Il sessismo dei cavi audio (?)

Quello del cosiddetto sessismo dei cavi audio è effettivamente il problema del secolo.

Ma che dico, del millennio!

Un comunicato della PAMA, che sta per Professional Audio Manifacturers Alliance, ossia alleanza dei fabbricanti di apparecchiature audio professionali, annuncia che per il bene dell’umanità è imprescindibile risolverlo.

Già definirsi “alleanza” suona alquanto fuori luogo, nulla di strano allora che ci si trovi nell’urgenza di suggerire un vocabolario neutro e “politicamente corretto” anche per le connessioni dei cavi audio. Basta dunque con le definizioni storiche “maschio” e “femmina”, irrispettose della parità tra i sessi e dei diritti della donna, che è doveroso osservare anche e soprattutto nel settore della produzione e riproduzione sonora.

Scopo dell’iniziativa, pertanto, è “affrontare problemi di linguaggio e terminologia obsoleti, identificati come sempre più scoraggianti rispetto allo spirito di inclusione”.

Inevitabile chiedersi se i propugnatori dell’iniziativa credano davvero in essa, e nelle parole con le quali la vorrebbero giustificare, o siano semplicemente alla ricerca di una qualche visibilità, che notoriamente si conquista in maniera tanto più facile quanto più le si spara grosse.

E’ interessante anche osservare che, nel momento in cui si ha intenzione di delegittimare qualcosa lo si definisce immancabilmente “obsoleto”. Viviamo in tempi dominati dall’isteria di massa innescata per mezzo di fandonie che  ormai da tempo hanno sono oltre il surreale imensioni, e nonostante questo ci si rifiuta di osservare con la più grand determinazione, ma guai a chi e a cosa non sia perfettamente al passo con essi.

Ecco dunque un ulteriore criterio di valutazione per quest’iniziativa.

A PAMA aderisce tra gli altri il gruppo Harman, che controlla un gran numero dei marchi più attivi in hi-fi come AKG, Infinity, JBL, Mark Levinson, Crown, Souncraft, e Arcam. A sua volta è parte del gruppo Samsung, a dimostrazione dei discorsi fatti a suo tempo riguardo alle sembianze assunte dal capitalismo nella fase attuale e delle loro conseguenze. Di PAMA fanno parte inoltre Audiotechnica, Shure e Sennheiser, per fermarsi ai nomi coi quali gli appassionati di audio amatoriale hanno maggior dimestichezza.

La santa “alleanza” ha distribuito un questionario alle aziende che di essa fanno parte, con lo scopo di sondare le opinioni concernenti il problema sentitissimo riguardante la denominazione delle terminazioni, la cui soluzione come ognuno può comprendere senza difficoltà non è possibile rimandare ulteriormente.

Secondo Karam Kaul, presidente del consiglio di amministrazione dell’associazione e membro del comitato per l’inclusione. “L’intento è fare in modo che i membri di PAMA raccomandino l’adozione di una struttura interna alle loro organizzazioni per l’implementazione di una terminologia unificata in tutto il settore, nello spirito di inclusività e coerenza. È una questione di vicendevole rispetto”.

Non è sufficiente, eventualmente, cambiare nome a determinati oggetti e basta: ci vuole la proprio la struttura interna, con tanto di gerarchia e relativo meccanismo burocratico, che si occupi specificamente della terminologia e della sua “implementazione”. Parola che già di per sé è tutto un programma ed è un marcatore di efficacia inarrivabile nel definire il tasso di alienazione e dissociazione dalla realtà di chiunque la utilizzi. O peggio, ne faccia l’abuso oggi usuale.

Come sempre a scopo riempitivo del cavo orale, con le inevitabili conseguenze a livello intellettivo.

Inutile poi domandarsi su cosa e come saranno scaricati i costi di quella “struttura interna”.

PAMA pertanto ha stilato un documento di “nomenclatura audio professionale neutrale consigliata”.

Tradotto, significa che si deve parlare, e di conseguenza pensare, come vogliono loro. Poiché sono i soli a sapere come sia opportuno e quindi doveroso farlo, in quanto superiori moralmente, e predestinati ad arrogarsi il diritto d’imporre cosa si possa dire o non dire. Per conseguenza tu, essere inferiore e inetto cerebralmente, sei tenuto ad adeguarti e a conformare la tua visione della realtà, anche e soprattutto nei suoi aspetti più banali, alla loro.

Ecco un’ulteriore conseguenza di quello che viene giustamente definito tecno-feudalesimo. Come vediamo non si limita a scavare un fossato invalicabile tra chi controlla la tecnologia e chi invece ne viene dominato, ma attribuisce anche un potere decisionale assoluto a cui si trova ai vertici della sua scala gerarchica, oltre a quello d’imporre logiche e schemi mentali, modalità dei rapporti interpersonali, definizione e utilizzo del inguaggio.

Sono del resto l’ordine delle cose e la natura stessa, qualora differiscano dalle presunzioni dei tecno-feudatari, a doversi adeguare a ciò che quegl’illuminati ritengono giusto e necessario.

La santa alleanza tiene a precisare che ha intenzione d’imporre un elenco aperto (come sono democratici, loro), destinato a evolversi grazie ai contributi che giungeranno man mano dai professionisti e dalle realtà del settore.

Dunque, ogni eventuale collaboratore alla causa del pensiero unico e della decostruzione della realtà a suo uso e consumo, con successiva riedificazione secondo le regole del Grande Riassetto, sarà accolto a braccia aperte. Almeno a parole.

In effetti i professionisti del settore hanno manifestato più volte e nella maniera più rumorosa possibile che il problema delle definizione sessista delle terminazioni è al vertice assoluto delle loro priorità.

Non ci si dorme la notte, proprio.

Ecco perché avevano indetto addirittura uno sciopero generale degli studi di registrazione e di quelli di progettazione audio, poi fortunatamente rientrato grazie alle rassicurazioni ottenute dalla PAMA conseguenti al lancio della sua inziativa epocale, foriera di benefici incalcolabili per l’intera umanità.

Riflettendo per un attimo sulla questione, inevitabile chiedersi chi sia il vero sessista.

Lo è colui che ha sempre indicato le terminazioni con il loro nome proprio e in maniera del tutto neutrale, dato che maschio o femmina al di là della loro funzione pari sono, oppure chi è preda della compulsione alla ricerca spasmodica di una differenziazione di genere non si sa quanto pretestuosa, partendo dall’assunto che tutto quanto è femmina o femminile non può che essere inferiore per sua stessa natura e come tale offensivo. Quindi da cancellare prima dal vocabolario e poi di conseguenza dall’immaginario e dal vissuto concreto delle persone.

In genere chi sì’impegna in certe battaglie ama anche definire sé stesso come ecologista e ambientalista. Se la Natura nel corso del suo evolversi durato milioni di anni è pervenuta al dotarsi del maschio e della femmina per le funzioni riproduttive di gran parte delle specie animali e vegetali, ognuno dei quali caratterizzato da una sua funzione imprescindibile, per quale motivo i geni di cui sopra ritengono loro preciso dovere sovvertirne il dettato e gli esiti, per realizzare qualcosa che di fatto è del tutto contronatura?

Forse per ridurre lo stato dei regni animale e vegetale a quello minerale?

Stando alle notizie circolanti in merito alla questione, sembra che la notissima associazione “Soundgirls” abbia accolto con grande entusiasmo l’iniziativa e l’abbia rilanciata sui suoi social. Il suo fine è “supportare le donne che lavorano nella produzione audio e musicale professionale, mettendo in evidenza il loro successo e fornendo loro un luogo per connettersi, fare rete e condividere consigli ed esperienze”.

Se un successo, preteso o effettivo, ha tutto questo bisogno di essere messo in evidenza, siamo sicuri che sia effettivamente tale?

Inoltre se gli scopi sono effettivamente quelli della parità e dell’uguaglianza, che motivo ha di essere un ente dedicato espressamente alle donne o meglio aperto esclusivamente ad esse? Mi sembra evidente che già per il fatto stesso di esistere in funzione del discrimine sessuale, il suo obiettivo non sia quello di cancellare le disparità e più genere le valutazioni aprioristiche, bensì di approfondirle. Andando a produrre una differenziazione il più possibile netta e alzando recinti di fatto invalicabili. Elementi di divisione entro i quali vi sia chi, in base agli attributi che la Natura gli ha conferito, è “più uguale” degli altri.

Dunque non parità ma sovvertimento di una pretesa gerarchia che di fatto è oggi inesistente. Dunque ricreandone una non ai dini della cancellazione del sessismo, come si vorrebbe far credere, ma dell’imposizione di un fenomeno del tutto identico a quello che si finge di combattere, dai termini capovolti.

Attenzione a questo elemento, dato che gli si potrebbe attribuire una sorta di specularità e quindi una sostanziale equivalenza.

Non è così, dato che un conto sono i rapporti interpersonali e le usanze venutisi a produrre in seguito a millenni di storia e di evoluzione. Ben altro invece è il voler produrre a tavolino il loro capovolgimento, su basi e per ragioni puramente ideologiche. Usando a piene mani lo strumento della menzogna e dell’inganno, ingredienti primari della propaganda della quale si fa un bombardamento intensivo e inarrestabile. Al fine di scopi che sono inconfessabili per loro natura, dato che altrimenti di tutto quell’apparato di coercizione di massa a livello intellettivo, linguistico e comportamentale non vi sarebbe bisogno alcuno.

Come si può immaginare tuttavia, ed è nelle preoccupazioni di ognuno di noi, le denominazioni sessiste delle connessioni audio e più in generale delle terminologia inerente il settore dell’elettricità e quello della meccanica offendono profondamente tutte le donne che lavorano nel campo della produzione e riproduzione musicale.

Al punto tale da non permettere loro di svolgere il proprio lavoro con la serenità e la dedizione necessarie, tale è il peso che certe definizioni caricano sulle loro coscienze, sul loro vissuto quotidiano e sulle loro prospettive future.

Ecco il vero e unico motivo per cui, nel caso, esse possono ottenere risultati non del tutto all’altezza della situazione, delle attese o solo di quanto si ritenga necessario.

Karrie Keyes, direttrice esecutiva di SoundGirls nonché, sembra, monitor engineer dei Pearl Jam per 25 anni e professionista che ha seguito i tour di band come Soundgarden e Red Hot Chili Peppers, non è dato sapere a che titolo, ha rilasciato la dichiarazione che segue: “Un plauso per PAMA che cerca di introdurre un linguaggio neutro nell’industria audio. È un’impresa enorme, ma bisogna continuare a lavorare per portare cambiamenti significativi in questo settore”.

Introdurre un linguaggio, significa forzare l’uso della neolingua, gli scopi della quale non c’è bisogno di spiegare ancora una volta.

Poi che la nota cantante di jazz debba esibire scollature vertiginose, con tanto di sguardo torbido sulle copertine dei suoi dischi, o che persino la pianista classica sia costretta a mostrarsi “vestita” con un abito dallo spacco ascellare così da mettere bene in vista le sue grazie, e cosa tutto questo abbia a che fare con l’arte e l’espressione musicale, in particolare della donna, non preoccupa assolutamente la PAMA e neppure i funzionari di Soundgirls. Tanto è vero che al riguardo non li si è mai sentiti emettere neppure un sospiro.

Inutile chiedersi, d’altronde, come mai non s’impegnino con altrettanto vigore nei confronti della strumentalizzazione dell’immagine femminile a fini commerciali, con allusione sessuale più o meno smaccata ma sempre evidente, e anzi chiave stessa del messaggio, nelle pubblicità degli oggetti più disparati.

Anche per quelli in cui il richiamo sessuale ha nessuna attinenza ed è quindi una mera forzatura, che spesso dà l’idea di essere eseguita per forza d’inerzia. Dato che non se ne può proprio fare a meno e regolarmente in mancanza di idee migliori dal punto di vista della comunicazione.

Che a miliardi di donne e alla loro prole sia negato l’accesso all’acqua, ai diritti fondamentali e alle cure essenziali, e anzi che che specialmente quelle del cosiddetto Terzo Mondo le si sia usate a milioni come cavie per la sperimentazione di intrugli che hanno causato danni irreversibili alla loro vita, per PAMA e Soundgirls non è un problema e non se ne preoccupano.

D’altronde il poter fare ricorso ai bassifondi del mondo ogniqualvolta se ne presenti l’esigenza, e allo scopo sono mantenuti apposta in tali condizioni, è essenziale per il ricco occidente capitalistico e per i suoi meccanismi di accumulazione. Di essi le associazioni in questione sono parte integrante, quindi non ritengono opportuno mettere in discussione il sistema che le mantiene in vita e ne giustifica l’esistenza.

Molto più comodo, per loro, fingere che il mondo si fermi alle denominazioni delle connessioni audio, facendo di esse le proprie Colonne d’Ercole. Materiali, cognitive e ideologiche.

Il termine coerenza, del resto, è caduto in disuso ormai da tempo. Quant’è che non se ne sente parlare e neppure lo si legge? Ma non c’è da preoccuparsi, certe cose non possono offendere la rispettabilità e la figura stessa della donna. Sono i nomi che si danno alle terminazioni dei cavi il problema che non fa dormire la notte e definisce la parità tra i sessi e quella tra i rispettivi diritti.

Cerebrolesi e falsari di tutto il mondo unitevi, se già non lo siete.

 

 

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