Se non ci rendiamo conto che ci stanno facendo un lavaggio del cervello è perché probabilmente ce l’hanno già fatto.
P. Banos “Così si controlla il mondo”
Chi ha letto la prima parte dell’articolo, nato per rispondere alla domanda inviata da un appassionato, riguardante la possibilità di dar vita a una riproduzione equivalente all’evento reale, sa già di cosa stiamo parlando.
O almeno se n’è fatto un’idea più o meno vaga, speriamo meno.
Al di là della risposta che è possibile dare, in realtà la domanda stessa contiene un errore di fondo tale da invalidarla, per quale che sia.
Come accennato la volta scorsa, l’evento reale, come ad esso ci si riferisce immancabilmente, non è mai uno ma sono migliaia, forse milioni e persino di più. Ciascuno di essi è caratterizzato inoltre da un numero di elementi e di variabili, quindi di parametri atti a descriverne l’entità e la qualità semplicemente incalcolabile.
Ancora non basta, dato che per la maggioranza schiacciante di essi non si ha neppure la più pallida idea di cosa siano e come influiscano sulla forma e le modalità in cui noi li percepiamo.
Come tali sono inesplorati, allo stato attuale delle cose inesplorabili e più ancora inconcepibili. Peggio, diviene sempre più improbabile che in futuro si possano compiere progressi in tal senso, dato che la riproduzione sonora, come qualsiasi altro fenomeno tecnico-sociale avente luogo sulla faccia di questa Terra, è sottoposta a un processo di massificazione e normalizzazione inarrestabile, necessario per i modi di produzione capitalisti la cui unica prospettiva lecita è, come sappiamo, quella di realizzazione del profitto, nella misura più ampia e nel modo più rapido possibile.
La cosiddetta nuova normalità, come abbiamo visto nell’articolo pubblicato qualche tempo fa, trova inevitabilmente la sua coniugazione anche nell’ambito della riproduzione sonora, che non è come vorrebbero molti un mondo a sé stante, protetto dall’esterno per mezzo di una serie di paratie stagne impenetrabili, ma subisce e non di rado anticipa i fenomeni, le dinamiche e le contraddizioni della cosiddetta società civile.
Per il momento ci contentiamo di osservare che la sua costruzione e la successiva affermazione avvengono primariamente a livello mediatico e come ormai è inevitabile attraverso il virtuale. Ne deriva la prescrizione che ogni azione e produzione non debba essere profittevole solo economicamente, ma sia prima ancora in grado di generare consenso nello stesso modo in cui genera denaro e possibilmente in maniera ancora più efficiente.
La metodologia volta all’ottenimento del consenso non differisce in nulla da quella attuata per la ricerca del profitto e neppure potrebbe. In sostanza, come non ci si ferma di fronte a nulla per quel che riguarda la ricerca del profitto, laddove si è arrivati a eseguire le devastazioni ambientali più drammatiche in nome della protezione dell’ambiente e persino sventolandone la bandiera, così non si esita di fronte all’esecuzione di qualsiasi manipolazione di massa al fine di produrre il consenso del quale la nuova normalità impone l’ottenimento preventivo.
Si tratta di una pratica eminentemente totalitaria, proprio in quanto volta all’induzione di un pensiero unico e quindi privo di alternativa. Il solo pensarla, o peggio ritenerla possibile, è diventato ormai il crimine più efferato, tendenza che trova nella parte della popolazione che si riconosce nel termine progressista un’adesione fin quasi entusiastica.
Dunque si conferma ancora una volta quel che disse Pasolini, intellettuale vero ma soprattutto sincero, che pertanto fu tra i primi a entrare in rotta di collisione con la prassi della sinistra, il cui vero fondamento è il bispensiero orwelliano: Io profetizzo l’epoca in cui il nuovo potere utilizzerà le vostre parole libertarie per creare un nuovo potere omologato, per creare una nuova inquisizione, per creare un nuovo conformismo. E i suoi chierici saranno chierici di sinistra.
Mai profezia fu più veritiera e oggi se non pensi e agisci come dicono loro sei fascistarazzistanegazionistacomplottista e non so cos’altro ancora. Come tale devi essere non messo ai margini ma proprio ridotto al silenzio. Finalità al cui riguardo ogni mezzo è lecito, proprio perché il portatore di pensiero difforme in quanto tale non può essere nient’altro che un fascista, razzista, negazionista, complottista. Dunque un criminale, colpevole di psicoreato.
Tutto questo secondo una prassi che già al primo sguardo denota un tasso di democraticità talmente elevato da risultare invisibile all’occhio umano.
Non solo: si evidenzia così il lato squisitamente distopico inscindibile da una qualsiasi utopia, che s’impone in tutta la sua evidenza nel momento stesso in cui qualcuno o qualcosa decida di muovere, per forza di cose a tappe forzate, verso la sua materializzazione.
Anche il consenso derivante da una qualsiasi azione dev’essere pertanto il più ampio e da riscuotersi con la maggiore velocità possibile. Se si osserva questo aspetto in relazione al processo di massificazione e unificazione visto sopra, riguardante innanzitutto le idee e quindi le modalità ammissibili per arrivare alla soluzione di un qualsiasi problema, e per conseguenza anche alla realizzazione di un prodotto atto a riprodurre suoni, è tale da impedire tutto quanto non rispetti i presupposti summenzionati.
Già questo pone un ostacolo pressoché invalicabile all’ottenimento di certi risultati, quantomeno per mezzo degli strumenti e delle soluzioni offerte sul mercato per così dire ufficiale.
Inoltre, l’elemento per mezzo del quale si ritiene di poter andare alla ricerca non “del” ma di “un” evento reale, in realtà tende al recupero di qualcosa che nella sua stragrande maggioranza non è mai esistito, quantomeno nella forma nella quale giunge a noi.
Da decenni ormai le registrazioni musicali sono realizzate in multitraccia, il che equivale a dire che non solo è possibile ma avviene praticamente sempre che le diverse parti dell’esecuzione siano prodotte in luoghi e tempi del tutto diversi, a volte persino lontanissimi. Questo nelle cosiddette registrazioni di studio, mentre quelle dal vivo sono regolarmente rimaneggiate, e spesso a fondo, per ovviare a problemi di varia origine ed entità, come errori di esecuzione, di ripresa, e della stessa presentabilità, al livello dell’ascolto domestico o comunque in separata sede, della forma assunta da un brano nella sua esecuzione pubblica.
Un caso tra i più eclatanti riguarda un album che a suo tempo ebbe una discreta fama, “USA” dei King Crimson, in cui si sono documentate le esecuzioni in concerto del gruppo, proprio durante le tournée americane dell’ultimo periodo in cui fu attiva la sua formazione storica.
Per un caso fortuito le tracce relative alle esecuzioni di David Cross, che agiva nel gruppo a violino e mellotron, andarono disperse o almeno così hanno sostenuto i portavoce del gruppo.
Volendo lo stesso dare alle stampe la registrazione di quei concerti, ed essendo Cross nel frattempo uscito dalla formazione, una volta tornati in Inghilterra si decise di affidare la riesecuzione di quelle parti a Eddie Jobson.
Questo non tanto e non solo per escludere la possibilità di ricostruzione, per mezzo di quella registrazione, di quello che riteniamo l’evento reale ma ha invece ottime probabilità di non essere mai avvenuto, quanto per porre nell’evidenza che meritano le possibilità insite nelle registrazioni multitraccia.
Consideriamo inoltre che si tratta di materiale registrato, e poi rielaborato, nel 1974, mentre il disco è uscito nella primavera dell’anno successivo, ossia mezzo secolo fa giusto giusto: immaginiamo nel frattempo quali altre possibilità si possano essere aperte in tale ambito.
Zappa, addirittura, assemblava pezzi presi da varie esecuzioni, anche dal vivo, per le sue registrazioni di studio, secondo una logica volta al perfezionismo dell’esecuzione portata all’estremo, tale da spingersi a mettere insieme parti persino di una sola battuta.
Inevitabile pertanto che andare alla ricerca dell’evento reale in casi del genere appartenga alla sfera del metafisico, anche se non sono pochi i suoi dischi che suonano in maniera decisamente realistica.
Come vediamo, dunque, realismo e realtà possono essere cose all’antitesi, malgrado condividano la stessa radice lessicale.
Non solo, per i suoi dischi dal vivo, caso tipico “The best band you never heard“, titolo che già di per sé suggerisce la tecnica utilizzata per arrivare a registrazioni di senso compiuto, significando “La banda migliore che non hai mai sentito”, per ciascun singolo brano ha preso parti dall’esibizione tenutasi in un luogo, altre da esibizioni tenutesi all’altro capo del mondo e magari a mesi di distanza, alfine del soddisfare primariamente il suo senso estetico e la volontà di dar vita in ogni modo a un’esecuzione il più possibile impeccabile, appunto seguendo la vocazione al perfezionismo che ha sempre caratterizzato l’azione del compositore e musicista di origini siciliane.
Come possiamo osservare, di fronte alla scelta tra realtà e perfezionismo ha dato la sua preferenza a quest’ultimo.
Da un lato, ciò è nell’ordine delle cose, dato che il musicista è probabile preferisca in ogni caso immortalare un’immagine delle proprie esecuzioni, e quindi delle proprie capacità tecniche, quanto più possibile priva di difetti.
Dall’altra parte il fruitore, una volta che nella sua ricerca della realtà si ritrova privato del sostegno, indispensabile, dell’esecutore, non ha più modo di poterla materialmente attuare, essendo venute meno le condizioni fondamentali al riguardo.
Ora si dirà: tutto vero, ma questi sono solo esempi di musica moderna. Senza dubbio, è quella di cui cui ho conoscenza maggiore e per mia inclinazione personale evito sempre di parlare di cose che non conosco. Tuttavia le testimonianze di tanti famosi interpreti e direttori d’orchestra spiegano che le operazioni di ripulitura e ricostruzione ex post avvengono anche per quel che riguarda la cosiddetta musica classica.
Proprio in questi giorni, infine, sta avvenendo una disputa, tra i due superstiti di un gruppo storico, forse quello che in assoluto è più in credito di riconoscimento fra tutto quanto venne suonato in quegli anni, sulla base della volontà, da parte di uno di essi, di avere il pieno controllo delle esecuzioni cui ha preso parte e dunque di vedere riconosciuti i propri “diritti di esecuzione”. Parole testuali, che non si curano evidentemente dei diritti degli altri componenti di quello stesso gruppo, almeno altrettanto necessari allo scopo che quelle esecuzioni abbiano assunto la forma con la quale sono state fissate su nastro.
Qualcuno più addentro di me a determinate questioni, e alle forme mentali più diffuse in certi ambienti, ha fatto balenare la possibilità che il significato del pieno controllo chiamato in causa significhi di fatto escludere la possibilità che possano andare in giro registrazioni in cui siano rintracciabili errori, da parte di uno o più strumentisti.
Dunque, di quale realtà stiamo parlando, se persino quelli che ad essa danno luogo si preoccupano che non abbia modo di circolare, in quanto potrebbe non essere conforme alle loro necessità diciamo così di rappresentanza?
Inevitabile chiedersi, su basi del genere, di quale realtà si possa andare alla ricerca, se già coloro i quali ad essa danno luogo, si preoccupano di rendere sostanzialmente inesistente tutto quanto non corrisponda ai canoni che a torto o a ragione ritengono essenziali.
A dispetto di tutto ciò, di cui mi sembra indispensabile avere almeno un’idea, per il già menzionato fine di non perdere il contatto con la realtà, e mai come per certe cose repetita juvant, al momento attuale la riproduzione sonora, in particolare quella derivante dagli impianti allestiti, installati e condotti nella maniera più consapevole possono dare luogo a sensazioni di realismo piuttosto evidenti. Tali appunto da suscitare nell’ascoltatore l’impressione di trovarsi di fronte a qualcosa di vicino a un possibile evento reale. O, quantomeno, all’idea di esso che ciascuno di noi ha nel proprio immaginario, in funzione delle esperienze che ha vissuto.
Qual è il risultato di cui si va alla ricerca?
Di certo a traguardi simili non si perviene attraverso la ricetta diffusa dai media allineati, ossia attraverso il “Tour”. Che non è “de France” e neppure il “Giro d’Italia”, per quanto molti lo compiano nella ricerca e nell’acquisto delle apparecchiature che ritengono essenziali ai loro scopi, nuove o usate che siano, o “della Catalogna”.
E’ invece quello del cambia-cambia. Si corre appunto lungo la rotatoria, confortevolissima, soprattutto ai fini della tranquillità mentale di chi si trova a percorrerla, sia pure a sua insaputa, in modo tale che vi si trovi quanto più possibile a proprio agio.
E’ stata approntata dai media di cui sopra proprio allo scopo, non è dato sapere in maniera quanto consapevole, il che non è una scusante ma il contrario, su commissione dei loro inserzionisti. Così che, per mezzo degli strumenti subdoli e mai compresi abbastanza della semantica, si riuscisse a far apparire il traguardo immaginario di quel Tour come un’entità tanto concreta ai loro destinatari da spingerli a impegnarsi lungo il suo tracciato. Fatto apposta, invece, per riportare sempre al punto di partenza, come ogni rotatoria che si rispetti, in una corsa ai fini della quale tra l’altro si è indotti a devolvere somme sempre più improbabili.
Non tanto per il loro totale, comunque rilevante e talvolta persino oltre ogni limite di ragionevolezza, stante la perdita della concezione stessa di senso della misura, a sua volta vero perno concettuale sul quale si è costruito il modo di vita odierno, quanto per l’inesistenza dei risultati che si ottengono in tal modo. I quali, per conseguenza, non permetteranno mai di arrivare non dico a tagliare, ma almeno a intravvedere quel traguardo, che diviene pertanto riconoscibile per ciò che è: un’entità puramente immaginaria.
In quanto tale, nessuno potrà avere mai la sicurezza di averlo tagliato, così da rimanere impegnato in via permanente nel Grand Prix Della Rotatoria. Unica alternativa, il ritiro.
Meglio ancora, come chiunque ha modo di constatare, esistendone la volontà, quei media costruiscono in quanti li seguono una forma mentale e a seguire una tipologia di azione tali da rendere di fatto impossibile giungere a un traguardo qualsiasi, per quale che sia.
Il motivo è semplice: una volta arrivati al traguardo, la corsa finisce. Per conseguenza non si contribuirebbe più a mantenere in vita l’intero sistema commerciale e propagandistico al suo servizio, cosa che va evitata con ogni mezzo.
Non potrebbe essere diversamente, proprio perché il vero risultato non è quello del grado di fedeltà ottenuto dall’impianto del singolo appassionato, ma appunto il mantenimento in vita di quegli stessi media e dell’industria che ad essi si rivolge per la propaganda di cui si serve, basato notoriamente, su fatturati, investimenti e margini di profittabilità per il loro azionariato.
Detto azionariato sta lì semplicemente perché vuole guadagnare denaro, tutto il resto non gl’interessa. Come tale è pronto a “shortarli”, come si dice in gergo, ossia a vendere le azioni di un dato marchio o meglio della società che lo controlla, ossia le quote di proprietà che di essa detiene, non appena i margini di profitto accennino non a scendere, dato che a quel punto sarebbe già troppo tardi e la remissione certa, ma solo a dare l’idea che si stiano avviando verso la china tendente a portarli alla soglia minima di profitto ritenuta confacente.
Chiaro il concetto?
Non a caso è proprio quel che è avvenuto di recente per B&W e ne ha messo a repentaglio la stessa sopravvivenza. Sia pure quale entità non più indipendente, quindi padrona del proprio destino, ma semplice elemento controllato da un gruppo che lo tiene insieme a diversi altri nel recinto che ha approntato allo scopo, alla stessa stregua di un cavallo da tiro o una vacca da latte. Appunto a proposito delle modalità di gestione zootecniche cui tante volte è stato fatto riferimento.
Il responsabile in capo del marchio un tempo inglese e ora come tutto quanto esista in hi-fi e più in generale in ambito manifatturiero controllato da un gruppo cinese, come era inevitabile sarebbe accaduto, è stato messo sotto accusa per troppa passione nei confronti del prodotto, per la realizzazione del quale avrebbe speso più del minimo indispensabile. Senza adeguate garanzie di profitto, ma solo per amore del marchio, e più ancora di quel che realizza e della funzione che svolge, ossia la riproduzione sonora.
In sostanza, lo si è incolpato di avere un legame, affettivo, sentimentale, chiamiamolo come vogliamo, per il marchio a favore del quale si è adoperato a livello professionale, invece di puntare solo ed esclusivamente alla produzione di denaro in crescita perenne. Ai fini della quale il marchio in questione, come qualsiasi altro, va considerato secondo una modalità esclusivamente strumentale.
Tra l’altro è ben noto che quel marchio abbia abbandonato ormai da parecchio i criteri, filosofici prima ancora che progettuali e realizzativi, che lo hanno portato a detenere una fama a suo tempo di grande rilevanza.
Lo ha fatto proprio a iniziare dalla serie che avrebbe dovuto sancire il salto qualitativo verso un realismo dell’emissione inteso in termini assoluti, almeno a sentire le sirene della propaganda, ma che invece è stato di fatto la capitolazione ai diktat del mercato, a partire dalla quale il suo prodotto non è mai più stato lo stesso, neppure per sbaglio.
Figuriamoci allora senza l’intervento di quel funzionario cosa sarebbe stato dell’un tempo glorioso marchio d’oltremanica.
Questo dunque è ciò che avviene dietro le quinte e, di tanto in tanto, viene portato agli onori di cronache che difficilmente potrebbero essere più disonorevoli.
Tra l’altro per l’iniziativa di media che con il settore specifico hanno poco o nulla a che vedere, a dimostrazione ennesima della reale funzione della cosiddetta stampa specializzata. In particolar modo nella sua concezione odierna, secondo la quale viene vista come un mero mezzo di facilitazione.
Questo ancora una volta a uso e consumo di quanti ritengano che il settore della riproduzione sonora non sia vincolato indissolubilmente alla realtà, ai fenomeni, ai modi, alle dinamiche e più che mai alle contraddizioni della società civile a sua volta conformata sull’ideologia capitalista, ma insistono nel voler credere che tale specialità esista per soddisfare la loro passione e le necessità che ne derivano.
Ossia quel che vorrebbe la narrazione dei media di settore, così da comprendere, avendone la volontà, fino a che punto si spinga a loro ambiguità.
Dunque vale la pena ripeterlo: la rotatoria della quale esortano le loro vittime a intraprendere il “Tour” o il “Grand Prix” che dir si voglia è quasi del tutto indistinguibile dalla ruota per criceti cui abbiamo fatto riferimento nella scorsa puntata.
La sola differenza nei suoi confronti è che quantomeno la povera bestiolina che corre a perdifiato in essa, per il piacere venato di sadismo dei suoi osservatori, convinti però di essere dei benefattori nei suoi confronti (ricorda qualcosa?), a fronte di tanto sforzo resta sempre nella stessa posizione.
Sempre più spesso invece l’appassionato di riproduzione sonora che corre il Tour della Rotatoria approntato a suo uso e consumo, anche a fronte di spese che divengono via via più improbabili finisce con il regredire.
In particolare sul piano riguardante la qualità sonora, sui cui svariati aspetti peraltro è indotto in maniera sempre più pressante a cedere, a favore di comodità, gradevolezza estetica, rivendibilità, WAF e tutta la serie infinita di pretesti allestiti con grande talento, che è doveroso riconoscere, dai media di settore per il loro teatrino. Proprio allo scopo di convincere la loro vittima, pagante, di essere sempre sul punto di veder finalmente materializzarsi i destini magnifici e progressivi cui anela. Quando invece da essi non solo è sistematicamente allontanato, ma a tal fine è chiamato a impegnare somme sempre più rilevanti e sempre meno giustificate.
Se non è il lavaggio del cervello questo, ossia una manipolazione tale da far perdere all’individuo che la subisce la consapevolezza delle sue azioni, giusto a richiamo di quanto inserito all’inizio dell’articolo, cos’altro può esserlo?
A questo punto, pertanto, reputo fondamentale la lettura di un testo pubblicato da Franco Cardini sul suo sito, in seguito vedremo il perché.
CAPITALISMO ULTRA-FINANZIARIO E INTELLIGENZA ARTIFICIALE
L’EROSIONE DEI DIRITTI FONDAMENTALI
Sull’erosione dei diritti fondamentali dell’uomo causata dalla diffusione del capitalismo ultra-finanziario e digitale e dell’intelligenza artificiale
Parere n. 26 del Comitato Internazionale per l’Etica della Biomedicina (CIEB)
È indubbio che la caratteristica principale del capitalismo contemporaneo è la sua dipendenza dalla creazione di crescenti volumi di liquidità diretti a sostenere i mercati finanziari, a fronte della demolizione sistematica dell’economia reale fondata sulla produzione di beni e servizi destinati al consumo di massa.
Questo processo è iniziato negli anni Settanta, con l’introduzione su larga scala dell’automazione nei processi produttivi: da allora, il capitale non ha più potuto, o voluto, riassorbire la massa di lavoro salariato che si andava progressivamente disoccupando e ha preferito trovare rifugio nei mercati finanziari, dove il danaro fa lavorare il danaro, e non le persone.
Il carattere fittizio dell’economia post-industriale si è accentuato ulteriormente con la rivoluzione neoliberista degli anni Ottanta, quando la frenesia speculativa – specialmente sulle obbligazioni, titoli di debito societari e sovrani – ha iniziato ad assumere vita propria, estendendosi nel tempo fino a travolgere ogni possibile corrispondenza tra i titoli negoziati e il loro valore reale.
Oggi, sembra di essere giunti a un punto di non ritorno: se, per qualsiasi motivo, l’appetito per le obbligazioni viene meno, la legge dell’auto-espansione del capitale fa sì che scendano in campo le banche centrali per stampare denaro contante e consentire, così, l’acquisto dei titoli obbligazionari rimasti invenduti.
La gestione centralizzata di questa bolla di debito, dove la “crescita” viene letteralmente simulata grazie a massicce iniezioni di credito a opera delle banche centrali (che quel denaro, sia chiaro, stampano dal nulla n.d.C.C.), costituisce l’ultimo baluardo a difesa dei mercati finanziari e, in definitiva, dell’intero sistema economico contemporaneo. Non a caso questa operazione di soccorso è ormai divenuta permanente, tenuto conto del fatto che l’alternativa a una politica inflattiva consisterebbe solo nell’aumento sostenuto dei tassi di interesse, che a sua volta provocherebbe il crollo dei mercati, la polverizzazione di capitali a tutti i livelli e, a cascata, fallimenti d’impresa, licenziamenti di massa e conseguenti ondate di caos sociale. In altri termini, se la scelta è tra affossare la valuta per salvare il sistema o affossare il sistema per salvare la valuta, non stupisce che l’opzione seguita dalle banche centrali – e caldeggiata dalle élites – sia quella di proteggere a ogni costo il sistema, ossia i mercati, anche a costo di abbassare i tassi di interesse, ossia il costo del denaro, per creare ulteriore liquidità inflattiva: e quindi affossare la valuta per generare altro debito.
Un dato può tornare utile: tra l’ultimo semestre del 2019 e il primo del 2020, proprio mentre il mondo cominciava a essere distratto dall’emergenza Covid, la banca centrale degli Stati Uniti d’America ha elargito alle banche d’affari a corto di liquidità l’astronomica e sbalorditiva cifra di 48mila miliardi di dollari, più del doppio del PIL statunitense di allora[1]. Questo dato permette di comprendere a un tempo perché espansioni monetarie e distorsioni finanziarie siano diventate endemiche e necessarie al sistema e perché la sopravvivenza del capitalismo ultra-finanziario dipende dalla sua capacità di tenere sotto controllo popolazioni sempre più improduttive, impoverite e superflue, gestendo un declino sociale che vede le classi medie proletarizzarsi a fronte della frammentazione del vecchio proletariato industriale in una moltitudine di disoccupati, sottoccupati, precari e soggetti che rinunciano tout court a cercare lavoro.
Ovviamente, la rischiosa combinazione tra impoverimento e reazione della popolazione deve essere controllata in qualche modo: e se guerre, epidemie e derive eutanasiche non bastassero a eliminare i “quattro miliardi di mangiatori inutili” lamentati da esponenti delle élites finanziarie, a ciò provvede efficacemente la gestione totalitaria della società, che punta al soggiogamento delle masse mediante la propaganda del terrore fondata sulla manipolazione dei dati scientifici, siano essi di natura sanitaria, climatica, ambientale, energetica, geo- politica o strategica.
L’emergenzialismo permanente è ideologicamente integrale alla prospettiva totalitaria: la crisi sanitaria causata dal Covid ha permesso di introdurre uno strumento di controllo – il Green Pass ispirato al sistema di credito sociale e ai principi dell’economia comportamentale – la cui ratio è stata ripresa e ampliata nell’ambito del processo di digitalizzazione dei flussi finanziari e delle valute, che sta portando all’adozione delle Central Bank Digital Currency (CBDC)[2]; la sola minaccia di una escalation dei conflitti armati – dall’Ucraina alla Palestina – fa rifluire ancora una volta enormi quantità di denaro sui mercati obbligazionari ritenuti sicuri; l’inarrestabile diffusione dell’intelligenza artificiale (IA) costituisce indubbiamente il passo definitivo verso una dimensione post-umana destinata ad azzerare i diritti fondamentali dell’uomo e a cancellare il primato dell’essere umano sugli interessi della scienza e della società, sancito dall’art. 2 della Convenzione di Oviedo sulla biomedicina del 1997, ma curiosamente continua a essere celebrata, da istituzioni e decisori politici, come la prova suprema per superare retrivi tabù antropologici e culturali, come un vero e proprio percorso iniziatico alla gnosi, da intraprendere a tutti i costi: ciò che spiega anche la necessità, avvertita a vari livelli, di dissimulare i rischi conseguenti, vuoi presentandoli come retaggi oscurantistici, vuoi promuovendo l’adozione di strumenti che, di fatto, conducono a risultati opposti a quelli dichiarati.
Emblematico, in questo senso, è il regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2024/1689, del 13 giugno 2024[3], che, da una parte, enfatizza la necessità di salvaguardare i “diritti fondamentali” (espressione che ricorre ben 97 volte nel testo regolamentare), ma che, dall’altra, lascia chiaramente trasparire la volontà del legislatore europeo di sottrarre la concreta azionabilità dei diritti in parola all’iniziativa dei singoli individui – che pure ne sono i titolari – per rimetterla alle decisioni di agenzie, comitati e istituti in vari modi controllati della Commissione europea: organismo che, come noto, non è eletto e, di fatto, risponde solo a sé stesso.
In un mondo che appare sempre più sospeso tra collasso economico e soluzioni totalitarie, il CIEB continua a sollecitare i cittadini affinché sviluppino la consapevolezza critica necessaria per dubitare della bontà e dell’efficacia delle soluzioni emergenziali proposte da apparati di governo sempre più insensibili ai diritti fondamentali dell’uomo, perché organici alle élites finanziarie che di quelle emergenze hanno fatto una ragione d’essere, e per aprire la strada a reali alternative sistemiche.
CIEB, 31 ottobre 2024
Il testo originale del Parere è pubblicato in: www.ecsel.org/cieb
[1] Cfr. www.newyorkfed.org/markets/OMO_transaction_data.html#rrp. La cifra riflette l’ammontare complessivo dei contratti Repo (Repurchase Agreement) – corrispondenti ai “pronti contro termine” – erogati dalla Federal Reserve alle Banche di importanza sistemica globale (Globally Systemic Important Banks o G-SIBs). Si tratta, in sostanza, di prestiti a breve termine in cui il debitore riceve liquidità in cambio di un titolo a garanzia (in genere, titoli di Stato) che s’impegna a riacquistare a un prezzo più elevato alla scadenza prefissata, scadenza che, però, viene generalmente prorogata.
[2] Secondo i principi dell’economia comportamentale, in condizioni di incertezza il giudizio umano tende a non allinearsi alle soluzioni indicate dalla teoria economica e, per questo motivo, deve essere guidato, “whatever it takes”, verso le opzioni indicate dai decisori politici: gli individui obbedienti saranno poi ricompensati con oggetti, anche virtuali (come i token), o con la possibilità di accedere a determinati servizi o prestazioni (secondo l’esperienza del Green Pass).
[3] In GU serie L del 12 luglio 2024.
Dopo esserci assicurati di aver compreso fino in fondo il significato di quanto detto da Franco Cardini, vediamo il motivo per cui ho voluto includerlo qui.
Ogni azione, o persino il mero progetto di eseguirla, non può prescindere dalle condizioni in cui ci si trova nel momento di metterla in pratica.
Per fare un esempio, se abbiamo intenzione di spostarci, e ci troviamo sulla terraferma, dovremo quantomeno essere in grado di camminare, cosa che non tutti possono dare per scontata, e soprattutto di avere libero accesso al tracciato lungo il quale contiamo di arrivare alla nostra destinazione.
Se per caso però ci troviamo nell’acqua, lo strumento principe dello spostamento in autonomia, ossia il camminare, non ci servirà più a nulla, se non a tirarci a fondo: dovremo nuotare e allo scopo sarà stato necessario a suo tempo aver imparato a farlo o quantomeno disporre di un salvagente, così da poter rimanere a galla.
Ancor peggio, chiunque sia in una condizione a causa della quale non si rende più conto fino in fondo della realtà in cui si trova, e allo scopo è sospinto con ogni mezzo al compimento di una determinata azione, finisce con il somigliare a quei personaggi dei cartoni animati di un tempo, che a forza di correre e inseguire il loro traguardo si ritrovano a farlo a mezz’aria, senza rendersi conto di aver oltrepassato il ciglio del burrone e, solo dopo qualche istante, preso coscienza della situazione, cadono al suolo con grande fragore.
Per poi, inopinatamente, ricominciare con la stessa azione, pari pari, per forza di cose destinata a produrre ancora una volta quelle stesse conseguenze.
Per questo motivo, allora, e in funzione di quanto scritto da Cardini, chiunque abbia ancora un legame con la realtà che lo circonda, sia pure residuale, comprende all’istante che quel testo abbia descritto la situazione oggi vigente nel nostro mondo: tutto il sistema industrial-propagandistico che ruota attorno alla riproduzione sonora non ha e non può più avere legame alcuno con quel che in origine è stata la finalità del prodotto hi-fi, ossia la maggior fedeltà all’evento che per il suo tramite si va a riprodurre e si desidera più aderente possibile all’originale o almeno all’idea che di esso ci siamo fatti.
Se le condizioni date sono quelle descritte da Cardini, e purtroppo per noi lo sono, quel sistema deve innanzitutto pensare alla propria sopravvivenza. Per farlo deve giocoforza ballare al ritmo che gli viene imposto dalla realtà economico-finanziaria propria dei tempi nostri e dalle leggi che produce, per forza di cose inderogabili.
Per motivi che immagino non ci sia bisogno di descrivere, se quel sistema deve corrispondere a quanto descritto fin qui, è già un miracolo che riesca ancora a reggersi in piedi e a non sparire una volta e per tutte. Allo scopo è indispensabile che produca profitti di volume tale e a ritmi sempre crescenti, in modo non da saziare, dato che è impossibile, ma almeno da soddisfare almeno parzialmente la sete infinita di profitti propria del meccanismo speculativo, cui deve rispondere per approvvigionarsi delle risorse necessarie alla sua sopravvivenza, e quindi alla realizzazione e commercializzazione del suo prodotto.
E’ evidente pertanto che la rassomiglianza all’evento reale, o solo la capacità di evocarne uno sia pure immaginario e come tale diverso, nell’idea che ciascuno degli utilizzatori si è fatto di esso nella propria testa da quello di tutti gli altri, non sia che l’ultimo dei traguardi che chi opera dal lato della produzione va a porsi.
Non solo perché per arrivare a poter presentare un prodotto per quale che sia deve aver soddisfatto una serie di condizioni che con la capacità di evocare “l’evento reale” non hanno nulla a che fare, ma anche perché quanti desiderano raggiungere un obiettivo del genere, o meglio riescono semplicemente a prospettarselo, sono pochissimi.
Peggio ancora, la ricerca stessa di quel fine porrebbe a repentaglio la sopravvivenza del sistema industrial-commerciale che permette alle apparecchiature hi-fi di essere realizzate e reperibili sul mercato.
Quanti s’impegnano in tale ricerca costituiscono una minoranza trascurabile nell’ambito di un settore merceologico che già di per sé è la nicchia della sottonicchia. Per conseguenza il fabbricante, se vuole sperare di poter continuare a tirar su la saracinesca ogni mattina, deve per forza di cose soddisfare le richieste della maggioranza della clientela potenziale.
Ad essa è stato insegnato, per mezzo di decenni di bombardamento mediatico, che innanzitutto è importante l’effetto speciale, primo fra tutti quello inerente la presentazione visiva del prodotto. Questo perché se certe spese devono essere affrontate, e sappiamo tutti quale può essere il loro ammontare al giorno d’oggi, che si abbia in cambio qualcosa almeno in grado d’impressionare come si deve, ovvero nella misura maggiore possibile.
Proprio a iniziare dal senso della vista, e dalle costruzioni fittizie allestite nella mente dell’appassionato in anni di martellamento. Solo in seguito, seppure, sarà la volta dell’udito, rispetto al quale non è assolutamente da dare per scontato che il suo possessore sappia quel che si deve ascoltare.
A questo proposito, maggiore è l’impressione destata dalla sonorità dell’impianto, più sembrerà veritiera l’idea di aver speso non dico bene il proprio denaro ma almeno di averne avuto indietro qualcosa.
“Senti ‘sti bassi come pompano?” “Senti ‘sti medi come ti spettinano?” “Senti ‘sti acuti come saettano?” Ecco l’estratto dei discorsi tipici che si fanno di fronte all’emissione di un impianto, seguito dal consueto coro degli Oooooh! e Aaaaah! da parte degli astanti, essi stessi in grado di dare un senso alla spesa di certe somme, ai fini di risultati del genere.
A pensarci bene, oltretutto, nella realtà attuale la qualità sonora, quale che essa sia, è l’ultimo dei problemi.
Dato che alle condizioni in cui si trova attualmente il mercato relativo al settore della riproduzione sonora amatoriale, il prodotto deve destare la giusta impressione innanzitutto in fotografia. Proprio questa deve fare in modo che ci si organizzi, e quindi si affronti uno sforzo, che tra l’altro diventa giorno per giorno sempre più costoso, e per questo un numero vieppiù crescente di persone è spinto a rinunciarvi già in partenza, per poter arrivare a osservare il prodotto dal vero.
A quel punto deve confermare le impressioni ricavate dall’osservazione sulla carta, o meglio indurne di ancora più seducenti, proprio perché un conto è guardare una foto o leggere un commento sistematicamente a senso unico, ben altro è trovarsi di fronte l’oggetto reale, per avere almeno una probabilità che si vada infine a perfezionare il suo acquisto.
Ora, con tutto questo, la qualità sonora e peggio ancora la capacità di evocare qualcosa di somigliante sia pur vagamente all’evento reale cosa ha che fare?
Un bel nulla, e soprattutto ha importanza ben più pressante, dato che le banche, le finanziarie, gli azionisti non aspettano: vogliono la loro libbra di carne e la vogliono subito, alla scadenza prestabilita. Deroghe non ce ne sono e non se ne possono fare, ne andrebbe della stabilità di tutto il sistema.
Ecco il motivo per cui qualsiasi marchio si sia distinto per la qualità sonora, reale, e non quella decantata e mitizzata su commissione dal Coro Degli Entusiasti A Prescindere, ha avuto vita breve o più corta ancora e ha fatto una brutta fine. Non prima di aver rimesso somme comunque di una certa rilevanza.
Proprio perché la concretezza del mondo reale, e più che mai quello di oggi, non lascia spazio a simili romanticherie. Quello che conta è appunto il contante e non è certo un caso che si chiami così.
Ogni mezzo per procurarselo è lecito e se per caso la qualità sonora finisce all’ultimo posto degli obiettivi che ci si pongono, seppure, è proprio perché puntando su di essa non si va lontano. Che diamine, non siamo più bambini e come tali sappiamo perfettamente come va il mondo.
Chiaro?
Non a caso, il marchio più diffuso e osannato da critica e pubblico a voci, testate e pagine internet unificate, non è forse quello che ogni vero appassionato che sappia appena appena il fatto suo aborrisce, proprio per la mediocrità delle sue doti sonore, sia pure a fronte di prezzi di listino da capogiro?
Poi quei listini ormai sono puramente figurativi, ma si tratta di un argomento che affronteremo a tempo debito, complice un altro fatterello avvenuto di recente.
Cosa si fa, dunque, con quelle apparecchiature? Si cura sempre più il lato estetico e soprattutto si ingrandiscono a oltranza quelli che una volta erano definiti “gli occhioni blu” ma ormai da tempo sono diventati degli schermi in Cinemascope. Da essi non si trasmette un programma TV o un film a piacere, ma il danzare delle lancette così efficace ai fini dell’ipnosi singola o di massa di chiunque si trovi al loro cospetto.
Non è forse vero che un tempo, quando andavano di moda, gli ipnotizzatori facevano oscillare ritmicamente un pendolino, davanti agli occhi delle vittime di turno, che prestandosi all’esperimento credevano di aver mostrato chissà cosa?
La trovata ha comunque il suo motivo d’essere, dato che, da quando a siffatti elementi di richiamo si è iniziato a dare sempre più visibilità, i destini del marchio che si affida ad essi, caduto prima di allora alla soglia dell’irrilevanza, ha conosciuto un recupero d’interesse, notorietà e reputazione che definire miracoloso è ancora poco.
Eppure si tratta solo di una luce, di colore blu. Sembra invece che quella delle lampare con cui i pescherecci riempiono meglio le loro reti, durante le battute notturne, sia bianca.
Una volta invertita la tendenza, il resto viene da sé: quanti più saranno a cantarne le lodi, tanto più si moltiplicheranno quelli che ripetono la nenia a pappagallo.
E poi mettono mano al portafogli, svuotandolo, dovendo mentire alla moglie e dire che l’oggetto del desiderio lo hanno pagato un terzo di quel che hanno speso realmente.
Lei fingerà di crederci, in maniera quantomai verosimile, facendo il marito contento e coglionato, come si dice a Roma, giusta la più pronunciata ed efficace tra le attitudini femminili. Solo perché sa che altrimenti dovrebbe intentare una causa di divorzio che costerebbe ancora di più, per poi ritrovarsi senza manco più uno straccio di marito, che almeno sperpera il denaro di famiglia in hi-fi piuttosto che in alcolici e donnine allegre.
Inevitabilmente elementi del genere, al di là del richiamo che possano eseguire, non hanno nulla a che fare con la qualità della riproduzione, anzi se possibile vanno a suo sfavore per una serie di motivi che è meglio tralasciare.
Dunque, per quella sparutissima minoranza di inguaribili romantici cui di tutte le questioni accessorie e dei collaterali issati a forza ai vertici della lista delle priorità inderogabili non interessa nulla, vediamo un approccio possibile per non ritrovarsi a correre il giro della rotatoria, ma avviarsi lungo un percorso che porti infine a un traguardo, per quale che sia.
Un itinerario possibile
Se è la rotatoria quella che vogliamo cercare di evitare, proprio perché di ritrovarci regolarmente al punto di partenza alla fine di ogni giro non è l’obiettivo che ci prefiggiamo, l’unica è prospettarsi uno spostamento orientato in modo differente.
La migliore, al riguardo, sarebbe la linea retta, quella che collega due punti nel modo più breve. Siccome però nel mondo reale la scelta, il prodotto o la condotta ideali non esistono, dovremo rassegnarci a muoverci lungo quella che un tempo, alle elementari, insegnavano fosse la linea spezzata.
Perché spezzata, chiederà qualcuno. Semplice, dato che in un processo di miglioramento, in cui si procede secondo modalità empiriche, ossia per mezzo della sperimentazione e successiva verifica, è pressoché inevitabile compiere dei passi falsi. Che tra l’altro sono destinati a diventare tanto più probabili, quanto più ci s’inoltra lungo il percorso di miglioramento in cui abbiamo deciso d’impegnarci.
Hanno però il loro vantaggio, dato che sono quelli da cui s’impara meglio che da ogni altro, avendone la voglia e le capacità.
Dunque, se un intervento potrà portarci verso l’alto, lungo la scala del miglioramento per la qualità sonora, di tanto in tanto incapperemo in qualcosa che ci riporterà nella direzione opposta. Collegando i diversi punti in ci troveremo di volta in volta, avremo proprio una linea spezzata.
Stabilita almeno la tipologia della linea atta a raffigurare il nostro spostamento, vediamo ora il secondo elemento, che riguarda la necessità, assoluta e inderogabile di procedere per conto proprio.
Infatti l’appassionato è solo, come ho avuto modo di scrivere ormai diversi anni fa, in quello che potrebbe essere visto come una forma embrionale del sito che poi ho messo in piedi tempo dopo e, in un modo o nell’altro, riesco ancora a tirare avanti. Sia pure potendo dedicargli molto meno tempo ed energie rispetto a quanto vorrei e meriterebbe.
E’ solo non soltanto perché i traguardi qualitativi che intende raggiungere interessano soltanto a lui, come abbiamo visto molto bene fin qui, ma soprattutto perché se ha intenzione di arrivare a un qualche risultato non deve prestare attenzione alcuna alle fonti che stanno li apposta per tenerlo dentro la rotatoria e farlo muovere a oltranza lungo il suo tracciato.
Dunque, neppure a chi sia afflitto dalla medesima passione e come tale ha ottime probabilità di aver subito lo stesso lavaggio del cervello, oltretutto a pagamento, al quale chi ha compreso di trovarsi all’interno di una rotatoria e ha deciso di uscirne è riuscito non si sa come a scampare.
Peraltro anche uno scampato suo simile non è detto che abbia le medesime modalità di percezione e scala di valori: per conseguenza si deve per forza di cose fare da sé e decidere per conto proprio.
Il terzo aspetto da stabilire è in quale modo andare alla ricerca di quei risultati. Non tanto a livello materiale, per il momento, ma almeno per attribuirsi una direzione di ricerca.
Qui ognuno deve fare ancora una volta a modo proprio, anche se non è assolutamente facile prendere una decisione in tal senso. Del resto la strada è irta di difficoltà ed è proprio su di esse che conta il sistema di profitto legato alla riproduzione sonora amatoriale per riportare nel recinto le pecore sfuggite al suo controllo, che deve essere nello stesso tempo ferreo e impercettibile, quantomeno da parte dei più.
Proprio perché se ti accorgi di stare in una galera, il primo e più impellente desiderio che avrai sarà quello di liberarti.
Questo peraltro è il problema cui mi sono trovato di fronte anch’io, a un certo punto, ossia quando finalmente ho compreso che tutte le apparecchiature, nessuna esclusa, hanno sempre gli stessi problemi. Per il semplice motivo che derivano tutte da un sistema produttivo che deve rispondere a leggi ben precise e che non può fare altro dal rivolgersi a un mercato che ne ha almeno altrettante e ancora più ferree.
Nel momento in cui si decide di operare in esso è giocoforza accettare e obbedire a quelle regole. Se si cerca di forzarle, il fallimento è certo: si tratta solo di vedere quando arriverà e quanto grosso sarà il botto, come l’esperienza di un numero di esempi incalcolabile insegna a chiunque sia intenzionato a tenerne conto.
Personalmente, dovendo risolvere il problema in via del tutto indipendente, non ho potuto che fare affidamento all’esperienza che ho potuto mettere insieme nel corso del tempo e al mio intuito, per quale che fosse. Questo, si badi bene, a puro titolo di cronaca e non certo di suggerimento o peggio di vanteria.
A questo riguardo, con una sistematicità che almeno ai miei occhi è stata impossibile da trascurare, ho potuto osservare che ogniqualvolta mi sia trovato di fronte alla ricerca di un miglioramento prestazionale, e questo abbia comportato una maggiore complessità del sistema per mezzo del quale ci si riprometteva di ottenerlo, i risultati sono sempre stati quantomeno interlocutori, se non addirittura negativi su un numero di parametri superiore rispetto a quelli sui quali si poteva eventualmente rilevare un miglioramento.
Dunque, ogniqualvolta vi sia stato a disposizione un sistema funzionante con un’efficacia apprezzabile, nel momento in cui si è andati a forzarlo per incrementarne le prestazioni nelle modalità canoniche, ossia aumentando le sue dimensioni o il numero dei suoi componenti, tanto a livello di apparecchiature presenti nell’impianto quanto di parti interne, le cose hanno finito sempre col peggiorare. O, quantomeno, a fronte degli eventuali miglioramenti ottenuti, sono sempre saltati fuori dei difetti di dimensioni maggiori che in buona sostanza hanno finito regolarmente col rendere la medicina peggiore del male che intendeva curare.
In particolare quel che veniva penalizzato più di ogni altra cosa era la naturalezza delle sonorità. Magari aumentavano i bassi, la pressione sonora o qualsiasi altro parametro di ordine quantitativo, ma sempre a danno della naturalezza e della coerenza di emissione, che sono invece parametri qualitativi e come tali immisurabili.
Non per questo, tuttavia, il nostro orecchio è insensibile nei loro confronti. Ne è anzi influenzato in maniera ben più profonda, ancor più quando ha un minimo di educazione all’ascolto.
Altra cosa di cui sui media di settore non si parla mai. Sarà un caso? O forse dato il numero delle apparecchiature che occorreva provare non si è mai riusciti a trovare il tempo per farlo?
Purtroppo quel modo di procedere è tipico dell’industria di settore. A questo proposito occorre sempre tener bene a mente che per le stesse modalità commerciali che si è attribuita, non ha solo il problema di produrre oggetti che suonino possibilmente in maniera decente, ma ha anche il compito, molto più difficile, di attribuire una sua organicità al listino dei prodotti che offre al pubblico, cosa che si ottiene per mezzo della loro differenziazione in termini di prezzo e di caratteristiche realizzative.
Su tutti, comunque, deve esistere un margine di profitto, più o meno ampio, dato che produrre in perdita non è possibile. Ciascuno di essi inoltre deve riscuotere l’apprezzamento del pubblico, dato che altrimenti resterà invenduto.
Per risolvere questo problema, l’industria non ha trovato di meglio di attribuire ai prodotti che realizza una scala gerarchica, tale che gli elementi sui quali si articola siano riconoscibili dal pubblico senza troppe difficoltà.
Proprio perché chiunque deve essere in grado di distinguere all’istante, e prima ancora di averlo eventualmente ascoltato, l’oggetto di gran classe da quello destinato a una diffusione più ampia.
La strada più facile al riguardo è quella di allestire l’oggetto più costoso con una ricchezza maggiore, tanto a livello esteriore quanto di realizzazione interna e dotazione comandi.
In funzione di quanto abbiamo visto poco fa, in relazione agl’insegnamenti forniti dall’esperienza, questo modo di procedere ha ottime probabilità di fare in modo che il prodotto di costo maggiore suoni peggio di quello più a buon mercato.
Del resto se la veste estetica non dev’essere solo più attraente ma deve diventarlo sempre più, i suoi costi sono tali, specie al giorno d’oggi, che già per approntarla si rende necessario l’intero differenziale, in termini di costi di produzione, prestabilito o comunque ritenuto ammissibile nei confronti del modello più economico.
A livello realizzativo poi si procede arricchendo il prodotto a livello di dotazione comandi e su quello circuitale, ottenendo così un oggetto più complicato e peggio caratterizzato da un numero di ostacoli disseminati lungo il percorso del segnale notevolmente maggiore rispetto a un’apparecchiatura meno pretenziosa, il che si rivela ancora una volta controproducente.
In particolare proprio a livello di qualità sonora ed è qui che Il Coro Degli Entusiasti A Prescindere assume il suo ruolo indispensabile, quello di convincere le persone che più l’oggetto è grosso, vistoso e inzeppato di componenti, che è obbligatorio siano allineati come tanti soldatini, più è meritevole di considerazione e soprattutto può giustificare le quantità di denaro sempre più inverosimili necessarie per il suo acquisto.
C’è poi un altro aspetto, riguardante la necessità, da parte dell’industria, di standardizzare i componenti che utilizza per i diversi modelli, ai fini delle economie di scala oggi più indispensabili che mai per il contenimento dei costi di produzione. Va da sé che se invece di aumentare la qualità dei componenti disseminati lungo i percorsi di segnale se ne moltiplica il numero, come sempre tra gli Oooooh! e gli Aaaaah! della critica, seguita poi immancabilmente dal pubblico, le conseguenze sono intuibili.
Danno luogo esattamente a quello che si può verificare nelle mostre di settore: apparecchiature dal suono goffo, tronfio, lentissimo e del tutto privo di capacità di analisi, che denota in maniera inequivocabile le conseguenze delle quantità inverosimili di controreazione da cui sono gravate, a loro volta origine delle sonorità inverosimili che sistematicamente è il loro denominatore comune. Apparecchiature meno pretenziose, invece, sono spesso caratterizzate da sonorità che pur con tutti i loro limiti denotano prerogative di coerenza e naturalezza ben più evidenti, proprio a dimostrazione dei benefici impliciti nella semplificazione dei percorsi di segnale.
In quello che abbiamo appena visto, si riscontra una somiglianza a mio modo di vedere significativa con il mondo delle corse di auto, che mi ha attratto fin dalla più tenera età, come molti altri della generazione cui appartengo. Ho sempre cercato di seguirlo come ho potuto e lo faccio tuttora, ovverosia dall’esterno, non avendo le possibilità innanzitutto economiche di fare altro, anche se qualche accadimento avrebbe potuto suggerire che, forse, non avrei sfigurato del tutto in un coinvolgimento più diretto.
In qualche modo comunque ritengo di averne tratto degli insegnamenti, anche in funzione della mia inclinazione caratteriale, per la quale allo stesso modo in cui non c’è verso di farmi fare cose di cui non ho voglia o verso le quali non provo interesse, quel che mi attira invece cerco sempre di approfondirlo. A modo mio ovviamente e in funzione dei miei poderosi limiti, ma questo è.
Il primo di tali insegnamenti è che, lungo un tracciato appartenente al mondo reale, difficilmente è il mezzo più potente in assoluto a prevalere. Malgrado un certo quantitativo di potenza sia indispensabile, andare alla sua ricerca esasperata si rivela controproducente. Proprio perché per andare oltre certi limiti si finisce regolarmente col penalizzare altri aspetti del mezzo, d’importanza almeno pari.
Il tracciato di gara non è mai solo un rettilineo, tranne che per certe americanate, termine guardacaso andato in disuso, che mi sono sempre rifiutato di prendere in considerazione.
E’ invece sinuoso, e a volte persino tormentato, proprio come l’andamento dell’inviluppo che descrive l’andamento del segnale musicale. Questo anzi lo è in una misura enormemente maggiore rispetto a qualsiasi tracciato conosciuto adibito alle gare di mezzi a motore.
Quanto più il tracciato era sinuoso, tanto è stata maggiore, storicamente, la prevalenza dei mezzi realizzati da costruttori inglesi. Nella loro tradizione, tanto più significativa fin quando le corse di auto hanno mantenuto un legame con la realtà concreta, ormai da tempo finito sempre più sullo sfondo per una lunga serie di motivi, il principio numero uno è sempre stato il seguente: privilegiare le doti di leggerezza e maneggevolezza, e più ancora migliorare e affinare il più possibile il mezzo che si ha, piuttosto che imbarcarsi ogni volta nel progetto e nella realizzazione di uno nuovo. Dato che questo per forza di cose presupporrà un periodo di presa di confidenza, verifica prestazionale e perfezionamento che già per essere portato a termine impone un dispendio di risorse, e di tempo, che inevitabilmente va a scapito della ricerca e del conseguente ottenimento delle prestazioni migliori.
Senza contare che non è per nulla detto che il progetto più recente sia necessariamente migliore di quello che è venuto prima. Anzi, proprio per via delle esasperazioni di cui si va alla ricerca col fine di aumentare le prestazioni, quasi sempre senza tenere conto del loro possibile ripercuotersi su aspetti imponderabili a priori, spesso si finisce con il fare peggio. Il mondo delle corse ha fornito a questo riguardo numerose lezioni, quindi non si contano gli esempi in cui pur disponendo di un mezzo nuovo e sulla carta più avanzato, si sia dovuti tornare precipitosamente indietro.
In particolare nel momento in cui lo si è osservato non dal punto di vista della tifoseria, ma da quello della curiosità per il fenomeno tecnico del quale è manifestazione concreta.
Il principio numero due è quello che tutto quello che non c’è non si può rompere e neppure può fare da zavorra, penalizzando le prestazioni del mezzo.
Ulteriore aspetto di questo principio, quello che non c’è non costa nulla. In modo tale da permettere di spendere di più e meglio su quel che non si può togliere.
Tra l’altro, meno ce n’è, di quella zavorra, e meno sarà la potenza necessaria a muovere il mezzo. Quella diminuzione, anzi, sarà origine di un ulteriore alleggerimento, tale da richiedere una potenza ancora minore e così via, dando innesco a un circolo virtuoso.
Ora, già da questi due enunciati si può comprendere in quale misura il mondo della riproduzione sonora, quantomeno a livello ufficiale, e al pari di quello attinente a un gran numero di altre specialità che contemplino tra i loro aspetti anche una qualche forma di attività commerciale, vada esattamente all’opposto.
L’industria operante nel settore della riproduzione sonora cosa fa? Ti offre, quale prodotto di punta, come tale almeno sulla carta destinato a prevalere su tutto il resto a livello prestazionale l’equivalente di un’auto da corsa potentissima e pitturata con la livrea curata allo spasimo e più sgargiante che mai. A tre quarti del rettilineo di partenza ha già seminato tutti gli avversari, ma come arriva la prima curva va dritta, finendo nella ghiaia o peggio a stamparsi contro il guard rail.
Il che, per quanto mi riguarda, sembra suggerire che forse un pensiero conformato in modo più vicino a quello del mondo delle corse, e la conseguente modalità d’azione, potrebbero non essere i migliori di questo mondo nell’ambito della riproduzione sonora, ma almeno offrano un’alternativa percorribile che al limite potrebbe far si di arrivare a un qualche risultato.
Sottrarsi alla coazione al cambia-cambia
Dunque, secondo la modalità di approccio descritta fin qui non si persegue più il continuo cambio di apparecchiature ai fini dell’ottenimento di prestazioni maggiori, al quale anzi è indispensabile sottrarsi, ma si cerca di migliorare per quanto possibile quello che già si ha.
Inutile del resto sostituirlo con qualcosa che per motivi industriali, commerciali e altro ha la tendenza innata a dilapidare la parte maggiore del suo potenziale, il quale oltretutto ci viene fatto pagare a un prezzo sempre più caro.
Molto meglio allora andare alla ricerca del margine inespresso di quello che si ha già: si spende molto meno e si ottengono risultati migliori. Talvolta persino inavvicinabili dal prodotto industriale, per quale che sia il suo costo, proprio perché le leggi della produzione su larga scala non permettono l’impiego di determinate soluzioni.
Indispensabile dunque, se si vuol progredire, un cambio di paradigma epocale, in funzione del quale buttarsi alle spalle i suggerimenti interessati dell’ideologia consumista e della propaganda che la sospinge in maniera sempre più martellante, tale da eseguire un vero e proprio lavaggio del cervello.
Certo, così facendo non si avrà l’apparecchiatura all’ultima moda o quella su cui Il Coro spergiura che essa ed essa soltanto “E’ il futuro”. Poi in cosa consista questo futuro e perché sia tanto migliore di quel che non lo è i Sigg. coristi non sono mai stati capaci di spiegarlo. Così si sono trovati costretti a usare i soliti vecchi pretesti, peraltro antidiluviani con una coerenza assolutamente impeccabile, o altrimenti, e spesso insieme, minacciare che se non ci si allinea al Verbo, la condanna sarà pronta e soprattutto inappellabile, tale da relegare i disobbedientisi al girone degl’irrimediabilmente sorpassati e per conseguenza reietti.
L’unica condizione necessaria per sottrarsi alla ruota per criceti che Il Coro ha approntato per tutti i suoi seguaci, spacciandola peraltro come il Paradiso in Terra, riguarda l’esistenza di un margine di miglioramento in quanto ci apprestiamo a migliorare.
Sulle prime potrebbe apparire difficile stabilire quale possa essere il livello di soglia minimo da cui sia ragionevole partire, anche se ci sono un paio di elementi che giocano a nostro favore.
Il primo è che le logiche della produzione industriale, ai fini del contenimento dei costi di produzione e dei tempi di assemblaggio lasciano aperta una quantità di porte tali da rendere pressoché qualsiasi prodotto passibile di un miglioramento significativo.
Presto, speriamo, prenderemo in esame un esempio capace di spiegare che quel margine esista anche in prodotti non solo dal costo irrisorio, ma che mai e poi mai si prenderebbero in considerazione per l’ottenimento di un qualsiasi livello prestazionale degno di considerazione da parte di un appassionato di riproduzione sonora.
L’altro è che seguendo principio fondamentale enunciato in precedenza, tanti costruttori di auto da corsa hanno trovato il successo, non a caso, proprio perseguendo l’innalzamento delle prestazioni nel modo in cui vogliamo farlo noi, sia pure in un altro ambito.
Hanno seguito quella strada per molto tempo e continuano a farlo tuttora, non tanto per mezzo della ricerca delle potenze massime e della corsa al gigantismo ritenute irrinunciabili nel nostro settore, proprio in quanto propedeutiche ai profitti maggiori, ma cercando di far rendere al meglio quel che avevano a disposizione, per mezzo dell’alleggerimento e della massima maneggevolezza del mezzo che quella potenza è chiamata a muovere.
Un mezzo più leggero è anche più piccolo, quindi sono minori le masse d’aria che dovrà spostare per muoversi, la resistenza delle quali cresce al quadrato della velocità.
Un elemento equivalente a questo riguardo, applicabile al settore di nostro interesse potrebbe essere la semplificazione del percorso del segnale, che più diminuiscono il numero e l’entità degli ostacoli che è chiamato ad affrontare e oltrepassare lungo il suo percorso, più aumentano le probabilità che riesca a conservare meglio le sue caratteristiche originarie, che è appunto l’obiettivo che ci prefiggiamo, almeno in teoria.
Le modalità di realizzazione del prodotto di nostro interesse invece vanno esattamente al contrario. Più elevati sono i segmenti di mercato cui è destinato, più la sua costruzione è legata a un sovradimensionamento quasi sempre fine a sé stesso, tranne il giustificare il suo prezzo di listino, sia pure quando ha oltrepassato, ormai da un pezzo, la soglia del surreale.
Oltre a destare domande che ormai quasi più nessuno si pone, riprova ennesima del lavaggio del cervello di massa che lo stesso consumismo impone a favore dei risultati che si prefigge, ciò cozza pesantemente contro gli elementi di realtà concreta che abbiamo sotto gli occhi di giorno in giorno.
Si è mai visto che un camion sia il mezzo più rapido e veloce in assoluto, malgrado sia di gran lunga il più potente? Allora per quale motivo le apparecchiature destinate idealmente le prestazioni più elevate sono costruite in modo da sembrare tali o meglio ancora degli autoarticolati a triplo rimorchio?
A questo riguardo l’esempio recente del Marantz CD 63 analizzato nello scorso articolo sembra proprio suffragare quanto detto fin qui: una macchina semplice a livello costruttivo ma di buona efficienza, una volta liberata delle limitazioni più significative che le sono state attribuite dal fabbricante per ragioni di gerarchia del suo listino, riesce a suonare in maniera molto più naturale e vitale rispetto a esemplari di ben altro impegno e costo, osannati da sempre oltretutto da critica e pubblico.
Così da permettere, all’impianto di cui fa parte, un livello di qualità sonora ben difficile da ottenere seguendo la via canonica.
Dunque l’esperienza sul campo sembrerebbe indicare che per i fini che ci prefiggiamo non sia per forza necessario avere macchine di chissà quale livello, per partire alla ricerca del loro affinamento. E’ probabile invece che realizzazioni più semplici e lineari, proprio in quanto tali reagiscano meglio agl’interventi che su di esse andiamo a effettuare.
Come nel mondo delle corse, in cui tante volte auto più piccole e leggere, anche se dotate di potenza minore, hanno avuto la meglio e continuano ad averla nei confronti di esemplari molto più potenti ma proprio per questo più goffi, pesanti e difficili da condurre.
Tra l’altro, un impianto curato in modo simile non ha alcuna necessità di vincere l’assoluto in una gara che tra l’altro non si vede su quale terreno potrebbe tenersi e come far si che i diversi concorrenti si schierino tutti dietro il nastro di partenza.
Viceversa deve rivelarsi convincente, e soprattutto realistico, nella riproduzione di musica all’interno dello spazio che gli abbiamo messo a disposizione.
Eccellendo proprio in quel realismo di cui difettano gli impianti dell’hi-fi per oligarchi.
A tale scopo non servono Vu-meter di dimensioni da cinema, finiture abbaglianti in metalli preziosi, gigantismo realizzativo o forme inedite e particolarmente eleganti che sempre più spesso virano al pacchiano, secondo un’attrattiva nei suoi confronti che appare vieppiù ineluttabile.
Si tratta esclusivamente di pretesti, diciamolo ancora una volta, che in tutta evidenza con la qualità di riproduzione non hanno nulla a che fare. Sono anzi controproducenti ai suoi fini, proprio perché distraggono risorse da quel che fino a prova contraria dovrebbe essere la destinazione primaria delle apparecchiature adibite alla riproduzione sonora.
Su di essi il sistema di propaganda di settore batte a oltranza, eseguendo un abuso ormai divenuto sfrenato, oltreché endemico, al solo fine dell’induzione di un consumismo altrettanto privo di freni inibitori. Unico scopo del quale è il mantenimento in vita, e nelle migliori condizioni economiche possibili, della sua committenza. Nella consapevolezza che una volta venuta meno quest’ultima, anch’esso non avrebbe più motivo alcuno di esistere e quanti operano ai suoi fini dovrebbero rassegnarsi, non sia mai, a lavorare.
Ma stavolta per davvero.