sé. Costringendo, letteralmente, a rilevare quanto riesca a riprodurre in modo piacevole e aggraziato quel tal passaggio o lo specifico particolare. Spesso e volentieri si tratta di qualcosa che passa del tutto inosservato con altri oggetti e altri impianti, non per le prerogative che assume, ma per quegli elementi in sé.

Accadimenti del genere si verificano in particolare in occasione di raddoppi, fraseggi all’unisono e cori, ossia laddove si valutano le reali doti musicali di qualsiasi apparecchiatura destinata alla riproduzione sonora.

Credo che siano sintetizzabili così, e nel modo migliore, le sue prerogative, rare peraltro da incontrare in qualsiasi fascia di prezzo. Penso anche che sia proprio questo ad aver decretato il suo successo e, per conseguenza, che certi elementi, legati nella possibilità di essere percepiti a condizioni ben precise come quelle elencate in precedenza, non siano così aleatori come si vorrebbe far credere, ma invece alla portata praticamente di chicchessia si trovi appena appena nella situazione minimamente necessaria a far si che certe sensazioni possano essere assaporate.

In caso contrario, del resto, quest’amplificatore non avrebbe trovato l’apprezzamento che continua tuttora a sostenerlo e intere legioni di appassionati non lo avrebbero acquistato e utilizzato con soddisfazione. Ma soprattutto lo hanno rimpianto, a lungo, nel momento in cui sono passati ad altro. Persuasi di andare incontro a chissacché, per poi rendersi conto infine di aver speso tanto denaro non per un passo avanti ma per muoversi all’indietro.

Su tali premesse il Nad 3020 si è imposto quale capostipite di una nuova tendenza, quella degli integrati dimessi, talvolta bruttini, dalla dotazione spartana e dalla potenza appena sufficiente ma capaci di suonarle di santa ragione ad amplificazioni di ben altro rango, nei confronti delle quali non avrebbe dovuto esistere alcuna possibilità di paragone.

Per il loro tramite, pertanto, se si agiva con il minimo indispensabile di criterio, era possibile realizzare impianti che non richiedessero spese eccessive ma in grado di dare soddisfazioni di rilievo. Non per l’estetica magari e meno ancora per la sbruffoneria che oggi sembra componente irrinunciabile di qualsiasi cosa, non solo destinata a riprodurre musica, ma di sicuro per le doti sonore. Spinte sovente a limiti del tutto imprevedibili, ma soprattutto dettate da una maniera fino ad allora inedita nel coniugare la musicalità in maniera gentile, coerente e senz’altro raffinata, ben oltre i limiti che si sarebbero ritenuti alla portata di oggetti tanto economici.

Il contrasto con l’accezione più consueta della riproduzione sonora, e in particolare dei parametri con cui si era abituati a definire il suo livello qualitativo, già allora centrato primariamente sull’effetto speciale, sulle timbriche dei bassi e acuti a manetta col buco in mezzo, come le caramelle Polo che infatti andavano per la maggiore, e più in genere sulle logiche e sulle preferenze legate alla carenza, allora dovute a limitazioni delle apparecchiature che oggi si stenterebbe a immaginare, ma che dettano legge tuttora, era persino imbarazzante.

Sembrava impossibile che un “coso” di quel genere, bruttino e in apparenza realizzato a tirar via,  riuscisse a infondere un piacere d’ascolto tale da palesare i limiti di oggetti mille volte più costosi e pretenziosi, che al confronto non solo cadevano inesorabilmente, ma ponevano nell’evidenza più drammatica l’insussistenza e la fallacia delle premesse da cui derivavano, quelle inerenti parametri e caratteristiche canonici per la realizzazione di un amplificatore come lo si considerava allora e lo si considera ancora oggi.

Requisito essenziale per apprezzare la sonorità del 3020 era innanzitutto la capacità di lasciarsi alle spalle i preconcetti dall’origine che abbiamo appena visto e spingono a ragionare su un criterio quantitativo, per il quale il di più è sempre e comunque raccomandabile. Si tratta del viatico migliore per la perdita di qualsiasi senso della misura, come le conseguenze di quella forma mentale hanno prodotto nella realtà di oggi.

Non solo nell’ambito della riproduzione sonora ma un po’ sotto tutti gli aspetti. Guardiamo ancora una volta quello dell’automobile: oggi si gira con mezzi dalle dimensioni, e quindi dalla tendenza allo spreco, moltiplicate rispetto all’epoca del 3020. Ci siamo talmente abituati al gigantismo che rivederle oggi ci sembrano macchinine delle giostre. Eppure anche allora ci si entrava in quattro, in cinque e a volte persino in sei e si viaggiava comodamente e con rapidità non dissimile da quella attuale.

La vera differenza sono ancora una volta pesi e dimensioni, dunque le potenze necessarie per muoverli, sulle quali per pura casualità si è messo in piedi un bel sistema di tassazione. Doppio, peraltro: uno sul carburante, tassato al 70% del prezzo alla pompa, e poi per mezzo della tassa di possesso.

Siamo sicuri che quel mezzo sia davvero mio, se dopo che l’ho pagato con denari già tassati alla fonte e in più avendoci messo sopra anche l’IVA, qualcuno m’impone persino la tassa sul suo possesso?

Calcolata oltretutto sulla sua potenza, che però la legge stessa mi vieta categoricamente di utilizzare liberamente, in funzione dei limiti di velocità vigenti su tutte le strade, nessuna esclusa, esistenti sul territorio.

Eccoci giunti all’apoteosi, al vero e proprio sogno dell’agente delle tasse e di chi ne intasca i proventi: tassare anche quello che è vietato.

Per imporne il rispetto di quei limiti, inoltre, si esegue un controllo che nulla ha a che fare con la sicurezza, dato che non si viene mai fermati al loro superamento così da interrompere il comportamento ritenuto scorretto, ma concepito esclusivamente per portare fiumi di denaro nelle casse dei cosiddetti enti pubblici.

Di fatto ciò costituisce una forma evidente di tassazione occulta, tanto più deprecabile in quanto si è voluta trasformare l’infrastruttura viaria, abbandonata nelle condizioni che sappiamo, in un bancomat lucrosissimo operante 24 ore su 24.

A difenderlo, l’associazione dei comuni d’Italia, che di fatto è e agisce alla stessa stregua di un sindacato, con le sue vertenze e contenziosi nei confronti dell’autorità centrale. Dove si è mai visto che le istituzioni di uno Stato si consorzino al fine di piegare lo Stato stesso ad accettare le proprie volontà di taglieggiamento indiscriminato nei confronti della popolazione?

Il gettito che ne deriva tra l’altro colpisce senza alcun criterio di progressività, anzi tutto al contrario. Dato che per il possidente che gira con SUV e cassonati che somigliano sempre più a carri armati i 2-300 euro di multa sono spicci, di fatto non bastano nemmeno per il pieno, ma per l’oltre il 62,5% della popolazione italiana che secondo le più recenti rilevazioni Eurostat ha difficoltà ormai insormontabili ad arrivare a fine mese e rinuncia persino alle cure mediche, somme del genere fanno la differenza tra il trovarsi o meno nei guai, peraltro irrisolvibili.

Quello che si vuol colpire in realtà, o meglio ancora reprimere con ogni mezzo, è la possibilità di movimento individuale. Ossia la vera origine, tra l’altro insostituibile nella realtà di oggi, della capacità di tutta la popolazione di mettere il pane sulla propria tavola, giorno dopo giorno.

Quante volte dunque è possibile e soprattutto lecito tassare gli stessi soldi? Burocrati e politici che del tassa e spendi fanno la loro attività preminente, insieme al voto a comando ovviamente, hanno già risposto con una voce sola: infinite.

Questo ovviamente nei confronti del piccolo, come tale indifeso. Nei confronti delle grandi società, invece, le istituzioni sono di una clemenza che va oltre l’inverosimile.

Come se non bastasse, infine, lo Stato ci viene anche a raccontare che i mezzi di oggi, ingombranti e pesantissimi, sono ambientalmente più sostenibili delle auto di un tempo, che invece sarebbero inquinanti in modo inaccettabile, veri e propri ecomostri.

Dunque non solo la tassazione sugli stessi denari è senza limiti ma anche l’inganno che le istituzioni perpetrano ai danni di quanti dovrebbero essere al servizio.

Per quale motivo allora si deve pagare per essere presi in giro in modo simile? Le istituzioni si ritengono obbligate a farlo? Benissimo, ma non pretendano che a tal fine si debba anche pagare, in tale misura oltretutto.

Questo peraltro è solo un aspetto del problema. Al riguardo credo sia utile considerare lo scandalo Equitalia, insabbiato ovviamente da tutti i media allineati, che ha emesso cartelle false e contraffatte per 15 anni su un ammontare di 217 miliardi di euro.

Qualcuno ha sentito parlare di multe, per il sistema di esazione-truffa col timbro di stato, o di processi e pene esemplari?

Anche per comprendere tutto questo, e poi valutarlo per come merita, occorre imparare a distinguere quantità e qualità e, a tal fine, capire cosa sia la qualità, aiutati peraltro da un amplificatore che a tale riguardo sembra fare del suo meglio.

All’atto pratico basta davvero poco: disponendo di una sorgente appena decente e una coppia di diffusori dalla sensibilità adeguata e timbricamente col minimo indispensabile di equilibrio. Dopodiché si porta il 3020 al punto in cui sull’indicatore del livello di uscita occhieggi discretamente la spia di 1 watt.

Inevitabile considerare poi che gli amplificatori come il 3020 non avrebbero materialmente permesso di arrivare a una realtà come quella attuale, nell’ambito della riproduzione sonora amatoriale. Ecco perché da un certo punto in poi si è deciso di chiudere con l’idea stessa che ha portato a concepirli, prima ancora che con la loro fabbricazione.

Tra l’altro sarebbero inadeguati anche per qualsiasi fattore economico come lo s’intende oggi: non ci sarebbe probabilmente modo di guadagnarci sopra abbastanza, appunto per i criteri odierni, secondo i quali se non hai il villone con piscina olimpionica, la macchina da trecentomila euro e il mega-yacht di Onassis ormeggiato nella località VIP sei un miserabile e un fallito. Nei fatti, allora, la loro realizzazione non sarebbe permessa.

Inutile domandarsi a favore di chi e cosa vada la diffusione di determinati criteri e stili di vita: darsi una risposta sarebbe come parlare al muro.

L’elemento riguardante la fotogenìa infine è altrettanto sentito: in una realtà in cui tutta l’importanza è attribuita al senso della vista, e la ridondanza diventa il primo comandamento proprio in virtù di quanto appena detto, oggetti come il 3020 perdono proprio il diritto di cittadinanza.

In maniera paradossale se vogliamo, oggi che è obbligatorio concederla a tutto e a tutti, se non vuoi sentirti dare del fascio-razzista. A tale proposito però nessuno considera che a furia d’importare terzo mondo è esattamente quello che stiamo costruendo, proprio qui da noi, ma con il costo della vita tipico dell’occidente industrializzato.

Un affare grandioso, altroché.

In realtà tutto questo non è ancora nulla: il vero problema del 3020 è che per il suo tramite si può avere soddisfazione con poco, troppo poco. Appunto la sorgente appena in grado di fare il suo lavoro e i due diffusori di buona sensibilità e di timbrica non catastrofica su tutta la linea menzionati qualche riga fa.

Peggio ancora, è in grado di indurre pace dei sensi nel suo ascolto, proprio grazie alle sue doti timbriche. Quindi non genera riflessioni del tipo “Cosa accadrebbe se al posto di questo mettessi quello, come andrebbe a migliorare la sonorità? E pensa poi se ci mettessi quell’altro…” Il tutto ovviamente coniugato secondo una crescita dei costi dalla progressione geometrica e istigato dalla stampa di settore. Ancora una volta, a vantaggio di chi?

Pertanto quest’integrato e tutti i suoi simili, dopo l’iniziale momento di sconcerto, sono sempre stati visti come il fumo negli occhi da fabbricanti, specie quelli della concorrenza ma non solo, come vedremo, distributori, dettaglianti, pubblicitari e scribacchini, ovvero tutti quanti avessero una funzione attiva nel settore e come tali abituati a fare in esso il bello e il cattivo tempo.

Tenere il destinatario del prodotto sempre sul filo, dandogli i motivi di rallegrarsi del suo acquisto, in particolare a livello di suggestione, ma nello stesso tempo facendo in modo che resti ben consapevole dei suoi limiti, che pertanto devono essere sempre ben appariscenti: questo è il modo per far si che sia sempre affamato di nuovi prodotti, descritti come lasciapassare imprescindibile per la soddisfazione definitiva, ma in realtà sistematicamente peggiori di quelli che li hanno preceduti.

 

Una vita travagliata

Vediamo ora la storia dell’esemplare di 3020 di cui ci stiamo occupando, abbastanza complicata ma anche dalla sua tipicità.

L’esemplare di 3020 del quale ci stiamo occupando è reduce da un periodo di utilizzo che dev’essere stato particolarmente intenso. Ad esso ha fatto seguito una seconda fase forse ancora più lunga di abbandono, per arrivare infine a un tentativo di riutilizzo in seguito al quale si sono manifestati i problemi tipici di una simile e tanto comune consecuzione di eventi. Perché tornasse a funzionare correttamente è stato necessario un intervento radicale.

Se c’è una cosa ancora peggiore di un utilizzo portato alle conseguenze estreme è appunto l’abbandono. Così nel momento in cui si va a ridare corrente a un oggetto lasciato al suo destino tanto a lungo escono fuori i problemi. Grossi ma per fortuna ancora rimediabili, almeno in questo caso.

Tentando di farlo funzionare, usciva effettivamente segnale musicale da entrambi i canali, sovrastato però da rumori e ronzii di ogni genere.

Si è dovuto pertanto revisionare a fondo l’amplificatore, con la sostituzione integrale dei condensatori elettrolitici. Oltre ovviamente alla verifica e alla riparazione dei danni prodottisi in tanto tempo, forse decenni.

Per l’occasione, invece di ricorrere alla componentistica dai marchi improbabili e impronunciabili oggi diventata alquanto comune, essendo la sola che almeno in una certa misura ha mantenuto i costi ai quali si era abituati un tempo, è stato deciso di utilizzare un prodotto di qualità ovunque possibile, in particolare laddove gli spazi disponibili lo permettessero.

Sempre dove possibile si è cercato di utilizzare componentistica di valore elettrico più allineato alle concezioni attuali, in particolare per quanto riguarda le capacità di filtraggio e l’alimentazione delle diverse sezioni circuitali.

Va bene che il 3020 non è chiamato a erogare chissà quali potenze, ma gli esemplari da 4700 uF montati all’origine, sembrano un po’ pochini. Così si è deciso il ricorso ad una coppia di robusti esemplari da 10.000 uF, attualmente i soli disponibili dalle dimensioni contenute abbastanza da entrare senza problemi negli spazi predisposti, oltreché dotati di terminali a reoforo. In tal modo si è conferito all’elettronica un serbatoio di energia di maggiore capienza cui attingere, a vantaggio del comportamento durante i transienti e più in generale sui picchi di segnale.

Ad ogni elettrolitico che si andava a rimuovere si è trovato sistematicamente dell’acido sotto di esso, appunto in conseguenza delle vicissitudini passate dell’integrato. E forse anche della qualità non proprio d’eccellenza della componentistica utilizzata in origine. Tanto meglio: l’occasione è venuta buona per mettere al suo posto materiale di prim’ordine.

Per fortuna l’intervento è stato deciso in tempo e l’acido non ha avuto modo di andare troppo in giro a far danni, limitati anche dallo stampato a faccia singola, ossia con le piste sistemate solo su un lato di esso, quello inferiore.

Fosse stato un doppia faccia, tipologia realizzativa ben più moderna e a favore della quale la stampa di settore ha sbrodolato a lungo, probabilmente l’amplificatore sarebbe stato da buttare. Comunque avrebbe richiesto un intervento di ricostruzione molto più complesso, costoso e incerto nei risultati.

Questo ci fa capire come il progresso, l’integrazione delle funzioni e la riduzione delle dimensioni, generalmente decantati da tutte le fonti, abbiano anche i loro lati negativi.

In particolare proprio per le questioni ambientali oggi così di moda, dato che costringono a buttare roba che altrimenti potrebbe ancora funzionare, senza ingombrare ulteriormente discariche già piene oltre l’inverosimile.

Nelle condizioni in cui si trovava il 3020, l’acido va a staccare le piste di stampato dal supporto cui erano ancorate in origine. Questo comporta il dover ricostruire i tratti saltati via oltre al rischio che i componenti sostituiti non facciano contatto come dovrebbero. Ognuno di essi quindi deve essere verificato con grande attenzione, il che ovviamente porta via tempo, parecchio, e quindi fa salire i costi di ripristino.

D’altronde molto dell’usato “vintage” sopravvissuto fino a oggi è un residuato di cantine o soffitte e proprio l’abbandono è l’origine del danno maggiore, più ancora e in larga misura del più esasperato degli utilizzi.

A completamento del lavoro è stato montato un cavo di alimentazione finalmente decente. Anche in questo caso niente di che: un semplice 3×2,5 mmq comunque migliore di quello d’origine, buono al massimo per il lumino del cimitero.

Non esistendo lo spazio necessario per montare la classica presa IEC tripolare, a meno di eseguire lavori fin troppo distruttivi per il pannello posteriore e ancor più per quello che vi si trova subito dietro, si è deciso di allargare semplicemente il foro già esistente per poi guarnirlo con un passacavo di dimensioni opportune.

Non sarà il massimo dell’eleganza, ma la funzionalità c’è tutta, a partire dalla spina, ora di qualità decente.  Se ne avvantaggiano le condizioni operative dell’integrato, finalmente meno penalizzate rispetto alle scelte d’origine.

Questo lavoro ha permesso anche di realizzare la connessione di terra, a suo tempo prevista all’interno del telaio con tanto di stampigliatura, ma poi inutilizzata per via dell’adozione di un cavo a due soli conduttori. Anche le norme di sicurezza hanno così ricevuto le attenzioni dovute.

 

Abbiamo parlato poco tempo fa di valore d’uso: ecco, quello di un 3020i rimesso a posto con cura ma senza esagerare è praticamente imbattibile. Ci spendi qualche soldo per acquistarlo, qualcos’altro per revisionarlo, e magari anche irrobustirlo, e a una cifra ancora abbordabile hai un amplificatore che per trovare qualcosa che abbia una sonorità comparabile, ammesso che lo si trovi, specie sul nuovo ormai votato quasi del tutto alla mefitica Classe D, non si sa quanto ci sarebbe bisogno di spendere.

Per avere cosa? Meglio lasciar andare.

 

1060

Il Marantz ha avuto una vita alquanto meno sofferta. Nel momento in cui mi è pervenuto era in condizioni d’uso e ancora in grado di funzionare in maniera sostanzialmente corretta. Infatti era parte di un impianto utilizzato di tanto in tanto.

Come tale non ha avuto bisogno di essere sottoposto a interventi di sorta prima del suo ascolto. Se questo può essere gradito, specie dal punto di vista di un eventuale compratore, diventa uno svantaggio nel momento in cui lo si sottopone a una prova a confronto con un’elettronica restaurata, che dal canto suo è favorita già in partenza.

Anche il 1060 ha una sua piacevolezza timbrica. L’ascolto eseguito per il suo tramite è improntato a chiarezza e pulizia piuttosto buone, abbinate alla tendenza a portare un pochino in avanti le frequenze medie tipica delle elettroniche del costruttore. Se il non aver avuto bisogno d’intervento costituisce un vantaggio considerevole, in particolare agli occhi di chi una volta speso il denaro necessario al suo acquisto preferisce non dover mettere ulteriormente mano al portafogli, dall’altra parte i livelli di qualità sonora tipici del 3020 gli sono del tutto preclusi.

Qui si entra nel campo delle congetture ma è improbabile che anche dopo un intervento di ripristino, per quanto approfondito, possa ambire a determinati traguardi. Resterà comunque un amplificatore piacevole da ascoltare e utilizzare, adattissimo per un impianto vintage da allestire senza andare incontro a spese pazze e capace di dare buone soddisfazioni, ma certi exploit non sono proprio nelle sue corde.

L’estetica pertanto resta forse il punto di vantaggio maggiore e più appariscente, tale da renderlo ideale per far parte di una collezione di apparecchiature da esporre in forma statica, ossia dietro una vetrina. Tipo d’impiego per il quale invece il 3020 non è assolutamente tagliato, stante il suo aspetto umile, se non in funzione di testimonianza.

 

Il dopo 3020

Come abbiamo visto già in occasione dei diffusori B&W CDM 1, la cui eredità fu raccolta da modelli in apparenza destinati a migliorarli ma in realtà del tutto inadatti anche solo per un paragone con essi, gli amplificatori che fecero seguito al 3020 hanno conosciuto lo stesso destino.

Il 3220 e peggio ancora il 3240, per quanto pubblicizzati come integrati in tutto e per tutto migliori del capostipite, in realtà non sono stati in grado di replicarne le gesta, neppure alla lontana.

Con essi si volle in primo luogo porre rimedio alla scarsezza di potenza del predecessore, tutto sommato relativa, specie se osservata con gli occhi di oggi e più ancora considerando la sensibilità dei diffusori attuali. Vi si riuscì in buona misura ma a danno della sonorità complessiva dei nuovi arrivati, che purtroppo non aveva più nulla a che spartire con quella affascinante del 3020, vero motivo del suo successo.

L’operazione è riuscita ma il paziente è morto, detto non a caso sempre in voga in ambito medico e oltretutto ben fondato. Del resto le cure mediche e i medicinali dei quali si servono sono la terza causa di morte in assoluto, come certificano le statistiche realizzate dal British Medical Journal.  Casualmente, a quel dato non si è dato peso alcuno nel periodo durato quattro lunghi anni in cui “Io credo alla $cienzah” è stato lo slogan su cui si è battuto in maniera mai così ossessiva e ripetuto a pappagallo, o meglio ancora come un mantra.

Per come stanno andando le cose, è probabile anche che nel prossimo futuro la causa in questione salirà ulteriormente di posizione, specie se ci si deciderà infine a smettere di fingere di aver dimenticato a quale genere  di “terapia” si sono forzati a sottomettersi tutti i popoli del cosiddetto mondo industrializzato.

In buona sostanza, allora, nel momento in cui si è andati a toccare la modalità realizzativa del 3020 lo si è rovinato irrimediabilmente, facendogli perdere tutte le peculiarità soniche che tanto favore hanno incontrato tra il pubblico.

Infatti il solo intervento che ha indotto un miglioramento è stato quello riduttivo, stante nell’eliminare tutto quanto non fosse strettamente necessario, controlli di tono eccetera, dando vita al 3120.

Quando invece si è intrapresa la strada opposta, ossia verso l’aggiunta, di potenza e di quanto necessario a ottenerla, i risultati sono stati quelli appena appena descritti. Il che ritengo sia meritevole di una profonda riflessione riguardo all’approccio stesso nei confronti della realizzazione di una qualsiasi apparecchiatura destinata alla riproduzione sonora.

Con particolare riguardo al minimalismo, che ancora una volta si rivela strada maestra per l’ottenimento di prestazioni ragionevolmente elevate, non a caso del tutto abbandonato ormai da tempo nelle scelte dei prodotti che vanno per la maggiore. Coi risultati che tutti noi stiamo osservando ormai da troppo tempo, inerenti uno scadimento che sembra non avere limiti.

D’altronde se ci si sente forzati a rimpinzare sempre più le apparecchiature, per renderle più ricche e quindi vendibili a prezzi sempre più elevati, o altrimenti per cercare di incontrare i gusti di un pubblico al quale si è fatto di tutto per portarlo a desiderare tutto e tutto il suo contrario, tutto insieme ovviamente, quali risultati ci si aspetta di ottenere?

Il dubbio allora, nell’esperienza dei CDM 1 ora comprovato da quella del tutto simile riguardante il 3020 è che certi risultati li si ottenga per pura casualità. Proprio perché, nel momento in cui si cerca di migliorare ancora, la sola cosa che si riesce a ottenere è di fare danni. Tra l’altro irrecuperabili.

E’ vero del resto che il capolavoro arriva in modalità del tutto casuale e di esso, qualunque sia il campo in cui si realizza, non esiste ricetta. Quante volte si è provato a realizzarlo a priori, ossia mettendosi a tavolino con l’intenzione di arrivare proprio ad esso, in maniera del tutto consapevole. Mai si è trovato un modo di giungere più direttamente a risultati così disastrosi, con opere tronfie e colme di supponenza, probabilmente figlie dell’aver scambiato come sempre qualità con quantità. Ovverosia la deformazione tipica del misurista incallito.

Dunque, al di là dei proclami di onnipotenza in cui l’industria maggiormente legata alla tecnologia, i suoi funzionari e la propaganda ad essi legata amano indulgere in pratica da sempre, ma che la realtà dei fatti fa somigliare sempre più a puro vaniloquio, quel che abbiamo potuto osservare fin qui tende a suggerire che anche il prodotto davvero ben suonante, effettivamente capace di ergersi al di sopra della mediocrità in larga misura, sia frutto del caso.

Proprio perché ogniqualvolta si è provato a fare di meglio, sia pure partendo da una base di efficacia simile, i risultati sono stati disastrosi. Oltretutto con una sistematicità da non lasciare spazio a dubbi.

L’unico che resta in piedi è se per caso non lo si sia fatto apposta a rovinare quanto di buono fatto in precedenza, forse perché lo si riteneva troppo. Come tale, fonte di problemi a non finire.

Innanzitutto perché il pubblico si vizia e poi potrebbe iniziare a pretendere quel che non vi è intenzione alcuna di concedergli. In secondo luogo perché il prodotto troppo valido getta una luce sinistra su tutto quanto è realizzato secondo i canoni consueti e rischia di renderlo visibile per quello che è in effetti.

Dunque, se per errore si realizza un prodotto troppo al di sopra della media, e che, come tale, potrebbe soddisfare le richieste del mercato molto a lungo e più ancora gli assalti della concorrenza, inopinatamente lo si toglie di mezzo nel tempo più breve.

A questo riguardo gli esempi che si potrebbero fare sono moltissimi, non solo nell’ambito della riproduzione sonora ma in qualsiasi settore commerciale.

Il prodotto troppo valido e dalle prestazioni troppo elevate per il segmento in cui va a inserirsi è un evento deprecabile e pertanto va evitato in ogni modo. Se per sbaglio se ne realizza uno, la cosa migliore è far finta di niente, sperando che nessuno se ne accorga, per poi toglierlo di mezzo alla prima occasione propizia e senza dare troppo nell’occhio.

Questa tesi tuttavia trova una contraddizione proprio nel 3020, a suo tempo realizzato in diverse serie: 3020 “normale”, 3020 A, 3020 B, 3020 I e chissà quante altre. Non chiedetemi quali fossero le differenze tra l’una e l’altra, perché col caldo di questi giorni non ho proprio la forza per un’indagine al riguardo.

Dunque NAD ha cercato in ogni modo di trarre vantaggio dal fenomeno prodottosi grazie all’amplificatore più noto di tutta la sua storia, tranne che quando ha tentato di rifarlo, in meglio ossia aggiornato e più potente è andato incontro al patatrac.

In breve tempo vi ha costruito sopra un patrimonio di attendibilità, per il marchio e il suo prodotto, che ha poi debitamente provveduto a dilapidare in maniera ancor più rapida.

C’è modo e modo di fare le cose e in quel caso NAD ha scelto la via più complessa e arzigogolata, stante nel dispositivo denominato Power Envelope. In pratica si trattava di un’alimentazione a doppia tensione, con quella di voltaggio superiore che entrava in funzione quando richiesto dall’andamento del segnale.

Poteva sembrare un’idea geniale, soprattutto per stare entro costi di fabbricazione adeguatamente bassi, ma è altrettanto evidente che introdurre un elemento di tale discontinuità, affiancato oltretutto da tutto il necessario affinché funzioni nel modo desiderato, non poteva non avere effetti controproducenti.

In realtà il Power Envelope altro non era che una diversa coniugazione del concetto di Soft Clipping già applicato al 3020. Solo che invece di essere attivata su base volontaria e in modalità fissa, la limitazione della tensione di alimentazione era imposta d’ufficio. Facendo si che nel momento in cui si dimostrasse limitativa, in funzione delle caratteristiche del segnale d’ingresso e della quantità di potenza in uscita necessaria a non causargli compressioni, si potesse passare a una tensione superiore.

In apparenza era un’idea geniale e così fu salutata dalla stampa di settore. In realtà è stata l’ennesima dimostrazione, nonché una tra le migliori, che di buone intenzioni è lastricata la via dell’inferno.

Così è stato e malgrado fossero più potenti e in grado di abbinarsi a una gamma ben più ampia di diffusori, i nuovi arrivati non poterono che causare delusione tra il pubblico, malgrado fossero stati salutati come il meglio del meglio dalla stampa di settore. In tal modo ha dimostrato quali siano le sue doti di eccellenza che consistono essenzialmente nel non beccarla mai.

Prima col 3020, del quale non è stata capace di comprendere la reale validità, se non dopo essere stata imbeccata dal pubblico cui si rivolge, secondo modalità imbarazzanti per la stessa gerarchia in cui ritiene di ricoprire una posizione dominante su quella dei suoi destinatari. Poi, e peggio ancora, quando ha salutato i modelli successivi con un’enfasi spropositata, della quale non vi era ragione alcuna dato che suonavano in maniera mediocre, a essere buoni.

Le veline però dicevano che i nuovi modelli sarebbero stati come sempre incomparabilmente superiori rispetto a quel che andavano a sostituire e pertanto lo si doveva scrivere. E’ vero inoltre che l’addetto di redazione sa perfettamente e per istinto cosa gli è richiesto, quindi anche senza imbeccata sa già quel che deve fare.

Così va il mondo, ma non c’è verso che certuni se ne facciano una ragione, anche se va riconosciuto il loro talento inarrivabile nel procedere come se nulla fosse, con grande faccia di bronzo. Continuano infatti a comportarsi come se fossero chissà chi e chissà quali vette abbiano raggiunto, nel corso della loro opinabile carriera. Tanto qualcuno che ci crede lo si trova sempre. Quella d’altronde è la loro parte in commedia e nel momento che la si accetta occorre recitarla fino in fondo. C’è chi se la sente e chi no, ma questo fa parte delle scelte di carattere personale.

Ecco allora che proprio nel momento in cui sei convinto di trovarti al vertice assoluto, come quando sia pur disponendo di ben poche risorse sei riuscito a dar vita a un oggetto dalla sonorità tanto fuori dal comune come quella del 3020, in realtà sei già lungo la china discendente. Le sue conseguenze non tarderanno a palesarsi con dei modelli ai quali hai la certezza di aver infuso prerogative ancora migliori, ma che invece non riusciranno a reggere non dico il paragone, ma neppure la possibilità di considerarne uno.

Il 3020 infine ha dato prova una volta di più delle sue doti sorprendenti nel momento in cui è stato utilizzato per il primo collaudo di un DAC sottoposto all’intervento atto a equipaggiarlo di una sezione di uscita valvolare. Nell’occasione ha evidenziato non solo di potersi avvalere di un miglioramento parecchio significativo per quel che riguarda la sorgente, ma anche di riuscire a dare un rendiconto di esaustività inattesa per gli aspetti sui quali si articola la sua superiorità nei confronti del pur valido lettore Rotel, tra l’altro ottimizzato, con cui è stato condotto il resto dell’ascolto.

In effetti non è molto probabile che un amplificatore integrato di costo simile sia utilizzato in abbinamento a un DAC d’impegno simile, ma il suo essersi dimostrato all’altezza anche di un compito tanto arduo credo costituisca la riprova migliore del potenziale che ha nelle proprie corde, in termini di qualità sonora.

In conclusione, dopo averlo ascoltato con il dovuto approfondimento e preso atto delle piccole meraviglie che è in grado di materializzare le domande saltano fuori, impellenti e inevitabili: dove siamo andati da allora a oggi? Per ottenere cosa e a favore di chi? E i gazzettieri di regime cosa facevano nel frattempo, dove guardavano, cosa ascoltavano? E peggio, cosa consigliavano?

In sostanza, il 3020 è stato e rimane tuttora uno tra i migliori esempi immaginabili di riproduzione sonora a misura d’uomo, realizzata per dare piacere d’ascolto e soddisfazioni memorabili. Tutto il contrario di quella attuale, con le sue manie di grandezza, sempre più spesso tendenti allo smisurato e persino all’assurdo. Pare fatta apposta per indurre null’altro che a una dilapidazione continua il cui risultato è frustrazione, sistematica, e probabilmente è tale per davvero.

 

 

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2 thoughts on “Scontro fra titani: Marantz 1060 – NAD 3020i seconda parte

  1. Buonasera Claudio, complimenti per l’articolo dedicato a due macchine storiche, sebbene appartenute ad un mercato di fascia più economica se mi consenti il termine. Mi chiedevo se a tal proposito hai mai avuto modo di ascoltare il minuscolo e vecchiotto integrato Cambridge Audio A1, che a me ha lasciato piacevolmente e sinceramente stupito, avendolo acquistato usato per regalarlo a mio padre, e dandomi la sensazione di trovarmi di fronte qualcosa di pregio per le mie orecchie

    1. Ciao Antonio,
      grazie dell’apprezzamento.
      Di A1 a suo tempo ho avuto modo di ascoltare il Musical Fidelity, anch’esso leggendario.
      Non dubito che anche il Cambridge fosse su quella falsariga, la tradizione dei piccoli inglesi non è nata per caso.
      Oggi quel filone è del tutto abbandonato, dagli stessi marchi che allora lo hanno fatto grande, per motivi in parte descritti nell’articolo. Resta l’usato, testimonianza di una via diversa ed enormemente più efficace alla riproduzione sonora, alternativa sia pure di nicchia alla massificazione oggi imperante.

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