Non conta ciò che è vero, ma ciò che è percepito come vero.
Henry Kissinger
Me lo ripeto sempre: stai lontano dai social.
Poi giro la stessa avvertenza a chiunque mi chieda informazioni o entri in argomento, specie quando riporta idee o valutazioni che hanno quella stessa origine.
Il motivo è esattamente quello descritto dai uno dei peggiori criminali di guerra del ventesimo secolo, raffigurato in apertura, i guasti causati dal quale siamo ancora qui a subire, a livello globale, e chissà per quanto dovremo farlo ancora.
Nel 1973 è stato insignito del premio nobel per la pace, suffragando la realtà orwelliana nella quale siamo immersi non soltanto da parecchio, ma da prima ancora che molti di noi venissero al mondo.
I social infatti sono il sistema più efficace, oggi, per far ritenere assolutamente vero ciò che non lo è, non lo è mai stato e non lo sarà mai. E, nello stesso tempo, derubricare il vero, persino quello incontrovertibile, a ipotesi non dimostrabile e tutta da verificare.
Risultato ottenuto tra l’altro a suon di argomentazioni talmente lontane da ogni concezione del buon senso, da funzionare esse stesse come carburante dall’efficacia ineguagliabile ai fini per cui quegli spazi sono stati inventati.
Più ci penso e più li vedo come fulcro dell’arsenale bellico utilizzato per la guerra senza quartiere oggi in corso, ai fini della quale non ci sono e mai vi saranno negoziati, trattative diplomatiche, cessate il fuoco, semplici abboccamenti o altre iniziative di pacificazione: quella mossa dallo 0,01% a tutto il resto della popolazione mondiale.
Malgrado tutto questo, a volte nei social ci casco, nel vero senso della parola, e così ci vado a finire dentro.
Da sempre, in quelle sedi il massimo che si può ambire a trovare è la qualunque, spesso e volentieri per mano di persone da cui, non avendo esperienza sufficiente nei confronti della realtà concreta inerente il settore della riproduzione sonora, ci si attenderebbe il minimo di serietà.
L’ultima perla l’ho incontrata qualche giorno fa, riguardo a una querelle del tutto nuova, almeno per me, riguardante la qualità di riproduzione per mezzo dei cosiddetti CD masterizzati.
Un operatore del settore di una certa notorietà, tra l’altro sulla breccia da più di qualche decennio, dal quale pertanto ci si attenderebbe almeno il minimo di consapevolezza storica, ha alzato l’ennesimo polverone riferendosi all’inadeguatezza di quei supporti.
Per dare maggior enfasi alla sua posizione ha ritenuto opportuno riportare un aneddoto, secondo cui un altro pezzo da 90 del settore, a livello di fabbricanti, durante una dimostrazione pubblica, forse in una delle tante fiere, accortosi che un appassionato ha inserito nel lettore dell’impianto dimostrato un CD masterizzato, lo ha subito redarguito e poi ha tentato di delegittimarlo di fronte a tutti. Azione tipica di una categoria di persone non solo presuntuosa e detestabile, ma da cui è necessario tenersi alla larga. In ogni caso e più che mai quando è fermamente decisa a intestarsi il possesso della ragione senza disporre a tale riguardo di argomento alcuno.
Così l’appassionato autore di quell’imprudenza è stato fatto passare per quel che probabilmente non è, dicendogli con scopo palesemente canzonatorio che se desiderava ascoltare quel brano, era comunque disponibile per mezzo di un supporto originale.
Da che mondo è mondo infatti, l’unico appassionato buono, agli occhi di certuni, è quello che si presenta coi soldi in bocca, pronto a rallegrarsi che gli venga rifilata qualsiasi ciofeca.
Prima ancora di affrontare la questione del repertorio utilizzato in occasioni del genere, di per sé molto critica se non addirittura scottante, è opportuno rilevare come ormai chiunque si ritenga a torto o a ragione intestatario di un qualsiasi potere sia convinto di trovarsi nel pieno diritto di esercitarlo in ogni modo, proprio come uno sceriffo da far west o della foresta di
Sherwood.
L’aspetto paradossale di tutta la questione, e al proposito ricordiamo ancora una volta che il mondo della riproduzione sonora amatoriale è nella produzione dei paradossi più inverosimili che ha rivelato storicamente la sua massima efficacia, è che qualcuno abbia pensato fosse il caso di vantarsi dell’accaduto e persino di utilizzarlo per portare acqua al proprio mulino, invece di tacere come sarebbe stato non auspicabile ma proprio doveroso.
Ovviamente di provare a riflettere almeno un minimo a tale riguardo, prima di lanciarsi nell’innalzamento di certi polveroni non se ne parla proprio. Al giorno d’oggi certe accortezza sono proprio inconcepibili.
Osserviamo poi come i brani da eseguire nelle dimostrazioni di questo genere siano rigorosamente controllati e predeterminati, proprio per evitare guai, nel 99% dei casi in funzione della necessità di far credere quel che non è.
Non a caso, salvo occasioni più uniche che rare e solo per fare il primo esempio che mi viene in mente, gli strumenti a fiato sono banditi da questo genere di eventi. In particolare nelle registrazioni in cui agiscono in più di uno soltanto alla volta. I motivi sono evidenti e non ci dovrebbe essere bisogno di menzionarli: le loro sonorità sono tabù per gli impianti basati su apparecchiature commerciali, peggio ancora dell’acqua santa per i vampiri.
Proprio perché con registrazioni del genere i difetti saltano fuori all’istante, oltretutto belli grossi, e si rivelano particolarmente facili da cogliere. Causano sonorità strillate, meglio ancora trapananti o da motosega scarburata, in grado di ridurre a mal partito anche gli impianti più prestigiosi. Per i quali oggi, come noto, non si esitano a chiedere cifre pari a centinaia di migliaia e persino milioni di euro.
Appunto per ottenere risultati a tal punto gratificanti.
Superficialità e acquiescenza
Esaurito l’aspetto legato all’elemento scatenante del fatterello in sé, inevitabile osservare il modo in cui i CD masterizzati siano stati di fatto criminalizzati. Oltretutto con una superficialità che lascia semplicemente basiti, dato che parlare di masterizzati tout court, senza operare il minimo di distinzione non ha proprio alcun senso.
Ma d’altronde è proprio con le overdosi di superficialità, rispetto alle quali e in virtù del continuo addestramento cui viene sottoposto forzosamente le capacità di assorbimento del pubblico sono in progressione geometrica perenne, che si riesce a far passare qualsiasi corbelleria, con tanta più facilità quanto più è inverosimile.
Nessuno poi tra i commentatori, almeno al momento in cui ho letto, ha sollevato il benché minimo dubbio, dando origine a un altro elemento di riflessione se possibile ancora più inquietante. Riguarda l’incapacità di assumere una posizione propria per quale che sia, lasciando spazio unicamente al plauso, ormai attribuito in automatico, che sempre più spesso si fa più fragoroso quanto più grossa è la castroneria che si va a diffondere per mezzo di quelle piattaforme.
Ma questo, attenzione, solo nel caso in cui si diffondono assurdità palesi. Viceversa, quando si accenna a una realtà ben dimostrata e ineluttabile nella sua concretezza, la pioggia degl’interventi volti a negarla con ogni mezzo si fa alluvione.
Dimostrazione ulteriore, se ancora ve ne fosse necessità, che social e affini hanno la loro funzione di maggior efficacia nel capovolgere tout court, all’interno del loro microcosmo, quel che avviene nel mondo reale.
Anche perché, chi ha capito come funzionano, se ha qualcosa di valido da dire se ne guarda bene, solo per evitare di dover fronteggiare le orde inferocite che a tutto sono pronte, tranne che a recepire un qualsiasi suggerimento ancora provvisto del minimo addentellato col vero.
Ora andrebbe discusso a fondo anche tale elemento, riguardante la valenza effettiva di tali piattaforme: da un lato cassa di risonanza delle assurdità più inverosimili e dall’altro veicolo di induzione di un’accettazione supina, totale e incondizionata, priva di qualsiasi distinguo, figuriamoci di spina dorsale, e dunque, inevitabilmente, promotore di corbellerie ancora più grandiose.
Quando tocco certi argomenti mi torna sempre in mente la frase di Attali, che non si deve mai dimenticare facesse parte di un partito socialista, quello francese: “Cosa credeva la plebaglia europea, che la moneta unica fosse fatta per la sua felicità?”.
Parafrasando, cosa credevano i frequentatori dei social, che quelle piattaforme fossero fatte affinché potessero trarne nuovi elementi di conoscenza?
Chiudiamo qui, poi ognuno potrà riflettere su questo aspetto per conto proprio, in funzione del proprio vissuto.
Rimaniamo invece nella questione inerente i masterizzati in confronto ai CD normali, ricordando anche che si è fatto riferimento ai primi senza alcun tipo di distinguo, accusandoli di essere inadeguati punto e basta, affinché si possa trarre da un qualsiasi impianto, diciamolo ancora una volta, di tipo commerciale, ossia allestito a partire da prodotti di grande serie o comunque realizzati secondo le logiche che la contraddistinguono.
Già questo genera il dubbio: perché quegli impianti, così costosi e pretesamente efficaci, dovrebbero necessitare che si sprema fino all’ultima stilla di qualità sonora da parte del supporto fonografico per rendere come si ritiene necessario? Come mai hanno bisogno di utilizzare esclusivamente quello ritenuto più efficace, al punto di mandare su tutte le furie l’incaricato a magnificare prerogative che evidentemente non hanno?
Ammesso e non concesso vi sia una differenza a favore dell’originale, siamo sicuri che tale necessità derivi dalle manchevolezze del supporto invece che da quelle degl’impianti stessi?
Senza rendersene conto, dunque, il protagonista negativo di quel fatterello, ossia il pezzo grosso che ha rabbuffato l’appassionato desideroso di conferme e pertanto reo di aver inserito nel lettore digitale dell’impianto adibito alla sacra rappresentazione un CD masterizzato e come tale infedele, ha messo in evidenza nel modo migliore quel che non ammetterebbe mai, nemmeno sotto tortura: l’impianto da lui pubblicizzato e vantato come il non plus ultra è talmente efficace da mettere in seria discussione le sue possibilità di esprimere un livello prestazionale accettabile se solo ci si azzarda a cibarlo con un supporto marginalmente inferiore a quel che si ritiene il meglio in assoluto.
Forse, se prima di agire si riflettesse giusto il minimo, certe prese di posizioni si eviterebbero, proprio perché destinate a mostrare con ancora maggiore chiarezza che il re non solo è nudo ma è anche assai poco bello a vedersi, per usare un eufemismo.
Allora vediamo: secondo certuni il CD masterizzato è inadeguato, punto e basta.
Il motivo, ci viene spiegato, starebbe nel fatto che quello originale deriva dallo stampaggio dei picchi e buchi atti a rappresentare l’informazione, mentre il masterizzato è frutto di un procedimento di “bruciatura” del supporto destinato a produrre gli stessi.
Ora, quel procedimento di bruciatura per quanto possibilmente inadeguato, il che è tutto da dimostrare, avviene una volta per ciascun disco che s’intende produrre, quindi al riparo quantomeno dai problemi di ripetibilità che affliggono qualsiasi prodotto realizzato in serie a mezzo di stampaggio.
Siamo sicuri, innanzitutto, che la matrice atta a produrre il supporto costellato dai picchi e buchi del CD “originale”, insieme a tutto il sistema di stampaggio di cui fa parte, riesca effettivamente a dar luogo a copie del tutto identiche le une alle altre?
E’ quantomeno da verificare, per conseguenza, se il primo e l’ultimo esemplare di un lotto di CD realizzato a partire da una stessa matrice possano vantare davvero caratteristiche fisiche del tutto indistinguibili.
Siamo sicuri, inoltre, che quel procedimento, destinato tra l’altro a produrre variazioni di grandezza infinitesima nel supporto su cui si va a imprimere, sia efficace al punto da rendere impossibili differenze di sorta, tra i supporti fabbricati in luoghi diversi?
Tra poco vedremo la risposta.
In seguito mi si dovrebbe spiegare come si fa a fare di tutta l’erba un fascio, senza nemmeno il minimo di considerazione per le condizioni in cui avviene il procedimento di bruciatura, già a iniziare dalla possibilità di eseguire la scrittura del masterizzato a velocità diverse.
Va da sé che una masterizzazione, essendo appunto un procedimento di bruciatura, che come ogni altra cosa al mondo necessita dei suoi tempi, se eseguita a bassa velocità avrà ottime probabilità di essere più accurata di una alla scappa e corri, con velocità a 10x o più.
Inevitabile poi tenere conto dei problemi di estrazione dal CD originale del materiale destinato a essere masterizzato. Allo scopo esistono degli applicativi fatti apposta per ottenere la massima accuratezza e non a caso segnalano anche eventuali errori occorsi durante il processo di estrazione, nel caso ripetendo la lettura.
Qualora la masterizzazione sia eseguita a partire da materiale scaricato, bisogna vedere poi se il materiale in questione è stato compresso o meno, in quale formato e con quale accuratezza.
Come noto infatti, il formato Flac, primo e probabilmente ancora più diffuso formato compresso senza perdita di dati, permette la scelta di un’operatività più o meno veloce, che potrebbe avere anch’essa influssi non solo sulla rapidità del procedimento di codifica ma anche sulla precisione del segnale di uscita. Ci sono poi il formato Ape e il WV tra gli altri, caratterizzati da differenze lievi ma percettibili.
Quando iniziarono a diffondersi i masterizzatori, con l’occasione dell’acquisto di un nuovo PC volli equipaggiarlo con un Philips CDD 2600. All’epoca, era appena iniziata la seconda metà degli anni 90, era una scelta pressoché obbligata.
Era a formato SCSI, quindi obbligava a munirsi dell’apposita scheda. Con le prime masterizzazioni che eseguii si rese evidente la differenza tra le copie, a partire dalla medesima estrazione, ma a velocità 1 e 2X. Ricordo che portai nella redazione di cui facevo parte i CD così ottenuti e, in una seduta d’ascolto che coinvolse diversi redattori il verdetto fu unanime: copie eseguite a velocità differenti suonavano in maniera altrettanto differente.
Quando a decenni di distanza il fatterello venne riportato da uno dei presenti a quella prova, non mancò ovviamente chi si sentì in dovere di sentenziare che il problema era dato dall’incapacità nel portare a termine persino una masterizzazione. Ovviamente il particolare pressoché impercettibile dato dal fatto che quando si eseguivano determinati esperimenti lui era ancora in fasce, magari non era nato e forse non ancora nei progetti dei suoi genitori, e in conseguenza dal differenziale enorme in termini di esperienza che avrebbe indotto qualsiasi persona ancora provvista del minimo residuale di ragionevolezza a tacere, risulta non pervenuto.
D’altronde è così e i social sono fatti proprio allo scopo, dare l’idea che primeggi chiunque sia pronto a passare sopra a tutto e sotto a tutto, e meglio ancora non sia proprio in grado di considerarlo, quel tutto, pur di affermare il proprio punto di vista e dunque il proprio ego.
Poi, dato che nei confronti di qualsiasi cosa sia più lunga di tre righe quegli stessi social hanno fatto in modo che si perda la capacità di concentrazione atta a comprenderne il significato, e dunque che ci si trovi dinnanzi a un caso eclatante di analfabetismo funzionale, oltretutto di massa, va da sé che provare spiegare a certuni i motivi per cui quel che sostengono non è solo errato ma anche gratuitamente offensivo sarebbe del tutto inutile.
Dunque, anche la velocità di masterizzazione ha i suoi effetti: per il materiale audio, essenziale è eseguirla alla velocità minore possibile. Cosa del resto notoria, almeno un tempo.
Un bel giorno quel masterizzatore smise di funzionare. Per mia grande fortuna lo fece pochi giorni prima della scadenza della garanzia. Così dopo alcune peripezie fu inviato alla casa madre per una verifica e una nuova taratura, dalla quale tornò decisamente rinvigorito e in particolare in grado di realizzare masterizzazioni dalla sonorità impeccabile, quando prima lasciavano per certi aspetti a desiderare.
Dunque, anche questo è un aspetto che influenza in maniera ben percettibile la qualità del supporto masterizzato. Allora i masterizzatori si vendevano a cifre importanti, il mio lo pagai 600 mila Lire più IVA, il che rendeva possibile anche una qualche indagine qualitativa, almeno a campione, su ciò che usciva dalla linea di montaggio. In seguito il prezzo di quelle macchine crollò, inevitabilmente, rendendo impercorribile qualsiasi ipotesi di controllo sul prodotto. Anche questo avrà avuto i suoi effetti.
Differenze forse ancora più evidenti le si hanno tra un supporto e l’altro. Alquanto di recente ho eseguito alcune prove tra i masterizzabili di Taiyo Yuden e Traxdata, potendo osservare sonorità ben distinguibili tra loro, a parità di masterizzatore e di materiale copiato.
Non a caso, i supporti scrivibili sono caratterizzati da una specifica gradazione, da 1 a 9, che sta a significare la facilità di cottura, in un certo senso la sensibilità dello strato scrivibile con cui sono realizzati. Plextor, fabbricante ben noto per la qualità dei suoi lettori CD-ROM e masterizzatori, a suo tempo raccomandava l’impiego del supporto di valore più basso che si potesse reperire. L’avvertenza compariva tra le note di accompagnamento di quello che è stato il masterizzatore più evoluto commercializzato da quel marchio e probabilmente in assoluto, il Premium II. In abbinamento all’applicativo realizzato dallo stesso fabbricante è in grado di mostrare la gradazione di ciascun supporto, anche se solo quando si trova ancora allo stato vergine.
Supporti caratterizzati da valori diversi per tale parametro tendono anche a suonare in maniera apprezzabilmente diversa.
Quel masterizzatore, che utilizzo tuttora, è poi in grado di eseguire la masterizzazione Audio Master Quality Recording, caratterizzata da un dimensionamento maggiore di Pit e Lands, in modo da facilitare la lettura del supporto da parte delle macchine audio adibite alla riproduzione. Questo avviene ovviamente a prezzo di una certa riduzione della durata massima della masterizzazione, che con i CD-R da 700 mB si riduce a 63 minuti in luogo dei consueti 80.
La medesima caratteristica è in possesso anche dello Yamaha CD-RW F1, che possiedo anch’esso e se non ricordo male fu il primo in assoluto a rendere disponibile tale funzione.
Il Plextor come summa definitiva della funzione di masterizzazione su CD, in particolare dedicata al materiale audio, dispone tra le altre cose anche di un sistema di conteggio degli errori, operante non soltanto nei confronti dei supporti masterizzati per il suo tramite ma di un disco qualsiasi, anche originale.
A suo tempo un certo scalpore fu destato dalla dimostrazione della presenza di un numero di errori significativamente maggiore nei supporti originali rispetto a quelli masterizzati. Una corrente di pensiero che a oltre 40 anni dall’esordio del CD non ha ancora trovato smentita, attribuisce alla riduzione degli errori presenti sul supporto, e quindi a necessità di intervento minori da parte del sistema di correzione e interpolazione di cui è dotato ogni dispositivo di lettura, la capacità di dar luogo a una riproduzione più efficace e fedele.
A questo riguardo nulla toglie che i problemi derivanti da un supporto di qualità peggiore, appunto per numero di errori presenti e per altri aspetti, possa rivelarsi più funzionale alle esigenze particolari di un impianto, come quello in dimostrazione quando è accaduto il fatto in questione, per accreditare la tesi che stiamo discutendo.
Ancora una volta, se si riflettesse giusto il minimo forse certe prese di posizione si eviterebbero.
SCSI
Sempre riguardo alle pretese inerenti lo scadimento qualitativo dei CD masterizzati rispetto agli originali, nell’epoca immediatamente successiva al momento in cui acquistai il CDD 2600 menzionato prima si rese evidente una realtà che sulle prime lasciò sbigottiti.
I sistemi SCSI, in particolar modo quando utilizzati con la tecnica “on the fly”, ossia con lettura-estrazione del CD di origine e masterizzazione diretta, senza passare per le fasi di scrittura e salvataggio dei dati su hard disk, eseguivano copie dalla qualità sonora percettibilmente superiore all’originale. Questo divenne un dato di fatto incontrovertibile, riconosciuto non solo a livello di riproduzione sonora ma anche da esperti del settore informatico.
Dimostrazione che il CD originale tanto idolatrato da certuni ha in realtà i suoi problemi, che possono essere risolti almeno in parte sottoponendo i dati che ne sono estratti a un procedimento di riordino che, evidentemente, il protocollo SCSI poteva eseguire in maniera ragionevolmente efficace o comunque in grado di dar luogo a risultati concreti e percepiti come valevoli ai fini di una riproduzione più corretta.
Dopo qualche tempo ci si rese conto che risultati del genere erano possibili anche nell’impiego di sistemi non completamente SCSI, ovverosia basati su CD-ROM e dischi rigidi IDE, a patto che il masterizzatore fosse SCSI e la scrittura del disco avvenisse in tempo reale, ossia in sincrono con la funzione di lettura-estrazione.
Questo è accaduto in una fase immediatamente successiva, ovverosia quando anche le periferiche IDE acquisirono doti di velocità tali da permettere detta funzione.
Dunque tacciare il disco masterizzato di essere sempre e comunque sonicamente inferiore all’originale denota in realtà anche l’assenza di una consapevolezza storica che sarebbe utile. In generale, innanzitutto, ma soprattutto per evitare di dire certe corbellerie.
Fa specie che tale mancanza sia condivisa anche da persone che sono da parecchio sulla breccia. Forse a suo tempo si dedicarono ad altro, il che ovviamente ci può stare, ma nel caso domandare a chi ha conoscenza della materia non costa nulla e permetterebbe di evitare la diffusione di notizie quantomeno inaccurate.
Anche se poi la raccolta di click e di like probabilmente ne soffrirebbe. O quantomeno verrebbe ritardata, ma siccome il tempo è denaro, va da sé che su certe quisquilie non sia proprio il caso di soffermarsi. Anche perché col minimo di riflessione si rischierebbe di comprendere il vero significato di quel che si ha intenzione di dire, perdendo così l’occasione e con essa esposizione mediatica e dunque visibilità. Dato che la pubblicità è notoriamente l’anima del commercio, non sembra proprio il caso, specie se gli scopi che si hanno sono di un certo genere.
La convinzione incrollabile del “so tutto io” è d’altronde un altro tra i portati dell’epoca che stiamo vivendo oggi.
Poi, certo, se si prende un CD masterizzato di qualità scarsa a livello di supporto, scritto a velocità 20x per mezzo di un portatile e dei driver che lo equipaggiano, forse non così efficaci come i migliori masterizzatori per PC fisso di un tempo, è possibile che i risultati non equivalgano quelli ottenibili con un disco originale, ma da qui a farne una legge universale ce ne corre.
Questo d’altronde è vizio di molti, evidentemente a tutti i livelli. Degli appassionati e dei componenti del Coro Degli Entusiasti a Prescindere è ben noto e da lungo tempo. Ora evidentemente, con la decadenza caratteristica della fase attuale, l’abitudine si va diffondendo anche tra quanti operano nel settore della riproduzione sonora amatoriale a livello di professione.
Ciò che emerge, in fondo a tutto il discorso, è che in merito alla masterizzazione dei CD, e più ancora ai risultati che si possono ottenere per il suo tramite, contribuisce una serie di fattori piuttosto lunga ed evidentemente non ancora del tutto compresa nei suoi diversi aspetti. L’idea che mi sono fatto al riguardo è che neppure si voglia perdere tempo sulla questione, specie oggi che la comodità soavissima e ineguagliabile della somministrazione di file digitali da remoto è la scelta numero uno di una massa sempre maggiore di pseudo-appassionati.
Dal punto di vista di un qualsiasi esponente del sistema di profitto che ruota intorno alla riproduzione sonora amatoriale, dedicare attenzione a tutti quei fattori, oltretutto in una situazione come quella attuale, non è in grado di produrre utili di sorta. Pertanto è completamente privo di senso. Ne consegue allora che la cosa migliore, e oltretutto più sbrigativa e verosimile, sia pure solo in apparenza, sia delegittimare la questione CD masterizzati, attribuendo a questi ultimi un’inadeguatezza di fondo del tutto irrecuperabile, per poi comportarsi di conseguenza.
Ossia, proprio come ha fatto il pezzo da 90 cui si è accennato poco fa, tenere un atteggiamento improntato a superficialità e arroganza, efficace tra l’altro per attribuire maggior credito alla narrazione che s’intende imporre.
Del resto, in un panorama in cui le capacità di attenzione e concentrazione del pubblico vanno regredendo in maniera sempre più rapida, occorre far si che quelle rimaste siano puntate innanzitutto sul prodotto. Proprio perché è da quello che si realizzano gli utili mentre gli elementi di contorno, colpevoli di avere un effetto distraente, vanno evitati per quanto possibile, proprio perché rischiano di mettere a repentaglio il processo stesso di accumulazione del profitto, conseguente appunto al prodotto che si ha intenzione di dimostrare.
Dunque, come appare evidente, è lo stesso sistema di produzione del profitto che richiede o meglio comanda superficialità. Anche e soprattutto in un contesto in cui essa assume un ruolo massimamente dannoso ai fini del conseguimento del risultato cui punta in apparenza il comparto merceologico da cui quello stesso sistema trae origine, legato appunto alla riproduzione sonora amatoriale.
Per tenersi in piedi ha bisogno di profitti e senza questi non può neppure pensare di esistere, in funzione della logica stessa su cui si fonda la società capitalista in cui tutti siamo immersi, volenti o nolenti.
Dunque, nel momento in cui l’ottenimento di certi risultati, a causa delle attenzioni e delle conoscenze che presuppone per poter materializzarsi, entra in rotta di collisione con le possibilità stesse di ottenere nel tempo più breve i profitti più elevati come prescrive appunto la legge del capitale, cosa crediamo che faranno gli apparatchik di settore?
Pensiamo davvero che metteranno in cima alla lista delle priorità la possibilità di ottenere i risultati migliori o solo quelli più a buon mercato? Oppure, da prototipi perfetti adibiti all’induzione della forma più sfrenata di consumismo quali sono, cercheranno in ogni modo di salvaguardare le loro possibilità di guadagno, quindi di preservazione del loro personalissimo posto di lavoro e delle loro private possibilità di sopravvivenza, insieme a quelle di tutto il settore così come lo conosciamo?
Il che tra l’altro gli eviterà di doversi ridurre un brutto giorno a cercare un lavoro vero, quello dove c’è un padrone delle ferriere con la frusta in mano che ti sfrutta fino a consunzione e persino alla morte se necessario.
Ovvio, faranno qualsiasi cosa per salvaguardare le loro terga e allo scopo inventeranno ogni pretesto pur di far fare agli appassionati quel che è nel loro interesse, per poi convincerli dell’opposto e che stanno li per vocazione, sorta di missionari della congregazione del bel suono, che si adoperano con tutti sé stessi affinché ogni singolo appassionato possa raggiungere la beatitudine dei sensi, sia pure limitata a quello dell’udito.
Stampe, ristampe e loro origini
Siccome ogni promessa è debito, rileviamo infine che, a livello di CD originali, i supporti di uno stesso titolo di provenienza diversa tendono a suonare in modo altrettanto diverso. Questo problema si era già reso evidente ai tempi degli LP, non a caso anch’essi derivanti da un processo di stampaggio, che tra l’altro per le dimensioni del supporto e per quelle della singola informazione in esso contenuta è enormemente meno critico rispetto a quel che avviene per il CD.
Di lì la corsa dei collezionisti alle prime stampe, le quali tra l’altro suonano anch’esse in maniera differente le une dalle altre come ho avuto modo di verificare personalmente, e le preferenze attribuite a quelle dalle origini geografiche ben precise. In genere legate al luogo di residenza dell’artista o a quello in cui è avvenuta la registrazione, cose che non sempre coincidono. Dunque per gli artisti inglesi si preferiscono le copie “made in England”, per quelli americani le “made in USA” e così via.
Unica eccezione le stampe giapponesi, spessissimo ma non proprio sempre superiori a tutto il resto. Anche riguardo a questo argomento vi è stata sui social l’apposita querelle, che come al solito ha prodotto risultati del tutto opposti a quelli che non si ha difficoltà alcuna a riscontrare nel mondo reale. A dimostrazione ennesima di quale sia lo scopo effettivo dell’esistenza di quei contenitori.
Se gli appassionati più attenti all’epoca dell’LP ponevano la giusta attenzione nei confronti dell’origine dei supporti che si andavano ad acquistare, col passaggio al digitale e con le fandonie innumerevoli che lo hanno accompagnato in tutto il corso della sua vita, e come vediamo non accennano ad affievolirsi, questo elemento si è un po’ perso. Tuttavia anche con i CD le stampe giapponesi tendono a suonare meglio delle altre, in particolare per dettaglio, profondità e tridimensionalità della riproduzione.
Dopo il procedimento di scrittura
Fin qui ci siamo occupati dei metodi propri della fase di produzione del CD masterizzato ai fini di determinati risultati, in termini qualitativi.
Fondamentale è sapere che si può intervenire anche in una fase successiva, ossia quando il CD è già cotto e pronto da servire in tavola.
I metodi utilizzabili sono disparati, a iniziare dall’abbattimento delle cariche elettrostatiche proprie del supporto, che essendo fatto di plastica, o meglio policarbonato, è facile ad accumularne.
La loro riduzione, per mezzo di sistemi alla portata di chiunque abbia voglia di industriarsi per migliorare le doti sonore percettibili nella propria sala d’ascolto, senza bisogno di equipaggiarsi con macchinari tra l’altro costosi, comporta un incremento di chiarezza e dettaglio per la riproduzione, oltre a un calo delle distorsioni piuttosto evidente.
Altrettanto noto è il trucco di mettere i dischi in freezer, sistema magari più complesso e che obbliga a misurarsi coi problemi di appannamento del supporto una volta immesso in ambienti di temperatura vivibile. I risultati che se ne ottengono sono però ancor più significativi.
Infine, sui CD masterizzati si può operare per via meccanica, con una serie di interventi proprio al fine di farli suonare meglio rispetto alla loro versione al naturale. Presuppongono innanzitutto un minimo di manualità e la buona volontà necessaria ad adoperarsi in prima persona, con un certo impegno, per migliorare la sonorità della riproduzione.
Soprattutto, senza la necessità di delegare come al solito tutto al portafogli, motivo in fin dei conti più probabile per cui si viene ammoniti anche in pubblico a evitare certe scelte.
Non per le scelte in sé, quali che siano di volta in volta, ma perché un pubblico addestrato a mettere mano al portafogli in automatico, ogniqualvolta desideri un miglioramento, è ben più desiderabile, innanzitutto perché molto più redditizio. Soprattutto per chi si trova nella posizione di incassare quanto da esso sborsato.
Non solo, un pubblico del genere e ben più malleabile e sensibile alla seduzione rispetto a uno abituato invece ad agire in prima persona nella ricerca e sperimentazione di metodi atti a migliorare il rendimento del proprio impianto. Quindi è commercialmente raccomandabile e l’impegno ad aumentarne di continuo ampiezza e disponibilità nei confronti degli argomenti più disparati ha evidentemente la sua motivazione.
Procedure come quelle atte a intervenire per via meccanica nei confronti del supporto digitale, rispetto alle quali non entro nello specifico ma che comunque richiedono almeno un’oretta di lavoro per ciascun disco, necessarie attese comprese, permettono di migliorare le doti soniche del supporto originale per mezzo di un masterizzato.
Essendo potenzialmente distruttive, in caso di errori o malaccortezza, non sono consigliabili per i dischi originali. Sottoponendo un disco così trattato a un nuovo procedimento di masterizzazione si ottiene una copia di seconda generazione ancora più efficace, in particolare quando si ripete su di essa il medesimo trattamento.
Ecco dunque che anche non avendo più a disposizione catene SCSI è possibile non soltanto eguagliare ma migliorare in maniera ben percettibile le doti sonore dei CD originali.
In ogni caso, chi abbia disponibile un vecchio PC SCSI ancora funzionante e voglia liberarsene, è pregato di contattarmi.
Grazie.
Ciao Claudio,
articolo interessantissimo, specie perché per ragioni anagrafiche parla di un periodo che ho vissuto in prima persona. In merito alla velocità di masterizzazione ho avuto modo di toccare con mano i risvolti sin da subito, anche con lettori CD non proprio HI-FI (del resto ero un ragazzetto ancora alle prime armi, e in casa ero l’unico appassionato di musica). Mi piacerebbe approfondire il discorso sul miglioramento dei supporti tramite azioni meccaniche, come il metterli in freezer, a cui hai accennato.
A presto
Ciao Alberto, grazie dell’apprezzamento e del commento.
Ovviamente fa sempre piacere quando c’è chi si espone a supporto di tesi ormai dimenticate, volutamente o meno.
Il primo aspetto di miglioramento, per qualsiasi tipo di CD, è l’abbattimento delle cariche elettrostatiche.
Con del vetril o similari, spruzzato su entrambe le facce subito prima dell’ascolto, seguito da un’asciugatura eseguita tamponando e non strisciando.
Più semplicemente, si può tenere per alcuni istanti il disco sotto il rubinetto dell’acqua fredda, badando che sia bagnato su tutta la sua superficie, per poi ovviamente asciugare.
Infine, si può lasciare il CD in freezer per qualche ora, così che la sua temperatura si abbatta per bene. Tra questi sembra il metodo dagli effetti meglio percettibili, anche se meno pratico degli altri.
Costringe inoltre a misurarsi coi problemi di appannamento della superficie del disco, una volta reimmesso a temperatura ambiente, ma il miglioramento che induce è ragguardevole.
Per ora accontentiamoci di questo. Valuterò in seguito se parlare di altri metodi, più complessi ma dagli effetti definitivi.
dal punto di vista binario il CD copia o il file ISO, è identico all’origine. se ci fosse una differenza binaria sarebbe utilizzata dalle software house per evitare la contraffazione.
Buongiorno Luciano,
grazie dell’attenzione.
Dal punto di vista teorico dovrebbe essere così, all’atto pratico evidentemente no, al di là delle questioni inerenti i sistemi anticontraffazione.
Questo riguardo al procedimento di estrazione e scrittura. C’è poi la fase di lettura, per la quale esistono alcuni metodi per incrementarne l’efficacia.
Tornando per un istante all’aspetto della teoria, è altrettanto noto che esistano diversi applicativi adibiti alla riproduzione di file digitali. Malgrado operino tutti a partire dal medesimo file digitale, la loro qualità sonora differisce, talvolta anche in maniera sensibile.