Il fabbricante ha sempre ragione?

Come non mi stancherò mai di ripetere, nell’ambito della riproduzione sonora si verificano fatti che trovano un loro parallelo nella realtà della società civile e spesso la anticipano addirittura.

Nello stesso modo in cui la società civile ha assunto nel suo assieme una deriva palesemente regressiva, in termini di concezioni, progettualità, consapevolezza, diritti, riguardo alla loro comprensione prima ancora della conseguente rivendicazione e del farne esercizio, arrivando persino a quel che riguarda il quoziente intellettivo dei singoli individui, col passare del tempo il pubblico interessato alla riproduzione sonora osserva quest’ultima e vi si rapporta secondo una tendenza altrettanto indisponibile a considerarne i postulati di fondo e quelli dati dalle condizioni in cui ha luogo.

Per conseguenza abdica in maniera non si sa quanto consapevole all’utilizzo di un numero sempre maggiore di strumenti conoscitivi che l’esperienza ha messo a disposizione nel corso del tempo, ripiegando su posizioni che la storia dell’evoluzione di questo settore ha reso insussistenti, prima ancora che obsolete.

Proprio in funzione di quanto appena detto, capita sempre più spesso d’imbattersi in prese di posizione, da parte di singoli appassionati, che trovano regolarmente ampia adesione nei loro simili, malgrado siano sostanzialmente prive di logica. Elemento che ormai, del resto, risulta sempre più difficile non da applicare ma proprio da comprendere, nel suo significato.

Esse riguardano la pretesa che il fabbricante, in quanto tale, effettui scelte, in merito alla produzione delle sue apparecchiature, perfette per definizione e quindi non migliorabili in modo alcuno.

Il senso della logica viene meno appunto perché idee del genere non considerano l’aspetto fondamentale della produzione in grande serie, il cui enunciato è il seguente: se si produce un’apparecchiatura in 100.000 esemplari, e su ognuna si riesce a comprimere i costi di soli 10 euro, ci si ritrova infine con un milione di euro in più nel portafogli.

Un tempo questo era noto praticamente a tutti, oltre a costituire la motivazione migliore per scelte altrimenti incomprensibili, non solo nell’ambito della riproduzione sonora ma un po’ in tutti gli ambiti interessati dalla produzione su larga scala. Oggi invece la realtà mostra l’esistenza di difficoltà insuperabili persino a comprendere concetti tanto ovvi.

A mio avviso ciò si deve in buona parte alla logica aziendalista che si è fatto di tutto affinché si radicasse, negli usi e costumi dell’Occidente durante gli ultimi 40-50 anni, e come tale ha influenzato lo stesso modo di pensare e di porsi di fronte alle cose, da parte di quanti ne hanno dovuto subire gli effetti.

I dogmi sui quali è imperniata prescrivono appunto il credere ciecamente all’efficienza tipica dell’azienda, al punto di renderla suo sinonimo, punto chiave del processo che ha prodotto una sperequazione sociale inimmaginabile solo qualche decennio fa.

Per non parlare del declino degli Stati Nazionali, un tempo sovrani, ma ormai ridottisi a fare da procuratori d’affari dell’industria privata, specie la più grande, quali promotori di legislazioni atte in ogni modo a favorirla.

 

Ricarichi e percentuali

Ancora peggiori, se possibile, sono gli effetti del criterio opposto, quello concernente le ripercussioni sul prezzo al pubblico dell’oggetto finito, qualora si verifichi per un qualsiasi motivo un aumento dei costi di produzione.

Per effetto dei ricarichi inevitabili a ogni passaggio della filiera commerciale e distributiva, e senza dimenticare la pressione fiscale in crescita perenne che grava su ciascuno di essi per poi mollare la mazzata finale del 22% di IVA al momento della vendita finale, anche il minimo sforamento dei costi di produzione si traduce in un aumento del prezzo al pubblico di centinaia di euro.

Questo può significare la messa fuori mercato del prodotto stesso o altrimenti la sua collocazione in una fascia diversa, nella quale esprimere i termini della sua competitività può risultare più difficile se non addirittura impossibile.

Ecco perché in sede di progetto e di delibera del prodotto è essenziale tagliare su tutto e non esiste risparmio, per quanto contenuto o persino irrisorio, che non abbia una sua ripercussione sulla quotazione finale del prodotto. Quindi sulle sue possibilità o meno di successo, a livello commerciale.

La possibilità di realizzarne uno, pertanto, non può assolutamente essere tralasciata.

Come vediamo non c’è nulla di difficile per la comprensione di simili ovvietà, che tuttavia risultano fuori dalla portata di una quantità di persone in continua crescita, come certificano le discussioni sui social di settore, non so se in maniera più impietosa o preoccupante.

Va da sé, pertanto, che chiunque intenda continuare a stare sul mercato, garantendosi oltretutto i margini necessari, sia costretto a comprimere sempre più all’osso i costi di produzione o altrimenti ad aumentare il prezzo al pubblico, in maniera a volte vertiginosa, per le apparecchiature che per un motivo o per l’altro non possano sottostare a una simile forzatura, come quelle alto di gamma.

Neppure la produzione destinata alla clientela più facoltosa si salva dalla tendenza che stiamo descrivendo, per il semplice motivo che diventando sempre più stringenti i canoni estetici cui deve rispondere, secondo una logica priva di vie di uscita e in larga parte suicida, questi vanno ad assorbire una quota sempre maggiore di risorse, per forza di cose a danno di quanto è meno visibile all’occhio, ma che resta comunque essenziale ai fini del comportamento sul campo dell’oggetto in questione.

Se da una parte si aggiunge, si deve per forza togliere in qualche altra, proprio perché quando si ha a che fare con il calcolo percentuale, appunto quello che determina l’ammontare del prezzo al pubblico, partendo dal costo di produzione, il medesimo valore può rivelarsi insignificante oppure del tutto improponibile, a seconda della grandezza su cui si calcola.

Questo tra l’altro è uno dei motivi che hanno causato il passaggio alla moneta unica europea e la fissazione del suo valore facciale a un livello tanto superiore rispetto a quello delle monete nazionali che ha sostituito. Una svalutazione anche percentualmente importante, applicata a un valore di partenza ridotto, si traduce in differenze pratiche assorbibili senza troppe difficoltà. Ecco perché i valori di svalutazione annuale a doppia cifra tipici degli anni 70 e 80 sono stati superati senza contraccolpi eccessivi dalle economie degli Stati in cui hanno avuto luogo, rendendo alla fine dei conti poco efficace l’arma che costituivano e con la quale s’intendeva colpire le loro popolazioni e in particolare i ceti subalterni.

Quando invece si passa in un solo colpo dal valore di 100 a quello di 2000, ossia il livello minimo spendibile, rispettivamente nella fase della Lira e in quella dell’euro, la stessa percentuale acquisisce un valore pari a 20 volte tanto. Quindi una in apparenza irrisoria, come quella del 2% stabilita a suo tempo e poi fatta saltare quando lo si è ritenuto opportuno, sempre coi soliti metodi inerenti in primo luogo i costi dell’energia, in termini assoluti equivale di fatto a una svalutazione pari al 40% ai tempi della Lira, durante i quali è arrivata al massimo a meno di un terzo di tale valore. Questo malgrado si sia sostenuto per decenni che il passaggio all’euro avrebbe comportato l’abbattimento totale e definitivo dell’inflazione.

Anzi, proprio questo è stato il cavallo di battaglia con cui si sono fatti digerire i problemi enormi causato dall’euro, proprio a livello di sopravvifenza delle fasce popolari.

In realtà la moneta unica è stato lo strumento con cui si è realizzata una cruenta deflazione salariale e il conseguente disciplinare le classi lavoratrici. Complici tutte le organizzazioni sindacali, nessuna esclusa, non fosse che per la misura in cui la loro dirigenza si è lasciata plagiare dalla narrazione falsificata attribuita al nuovo conio, notevolmente facilitata dal tornaconto  che ne hanno ricavato.

Quella deflazione ha prodotto a sua volta la decimazione della classe media e la disoccupazione e precarizzazione di massa, ormai da tempo endemica. Per il resto tuttavia è stato l’esatto contrario: anche se non lo dice nessuno, il passaggio alla moneta unica ha reso enormemente più efficace l’arma dell’inflazione, nelle mani come sempre dei soliti noti, e a danno in maniera altrettanto ovvia delle fasce di popolazione che meno sono in grado di difendersi.

Prima si è fatto credere che fosse bassissima quando invece la si era innalzata oltre ogni limite noto fino ad allora, anche se percentualmente tenuta entro un valore ufficiale del 2%, in apparenza insignificante. Poi la si è resa deflagrante nel momento in cui, dopo decenni di sofferenze da deflazione salariale, si è portato il colpo decisivo, come la realtà economica, sociale e infrastrutturale del nostro Paese, gravato inoltre da un crollo senza precedenti della domanda interna, certifica senza necessità di spiegazioni ulteriori.

Lo si è indotto a mezzo di una restrizione draconiana del circolante, che della deflazione salariale è conseguenza prima e inevitabile.

In sostanza allora l’euro è stato niente altro dallo strumento con cui i ceti dominanti hanno spostato a loro favore, in proporzioni prima inimmaginabili, i rapporti di forza economici e sociali nei confronti di quelli subalterni. Vanificando per conseguenza gli effetti di decenni di lotte per le quali è stato pagato un prezzo elevatissimo in termini di sofferenze e sacrifici, riportando precipitosamente all’indietro le lancette della democrazia, del diritto e dell’evoluzione della società civile.

Curiosamente, tuttavia, i sostenitori più irriducibili della moneta unica li si trova proprio nel popolo della sinistra, tuttora in gran numero peraltro, a dimostrazione della capacità di analisi e di mera osservazione di quanto lo circonda, persino a livello del tenore di vita personale e delle persone vicine, che lo contraddistingue.

Soprattutto, chi fa parte di quel popolo, ha denotato storicamente la capacità di credere alle corbellerie più inverosimili, cui riesce a mantenersi fedele persino quando la realtà mostra nel modo più drammatico la loro insussistenza. Piuttosto che tornare consapevolmente e in maniera ragionata sui suoi passi, preferisce cancellare tutto, fingendo che nulla di tutto ciò sia mai esistito, in una drammatica riedizione dei buchi della memoria orwelliani.

Altro non può essere d’altronde, in una situazione in cui l’Oxfam certifica che nel 2022 quasi i due terzi delle famiglie italiane abbiano incontrato difficoltà ad arrivare a fine mese, quantità inaccettabile prima ancora che inverosimile. Eppure tutti zitti e a testa bassa, privi oltretutto di una qualsiasi forma di rappresentanza politica intenzionata a porre sul tavolo il problema, indice dello stato effettivo della democrazia nel nostro Paese e più in generale nell’emisfero occidentale. E’ precipitata in una vera e propria dittatura del capitale e dei mercati, con l’inevitabile crescita galoppante dei tassi di povertà.

Ancora più incredibile è che i tecnici e i politici da sempre a disposizione del miglior offerente, causa di tanto sfacelo, abbiano ancora il coraggio di farsi vedere in giro. Gli si permette addirittura di salire in cattedra, affinché possano meglio diffondere i loro riveriti pareri, mentre una platea folta all’inverosimile insiste tuttora ad applaudire, quando invece dovrebbero trovarsi di fronte un’inagibilità totale e definitiva, appunto in funzione del disastro immane che hanno causato.

No taxation without representation recita uno slogan diffuso ormai da secoli, ossatura concettuale di un movimento che ha portato un intero popolo a liberarsi dal giogo coloniale cui era legato. Ecco perché il potere e le istituzioni ne sono terrorizzate, al punto tale da muovere una guerra senza quartiere ai presunti evasori, per forza di cose inesistenti nel momento in cui s’impone un pesante balzello su ogni transazione, specie quelle relative ai beni primari, mentre la stesse somme vengono tassate all’inverosimile, più e più volte.

Dovrebbe essere quello Stato a spiegare innanzitutto cosa ne fa degl’importi colossali che sottrae alla circolazione, minando deliberatamente l’andamento dell’economia e quindi le possibilità di sviluppo e la stessa qualità della vita dell’intero popolo che procede a impoverire con tanta determinazione.

Questo spiega forse meglio di qualsiasi altra cosa l’ingannevolezza insita nel dato numerico e le manipolazioni innumerevoli a cui si presta, anche e soprattutto per quelli che ne fanno un credo nell’ambito della specialità di nostro interesse, e per questo si affidano ciecamente a misure che nella migliore delle ipotesi non vogliono dire nulla. Molto più spesso invece vanno a certificare una realtà del tutto immaginaria e altrettanto contraria a quella verificabile quando dal banco di misura si passa sul campo. Luogo in cui numeri e grafici contano per quello che compete loro, ossia nulla, e altro non possono fare dal porre in evidenza la fallacia, l’aleatorietà e le possibilità di contraffazione che di essi costituiscono il tratto primario.

Ne riparleremo presto.

 

Elementi ulteriori

La componente teorica della questione che stiamo affrontando annovera almeno un altro paio di elementi. Il primo riguarda le necessità sentite da qualsiasi fabbricante di armonizzare la scala prestazionale delle apparecchiature che realizza al listino prezzi di cui entrano a far parte. E’ evidente che se non vuole che si danneggino le une con le altre, le loro prestazioni e le relative doti sonore devono andare di pari passo, e nella maniera più rigorosa possibile, al loro costo.

Allo scopo non è inusuale che si proceda a penalizzare quelle che per una somma di motivazioni, in larga parte fortuite e comunque non previste, si dimostrino eventualmente “troppo” valide, rispetto al segmento cui sono indirizzate, rischiando così d’infastidire quelle incluse nei segmenti superiori.

In casi simili, “basta” individuare su quali componenti si è intervenuti per riportare l’apparecchiatura nelle limitazioni prestabilite, e poi rimuoverli, sostituendoli con quanto di più congruo, per ritrovarsi tra le mani qualcosa di sensibilmente superiore. Si tratta inoltre di un percorso ideale per dimostrare l’illusorietà di certe idee, come quella tendente ad attribuire i crismi della perfezione a ognuna delle scelte praticate da qualsiasi fabbricante, indistinguibile nei suoi principi di fondo dal dogma riguardante l’infallibilità papale.

A questo riguardo il convincersi che nulla di meglio possa esistere rispetto a quello che si ha, quantomeno nell’ambito della fascia di prezzo in cui è compreso, sembra essere prioritario rispetto alla mera presa d’atto nei confronti della realtà, basata sul minimo di buonsenso residuale, sempre più spesso sacrificata in nome della propria tranquillità mentale.

Si tratta del resto di una conseguenza inevitabile della manipolazione che va avanti da troppo tempo, secondo la quale ogni oggetto preso in esame dalla stampa specializzata, cartacea o virtuale, non possa essere altro che il meglio del meglio. Inevitabile, a quel punto, il rifiuto dell’idea stessa di potersi ritrovare in possesso, o in procinto di acquistare, qualcosa che non sia ai vertici assoluti della competitività, quantomeno nel segmento di appartenenza.

Nel momento in cui quel rifiuto, originato nel modo che abbiamo visto, si scontra con quanto fa parte del mondo reale, in cui per forza di cose ogni singola apparecchiatura non può essere migliore di tutte le altre, ma può esserlo eventualmente solo una di esse, che non è detto sia proprio quella di cui la stampa specializzata ha deciso di parlare, in funzione di una scelta derivante da questioni che nulla hanno a che vedere con l’efficacia prestazionale e la qualità sonora, il singolo appassionato si ritrova in una situazione di conflitto, che deve gestire in proprio. Chi lo ha causato infatti, per mezzo della manipolazione che esegue quale unica forma di attività che ritiene possibile, non s’interessa certo delle sue conseguenze e meno ancora ha intenzione di porvi riparo.

Di qui l’estrema conflittualità riscontrabile sui forum e social di settore, inevitabilmente ridottisi a pollai. Come abbiamo rilevato tante volte, parafrasando Jacques Attali non sono stati certo ideati per la felicità degli appassionati e di chi frequenta tali aree di discussione. Il loro effetto più concreto è il dividere irrimediabilmente quanti in origine sarebbero accomunati dalle medesime aspirazioni, che uniti potrebbero anche arrivare a materializzarle. Invece continuano a scannarsi su motivi innumerevoli di conflittualità, immancabilmente pretestuosi. in funzione dei qualei chi ha velleità di predominio nei confronti del piccolo mondo della riproduzione sonora può esercitarlo nel modo più facile, secondo il principio antichissimo del dividi e impera.

Curiosamente si dimostra tanto più valido proprio laddove la grancassa della propaganda insiste maggiormente con le suggestioni del futuribile e col sensazionalismo che di esse è corredo inscindibile, decantando i destini magnifici e progressivi che immancabilmente deriveranno dal progredire di scienza e tecnologia. Queste però danno oggi i frutti maggiori nel progetto ormai quasi concluso di rinchiuderci tutti entro una gabbia digitalizzata, nella quale si è controllati sotto ogni singolo aspetto, prigione virtuale cui non è possibile sfuggire.

A questo riguardo non si dovrebbe mai dimenticare che il primo progetto di digitalizzazione di massa ha riguardato proprio la musica riprodotta. Ecco perché i suoi fautori e sostenitori hanno proceduto nella loro azione in maniera tanto irriducibile, sconfinando a volte in forme di vera e propria violenza.

In particolare quando la realtà dei fatti è andata a dimostrare la fondatezza delle loro asserzioni.

 

Aggiustamento verso l’alto

Se nella stragrande maggioranza dei casi i fabbricanti procedono alla limitazione prestazionale del prodotto, in nome della scala gerarchica basata sui prezzi di vendita che deve rispecchiarsi nel modo migliore con le prestazioni di ogni apparecchiatura presente a listino, talvolta può succedere il contrario, seppure molto di rado.

Ciò avviene quando due modelli caratterizzati da alcune similitudini non riescono a giustificare fino in fondo il differenziale di prezzo che li separa, a sua volta funzione dei rispettivi costi di produzione. In tal caso è possibile che si cerchi di dare una spinta aggiuntiva a quello più costoso.

Un esempio, sia pure datato, e forse più unico che raro, è quello dato dai diffusori B&W Matrix 804 e 803 Serie II, caratterizzati da differenze a loro modo significative per quel che riguarda le modalità di emissione della gamma bassa e media. Gli 804 si basavano su una scelta alquanto tradizionale come quella dei due altoparlanti, uno dei quali chiamato a emettere fino all’incrocio col tweeter e l’altro adibito a compiti di rinforzo per la gamma inferiore, secondo la soluzione nota come due vie e mezza. Dizione poi andata in disuso poiché le si è preferita quella impropria di tre vie, meglio adatta a impressionare chiunque legga una qualsiasi scheda tecnica.

L’803 Matrix, nella sua prima versione si differenziava dal modello inferiore in pratica solo per il diametro dei woofer e woofer-mid, incrementato a 18 cm in luogo dei 16 dell’altro. Davvero troppo poco e oltretutto secondo una logica a doppio taglio, dato che un altoparlante di diametro maggiore è probabile si trovi in difficoltà nel momento in cui deve esprimere un rendimento necessariamente superiore nella gamma di frequenze all’incrocio col tweeter, quantomai critica.

Sempre in funzione del dogma riguardante l’infallibilità delle scelte del fabbricante, si corse quasi subito ai ripari con l’803 Serie II, che a riprova di quanto appena detto utilizzava altoparlanti da 16 cm come il modello inferiore. I woofer di rinforzo sulla via inferiore erano diventati due, in luogo di uno soltanto, mentre il woofer mid operava all’interno di un volume di carico separato dal resto e provvisto anche di un proprio condotto di accordo reflex, fuoriuscente dal retro. Così com’era realizzato dava luogo a una sorta di emissione dipolare da parte dell’altoparlante, con una presenza e una distribuzione spaziale delle frequenze medie sconosciuta al modello inferiore.

Detta così sembrerebbe già più che abbastanza per stabilire una volta e per tutte il necessario differenziale nei confronti del modello inferiore. Si ritenne tuttavia il caso d’intervenire anche sulla rete di filtraggio della via alta, caratterizzata dall’impiego del tweeter condiviso da tutti i modelli della serie 800, mediante l’impiego di condensatori di qualità superiore. allo scopo furono scelti gli Ansar CPA in luogo dei mediocri Bennic dal caratteristico colore giallo, utilizzati per tutti gli altri modelli della serie. Inclusi quelli di costo maggiore che alla loro epoca erano di vertice assoluto.

Va considerato che i Bennic erano comunque condensatori in polipropilene, scelta migliorativa rispetto alla media in un periodo in cui per i diffusori si ricorreva ancora agli elettrolitici non polarizzati e così si sarebbe continuato a lungo. Del resto erano utilizzati anche dai diffusori in questione sulla rete del woofer mid.

Il ricorso ai condensatori Ansar attribuì agli 803 Serie II prerogative soniche, in particolare sulla gamma alta, migliori anche dei modelli di rango superiore inclusi nella stessa serie, allora come oggi quella di punta del costruttore inglese, e in quanto tali esclusive. Forse non ne favorì il successo, gli 803 Serie II ebbero infatti una diffusione molto inferiore rispetto agli 804, anche per via del loro costo importante, ma con ogni probabilità influenzò favorevolmente quanti li scelsero, magari proprio in funzione delle caratteristiche soniche ottenute in tal modo.

 

Il caso pratico

Fin qui la componente teorica della questione, nondimeno caratterizzata da un influsso ben significativo sulla realtà dei fatti. C’è poi la componente pratica, quella che al di là delle logiche inerenti le scelte di fondo a livello industriale riguarda innanzitutto le possibilità di uno o più errori. Di calcolo, di scelte, di fabbricazione dei componenti di base, di valutazione e così via.

Questo sembra proprio ciò che è accaduto per l’oggetto destinato a fare da esempio per il nostro discorso, del quale ci siamo già occupati in passato. E’ il caso di riprenderlo proprio per il continuo ripetersi delle prese di posizione riguardanti l’infallibilità del fabbricante, alla stregua di un dogma divino, tale da suggerire la componente idolatrica e para-religiosa predominante e più spesso indissolubile da un qualsiasi assunto di ordine tecnico-scientifico.

Specie per quelli propagandati negli ultimi tempi, rispetto ai quali l’Io credo alla scienza, proprio quale articolo di fede, è stato a lungo e rimane tuttora in testa alla Hit Parade planetaria delle assurdità innalzate a verità evangelica. Come sempre grazie al metodo goebbelsiano della ripetizione a oltranza, delle quali un numero sempre maggiore di persone sta pagando le conseguenze.

Quella stessa scienza però rimane indisponibile, grazie alle sue note proprietà d’indirizzo selettivo, in funzione di chi ne ha preso il controllo a suon di false donazioni, il dono è di per sè privo di secondi fini, e ormai ne paga i costi e le ricerche, a spiegare il perché di certi eventi. Come i cosiddetti “malori improvvisi”, che da qualche tempo a questa parte si stanno ripetendo con frequenza mai verificatasi prima del 2021 e in continua crescita.

Ci si ostina a negarli e a nasconderli, da parte delle istituzioni e del sistema d’informazione allineato. Tuttavia c’è un particolare, che lo rende palese e riguarda gli aumenti dei costi subiti dalle polizze RC Auto, in funzione di un’incidentalità aumentata in maniera significativa, nei numeri e soprattutto nelle conseguenze medie di ogni sinistro. in funzione del ruolo di mina vagante assunto da una parte significativa di utilizzatori della rete viaria.

L’aspetto più paradossale dell’intera questione è l’indifferenza apparente con cui ora vengono accolte le notizie che riguardano quei “malori” e le morti improvvise e apparentemente prive di motivazioni cui danno luogo, per quelle poche che riescono a filtrare. Viceversa le morti che il sistema mediatico volle attribuire al virus la cui esistenza nessuno è stato capace di dimostrare, malgrado le centinaia di richieste indirizzate alle istituzioni sanitarie di tutto il mondo, e per questo si dovette inventare il malato asintomatico, senza preoccuparsi minimamente della sua assoluta similitudine a quello immaginario di Molière, diedero luogo a una vera e propria spirale di terrore.

Oggi dunque ci sono morti e morti, segno che persino “A’ livella” di cui parlò a suo tempo il Principe De Curtis si è trovato il modo di neutralizzarla.

Delle morti di serie A ci si deve preoccupare a oltranza per costruirvi sopra una vera e propria azione eversiva dell’ordine costituito.  Delle morti di serie D ci si disinteressa completamente, o meglio si fa finta che non esistano proprio. Anche se spesso riguardano il mondo dello sport e quello dello spettacolo, da sempre ai vertici degl’interessi popolari.

La stessa volontà di dimenticare a ogni costo, fingendo che non esistano le conseguenze inevitabili di quell’esperimento su scala planetaria, ai fini del quale ogni individuo è stato ridotto a cavia da laboratorio, utilizzando le forze dell’ordine che ora si lamentano, e la negazione dello stesso diritto alla sopravvivenza per ridurre a più miti consigli gl’indisponibili e i riottosi, è atteggiamento che di quell’abominio costituisce la più esplicita delle dimostrazioni.

Rende inoltre evidente che proprio lo Stato, con i suoi corpi e le sue istituzioni, si è adoperato ai fini di un’azione criminale dalla portata così enorme da essere impossibile da realizzare altrimenti. Ora cerca di coprirsi o meglio di continuare ad agire come se nulla sia accaduto e il suo stesso comportamento non lo abbia messo, di fatto, nelle condizioni di aver perduto la titolarità allo svolgimento delle sue stesse funzioni, a causa del patto legale e sociale nei confronti della cittadinanza che ha revocato unilateralmente. A mezzo di un pretesto semplicemente indegno e del conseguente spargimento del terrore che allo scopo ha ritenuto necessario.

Ora conta sulla stessa volontà delle vittime di non tornare sull’accaduto e di dimenticare, per continuare a svolgere la sua azione, in primo luogo esattiva e repressiva. Pretendendo oltretutto di non aver reso operante l’obbligo nei confronti dell’intera popolazione a fare da cavia per farmaci sperimentali finalizzati alla modificazione genetica, pena l’allontanamento dal posto di lavoro e quindi la revoca dei mezzi di sussistenza, per non riconoscere i danni a quanti ne sono stati danneggiati.

Un atteggiamento del genere lo si riterrebbe indegno anche del più efferato dei criminali, eppure viene messo in atto come se nulla fosse, da un sistema di istituzioni che finalmente si è mostrato per quello che è, nemico mortale e irriducibile di ciascun individuo.

Per quanto a uno sguardo superficiale appaiano agli antipodi l’una dell’altra, la gestione della pseudo-pandemia e la convinzione che le scelte del fabbricante siano le migliori possibili derivano dalla medesima origine concettuale, appunto l’io credo. Se nella scienza o nella tecnologia, che del resto sono la seconda gamba l’una dell’altra, non fa differenza alcuna.

Dedichiamoci allora all’esempio pratico del credo nella tecnologia, che nella fattispecie è dato da un registratore DAT a suo tempo commercializzato da Sony, il DTC 57 ES.

La desinenza della sua sigla indica il suo far parte della produzione più raffinata del costruttore giapponese, destinata alle fasce di pubblico dalle capacità di spesa maggiori. Malgrado ciò l’incidenza dei problemi da cui è gravato, conseguenti appunto a scelte completamente errate in fase di progetto e realizzazione hanno un’incidenza particolarmente elevata.

In pratica oggi è difficile procurarsene un esemplare che non abbia problemi di illuminazione del display. La causa non è nel dispositivo stesso ma nella sezione di alimentazione, gravata da scelte evidentemente inadeguate.

Ogniqualvolta ci s’imbatte in un 57 col display spento, si scopre che lo stampato interno relativo alla sezione di alimentazione è inondato di acido, che come tale ha già avuto modo di fare i suoi bravi danni. Si tratta dell’elettrolita disperso da un condensatore, posto appunto nell’alimentazione del display, i cui valori, in particolare quello di tensione, non sono adeguati alle necessità dell’elettronica.

Dato che i guai non vengono mai da soli, quel condensatore non è solo inadeguato nei suoi valori, ma anche nelle modalità realizzative, essendo ancora con il fondello in bachelite, più facile a disperdere elettrolita rispetto a quelli con il fondello di gomma. Questi ultimi, proprio per via della maggiore tenuta del fondello quando messo sotto pressione, in caso di problemi tendono a gonfiarsi alla loro sommità, rendendone anche più facile l’individuazione.

Quelli del tipo montato sul DTC 57 ES invece spargono serenamente il loro contenuto sulla scheda in cui sono alloggiati e non di rado su quelle adiacenti. Trattandosi di acido fortemente corrosivo, attacca le superfici con cui viene a contatto e in breve mangia letteralmente le piste degli stampati, obbligando quindi a ricostruirle con mezzi più o meno di fortuna.

Le macchine gravate dal problema sono riconoscibili senza bisogno di provare ad accenderle, dato l’odore ben poco gradevole che emanano, dovuto appunto all’elettrolita che se ne va in giro al loro interno. Curiosamente però l’ultimo esemplare capitatomi emanava in maniera meno pestilenziale rispetto ai precedenti, malgrado la quantità di elettrolita disperso fosse ben maggiore.

Forse stava in giro da più tempo e questo ne ha mitigato l’olezzo.

 

Riparazione

Una volta aperto il telaio e individuato il problema, volendo agire in maniera sbrigativa, così da ridurre costi e tempi dell’intervento di ripristino, ci si potrebbe limitare a dare una sommaria ripulita allo stampato e poi a sostituire il componente andato in panne con un altro equivalente.

Li per li la macchina avrebbe ottime probabilità di tornare a funzionare, soprattutto qualora le piste dello stampato non siano state mangiate del tutto dall’acido, al punto da causare la loro interruzione.

Meno tempo e costi inferiori significano un prezzo finale più basso per la riparazione, che quindi farà felice il suo committente, la cui grande passione lo rende prontissimo a spendere varie centinaia di euro pur mettersi in casa una nuova macchina, malgrado si trovi nelle condizioni descritte, ma del tutto restio ad affrontare le spese necessarie per risolvere il problema alla radice.

Proprio in quanto realizzato sommariamente, un intervento eseguito nel modo descritto è in realtà un’assicurazione infallibile a favore del ripresentarsi del problema in capo a qualche mese, se non proprio a settimane.

Il condensatore in questione è inadeguato proprio per scelta progettuale e quindi destinato nuovamente a rompersi. In quanto tempo non è dato sapere, ma prima o poi lo farà. Inoltre l’elettrolita disperso da quello montato in origine ha l’abitudine d’infilarsi dappertutto, quindi anche sotto gli altri componenti, potenzialmente adeguati all’impiego cui il fabbricante ha deciso di utilizzarli, ma che proprio per la presenza di acido tra la loro base e lo stampato su cui alloggiano potrebbero in breve danneggiarsi anch’essi, se già non lo sono.

Quindi un intervento davvero risolutivo comporta lo smontaggio integrale della scheda di alimentazione e la rimozione di tutti i componenti su di essa presenti. Con ogni probabilità l’acido se ne sarà andato in giro per il telaio un po’ dappertutto, quindi è necessario ripulire tutto con attenzione per evitare guai futuri.

Segue un lavaggio molto accurato dello stampato, da eseguirsi in più passaggi, proprio per eliminare ogni traccia di acido, fino al punto in cui non vi sia più odore alcuno a tradire la sua presenza. Dopodichè occorre rimuovere, a mezzo abrasione, tutte le parti ramate cui ha causato ossidazione, che altrimenti continuerebbero anch’esse a estendersi. Infine vanno ricostruite le parti conduttive danneggiate, proteggendole in modo acconcio dall’insidia del tempo e degli agenti atmosferici oltrechè dalla possibilità di falsi contatti.

Si tratta di un lavoro decisamente annoso, che porta via molto tempo e fatica, volendo eseguirlo al meglio, per non parlare dei veleni cui ci si trova esposti e non è raccomandabile respirare o venire a contatto con essi.

Questa è solo la prima parte del lavoro. Occorre poi sostituire i componenti che hanno perso l’elettrolita e quelli da quest’ultimo danneggiati. Qui la cosa diventa insidiosa, dato che con la sua tendenza ad infilarsi un po’ dappertutto, è possibile che l’acido sia penetrato anche laddove non è possibile rimuoverlo o solo accorgersi della sua presenza, causa probabile di ulteriori problemi e danni futuri.

Questo fa il paio con un ulteriore elemento, dato dal dubbio, legittimo, inerente l’inadeguatezza del solo componente che ha dato luogo alla perdita dell’elettrolita o possibilmente anche degli altri presenti nella sezione di alimentazione. Chi può assicurare infatti che la leggerezza con cui è stato scelto il condensatore adibito al display non sia condivisa anche dagli altri stadi dell’alimentazione?

Fino ad ora hanno funzionato, ma per il futuro non c’è garanzia, oltretutto dopo la loro esposizione ad agenti chimici che tutto fanno tranne aumentare la sicurezza operativa di tutto ciò con cui entrano in contatto?

Dati i presupposti, la scelta più prudente, anche se costosa, riguarda la loro sostituzione, con esemplari di capacità e tensione maggiori. D’altro canto l’età dell’oggetto, e il tempo durante il quale ha ottime probabilità di essere rimnasto inutilizzato è l’agente d’invecchiamento migliore che si possa immaginare.

Si arriva così a dover risolvere un nuovo problema, quello inerente gli spazi disponibili sullo stampato dell’alimentazione, le cui dimensioni sono calcolate sui componenti scelti all’origine, oltretutto restringendole all’osso. Qualche equilibrismo e la scelta di componenti dal fattore dimensionale meglio indicato, favorendo la crescita in altezza per mantenere il diametro inalterato o quasi, permette di far stare tutto negli spazi a disposizione, malgrado a livello della componentistica le possibilità di scelta si siano ristrette in maniera considerevole durante gli anni scorsi.

Il condensatore incriminato è passato da una tensione di 16 V a 35, quelli di filtraggio da 6.800uF/25V sono passati a 10.000/50V e tutti gli altri hanno subito incrementi di pari proporzioni. Ad esempio quelli adibiti alle sezioni di segnale sono passati da 2.200 uF/25V a 4.700uF/35V.

Così facendo migliora un po’ tutto, a iniziare dalla qualità sonora della macchina, dato che una qualsiasi elettronica trae un vantaggio maggiore da un intervento sull’alimentazione rispetto a uno di rilievo pari o persino superiore eseguito sulle stesse circuiterie di segnale. Gli elettrolitici inoltre lavorano più “comodi”, ossia su tensioni ben più distanti dal valore di targa, il che non può far altro che avvantaggiare la loro durata.

Questo è un parametro largamente trascurato, a favore delle suggestioni più comuni propagandate dalla stampa di settore, eppure fondamentale stante il ruolo dei condensatori elettrolitici nel funzionamento di una qualsiasi elettronica. In particolare per quel che riguarda l’aspetto energetico, come il comportamento tipico delle apparecchiature con diversi anni sulle spalle mostra a chiunque abbia la volontà di osservarlo. Malgrado tutto, anche il comportamento amorfo a livello sonico, tipico delle elettroniche in cui lavorano componenti ormai esausti, ha avuto modo di trovare i suoi assertori, come testimoniano tante discussioni reperibili in rete.

Non mi stancherò mai di sottolineare che basta dare uno sguardo alla scheda tecnica dei condensatori elettrolitici, reperibili sui siti dei principali rivenditori di componentistica, per scoprire che la maggior parte di essi ha una vita utile compresa tra le 2 e le 3.000 ore. Meno di una valvola, in sostanza, genere di componenti cui è attribuita una precarietà operativa a dir poco proverbiale. Eppure quel dato si continua a trascurarlo, tanto da parte della stampa di settore quanto da tanti appassionati, sensibilissimi nei confronti di tutto quanto favorisca l’idolatria nei confronti delle apparecchiature che posseggono o agognano, ma quantomai duri d’orecchio per qualsiasi cosa attenga la realtà concreta del loro funzionamento.

Come abbiamo visto, i fabbricanti sono tuttaltro che infallibili nelle loro scelte. Al di là dei danni procurati per quel tramite, si può rilevare senza difficoltà alcuna come intervenendo in un certo modo per la correzione dei loro svarioni e dei relativi effetti si possano migliorare anche l’affidabilità e soprattutto la qualità sonora delle elettroniche. A dimostrazione che certe pretese abbiano ben poco a che fare con la realtà concreta e siano più che altro l’effetto di quella tendenza alla mitomania, la costruzione della quale si deve in buona parte alla manipolazione che è l’effetto primario della propaganda di settore, oltre naturalmente alla volontà incrollabile di credere a cose che non stanno né in cielo né in terra, da parte di un numero di persone di cui la realtà delle aree di discussione mostra la continua crescita.

 

 

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