I “magici” lettori CD degli anni 80

Qualche giorno fa ho ricevuto il messaggio seguente.

Buongiorno sig. Checchi, ho scoperto da poco il suo sito che trovo molto interessante e, oltre a complimentarmi con lei, vorrei approfittare della sua conoscenza in materia Hi-Fi per chiederle cosa ne pensa della teoria che vedrebbe i primi lettori CD degli anni 80 come macchine estremamente bensuonanti, e come panacea di tutti i problemi che affliggono il loro formato.
In particolare vorrei sapere se ha mai ascoltato e come considera l’idolatrato Grundig CD 7500 o Philips CD 303, a detta di molti un lettore sensazionale rimasto insuperato da tutto ciò che è venuto dopo.
Personalmente sono un soddisfatto possessore di un Marantz CD63 KIS (che vedo recensito anche sul suo sito). Lo trovo molto musicale ed allo stesso tempo dettagliato e presente, le chiedo, secondo lei ci guadagnerei molto sostituendolo con uno dei lettori citati?

Cordialmente
Emiliano

 

Ciao Emiliano,
grazie dell’apprezzamento.

La tua gradita domanda riguarda una tendenza oggi piuttosto diffusa, che a sua volta pone in evidenza come la lunga epoca di dominazione del CD, durante la quale l’analogico è stato messo da parte e dato addirittura per morto dall’oltranzismo digitalista, sembri aver prodotto l’effetto più tipico degli eventi di quel tipo. Ovvero una sorta di analfabetismo di ritorno, che in maniera curiosa non ha riguardato solo l’analogico ma anche lo stesso digitale.

D’altronde non si nasce imparati e, una volta venute meno le fonti che diffondano la cultura necessaria, orientarsi in un settore tecnicamente complesso e che presuppone il possedere doti di sensibilità non comuni solo per iniziare a cercare il bandolo della matassa nelle sue implicazioni pratiche, le conseguenze non possono che essere quelle appena menzionate.

Come ripeto spesso, è la conoscenza del passato che permette di comprendere il presente e valutare in modo più attendibile le prospettive del futuro prossimo.

Chi ha vissuto in età sufficientemente matura quel decennio che a me piace chiamare dell’impazzimento di massa, secondo solo a quello che stiamo vivendo attualmente, è probabile ricordi le diatribe nate sulla questione inerente il digitale nei confronti del suo predecessore.

Soprattutto nella sua prima ora e in seguito in maniera via via più sfumata, stante da una parte il suo miglioramento e dell’altra l’abitudine ai suoi limiti che andava diffondendosi, il digitale ha conosciuto un fermo rifiuto da parte degli appassionati. In particolare quelli che avevano fatto in tempo a maturare il necessario livello di esperienza con l’analogico, erano giunti a possedere un impianto di un certo livello qualitativo e, soprattutto, rivolgevano l’attenzione maggiore non ai numeri del lotto che per l’occasione le riviste di settore si diedero a sfornare con zelo mai visto prima, ma a quel che suggeriva il paio d’orecchie fornito loro da madre natura, mediato dal necessario buonsenso.

Ecco perché quest’ultimo è visto come il fumo negli occhi dai tecnocrati di ogni epoca e dagli aspiranti tali, i quali notoriamente fanno a gara per trovare le teorie che lo contraddicano nel modo più radicale e chiassoso possibile.

Allo scopo è stato coniato anche il termine adatto, “controintuitivo”, usato nella maggior parte dei casi per sostenere l’attendibilità delle corbellerie più fantasiose.

Proprio quei numeri, così estremi e roboanti nel loro significato sulla carta, trovarono e trovano tuttora una smentita tanto secca quanto significativa nell’esperienza d’ascolto. A iniziare da dinamica e separazione che sulla carta sarebbero inesorabilmente a favore del digitale, ma all’atto pratico vengono tuttora ridimensionate da un qualsiasi analogico messo in condizioni di esprimere una parte ragionevole del suo potenziale.

Di tutti i numeri a corredo del nuovo formato, in sostanza solo quello inerente il rapporto segnale/rumore trovava una conferma.

Proprio su quell’unico dato venne imbastita la panzana della perfezione assoluta del digitale, sulla base della sentenza emanata dai leggendari panel d’ascolto, organizzati a loro dire dagli stessi artefici del nuovo sistema. Tuttavia non si ebbe mai una prova materiale che siano esistiti per davvero. Ad esempio a livello fotografico, corredato da un elenco debitamente controfirmato di nominativi ad essi partecipanti eccetera. Così che si potesse valutare con quali condizioni d’ascolto, a che titolo e su quali competenze venivano emanati i relativi giudizi.

Come dico spesso, le parole hanno grandissima importanza. A parte il fatto che non era vero, definendo perfetto il digitale della prima ora e dando a quella pretesa un adeguato sostegno propagandistico ci metteva al riparo di qualsiasi critica. Pertanto, chiunque avesse dubbi sulla sua effettiva qualità di riproduzione non poteva essere che un incompetente. Proprio in conseguenza del frame, o cornice concettuale, prodotta per mezzo di quella definizione, con il necessario concorso dei prezzolati sapientoni che dalla loro cattedra l’andavano a supportare. Così facendo misero a repentaglio la loro presupposta autorevolezza, che infatti sappiamo bene la fine che ha fatto. Solo che allo scopo ci sono voluti anni, quindi il gioco li per li ha funzionato.

Dei panel summenzionati, insomma, tutti parlavano, ma nessuno seppe mai come, dove, quando e in quali condizioni si siano tenuti.

Il che, osservato in questi termini, non può che suscitare in qualsiasi osservatore dotato del minimo di attenzione un parallelo con quanto sta avvenendo oggi, riguardo al preteso stato di salute di tutti noi o alle misure di costrizione della libertà individuale e di devastazione dell’economia che si stanno imponendo con quel pretesto.

Secondo la Caritas, che notoriamente non è emanazione del Partito Comunista Rivoluzionario, in Italia l’incidenza dei nuovi poveri è salita da 31, che è già una cifra intollerabile, al 45%. Mezza Italia si ritrova in mezzo a una strada. E ancora sono in vigore il divieto di licenziamento e cassa integrazione. Cosa accadrà dal prossimo gennaio, quando tali regole non saranno più in vigore?

Per non parlare degli articoli di fede, come quello inerente lo straccio da spolvero che messo sulla faccia è capace di fermare i virus di letalità più micidiale. Non vi è dubbio alcuno che si tratti dell’invenzione del secolo. La lampadina di Edison o l’aeroplano al confronto sono roba da asilo.

 

Sempre e solo una questione di soldi

Di fatto insomma, il CD non servì tanto a far fare quel salto epocale alla riproduzione sonora amatoriale che l’industria di settore e i suoi cantori a un tanto a cartella pretendevano. Proprio perché per il suo tramite la qualità sonica faceva un evidente passo indietro. La cosa in cui il nuovo sistema riuscì nel modo più efficace fu di porre finalmente in evidenza la profondità dello scollamento tra le misure di laboratorio e l’esperienza d’ascolto, che andava sistematicamente a smentire i numeri e i grafici da esse scaturiti.

Fino ad allora, infatti, alle misure era stata attribuita una sostanziale affidabilità nel definire i valori in campo e proprio il CD ne mise sotto gli occhi di chiunque la volesse vedere non solo l’inverosimiglianza, ma soprattutto l’incapacità di definire una realtà a livello qualitativo che andasse oltre i parametri più elementari della riproduzione sonora.

Pertanto, se il CD gonfiò a dismisura il conto in banca di chi controllava i mezzi di (dis)informazione che battevano la grancassa a suo favore con un martellamento mai visto prima d’allora, e in misura ancora maggiore la loro boria a livello personale e nei rapporti con gli altri, per contro diede inizio alla china discendente della loro reputazione e delle testate che dirigevano, che in breve sarebbe divenuta un precipizio di cui ancora non si riesce a intravvedere il fondo.

Proprio come dell’analogico ancora non si sono trovati i limiti definitivi.

Gli eventi s’incaricarono di dimostrare come fatto salvo l’unico aspetto del rapporto segnale/rumore, ossia della silenziosità di fondo del sistema e di conseguenza del supporto, tutto il resto delle pretese qualità attribuite al CD fosse un falso. Macroscopico oltretutto.

A iniziare dalla pretesa indistruttibilità. Secondo i suoi artefici il CD doveva essere un supporto eterno, quando invece può bastare un semplice graffietto per renderlo definitivamente inutilizzabile.

Certo, per via dell’elettricità statica da cui è gravato e nessuno ha voluto mai eliminare malgrado sia possibile, l’LP tende ad attrarre polvere e sporcizia; se si graffia dà luogo ai fastidiosissimi disturbi, i famigerati “toc” che si ripetono giro dopo giro. Il supporto rimane tuttavia utilizzabile. Al contrario il CD diventa inservibile  non solo in base a eventi diciamo così catastrofici, ma anche per le note forme di degrado interno che rendono il supporto illeggibile e di conseguenza buono per la discarica.

Quel degrado non riguarda soltano i supporti scrivibili ma anche i dischi di produzione ufficiale, come qualsiasi collezionista sa bene, avendo almeno qualche esemplare in condizioni siffatte nella sua raccolta.

Paradossalmente, questo è stato il destino di un titolo in particolare della collana edita dalla stessa casa editrice che nel nostro Paese si è schierata nella maniera più estremista a favore dell’audio a codifica binaria.

Insomma, se osservata nei suoi diversi aspetti, la vicenda della nascita del CD e della sua imposizione è oltremodo istruttiva e svela un modus operandi che è sempre lo stesso, come vediamo ai giorni nostri.

Si comincia con un’azione di discredito quando l’oggetto o il sistema che dovrà trarne vantaggio ancora non è disponibile, che serve a dissodare e preparare il terreno. Si prosegue poi con un’opera colossale di menzogne e falsità le più varie, che trovano sempre chi è pronto a ripeterle a pappagallo, demonizzando quanto è divenuto scomodo. Nel contempo si decantano e sopravvalutano con una crassa partigianeria le caratteristiche del nuovo, diverse tra le quali sono inesistenti, indimostrabili o del tutto inventate.

In tutto questo non manca mai chi si sente in dovere di dimostrare al mondo di essere un fenomeno più grande di tutti gli altri, esasperando quanto descritto fin qui per poi aggiungervi del proprio, così da far vedere a chi tira le fila di tutta l’operazione di essere un maggiordomo scrupoloso e diligente.

Quindi degno di assurgere ai vertici, ma sempre e soltanto dei ranghi propri della servitù. Di essa notoriamente ci si serve fino a che la si trova utile, per poi liberarsene con un bel calcio nel didietro.

Come vediamo, per svettare nella pletora dei camerieri si ricorre a volte all’insulto e alla violenza, ovviamente rivolta agli antagonisti della fazione di cui ci si è posti al soldo. Questo è avvenuto puntualmente anche riguardo alla questione di cui ci stiamo occupando.

 

Il grande confronto

In occasione della fiera di settore che si svolgeva annualmente in quella un tempo era nota come la Capitale morale del Paese, qualcuno ebbe l’idea brillante di organizzare un confronto pubblico tra la riproduzione da LP e quella da CD, non mancando d’invitare all’evento i più noti sostentori della nuova tecnologia.

In particolare della lista faceva parte il gruppo dirigente della rivista di settore che più di tutte si era messa in luce nel cantare le lodi del digitale. Per pura combinazione quella rivista, e la casa editrice che la mandava in edicola, erano nate solo qualche mese prima della presentazione del nuovo supporto, a seguito di una diaspora improvvisa che aveva lasciato senza personale la redazione della rivista di cui i partecipanti del colpetto di mano avevano fatto parte fino ad allora. Questa era la più vecchia e rinomata del settore e dovette interrompere le pubblicazioni per diversi mesi, senza che se ne sapesse più nulla.

Anche quando riuscì a tornare in edicola non sarebbe stata più quella di prima. Per quanto chiunque conosca tutta la storia non saprebbe se dolersene o rallegrarsene.

Di fatto, pertanto, la nuova rivista di cui abbiamo visto sia pure per sommi capi le origini, messa in piedi in quattro e quattr’otto per propagandare il verbo del digitale, come appare tra l’altro evidente dalla lettura dei testi in essa pubblicati, ebbe campo libero. Nell’ambito delle pubblicazioni “tecniche” fu in concreto la sola voce attiva e di conseguenza quella cui gli appassionati potessero fare riferimento.

Da quel confronto con l’analogico che ebbe luogo nella grande fiera di settore, evento che all’epoca monopolizzava tutto l’ambito della riproduzione sonora a livello nazionale, il CD non uscì con le ossa rotte ma peggio. Ne venne proprio devastato.

Al punto che il vertice nazionale della fazione a suo favore, quella che aveva messo in piedi il suo organo di stampa in maniera così edificante, si sentì in dovere di uscire con un editoriale nel quale si attaccava a tutto campo l’analogico e i suoi sostenitori, non esitando ad apostrofare chiunque ardisse a non passare armi e bagagli a favore del digitale, e senza distinzione alcuna tra operatori e appassionati, come un ignorante retrogrado, interessato solo alla difesa dei propri interessi personali.

Parole testuali, leggibili nella raccolta degli arretrati che chiunque può consultare.

Oltre a definire in maniera inequivocabile la statura etica e intellettiva di chi dia la stura in maniera siffatta alle proprie frustrazioni, parole simili pongono in evidenza quanto sia puerile l’indole vendicativa del falsario che, messo coi fatti di fronte alla menzogna che senza posa s’industria a propagare, oltretutto a pagamento, non esita a ricorrere alla violenza.

Accusare infine chi si limitasse ad accettare la realtà e la natura delle cose, in questo caso ogni assertore della superiorità dell’analogico, di essere proteso alla salvaguardia d’interessi personali è alquanto fuoriluogo da parte del capocordata che allo scopo di fare da grancassa al digitale ci ha addirittura fondato una rivista, oltretutto in modi e tempi tali da ridurre al silenzio ogni voce potenzialmente dissenziente.

Si dice che ognuno misuri gli altri col proprio metro: personalmente in quell’accusa ci vedo in primo luogo la sintesi più efficace delle azioni compiute da chi l’ha pronunciata.

Più di tutto però, questo lascia intendere la funzione concretamente distruttiva assunta da ciò che invece avrebbe dovuto far conoscere e diffondere la riproduzione sonora amatoriale nel suo complesso. A dimostrazione che quando si antepongono a qualsiasi cosa gl’interessi personali e così facendo si riduce il settore in cui si opera a strumento per il loro ottenimento, il danno che vi si arreca è incalcolabile.

Nella pretesa, tuttavia, di avergli conferito chissà quale impulso.

Di fatto pertanto, essendo questo il suo modus operandi, la pubblicistica di settore ha avuto e sta avendo tuttora responsabilità enormi riguardo alle avversità che hanno colpito la riproduzione sonora amatoriale.

Dunque, paradossalmente, il suo stato di salute sarebbe molto migliore qualora non avesse avuto il supporto di certa stampa specializzata.

Quell’uscita fuori luogo e fuori misura, dà ancora oggi un’idea attendibile dell’esasperazione degli animi esistente all’interno di quella che potremmo definire ala digitalista. Da un lato pienamente conscia di aver agito in malafede plateale e dall’altro basita nel veder crollare il piedistallo su cui aveva innalzato la mitologia tecnica che riteneva inattacabile, e di conseguenza sé stessa.

Al di là di tutto questo fu il martellare continuo a discredito dell’analogico a fare il vero lavoro, del quale si sarebbero visti i frutti in capo a qualche anno.

Inoltre, se quello appena descritto fu l’evento che fece più rumore a livello pubblico, proprio per l’azione volta a sconfessarne gli esiti da parte di quanti ne erano usciti malconci, nel suo piccolo ogni appassionato sapeva perfettamente quale fosse la risposta al quesito inerente la superiorità tra analogico e digitale. In conseguenza delle dimostrazioni del nuovo sistema che avevano luogo nelle mostre di settore, anche allora organizzate un po’ in tutta Italia a traino di quella maggiore, e più banalmente con quel che era possibile ascoltare nei negozi specializzati, in maniera ancor più significativa.

 

Rimozione forzata

Al di là di valutazioni che per quanto condivise dalla stragrande maggioranza degli appassionati restavano pur sempre soggettive, si può ritenere che la misura concreta dei valori in campo sia suggerita dall’urgenza e dalla sistematicità con cui l’analogico fu tolto di mezzo, mediante un’operazione a tappeto che coinvolse la quasi totalità delle rivendite di materiale discografico, dalle quali il supporto analogico venne eliminato nel giro di qualche anno.

Si disse per motivi di costo, dato che l’industria discografica non avrebbe potuto sopportare l’onere di tenere in vita due supporti concorrenti. A parte che questo era sempre avvenuto, basti pensare agli LP e ai nastri Compact Cassette che si erano divisi più o meno equamente il mercato fino ad allora, non è che l’opera riguardante il radere al suolo l’analogico sia stata a costo zero, tutt’altro.

Il suo vero significato è che era stata progettata e messa in opera con l’intenzione di non fare prigionieri.

Fu così che le scorte di magazzino riguardanti il supporto vinilico vennero liquidate. Nella Capitale ci fu un negozio molto noto, forse il più grande, che smaltì tutto il suo parco LP vendendolo a 500 Lire al pezzo. Somma ridicola, non ci si comprava più nemmeno un ghiacciolo, e molto inferiore al prezzo pagato a suo tempo dallo stesso dettagliante.

Purtroppo sono venuto a sapere della cosa solo anni dopo e con grande rincrescimento, altrimenti ne avrei approfittato per rimpinguare ulteriormente la mia raccolta personale.

A carico di chi è andato il costo vivo di quell’operazione? Possiamo ragionevolmente ipotizzare che l’amministratore di un’azienda accettasse a cuor leggero di sobbarcarsi in prima persona una perdita del genere? E nel caso lo abbia fatto, quali potrebbero essere i motivi che lo hanno spinto a quella scelta, solo valutazioni di tipo individuale oppure pressioni e magari lusinghe di origine esterna?

Qual era infine il vero motivo per cui l’analogico doveva assolutamente essere tolto di mezzo? Cosa impediva che continuasse a convivere, sia pure solo a livello di fondi di magazzino a fianco del CD?

Forse perché avrebbe potuto costituire una pietra di paragone fin troppo scomoda per “il nuovo che avanza”?

Ora, se questa era la realtà dell’epoca durante la quale erano in commercio le macchine oggi definite di sonorità salvifica nei confronti dei problemi che affliggono ancora oggi il digitale, si dovrebbe spiegare come mai abbiano incontrato un rifiuto così fermo da parte degli appassionati, e soprattutto siano andate incontro a disfatte di tali proporzioni quando messe a confronto direttamente, oltretutto in pubblico, con le potenzialità dell’analogico di allora.

A questo proposito va tenuto conto che le condizioni del settore erano quelle che erano, in termini di qualità media delle apparecchiature e delle stesse concezioni inerenti la riproduzione sonora. Con particolare riguardo alle condizioni di contorno, rispetto alle quali proprio in quel periodo iniziava a delinearsi una sia pur vaga consapevolezza in merito all’importanza da esse rivestita, nei confronti del destino qualitativo di un qualsiasi impianto audio degno di questo nome.

Sappiamo bene che la cosiddetta fedeltà di riproduzione, tanto maggiore quanto più è elevata la qualità dell’impianto e sono accurate le modalità con cui è installato, non si concretizza esclusivamente nell’esposizione delle doti positive di registrazioni e supporti fonografici ma anche e soprattutto nella capacità di porre in evidenza i loro limiti.

Figuriamoci pertanto cosa potrebbe accadere oggi qualora si organizzasse un confronto siffatto, per quanto siano ormai ben note le cause della sua infattibilità, stanti le difficoltà, pressoché insormontabili, di disporre di registrazioni del tutto uguali sui due formati. E anche qualora il necessario fosse disponibile, chi potrebbe assicurarci che una qualsiasi di esse sia in grado di porre nell’evidenza dovuta le prerogative di ciascuno dei due sistemi?

Non a caso, quando si è provato un paio di decenni dopo a ripetere il confronto, l’esito è rimasto lo stesso, malgrado nel frattempo il digitale avesse goduto della serie ininterrotta di iniezioni tecnologiche che hanno avuto il merito di conferirgli una veste più consona a livello di qualità sonora. Dimostrando nello stesso tempo quanto fossero credibili i proclami che a testate unificate ne assicuravano l’assoluta perfezione già al momento dell’esordio.

Se tante frottole ci sono state raccontate deliberatamente, riguardo a una questione tanto significativa per la storia e l’evoluzione della riproduzione sonora amatoriale, per quale motivo in seguito si sarebbe dovuta dire la verità su un qualsiasi altro argomento ad essa legato?

Questa storia dunque ci fa capire in primo luogo quanto sia importante conoscere il nostro passato. Non è un caso allora che mediante la forsennata heavy rotation simil radiofonica ci si affanni tanto per costruire l’eterno presente di cui abbiamo parlato tante volte, in seguito al quale si ci si viene a trovare nell’incapacità di porre qualsiasi accadimento nella prospettiva storica che gli compete e quindi di eseguirne un’analisi che abbia la pur vaga probabilità di essere corretta. Spiega poi quella che forse è la sola vera regola di questo mondo: avendone la forza e la capacità, si possono instaurare le condizioni più inimmaginabili solo qualche tempo prima, facendo soldi a palate su tutta l’operazione, qualunque sia il settore merceologico che si prenda di mira.

 

Per uno che incassa sborsano in mille

Presto o tardi comunque, si dovrà pagare un costo per tutto ciò, che non di rado eccede i profitti accumulati in tal modo, magari non a livello economico ma su quello etico, d’ideali e anche materiale.

A pagare quello dell’operazione audio digitale sono stati innanzitutto i mezzi d’informazione, che da quel momento in poi hanno visto scoperte le loro vere attitudini, inerenti la realtà di mera grancassa propagandistica, in quanto tale a disposizione del miglior offerente, con il tracollo inevitabile della loro credibilità.

Non a caso non hanno potuto far altro che scendere sempre più in basso lungo quella china, come abbiamo già rilevato. arrivando al punto che la loro parte più verosimile è quella fatta dalle pagine di pubblicità palese, dato che almeno non cerca di camuffarsi per ciò che non è.

Il conto però è stato pagato anche dagli artefici del nuovo formato di riproduzione sonora. Avendo sfruttato a tal punto il sistema d’informazione per i loro scopi di profitto lo hanno reso di fatto inutilizzabile, essendo stati loro stessi a farne scemare a tal punto l’attendibilità.

Non a caso i marchi che idearono e commercializzarono il digitale sono usciti entrambi dal settore della riproduzione sonora. Uno ha addirittura cambiato nome e si dedica agli elettrodomestici d’impiego generale. Il secondo ha trovato un nuovo filone nelle macchine fotografiche, in cui ha assunto in effetti un ruolo di preminenza, non si sa quanto duraturo, dopo aver inglobato un marchio storico tra i più noti del settore e assorbito il suo retaggio tecnologico: il cosiddetto “know how” cui fanno riferimento i semianalfabeti attualmente operanti nell’ambito della carta stampata, incapaci di completare un concetto compiuto nella propria lingua madre.

Infine lo ha pagato la comunità degli appassionati, privata di un riferimento essenziale a livello tecnico e utilizzativo, da cui la marea di illazioni, corbellerie e veri e propri sfondoni che dilagano su forum e social di settore. Non prima di aver trovato posto sulla carta stampata, a cura degli arrembanti frottolieri che ne hanno monopolizzato la tribuna nella fase del declino. Quella al cui riguardo chiede delucidazioni il nostro amico Emiliano è solo una fra le tante.

Lo hanno pagato infine gli artisti attivi in ambito musicale, che hanno visto l’attività discografica perdere ogni valore dal punto di vista della mera sopravvivenza, a meno di non dedicarsi a quella immondizia usa e getta per suonerie di telefonini, che oggi va per la maggiore tra un pubblico ormai privato delle capacità più elementari di discernimento.

Questo è un altro costo da mettere in conto, assieme a quello inerente l’impossibilità pratica di frequentare concerti da parte di chi non abbia un patrimonio consistente alle spalle, stanti i prezzi dei biglietti che a causa di quanto detto sono per forza di cose andati alle stelle.

Per pura cronaca ricordo che i concerti cui mi recavo agli inizi della mia carriera di cultore di musica costavano e continuarono a costare per anni 1.500 Lire. Con il tagliando-sconto che si trovava nella rivistina musicale allora più diffusa, il prezzo si riduceva a 1.200. Se talvolta come mi è capitato non eri riuscito ad racimolare quella somma e ti presentavi al botteghino con 900 o 1.000 soltanto, trovavi chi ti allungava le 100 o 200 Lire necessarie senza nemmeno bisogno di chiedere, solo per il desiderio di sveltire la fila e accedere al più presto alla sala in cui si sarebbe tenuto il concerto.

Malgrado si sia stati ammucchiati in quella ressa un numero di volte incalcolabile, noi appassionati di musica siamo sopravvissuti. Felicemente a quanto pare.

Non solo, se si aveva sete e qualcuno per combinazione aveva una bottiglia d’acqua ci si attaccava tutti all’imboccatura senza nessun problema, si stava a contatto l’uno con l’altro e incontrandosi a un concerto dopo qualche tempo dall’ultima occasione ci si abbracciava e baciava.

Serie di eventi oggi inverosimile e improponibile, del resto anche gli stessi concerti che possano richiamare più di qualche decina di persone sono vietati. Andiamoci a rileggere cosa c’è scritto nella copertina di “Joe’s Garage” di Frank Zappa.

Lui era convinto che la musica l’avrebbero vietata i talebani. Di fatto oggi la sua esecuzione pubblica è interdetta nell’avanzato e civilissimo occidente.

A dimostrazione che la realtà supera regolarmente quella che sul momento può sembrare la fantasia più sfrenata e inverosimile. Basta solo darle il tempo necessario.

Il diavolo fa le pentole e non i coperchi, si diceva un tempo, secondo una consapevolezza e una prassi ormai dimenticata,. Con ogni probabilità per motivazioni di ordine pratico e di malintesa convenienza, nessuno infatti ha più intenzione di osservare le conseguenze reali, a lungo termine, delle sue genialate.

Il che ovviamente non vuol dire che il CD non lo si dovesse inventare e che la riproduzione sonora dovesse restare in eterno sull’LP, ma solo che si dovrebbe usare maggiore accortezza nel lancio di nuovi ritrovati, in particolare quando sono immaturi come lo era il CD nel 1982, evitando poi di accompagnarli col numero di corbellerie inverosimili che il sistema mediatico si occupa d’imporre come verità inoppugnabile.

Se invece che per inventare quelle panzane l’intelletto di cui madre natura ha dotato ciascuno di noi lo si usasse per migliorare i mezzi coi quali si va a eseguire la riproduzione sonora, con ogni probabilità avrebbe una qualità enormemente superiore a quella oggi conosciuta.

Solo che a quel punto sarebbe difficile fare certi volumi di profitto. Tanto poi, come abbiamo visto, i costi maggiori di quelle operazioni finisce regolarmente per pagarli qualcun altro.

Quando in conseguenza di un abito mentale del genere ti ritrovi con tre quarti di mondo ridotto a una discarica, puoi sempre inventarti una Greta, sicuro che con la giusta azione mediatica troverai un gran numero di adepti pronti ad abbracciarne la causa.

Stranamente, la giovane ancora non si è pronunciata sulla fine che faranno le 44 tonnellate di mascherine in materiale sintetico che ogni giorno vanno in discarica solo per impedire alle scolaresche italiane di respirare correttamente e quale sarà il loro impatto sull’ambiente. Con ogni probabilità lo farà nel tempo più breve: restiamo quindi in trepida attesa di conoscere le sue valutazioni al riguardo.

In tutto quanto abbiamo descritto fin qui s’innesta il fenomeno inerente il ricambio generazionale. Non avendo a disposizione un retaggio storico e un minimo d’esperienza, è più facile credere a qualunque cosa sia ripetuta il numero di volte necessario allo scopo.

Tra queste, anche la leggenda metropolitana secondo cui i lettori CD più rifiutati della storia della riproduzione sonora sarebbero quanto di meglio per limitare i difetti della sonorità di un sistema che già 40 anni fa si definiva perfetto.

Al là di tutto questo, se come abbiamo detto gli appasionati di allora quelle macchine non le volevano vedere neppure in cartolina, date le loro scarse doti sonore, come possono essersi trasformate oggi in questi fenomeni di qualità timbrica come più di qualcuno asserisce?

 

Il lato tecnico

Le prime generazioni di lettori CD utilizzavano convertitori da tempo andati in disuso, quelli definiti ” a pesi binari”. In essi il livello di segnale relativo a ciascun bit era legato in maniera indissolubile a quello attribuito al bit più significativo. Data la loro architettura, qualunque errore relativo a quest’ultimo, di fatto ineliminabile del tutto, va a moltiplicarsi man mano che ci si sposta verso il bit meno significativo. Ne consegue un errore particolarmente significativo ai bassi livelli di segnale, proprio laddove invece per ovvi motivi sarebbe necessaria la precisione maggiore, pena l’alterazione o anche la perdita di tutte le informazioni che fanno la vera differenza in termini di qualità d’ascolto.

Il problema si poté risolvere solo col passaggio ai convertitori di tipo Sigma-Delta, altrimenti detti a 1 bit, i quali sono caratterizzati da una precisione intrinseca oltremodo maggiore ai bassi livelli di segnale. Fisiologicamente sono anche più sensibili al jitter, ossia alle alterazioni del segnale sull’asse del tempo. Il loro funzionamento inoltre è legato alla presenza al loro interno di un circuito, il cosiddetto noise shaper o modellatore di rumore, che all’atto pratico è un sistema di controreazione, di ordine sempre maggiore col passare del tempo.

Sulla questione, che a quanto mi consta sono stato il primo a evidenziare a livello di stampa specializzata nazionale, un certo professore di matematica che per qualche tempo scrisse sulle riviste di settore volle scatenare una querelle alfine di negare questa realtà, per motivi che sarebbe interessante conoscere. In maniera oltretutto chiassosa, come un Burioni ante litteram, a dimostrazione dell’indole intimamente dispotica del tecnocrate, già allora ansioso d’imporre il proprio potere assoluto.

Sarebbe anche interessante sapere perché certuni meno ne capiscono e più pretendono di mettersi in cattedra, ma si tratta di una questione che esula dalla materia inerente la riproduzione sonora e riguarda più che altro la sociologia e soprattutto la psichiatria.

Oltreché dalla realtà, quel professore è stato smentito dai documenti prodotti nelle università che si sono interessate all’argomento, primo fra tutti quello di Grant Ericson dell’Università del Minnesota.

Nella figura 7 di quel documento, chiunque abbia il minimo di dimestichezza con la comprensione di uno schema a blocchi non ha difficoltà alcuna nell’osservare che il segnale in uscita dai blocchi Q1 e Q2 viene reimmesso all’ingresso di ciascun modellatore dopo che gli è stato attribuito un ritardo. Per chi non abbia le capacità necessarie, c’è anche testo abbastanza chiaro se si ha almeno qualche confidenza coi rudimenti della lingua inglese.

As stated previously, the primary job of the noise shaper is to alter the frequency spectrum of the error signals so as to move most of the quantization error out of the audible frequency range. Noise shaping reduces quantization noise by using a negative feedback technique. In effect, the shaper attempts to reduce quantization error by using its known qualities to actually subtract from the signal.

Un noise shaper, o modellatore di rumore, del terzo ordine. E’ costituito da due blocchi principali, relativi a un modellatore del primo ordine e uno del secondo. Come si vede, il segnale in uscita dai blocchi Q1 e Q2 viene reimmesso all’ingresso di ciascun modellatore, dopo che gli è stato attribuito un ritardo. Inoltre il segnale in uscita al modellatore del primo ordine viene immesso anche all’ingresso di quello di secondo ordine, dando luogo a quello che in concreto è un sistema di controreazione duale. Infine, nel modellatore di secondo ordine il segnale in uscita da Q2 viene reimmesso sia all’ingresso, sia a valle del primo integratore, realizzando così un sistema di controreazione locale e totale.

 

Data la loro modalità funzionale, infatti, i convertitori Sigma-Delta producono quantità rilevanti di rumore in banda audio, che proprio l’impiego dei modellatori di rumore permette di spostare lontano da essa, così da renderle inudiubili.

Sull’impiego di questo tipo di convertitori D/A si è imperniata l’evoluzione delle macchine digitali, a partire dalla fine degli anni ottanta in poi fino ai giorni nostri.

Oggi i sistemi di conversione che utilizzano il principio dei pesi binari stanno tornando di moda. Si tratta dei cosiddetti R2R, operanti in base all’impiego di una scala di resistenze. Molto probabilmente le loro percentuali d’errore sono più limitate rispetto ai convertitori di un tempo, stanti i progressi realizzati nel frattempo a livello di componentistica e di architettura.

A questo proposito però mi sembra necessario fare chiarezza su un altro elemento da sempre sopravvalutato per i motivi consueti. Malgrado il convertitore D/A sia in effetti un elemento importante della catena audio digitale, non ha sulla qualità sonora quell’influsso assoluto e definitivo che in genere gli si attribuisce. Infatti è possibile realizzare una sorgente digitale che suoni in maniera mediocre pur utilizzando il convertitore all’ultimo grido oppure una che suoni in maniera splendida, malgrado l’impego di un esemplare risalente a qualche anno fa. Sono molti infatti gli elementi che giocano il proprio ruolo a tale proposito, a iniziare dall’alimentazione, passando per il contenimento del jitter e più in genere il trattamento del segnale in forma digitale, finendo con la sezione d’uscita analogica. Questo solo affrontando il problema per sommi capi, senza entrare nelle specifico degli elementi innumerevoli che hanno un ruolo nell’equilibrio funzionale e sonico di una sorgente digitale.

Allora perché si pone tanta enfasi sulla questione convertitore? La risposta è la stessa di altri comparti del settore di nostro interesse e riguarda la riconoscibilità delle soluzioni da parte del pubblico e degli stessi addetti ai lavori, oltre alla differenziazione del prodotto rispetto a quelli consimili. Le sue radici affondano comunque nella storia delle riproduzione digitale, poiché gran parte della sua evoluzione tecnologica ha riguardato il numero di bit, teorici, sui quali erano in grado di operare i convertitori D/A a pesi binari.

Vediamo innanzitutto che proprio sulla questione del convertitore ha avuto luogo il colpo di mano iniziale relativo all’audio digitale, la storia del quale è alquanto ricca di eventi del genere, tra cui anche quello avvenuto in ambito editoriale descritto in precedenza. Gli artefici dell’allora nuovo formato, Sony e Philips, avevano stabilito di comune accordo un protocollo basato su un sistema a 14 bit.

Si era ormai nell’imminenza del lancio del nuovo formato, quindi erano già pronte le macchine da mettere sul mercato e i relativi supporti fonografici, quando di punto in bianco Sony rompe l’accordo e rilascia una dichiarazione di grande scalpore, annunciando che le sue macchine saranno a 16 bit.

Questo vuol dire che aveva già da tempo quell’intenzione e si era debitamente preparata allo scopo realizzando, in gran segreto, le macchine adeguate per tale scelta, cosa che ovviamente non si fa in un giorno o due. Spiega anche che il fabbricante, in questo caso Philips, non scelga per forza il ritrovato più avanzato disponibile, ma quello che ritiene più conveniente per gli scopi che stabilisce di volta in volta.

Oggi la cosa potrebbe sembrare d’importanza men che relativa, ma a quel tempo, in cui il digitale stava muovendo i primi passi, due bit in più o in meno facevano la differenza, grande oltretutto. Proprio perché ogni ritocco che oggi sembrerebbe microscopico aveva invece un’importanza epocale.

L’evento è significativo anche per farsi un’idea di come vadano le cose nelle cosiddette cordate in cui entrano a far parte società di capitali, e quindi votate al profitto. L’immagine data all’esterno è quella di una cooperazione in piena armonia, fattiva per il bene e il progresso dell’umanità. Dietro di essa si cela una realtà ben diversa, dove ognuno cerca di avvantaggiarsi sull’altro senza tanti scrupoli. Per giungere infine, e sempre sul più bello, alla coltellata alle spalle tra quelli che sembrano accomunati nello stesso destino ma sono in realtà contendenti in una lotta fratricida. In questo la storia del CD, in particolare nella definizione del suo sistema funzionale, è emblematica.

Philips si trova così spiazzato e non gli resta altro da fare che prendere le sue macchine a 14 bit e modificarle, aggiungendovi un secondo convertitore, sempre a 14 bit, e un sovracampionamento dei dati 2x, realizzato aggiungendo uno 0 a ogni campione, ottenendo l’equivalente di un sistema a 16 bit.

Poi col tempo il numero dei bit su cui potevano funzionare i convertitori D/A crebbe, passando da 16 a 18, poi a 20, 22, 24 e così via. Nel frattempo andava aumentando non solo il numero di convertitori utilizzati sulla singola macchina, ma anche la frequenza di campionamento gestibile. Oggi molti convertitori utilizzati nel nostro settore sono a 32 bit e 768 kHz.

Al di là dell’utilizzabilità concreta di tali valori e della disponibilità di segnale similmente campionato, quei numeri stanno a significare la velocità operativa oltremodo aumentata per i convertitori di fabbricazione odierna. Di conseguenza si troveranno molto lontani dai loro limiti nella gestione del segnale campionato a 44,1 kHz e 16 bit, da cui con ogni probabilità un’efficacia significativamente maggiore. Quando invece i convertitori di un tempo con quello stesso segnale si trovava ai loro limiti estremi, tecnici e operativi.

Altro elemento che suggerisce la verosimiglianza di determinate asserzioni.

Pertanto quelli relativi ai convertitori a 18 e più bit restavano comunque dati teorici, dato che il formato di riproduzione rimaneva sempre lo stesso a 16 bit. Si riteneva però che convertitori in grado di lavorare su un numero di bit maggiore riuscissero a esprimere un’efficacia maggiore, cosa possibilmente vera. Anche perché si trattava di un accorgimento col quale si evitava loro di operare nell’area in cui era maggiore il loro errore, quella relativa a bit meno significativi, trattandosi di esemplari a pesi binari.

Come si può immaginare, e del resto basta sfogliare le raccolte degli arretrati, a ogni aumento del numero di bit teorici la stampa di settore innalzava al parossismo lo strepito della sua grancassa, dichiarando che le macchine non aggiornate al numero di bit più elevato in circolazione erano inoppugnabilmente superate e di conseguenza si proclamava che i risultati sonici ottenibili col nuovo dispositivo erano ineguagliabili, andando a cancellare in via totale e definitiva i problemi che affliggevano le macchine della generazione precedente.

Per poi ricominciare la giostra non appena, in capo a qualche mese, si aveva nuovo aumento dei bit associati alla generazione successiva.

Che credibilità possono avere una stampa simile e il sistema tecnico e di profitto cui fa da portavoce?

Questa inoltre è un’ulteriore dimostrazione di quanto fossero veritiere le asserzioni che davano il formato CD come perfetto fin dal momento del suo esordio. Erano insomma gli stessi organi di stampa che contraddicevano sé stessi a distanza oltretutto ravvicinata. Mai però che abbiano fatto il minimo di autocritica. Pretendevano anzi che quella detta a sua tempo fosse la verità assoluta e che lo fosse anche quanto l’andava a smentire solo poche settimane dopo. In un’apotesi dell’autoinganno orwelliano.

Di fatto, allora, la questione relativa ai converititori è quella in cui la comunicazione delle aziende del settore e della stampa specializzata ha individuato la visibilità maggiore. Come tale ha offerto la possibilità di ricamarci sopra nel modo più agevole, per questioni di opportunità commerciale e di differenziazione del prodotto da quelli consimili, anche se alla fine hanno utilizzato tutti le stesse soluzioni. Nel microcosmo alquanto criptico della riproduzione sonora su formato digitale, inoltre, la questione relativa ai convertitori e al loro numero di bit era uno tra gli elementi meno incomprensibili, indicato quindi per battere la grancassa con la ragionevole probabilità che un certo numero di appassionati potesse capire di cosa si stesse parlando, sia pure se lo si faceva del tutto a sproposito.

Per di più, dato che la fortuna sorride agli audaci, anche quelli che lo sono nello sparare corbellerie a ripetizione, ci si è messa poi la presenza sul mercato OEM di convertitori prodotti da fabbricanti diversi: nella prima fase furono tra gli altri Motorola, Cirrus Logic, Texas Instruments e più avanti Analog Devices, poi sostituiti man mano che ci si è avvicinati all’epoca più recente da altri come Wolfson, Sabre eccetera. Anche questo era un aspetto su cui era facile pestare sulla grancassa come se non ci fosse un domani e figuriamoci se la stampa di settore potesse farsi sfuggire l’occasione. Anche perché impossibilitata a parlare d’altro, ovvero delle problematiche concrete del sistema audio digitale. Anzi, il polverone alzato sulla questione dei convertitori ha contribuito a distrarre da esse e a tenerle in secondo piano.

Nonostante tanto vociare al riguardo, il marchio che produce convertitori tra i più efficaci, in particolare in merito alle doti sonore è passato sempre sotto silenzio o comunque tenuto in second’ordine. Misteri del sistema d’informazione.

In parte lo si deve allo scarso uso che ne è stato fatto da parte da parte dei fabbricanti di sorgenti digitali, probabilmente per via dei loro costi alquanto superiori rispetto alla media.

Dunque, se il convertitore ha in effetti una sua importanza, quella che gli viene attribuita comunemente è del tutto sproporzionata.

Fin qui l’aspetto tecnico-teorico che sulla questione ha la sua importanza, considerevole prealtro. Se passiamo all’elemento pratico, in merito all’attendibilità delle voci che definiscono le macchine digitali degli anni ottanta ideali per limitare i problemi dovuti alla riproduzione sonora da segnale digitale, non si può trascurare che col passare degli anni e l’accumularsi delle ore d’impiego qualsiasi elettronica perde progressivamente le sue caratteristiche iniziali. Per motivi di usura e soprattutto per il degradarsi delle componenti interne. Tra queste i più esposti al fenomeno sono i condensatori elettrolitici.

Basta andare su uno tra i siti più noti di vendita di componenti elettronici, per osservare che gli elettrolitici hanno una vita utile piuttosto breve. Nella stragrande maggioranza è compresa nell’intervallo che va dalle 1000 alle 3000 ore. Ci sono le dovute eccezioni, che si spingono a 8-10.000, ma si tratta di componentistica particolare e costosa, che in genere i costruttori preferiscono evitare per motivi evidenti.

Di fatto, allora, il condensatore elettrolitico, componente utilizzato in gran numero in qualsiasi circuitazione, secondo solo alle resistenze, ha una vita utile più breve di quello che nell’ambito della riproduzione sonora è effimero per antonomasia, ossia la valvola termoionica.

Con grande frequenza il condensatore elettrolitico viene utilizzato come serbatoio di energia, impiego in cui la sua efficienza tende a decadere di pari passo all’invecchiarsi del componente. Ne derivano sonorità sempre più prive di dinamica, di slancio, di vitalità, dalle frequenze medie e alte generalmente deficitarie per prontezza, livello, estensione e dettaglio.

Guardacaso, andando a mitigare quelli che sono i limiti per antonomasia del sistema di riproduzione digitale, e soprattutto quelli degl’impianti in cui i lettori CD vanno con la frequenza maggiore a inserirsi, messi in evidenza  proprio dalle caratteristiche intrinseche delle sorgenti digitali.

Una volta che le prerogative sopraelencate vengono depauperate dall’usura cui quelle macchine sono sottoposte, come per miracolo vanno ad attenuarsi anche i problemi ad esse legati. Di conseguenza esemplari ormai a fine vita, per forza di cose privi delle loro qualità, per quali che siano, diventano improvvisamente il meglio che si possa desiderare.

Non perché siano inopinatamente migliorate col tempo, dato che non si tratta di buon vino, ma appunto perché così stanche e infiacchite non hanno più neppure la forza di sollecitare i limiti degl’impianti più diffusi, nei quali la trascuratezza dell’installazione e della cura delle condizioni di contorno è non di rado l’elemento primario per la definizione concreta della loro sonorità.

Questo peraltro è uno dei motivi per cui le apparecchiature vintage oggi sono tanto di moda e spuntano spesso prezzi del tutto sproporzionati al loro valore intrinseco, alle loro doti sonore e soprattutto ai costi necessari per il loro ripristino, unica condizione in cui possano esprimere doti di qualche rilievo, anche e soprattutto in termini di affidabilità.

Certo il loro aspetto, l’elemento nostalgico o solo di diversità rispetto alla produzione attuale, fin troppo spesso ipertecnologizzata e quindi privata della sua componente di umanità, ma soprattutto i prezzi folli ai quali oggi siamo abituati giocano un ruolo di grande importanza ai fini del loro successo.

Molti però ne apprezzano proprio la sonorità, che invece non dovrebbe essere neppure confrontabile con quella di prodotti più moderni.

Il punto è proprio questo: si tende ad attribuire a una sonorità che è la rappresentazione plastica del degrado causato dall’uso e dal tempo caratteristiche che non solo non le appartengono, ma sono proprio l’esatto contrario di quel che un’apprecchiatura destinata alla riproduzione sonora dovrebbe garantire.

Il problema sta nelle condizioni in cui si costringe quell’apparecchiatura a operare, che invece di esaltarne le doti ne fa emergere i difetti, non di rado nella maniera più cruda.

Come abbiamo detto più volte, se è relativamente facile cogliere un difetto, attribuirne correttamente le origini è tuttaltro paio di maniche. Lo stesso vale per i pregi e se soltanto una sorgente asfittica e ormai priva di linfa vitale riesce a mitigare i difetti della catena in cui è inserita, non è ad essa che si deve guardare inneggiando alle sue doti irripetibili, ma ai problemi, enormi, di quel che ad essa fa seguito.

Di essi però non si parla, stante il dogma che basta comprerasi l’apparecchiatura più costosa per assurgere di diritto all’empireo della riproduzione sonora. Invece è tutto il contrario, proprio perché a impianti grandi corrispondono problemi di pari proporzioni.

Dopo questa chiacchierata non resta che suggerire al nostro amico Emiliano, e a quanti siano incuriositi da certe asserzioni, nonché in possesso di macchine digitali più recenti e di buona qualità, di scartare l’idea di andare all’indietro come i gamberi. Molto meglio invece procedere a una loro revisione e se possibile ottimizzazione, che è il metodo più efficace ed economico per avere una sorgente dalle doti sonore migliorate in maniera significativa, oltretutto in un contesto di affidabilità come quello determinato dalla sostituzione dei componenti interni più soggetti a invecchiamento.

Non solo, spesso e volentieri accade anche che con detta sostituzione si vadano a risolvere i problemi attribuiti in prima battuta al sistema di lettura, che in realtà è ancora efficiente ma soffre delle carenze nell’afflusso di energia causato da componenti dell’alimentazione ormai giunti a fine vita. IQuesti, una volta soddisfatte come possono le esigenze dovute al movimento della meccanica, non hanno più nulla da dare agli altri componenti, che però di essa necessitano parimenti se non di più.

 

 

 

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2 thoughts on “I “magici” lettori CD degli anni 80

    1. Buongiorno Pino,
      grazie dell’attenzione.
      L’aggettivo cui fai riferimento si trova tra virgolette, il cui significato credo sia ben noto.
      Quanto alla realtà della produzione attuale, purtroppo è quella che è, anche se la sua analisi non può essere eseguita nell’ambito della risposta a un commento.
      Nel sito tuttavia ci sono diversi articoli a tale riguardo.
      Buona lettura.

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