Massimo mi scrive:
Caro Claudio,
grazie a te ho fatto un tuffo nel passato perché questi diffusori li ho avuti, però è finita lì, e mi spiego.
Prima di loro ho avuto le mitiche 802 prima serie in sospensione pneumatica e poi, dopo un certo tempo e un altro diffusore nel frattempo, sono passato alle 802 serie 2 matrix, proprio queste qui. Nere, bellissime.
Niente, non mi sono mai piaciute, le ho date via di disperazione dopo aver tentato anche delle amplificazioni tipo il Nakamichi Stasis ma nulla da fare. La magia delle medioalte nella mitica “testa” della serie 800 era completamente sparita e il basso mi è sempre sembrato si corretto ma anche lui poco emozionale.
Le cambiai con delle Proac EBS usate che mi accompagnarono per dieci anni, tanto per dire.
A volte mi viene voglia di riacquistare le 802 prima serie per una operazione nostalgia, ma mai rimetterei dei soldi sulla seconda serie.
All’epoca “pareva” che invece la serie 3 matrix fosse la sintesi estrema, ma oramai la mia luna di miele con B&W era terminata per sempre. E le Proac EBS ? Tutta la vita, da comprare anche oggi e risistemarle al limite, ma quello è un altro discorso.
Un caro saluto
Ciao Massimo, grazie per la testimonianza e per lo spunto che mi dai al fine di puntualizzare ancora una volta determinati aspetti.
Ti dirò innanzitutto che il tuo racconto ha suscitato in me più di qualche perplessità, anche se ovviamente non vi è motivo alcuno di non credere ad esso.
Per come la vedo io, nell’intervallo tra la cessione della prima e l’arrivo della seconda coppia di 802 potrebbe essere intervenuto qualche cambiamento nel tuo impianto, che forse non ricordi o a cui per qualche motivo non hai attribuito l’importanza che aveva in effetti. Altrimenti non saprei proprio come giustificare le tue sensazioni.
Nello stesso modo, non so quanto sia possibile attribuire possibilità salvifiche a una qualsiasi apparecchiatura, e meno ancora quelle para-taumaturgiche tali da attribuirle la capacità di risolvere qualsiasi problema inerente la qualità di riproduzione. Del quale peraltro non solo la causa è incerta a tal punto ma, come vedremo, anche i suoi stessi contorni, se osservato dall’esterno.
E’ vero anche che la memoria a volte gioca qualche scherzo, specie a distanza di tempo. Magari nel frattempo i parametri di giudizio sono cambiati e così quel che sembrava celestiale tempo prima, in seguito può non sembrare questo chissà che. Fermo restando che, anche nella veste originale, al tempo gli 802 S2 restavano comunque tra i migliori diffusori in assoluto reperibili sul mercato.
In tutta sincerità le motivazioni da te addotte mi sembrano un pochino aleatorie: come fa una “testa” rimasta del tutto invariata, tranne appunto per la maggior coesione con il resto dell’emissione, data dal crossover rinnovato, a perdere la sua “magia”?
Magari perché proprio per via della sua emissione meglio integrata col resto della gamma udibile non si diversifica più come forse avrebbe potuto fare prima?
Tuttavia un comparto del diffusore che va maggiormente per conto suo sarei portato a considerarlo come un difetto e non un pregio. Il che da un lato ci riporta alla difficoltà di distinguere gli uni dagli altri su cui mi sono soffermato tante volte, e lo farò anche in quest’articolo, dall’altro ripropone quella ancora maggiore, e di molto, stante nel comprendere quale sia la vera origine del difetto riscontrato.
Che questo abbia qualche probabilità di essere il motivo del tuo disappunto lo suggerisce proprio l’accenno che hai fatto ai Pro Ac EBS.
Diffusori ottimi, per carità, anzi ad averne di più con quelle caratteristiche, anche se in parte considerevole privi dell’aplomb e del rigore propri degli 802 S2.
Tra gli elementi più significativi della loro realizzazione c’erano i midrange a cupola, effettivamente in grado di dar vita a sensazioni d’ascolto di grande rilievo. Malgrado ciò è la loro stessa costituzione a precludere l’ottenimento di un dato livello di omogeneità con le frequenze inferiori, entro le quali ricordiamolo cadono le fondamentali di moltissimi strumenti, che pertanto si trovano a essere legate con le armoniche in maniera decisamente meno efficace. Anche se la sonorità potrebbe ricavarne una certa maggior piacevolezza a livello soggettivo grazie alle proprietà di emissione dell’altoparlante in questione.
Che però non è sinonimo di fedeltà.
Il motivo è semplice: l’emissione di un altoparlante a cono, il woofer, non potrà mai essere coesa con quella di uno a cupola come invece lo sarebbe abbinandolo a un suo simile.
Anche se per alcuni aspetti potrebbe essere caratterizzato da prestazioni assolute inferiori, in particolare sotto certi parametri specifici, per quanto nel caso dei mid in kevlar B&W, veri e propri campioni imbattuti della loro categoria, sia tutto da vedere, un midrange a cono risulta comunque meglio armonizzabile con l’altoparlante, il woofer, assieme al quale è incaricato di ricostruire lo spettro, il modulo energetico e la distribuzione polare propri della stragrande maggioranza dell’emissione da riversare in ambiente.
Quanto alla “emozionalità” del basso, davvero non saprei: il caricamento in bass reflex intervenuto nel frattempo ne ha aumentato l’estensione e reso il diffusore pilotabile con maggior facilità, per via della sensibilità maggiore. Va rilevato inoltre che, come descritto nell’articolo dedicato agli S2, le prime versioni degli 802 montavano in serie ai woofer un elettrolitico da 1000 uF/100V che per quanto utile a tagliare il segnale in ingresso all’estremo inferiore, rendendo più adatto il diffusore ad affrontare situazioni estreme e dunque a sopportare potenze ancor più gravose di quanto non sia già in partenza, non poteva far altro che penalizzare fortemente la qualità dell’emissione. In gamma bassa e per conseguenza su tutto lo spettro udibile.
Tanto è vero che solo dalla rimozione di quel componente gli 802 appartenenti alle prime serie ricavano un miglioramento particolarmente sensibile, che si ripercuote in maniera benefica sulla fedeltà di riproduzione delle fondamentali di un gran numero di strumenti e in generale, per conseguenza, sul complessivo della loro emissione.
Altrettanto sinceramente, non fino a che punto questo possa comportare negli S2 una perdita di emozionalità, come la definisci. Di sicuro invece va a favore della naturalezza di emissione della via inferiore, che non a caso sorprende per la capacità di mantenere la modulazione, ossia di non trasformare la corretta percezione del vibrare della corda in un vago e disarticolato muggito, anche nei passaggi in cui mai ce lo si aspetterebbe. In corrispondenza dei quali altri diffusori di vaglia avrebbero sbracato già da un bel pezzo.
E’ altrettanto vero però che in certi casi naturalezza ed emozionalità possano non andare d’accordo, specie quando questa in ultima analisi tende a risultare figlia del cosiddetto effetto speciale.
Certo, l’aspetto inerente il coinvolgimento, tra l’altro quantomai soggettivo, ha la sua importanza, ma per come la vedo io non ce ne può essere nel momento in cui l’emissione supera un determinato limite di artificialità, che sempre per i miei gusti è particolarmente basso e tende inoltre a ridursi col passare del tempo e quindi l’accumularsi dell’esperienza.
E’ ancora una volta vero che questa ha bisogno di compiere il suo percorso e spesso matura senza che noi ce ne rendiamo conto. Dimodoché non è da escludere che oggi, di fronte agli stessi stimoli di un tempo, la reazione tua e quella di un qualsiasi altro appassionato potrebbe essere molto diversa.
Una possibilità atta potenzialmente ad avvalorare la tua sensazione, è che la presenza stessa del condensatore in serie anzidetto tende a dar luogo a un certo innalzamento del livello, per le frequenze immediatamente superiori a quella a cui esegue il taglio. Ne consegue il tipico rigonfiamento della curva di risposta, a sua volta causa potenziale di una certa qual maggiore capacità di coinvolgimento, sempre a livello eminentemente soggettivo, per il comportamento della gamma inferiore.
A questo proposito le condizioni in cui operava il diffusore non sono note, ma è possibile che fossero tali da ridurre fortemente gli effetti dell’eliminazione del condensatore in serie ai woofer propria degli S2. Per comprendere appieno gli effetti di razionalizzazioni del genere, lungo il percorso del segnale, occorre infatti un sistema ben messo a punto, che purtroppo oggi come allora è la cosa più difficile da trovare nell’impianto di un qualsiasi appassionato.
Tantopiù nei confronti di una gamma di frequenze particolarmente critica, quella al di sotto dei 70-80 Hz, nell’assetto della quale intervengono, oltretutto in maniera pesante, questioni che nulla hanno a che vedere col diffusore stesso.
In tema di messa a punto è molto più probabile imbattersi nel componente magari costato un occhio della testa, ma messo li alla come capita, in quanto nessuno ha spiegato al suo utilizzatore le cose che mi vado sgolando ormai da anni, a furia di ripeterle su questo sito. E che pochi purtroppo, o magari chissà, per fortuna, hanno intenzione di stare a sentire.
Mettendo da parte per un istante il caso specifico, infatti, è ben noto che la natura stessa dell’essere umano lo porti a destituire d’importanza e di fondamento tutto quanto non desideri sentire, risulti scomodo, malagevole, induttore di sforzo o quant’altro.
Pertanto, in considerazione delle capacità di spesa medie dell’appassionato che si rivolge alle apparecchiature d’alto bordo, non c’è da sorprendersi che trovi assai più indicato sborsare cifre anche molto consistenti per l’apparecchiatura all’ultimo grido, anche se come tale gliela si fa pagare a prezzi folli, rispetto al compiere una qualsiasi azione destinata a porla nelle condizioni in cui possa esprimere almeno in parte il suo effettivo potenziale.
Rispetto alla quale, tra l’altro, non saprebbe neppure da dove cominciare. Non ad agire ma proprio a pensare.
Non solo perché nessuno gliele spiega, certe cose, tanto poi non ha intenzione di sentirle, ma perché è il sistema di disinformazione e propaganda stesso che fa tutto quanto gli è possibile e anche di più per trascurare, rendendola pertanto ignota alla maggioranza schiacciante del pubblico, l’esistenza stessa di determinati argomenti e accorgimenti.
Va detto poi, anche se vi ho accennato a suo tempo, che ho avuto modo di ascoltare in maniera ben approfondita sia i Serie 80 che gli S2 e per diverso tempo ho avuto sia gli uni che gli altri nella mia sala, ma ancora una volta, in tutta sincerità, i problemi che lamenti non si sono mai palesati.
Ci sono stati poi anche gli S3, tra l’altro quelli con cui si è dimostrata una volta di più l’inesistenza praticamente totale di legami a livello di qualità di emissione, il che non ha niente a che vedere con l’allineamento timbrico che soddisfatte le premesse opportune rimane sostanzialmente inalterato, tra il diffusore in veste originale e quello ottimizzato.
Ne parleremo più avanti.
Dal mio punto di vista i Serie 80 suonavano e suonano tuttora come diffusori di gran classe ma un po’ “vecchia maniera”, ossia rendendo meglio comprensibile la percezione del frazionamento esistente sia tra le diverse gamme di frequenza, e quindi dell’emissione degli altoparlanti da cui è equipaggiato, che tra i livelli di emissione: adesso suono pianissimo, ora un po’ meno, ecco ora preparati perché arriva la botta e te la faccio sentire tutta e persino di più, e così via.
In questo potrebbero dimostrarsi molto più emozionali rispetto agli S2 che sotto questo aspetto sono più moderni e come tali caratterizzati da coesione e fluidità, sia a livello di frequenza che di pressione sonora neppure paragonabili. Per conseguenza possono far sembrare naturali e persino banali cose che non lo sono assolutamente, come quelle legate alla loro eccellenza di riproduzione e pertanto far si che le si prenda un po’ sottogamba.
Viceversa le serie precedenti, proprio per le caratteristiche descritte qualche riga fa possono generare invece sensazioni del tipo “o mammina mia bella cosa sto sentendo!”, anche se poi, in concreto, vanno peggio.
Non so fino a che punto sia corretto prendere cose del genere come difetti.
In questo mi sembra esemplificativo il parallelo tra una moto che ho posseduto quando avevo poco più di venti anni, una Ducati 900, che all’epoca era equipaggiata con il famoso pompone, ossia il bicilindrico a V longitudinale di 90 gradi, con distribuzione desmo comandata a coppie coniche, definito così proprio per la sua coppia particolarmente esuberante. Era esaltata dai carburatori Dell’Orto dotati della cosiddetta pompetta di ripresa, marchingegno che in pratica, quando la rotazione della manopola del gas oltrepassava un certo angolo, spruzzavano direttamente nel loro passaggio d’aria un cospicuo getto di benzina.
Oggi lo si potrebbe ritenere un sistema arcaico, eppure in quel modo si estremizzava ancor più il brutale calcio nella schiena che non solo una volta provato non lo potevi dimenticare, ma istigava sempre e comunque ad aprire il gas quel tanto che bastava per godere di quell’effetto. Tra l’altro con grande sofferenza per gomme e sistema di trasmissione, che il pompone si mangiava anche per via dei materiali disponibili all’epoca, mentre inopinatamente i consumi di carburante rimanevano molto bassi.
Una moto di oggi, dotata di sistema a iniezione e centraline elettroniche a profusione oltre a più chilogrammetri di coppia e potenza ben maggiore, anche per via del diffondersi delle distribuzioni a quattro valvole per cilindro, è in grado di fornire prestazioni tanto superiori da non essere neppure paragonabili. Eppure l’emozione nel loro sfruttamento non è più e non sarà mai quella di allora, proprio perché la coppia è distribuita in maniera molto più graduale lungo tutto l’arco di erogazione e così pure la potenza, che equivale appunto a coppia per velocità angolare dell’albero motore.
La conseguenza è che si va molto più forte rispetto a tanti anni fa, tra l’altro con motori di cilindrata inferiore, ma con un’emozione che non è più quella di allora, neppure lontanamente, e persino senza quasi rendersene conto.
Prestazioni ed emozione dunque non procedono in parallelo e men che mai di pari passo.
Un altro esempio: ci sono impianti che per una serie di cause fanno si che determinati elementi della registrazione siano riprodotti ai limiti del percettibile. Questo produce la sensazione di trovarsi di fronte a chissà cosa, in termini di ricostruzione del dettaglio e capacità di estrazione delle informazioni. Poi magari succede che una volta messo ulteriormente a punto, quello stesso impianto tenda a riprodurre in maniera meglio compiuta i medesimi elementi, che malgrado siano analizzabili dall’ascoltatore con ben altra completezza e minori difficoltà, o forse proprio per quello, tendono a perdere la loro identità di elementi sottilissimi. Quindi non comunicano più l’idea d’eccellenza avuta in precedenza, anche se di fatto l’analisi sul segnale riprodotto viene eseguita a un livello qualitativo neppure paragonabile con il precedente.
Si spiega in tal modo, una volta di più, che l’ascolto e l’attribuzione di qualità in funzione delle sensazioni che se ne ricavano ha le sue insidie e che a tal fine l’esperienza che si possiede non è mai abbastanza.
Infatti anche dopo tanti decenni ci si trova a scoprire che c’è sempre qualcosa da imparare e che in funzione di questo è sempre meglio non dare mai nulla per scontato.
B&W ieri e oggi
Sia come sia, è fuor di dubbio che B&W abbia dato dimostrazione di una sensibilità considerevole nei confronti di posizioni come la tua. Tanto è vero che a partire dalla serie Nautilus ha completamente rivisto i parametri sui quali ha fondato storicamente il comportamento e l’evoluzione dei suoi diffusori, rendendoli assai meno rigorosi che in passato, così da adattarli ai gusti di una fascia di appassionati ben più ampia. Sia pure, inevitabilmente, a svantaggio delle doti che hanno permesso al costruttore inglese di acquisire la reputazione che tutti sappiamo.
Seguendo quell’andazzo, e in maniera sempre più convinta, all’inseguimento di fatturati via via più sostanziosi, si è trovata prima nelle condizioni di finire tra le grinfie di un generalista come Samsung, il quale controlla notoriamente il pacchetto azionario del gruppo di cui B&W è entrato a far parte, e poi sul punto di dover portare i libri in tribunale, con l’inevitabile terremoto inerente i vertici societari, malgrado tutto questo accusati di badare troppo alla reputazione del marchio e troppo poco alla remunerazione degli onestissimi e ancor più disinteressati speculatori che hanno investito sui suoi titoli di borsa.
In ogni caso, sono convinto che se potessi ascoltare la coppia di 802 S2 sottoposta all’intervento di ottimizzazione, collegati a un impianto messo a punto come si deve, rivedresti la tua posizione e con ogni probabilità ti pentiresti di aver venduto la tua, sia pure tanto tempo fa.
Proprio perché diffusori che anche solo dopo l’intervento menzionato sono capaci di esprimersi a quei livelli di fluidità, nitidezza, armonia, coerenza e imperturbabilità di fronte a qualsiasi passaggio, anche il più ostico, al punto tale da far mancare le parole per descrivere quel che riescono a fare, quando messi nelle condizioni di esprimersi in maniera sufficientemente vicina al loro potenziale effettivo, se ne trovano con difficoltà estrema, nell’ambito del prodotto commerciale. E’ poi del tutto impossibile farlo ai livelli di spesa comportati dall’acquisto di una coppia di 802 sul mercato dell’usato e poi dall’intervento di ottimizzazione.
Ecco perché, giustamente, il suo possessore ha dichiarato di non aver mai ascoltato nulla di lontanamente paragonabile, sia pure nelle sue numerose visite presso i noti negozi in cui ci si sentono proporre diffusori da svariate decine e persino centinaia di migliaia di euro come se si trattasse di acqua fresca.
Cosa mi dai da mangiare?
Come ho scritto anche nell’articolo ad esso dedicato, un’importanza fondamentale ai fini del comportamento percepito di un qualsiasi diffusore è dato dal segnale che s’immette al suo ingresso. Ossia quello che gli si dà da mangiare.
Più sale la qualità effettiva del diffusore, più quest’aspetto diviene critico, proprio perché è essa stessa a far si che l’indagine sul segnale divenga sempre più approfondita e per conseguenza spietata.
Nello stesso tempo, più sale la qualità dei componenti a monte dei diffusori e più la trascuratezza della loro installazione determina problemi via via crescenti. Si tratta del resto del male endemico della riproduzione sonora amatoriale in un contesto di settore in cui, per le note questioni dovute alle leggi del capitale tutto deve ruotare attorno al cambio delle apparecchiature, portato ai livelli di una sindrome ossessivo-compulsiva spinta al parossismo.
Dunque nelle condizioni date, ossia quelle cui ha portato la vulgata imposta dalla (dis)informazione di regim… oops di settore, alla fin fine tutto si riduce alla ricerca del componente meglio in grado di camuffare, mimetizzare o comunque attenuare i problemi causati da questo stato di cose.
In sostanza il meccanismo è del tutto identico, dimostrazione ennesima che la riproduzione sonora rispecchia e non di rado anticipa quel che avviene nella società civile, al modo in cui funziona la medicina moderna, nella quale tutto o quasi lo si vorrebbe risolvere nella mitigazione o al limite nell’azzeramento del sintomo, preso come elemento a sé stante, senza voler tenere conto che, se si è presentato, a monte ci devono per forza essere delle cause.
Ovviamente vanno indagate molto più in profondità ma questo non è solo fin troppo più complesso e nei cui confronti troppo spesso mancano proprio le capacità, ma soprattutto rischia di non essere economicamente conveniente. Innanzitutto per le diverse componenti di quello che siamo abituati a definire sistema sanitario.
Molto meglio invece costruire una bella tabella, coi suoi farmaci e le affezioni che ciascuno di essi dovrebbe essere in grado di curare, senza tenere in alcun conto le differenze esistenti tra individuo e individuo e le possibili motivazioni a causa delle quali si presentano.
Così ognuno può fare riferimento a quella, mettendosi oltretutto al riparo da eventuali accuse, qualora le cose dovessero andare male, proprio perché ci si è attenuti ai dettami più o meno ufficiali delle case farmaceutiche, sui quali la burocrazia di settore, dai ministeri alla gestione dell’ultimo degli ambulatori, trova ancora più confortevole e sbrigativo accomodarsi.
Non è forse vero che il tempo è denaro?
E non è altrettanto vero che si sta facendo di tutto per estendere l’abominio giuridico noto come scudo penale, equivalente alla licenza di uccidere, e che proprio i medici alzino la voce, come sta avvenendo in questi giorni, ogniqualvolta l’iter legislativo incontri degl’intoppi lungo la strada della sua approvazione?
Non a caso, allora, negli Stati Uniti, e probabilmente nell’intero mondo occidentale, la terza causa, per incidenza, delle morti che avvengono ogni anno è causato da errori medici e dagli effetti avversi dei farmaci prescritti. Tanto da rendere plausibile un’affermazione paradossale, quella secondo cui quando ci sono gli scioperi dei medici o delle farmacie la conta dei morti diminuisce in maniera significativa rispetto a quando il sistema funziona a pieno regime.
Un risultato ineccepibile, non c’è che dire. Si è arrivati a una condizione del genere a partire dalla fine del diciannovesimo secolo e i primi anni del ventesimo, per mezzo di una serie di iniziative che hanno finito col mettere fuori gioco le tecniche di cura basate sulle sostanze fornite dalla natura in numero incalcolabile, derivanti dalle conoscenze accumulate nel corso dei secoli. Per favorire invece il prodotto dell’industria farmaceutica, evidentemente portatrice di interessi economici già allora decisamente cospicui, mentre il potere da questi derivante è stato utilizzato per influenzare il sistema didattico, a ogni livello, quello dell’informazione e inevitabilmente quello politico-legislativo.
Quindi la formazione e la mentalità stessa del personale medico e dei suoi pazienti, oltretutto con la lusinga di una serie pressoché infinita e in perenne crescita di facilitazioni economiche.
Secondo i dati del Codacons, molto probabilmente errati per difetto dato che certe cose si evita di farle alla luce del sole, tra il 2015 e il 2017 Big Farma ha distribuito 163 milioni di euro a oltre 32mila tra medici, fondazioni e ospedali.
Questo solo in Italia.
Va da sé che chi si dimostra tanto munifico desideri qualcosa in cambio, ossia l’uniformarsi a ciò che maggiormente gli conviene. Vuoi ricevere finanziamenti e donazioni? Aderisci alla mia visione: di certo non mi si può chiedere di regalare denaro, oltretutto in simili quantità, a chi mi rema contro.
La conseguenza è stata che chiunque si sia ostinato a seguire i tradizionali metodi basati su quel che ci è stato dato da Madre Natura e senza chiedere nulla in cambio, è stato accusato di ciarlataneria e in breve messo nelle condizioni di non poter nuocere al nuovo sistema, che antepone da sempre, inevitabilmente, il profitto alla salute.
Nello stesso modo in cui, a un luminare del calibro di Montaigner, quattro scarpari che però stavano un minuto si e l’altro pure in televisione – come mai? E chi ce li ha messi? – a declamare le loro corbellerie a sfondo terroristico e criminale, per non parlare dei gravissimi conflitti d’interesse dei quali sono tuttora portatori, hanno potuto dare del vecchio rincoglionito. Oltretutto tra il plauso generale.
Oggi tuttavia le persone muoiono a un ritmo inaudito, in Italia 517 al giorno solo di tumori che si risolvono nel giro di mesi o addirittura settimane, quando prima ci volevano anni. Per non parlare dei decessi privi di causa apparente, i cosiddetti “malori improvvisi”: definizione di comodo oggi tanto abusata proprio perché vuol dire tutto e niente, quindi divenuta di uso comune.
Siamo in grado di ricordare da quando e in seguito a quali accadimenti e campagne di profilassi? No, vero?
Radio, TV e giornali però non diffondono a questo riguardo il loro bollettino quotidiano come invece hanno fatto nel 2020 e seguenti. Quando vi sono costretti cercano di far passare le cause più inverosimili: la pizza margherita, la buca in spiaggia, il caldo asfissiante, anche se ci sono meno di 30 gradi, quando li si misura come si deve, ossia non sull’asfalto rovente un tempo circondato da alberi ormai abbattuti secondo la nuova frenesia istituzionale, e così via.
Dal canto loro le compagnie di assicurazione sulla vita lamentano bilanci che le stanno portando alla canna del gas. Ricordiamo come un esponente delle élite di livello elevatissimo, Aldous Huxley, massone del 33mo grado, nel suo “Ritorno al mondo nuovo” abbia reso palese la vera e propria ossessione che affligge lui e i suoi pari riguardo alla sovrappopolazione, peraltro inesistente, e alla necessità di porvi rimedio.
Il vero problema non sta nel numero delle persone, ma nelle modalità di distribuzione, mai così inique come al giorno d’oggi. Della ricchezza, degli alimenti, delle terre, dell’energia e delle risorse tutte. E’ evidente che quando lo 0,01% e forse meno degli individui pretende di attrarre a sé un numero maggiore di tutto ciò rispetto a quel che rimane per tutti gli altri, e non ha intenzione alcuna di ridimensionarsi ma anzi vuole sempre di più, il problema si crea eccome.
Con il potere che ha anche a livello di indirizzo, di designazione e cooptazione, disponendo di tutto in simili quantità, peraltro in tale sproporzione, cosa pensiamo che faccia quello 0,01? Forse incolperà sé stesso? Ovvio che invece criminalizzi tutti gli altri per via della loro semplice esistenza, per mezzo del sistema mediatico che controlla integralmente, oltre a telecomandare politica, legislazione, ricerca e così via, a livello globale.
Di risalire alle vere cause di quelle morti o di pubblicare i risultati delle autopsie, quando le si fanno, nemmeno a parlarne. Nello stesso tempo il sistema sanitario è stato portato allo sfascio e oggi chiunque si presenti o sia portato in un pronto soccorso lo fa a proprio rischio e pericolo e dovendo comunque sopportare una vera e propria odissea.
I pronto soccorso sono stati trasformati di fatto in veri e propri lazzaretti, atti a fare da filtro e tampone nei confronti di un sistema ospedaliero in cui essere ricoverati in un posto letto vero e proprio lo si è voluto far diventare più difficile che vincere al superenalotto.
Come? Eliminando i posti letto disponibili. Non solo perché si risparmia, ma perché alla bisogna è più facile dichiarare l’emergenza, in conseguenza della quale si possono cancellare, di fatto, norme, leggi e persino la stessa Costituzione.
Lo hanno già fatto e, visti i risultati, ci proveranno di nuovo alla prima occasione.

Il punto è che se per pura ipotesi quel sistema sanitario fosse davvero in grado di portare tutti o solo una maggioranza più o meno grande dell’umanità a condizioni di piena salute, come le fonti allineate da sempre fanno di tutto per convincerci, di fatto eliminerebbe non soltanto il motivo, ma proprio la sua stessa possibilità di esistere.
Dato che in condizioni simili verrebbe meno la possibilità stessa di guadagnare sui medicinali, dei quali non vi sarebbe in larga parte più bisogno alcuno. In quanto inutili, proprio per via di un’umanità che, come si diceva un tempo e oggi guardacaso non usa più, scoppia di salute.
Le leggi dell’economia, che in un sistema capitalista come quello in cui dobbiamo prendere atto che stiamo vivendo hanno potere di vita o di morte su qualsiasi attività, dicono invece che ogni meccanismo che possa esistere, potendo farlo solo sottomettendosi ad esso, deve continuare non solo a produrre profitti, ma che devono essere sempre in crescita, il che ovviamente confligge con una lunga serie di cose, a partire proprio dallo stato di salute generale.
Più malati, più bisogno di medicinali, di visite e di esami, interventi e macchinari, più guadagno per tutti gli attori del sistema, nessuno escluso. Tanto è vero che le malattie, ormai da parecchio, le s’inventa di sana pianta, proprio per poter vendere meglio e rendere apparentemente irrinunciabili i servizi molteplici offerti dal sistema sanitario.
A questo proposito il documentario intitolato “Inventori di malattie” trasmesso a suo tempo da Rai 3 è illuminante. A cercarlo lo si trova ancora, ma non nelle teche ufficiali, da cui qualche manina anonima ma provvidenziale lo ha fatto sparire. Per fortuna c’è sempre chi provvede a salvare documenti del genere.
Altrettanto degno d’interesse è un altro documentario, intitolato “Il fantasma della pandemia” riguardante le modalità della loro creazione a tavolino, trasmesso dalla TV della Svizzera Italiana.
Andrebbe fatto vedere anche nelle scuole, non soltanto in funzione del sistema sanitario, ma affinché si comprenda come funziona tutto quel che deve rispondere alla legge del capitale. Che nella società in cui ci troviamo a vivere vale a dire qualsiasi cosa.
Se invece c’è più salute, meno sono le medicine, gl’interventi, le visite di cui si ha bisogno e più industrie farmaceutiche, ambulatori, grossisti, rappresentanti e fabbricanti sono costretti a chiudere i battenti, più medici che restano con le mani in mano, meno potere per gli organi di governo e di indirizzo, non a caso moltiplicatisi nel corso dei decenni in particolare a livello sovranazionale, meno denaro per gli istituti di ricerca con cui compiere i veri e propri crimini che si svolgono al loro interno.
In particolare nei confronti di tutto quanto non si possa difendere dall’ambizione sfrenata e priva della minima parvenza di scrupoli degli scienziati pazzi, all’ultimo stadio, che operano al riparo delle loro mura.
Gente capace di cucire gli occhi a dei cuccioli di scimmia come se nulla fosse, solo per vedere come ne venga influenzato il loro comportamento durante la crescita. Megalomani a sfondo criminale divorati dall’ambizione e dalla volontà di ricavarsi un posto di prestigio nella gerarchia umana e un bel conto in banca, dato che chi si dimostra capace di arrivare a simili livelli di abiezione viene ricompensato nei modi più tangibili.
Forse è per questo che la definizione di scienziato pazzo non è più diffusa come un tempo: semplicemente è fin troppo inadeguata in confronto agli orrori perpetrati da quella gentaglia.
Che il sistema funzioni effettivamente in questo modo ce lo spiega l’ostinazione con cui si vanno togliendo dalla circolazione con le scuse più varie i medicinali e le terapie meno costosi, senza considerazione alcuna per la loro efficacia, lasciando spazio soltanto a quelli brevettabili, su cui i margini di guadagno sono di gran lunga i più cospicui.
Nello stesso tempo, i parametri relativi a qualsiasi affezione sono a più riprese ribassati, proprio per poter avere un numero di malati, a livello ufficiale che poi è il solo che conta, e quindi di pazienti, in crescita perenne. Anche se solo a seguito di una presa in giro che definire teatrale è ancora poco, ma eseguita con estrema serietà.
L’ultimo in ordine di tempo riguarda la pressione arteriosa: da qualche settimana chiunque non abbia un valore di 120-80 soffre di pressione alta ed è pressato a sottoporsi a terapie che hanno le loro controindicazioni, non di rado peggiori del male stesso che vorrebbero curare, e per le quali si ritiene necessaria l’assunzione di altri medicinali, secondo il più classico dei circoli viziosi.
Così ti tolgono il sale, elemento essenziale, perché fa male alla pressione. Se il salario si chiama così, fin dall’antichità, pensiamo sia un caso?
Prima ancora lo si è fatto col colesterolo, che tra l’altro è la materia prima di cui è formato il nostro cervello, e con una lunga serie di altri parametri. Nel frattempo, fatalità, i malati del cosiddetto Alzheimer si sono moltiplicati al punto da far diventare la demenza senile una sindrome mai diffusa come oggi,
Che le cose stiano effettivamente in questo modo ce lo spiega la vicenda capitata di recente a Gilead Sciences, che a seguito della commercializzazione di farmaci “troppo” efficaci nei confronti dell’epatite C, tali da causare la guarigione completa dei pazienti a livelli sorprendenti, oltre il 95% in 12 settimane, ha portato a un forte calo del fatturato: da 12,5 miliardi di dollari nel 2015 a meno di 2,5 miliardi di dollari nel 2020.
Senza arrivare a livelli simili, avendone la volontà certe cose si possono comprendere in proprio. Basta andare dal medico, uno qualsiasi, e dirgli che si assumono sostanze naturali non in forma dei medicinali prodotti da big farma: 9 su 10 la sua risposta sarà: una risata, “non lo voglio sapere”, “quella roba non fa nulla”. Oppure rimarrà in silenzio, osservandovi con uno sguardo di compatimento più efficace di mille parole.
Si può immaginare una condizione di asservimento mentale maggiore di questa?
Il motivo è che il personale medico è stato ammaestrato, alla stessa stregua di un cane da riporto, in anni e anni di didattica e poi dalla pratica quotidiana, e più che mai dalla coercizione dell’ordine professionale e della burocrazia di settore, ad accettare solo ed esclusivamente quel che arriva dall’industria farmaceutica ed è provvisto delle sue false certificazioni, vendite a un tanto al chilo. Tutti i suoi preparati, nessuno escluso, hanno una lista di controindicazioni tanto lunga da far si che nessuno la legga più. Come tali sono fatti apposta da richiedere altri medicinali a cascata per tentare di curare i problemi che causano a chi ne fa uso.
Ecco perché a un qualsiasi anziano di oggi viene prescritto di prendere farmaci a decine, ogni giorno.
Sono cavie, che non c’è nessun bisogni di pagare, di un sistema le cui spese sono a carico dei sistemi sanitari nazionali e i profitti tutti di big farma, che così ha sempre più capacità corruttive, e di chi gode dei suoi emolumenti.
Esempio ennesimo di socializzazione dei costi e privatizzazione dei profitti.
Proprio in questo modo l’industria farmaceutica macina profitti non ottenibili da nessun’altra attività conosciuta. Tanto è vero che le dieci maggiori aziende farmaceutiche occidentali hanno guadagnato più di 400 miliardi di dollari nel 2023, superando in termini di redditività giganti come Apple, ExxonMobil e JPMorgan Chase. Ossia l’industria informatica, quella del petrolio e quella dello strozzinaggio istituzionalizzato.
Inevitabile, per conseguenza, secondo i dettami della logica, dell’ideologia e della pratica capitalista, che proprio l’industria farmaceutica si trovi ai vertici del potere reale, come dimostrato dal primo golpe globale della Storia, quello avvenuto nel 2020.
Tra le innumerevoli altre cose, ha spiegato anche perché occorre diffidare da qualsiasi cosa si estenda su una scala tanto ampia: l’individuo comune o un gruppo anche particolarmente corposo di essi non hanno più modo alcuno di influire sulle sue dinamiche e sulle sue conseguenze, qualsiasi cosa si faccia. Questo spiega anche il motivo per cui le élite perseguano con tanto accanimento il progetto globalista.
Dal canto suo Johnson & Johnson, che ha avvelenato per decenni milioni e milioni di bambini, poi diventati adulti, – in quali condizioni? – convincendo le loro madri a ricoprirli quotidianamente del suo un tempo famoso baby olio, fatto direttamente col petrolio, nel 2022 ha speso più di marketing, 11,4 miliardi di dollari, che in ricerca, 9,5 miliardi.
Ora, chiunque abbia per problemi suoi la necessità di negare ciò che avviene nel mondo reale, è stato fornito dal sistema mediatico di un’arma infallibile e nello stesso tempo semplicissima da usare, stante nel tacciare in automatico tutto quanto minacci la stabilità della sua area di confort mentale di essere una teoria del complotto.
Usi la parolina magica, e a insegnartelo a farlo in automatico, senza alcun bisogno di riflettere neppure un istante, è stato proprio lo stesso sistema che ha portato quell’industria farmaceutica oltre le soglie dell’onnipotenza, e tutto finisce li.
Non importa quanti siano gl’indizi a suggerire che seppur in maniera deprecabile, le cose stiano proprio in un certo modo: è la mentalità stessa del genere umano che spinge al rifiuto di tutto quanto possa apparire spiacevole, temibile, pericoloso, scomodo e quant’altro. Chi di dovere lo sa bene e pertanto sulla paura è nata una vera e propria industria, che al momento attuale prospera come mai prima nella storia del mondo e di questa sta mutando il corso, in maniera probabilmente irreversibile.

Canapa
Un altro esempio, che con quello dell’industria farmaceutica va a braccetto, è dato dalla canapa, pianta che per crescere non abbisogna di nulla, tranne che di terra e di un po’ d’acqua e produce raccolti particolarmente cospicui. Con le sue fibre si può realizzare praticamente di tutto, fino a materiali persino più resistenti dello stesso acciaio, a una frazione del costo e dell’inquinamento generato. Da essa si ricava materiale particolarmente efficace anche in edilizia, in quanto poco costoso, robustissimo e autoestinguente. Può essere utilizzata inoltre per realizzare fibre tessili dalla duttilità inarrivabile da qualsiasi altra fibra e carta riciclabile per un numero di volte multiplo di quella tradizionale. Dalla canapa inoltre è possibile ricavare preparati efficaci per la cura di un numero incredibile di affezioni, disturbi e malattie che colpiscono il genere umano e quello animale.
La si direbbe un vero e proprio miracolo della natura e come tale andrebbe considerata. Solo che nella mentalità capovolta e degenere indotta dall’ideologia capitalista, criminogena per sua stessa natura, è proprio la molteplicità e l’efficacia degli utilizzi ai quali la si può piegare a dare un fastidio insopportabile a un numero particolarmente elevato di settori industriali, e di quanti li controllano. Proprio perché con i materiali di sintesi derivanti dalla loro produzione, prima fra tutti quella dei derivati del petrolio, mai e poi mai potrebbero confrontarsi con quanto è possibile ricavare dalla canapa. Per il semplice motivo che per il prodotto dell’uomo non è mai stato e non sarà mai possibile rivaleggiare con quello dato da Madre Natura.
Come si diceva un tempo, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Così sono ormai decenni che veniamo bombardati un giorno si e l’altro pure dalla minaccia di esaurimento delle cosiddette fonti di energia fossile, che nel frattempo non si sono mai esaurite e invece se ne trovano sempre di nuove. Nonostante questo si cerca con ogni mezzo di limitarne l’impiego ai fini della produzione di energia, che equivale a sviluppo, quando invece l’industria del loro sfruttamento indiretto ha ormai invaso ogni comparto merceologico possibile e immaginabile: dall’industria tessile all’abbigliamento a quella automobilistica, bellica, elettronica, che ormai si trova dappertutto, dei prodotti per la casa e così via.
Al giorno d’oggi non esiste più merce acquistabile sulla faccia di questa terra che non sia fatta di plastica, del tutto o in parte. Plastica derivata del petrolio, che da un lato s’insiste a usare dappertutto perché troppo conveniente e per forza di cose disponibile in quantità incalcolabili, mentre dall’altro ci vogliono convincere a ogni costo, spendendo miliardi che troverebbero impiego in modi ben più utili, che sia perennemente sul punto di esaurirsi.
Stati e governi volteggiano anch’essi gioiosamente su questa giostra, imponendo sui carburanti e in genere sull’energia da essi ricavata imposte, accise, tasse e tasse sulle tasse che sono il bengodi di ogni politico. Dato che è proprio sul tassa e spendi che basa il suo potere e il consenso che ricava distribuendo denaro, prebende e privilegi alle proprie clientele. Pronte ovviamente a sdebitarsi quando arrivano le elezioni.
Gran cosa il sistema democratico. Se non ci fosse, quanta gente si ritroverebbe costretta a lavorare?
Il punto è che dalla disponibilità di energia, malgrado tutto ciò relativamente a buon mercato come quella resa disponibile dal petrolio, è derivato uno sviluppo che a sua volta ha prodotto un forte incremento del benessere di massa, che ora si è deciso di far regredire a qualsiasi costo.
Proprio perché lo 0,01% vuole sempre di più. Tra l’altro ora si avvicina l’era dell’automatizzazione integrale, quindi con la disoccupazione di massa che ne deriverà, quantità di individui troppo corpose ritrovatisi in mezzo a una strada sarebbero difficili da gestire e controllare.
Dunque occorre prima impoverire, affinché non si abbiano le condizioni minime atte alla procreazione, e poi sfoltire.
A questo servono da un lato l’ideologia ambientalista e dall’altro i contrasti internazionali nei confronti dei fornitori di gas e petroli ai costi minori, non a caso portati entrambi a estremi inverosimili e patologizzanti, che non si esita a utilizzare in maniera tanto ingannevole quanto coercitiva.
Malgrado ciò le materie prime a costo zero che la stessa industria dei derivati dal petrolio ha messo a disposizione in quantità enormi, che per questo hanno messo fuori gioco tutto quanto si è utilizzato al loro posto in precedenza, hanno permesso a chi si è appropriato dei diritti relativi al suo sfruttamento possibilità di arricchimento incalcolabili e quindi di potere.
Tali da metterlo addirittura nelle condizioni di dettare la propria agenda a Stati, governi e raggruppamenti di essi che un tempo si ritenevano sovrani e oggi trovano il loro unico scopo nell’obbedire ai diktat di lorsignori e nel formare i propri ranghi con il personale ad essi più fedele, quindi meglio gradito e pronto a genuflettersi.
Non solo, quando tutto va a petrolio, basta manipolare il suo prezzo per causare contraccolpi enormi a livello dell’economia, così da poterla pilotare nel modo più agevole nella direzione voluta. In questo periodo verso la svalutazione della moneta e quindi l’impoverimento di massa.
Un prodotto naturale che avrebbe potuto reggere l’assalto dei derivati dal petrolio è appunto quello ricavato dalla canapa. Pianta che per enorme fortuna degl’industriali di quel settore ha il difetto di fornire anche sostanze dal blando effetto euforizzante e anestetizzante.
Così si è fatto ricorso alla balla delle cosiddette “sostanze psicotrope”, ossia Sostanza che agisce sulle funzioni psichiche, stando alla Treccani, non a caso inventata dagli studiosi e ricercatori, i cosiddetti $cienziatih, che da sempre sono la categoria meglio adatta a piegarsi alle esigenze del potere, anche per un misero piatto di lenticchie.
Psicotropa infatti può essere qualsiasi cosa, nelle condizioni opportune. Anche un piatto di pasta, quando si è troppo affamati, quindi più inclini a dare in escandescenze. Poi ti fai una carbonara o un’amatriciana, tutto d’un tratto ti calmi e inizi a vedere le cose in modo diverso. Dunque, stando all’interpretazione più rigorosa della definizione stabilita dalla stessa $cienzah, anche la pastasciutta è una droga?
Con quel sotterfugio, tra l’altro puerile, si è messo in piedi lo spauracchio degli stupefacenti, altra parola magica inventata alla bisogna, da un lato diffondendoli con i metodi più inverosimili e dall’altro criminalizzandoli e criminalizzando chiunque ne abbia fatto uso, ulteriore industria altamente remunerativa per svariate altre categorie professionali.
Poi che si sia stati spinti al consumo da un battage sotterraneo e per questo ancor più efficace, dal quale l’industria musicale e quindi della riproduzione sonora non sono assolutamente estranee, si finge di non vederlo. A conferma di quanto detto poco fa riguardo a visuale e a capacità di scandalizzarsi selettiva propria del genere umano.
Nello stesso tempo alla percezione dell’uomo comune si è imposta la canapa fatta diventare marijuana, ossia la droga. Resa tabù per meglio imporre i concetti desiderati nonché sostanza pretesamente infernale i cui effetti descritti come irreversibili sarebbero in grado di trasformare anche l’essere più mansueto in un licantropo, un assassino perennemente assetato di sangue, un delinquente incallito e così via.
Si è costruita così una nuova categoria di nemici dell’umanità, da combattere senza quartiere, e tale da fornire un nuovo pretesto per dare sempre nuovi poteri alle forze di polizia, distraendole dai crimini perpetrati da lorsignori e nello stesso tempo compattando le legioni di benpensanti per meglio sfruttarle con modalità squisitamente zootecniche.
L’azione appena descritta infatti non differisce in nulla, ovviamente in linea di principio, da quel che fa il cane da pastore per radunare il gregge disperso su un’estensione di terreno troppo vasta.
Non solo, con quel metodo si è chiuso mirabilmente il cerchio delle cosiddette profezie autoavveranti. Proprio perché, nel momento in cui si mette al bando un prodotto, la canapa, e tutti i suoi derivati, il solo utilizzo che può reggere diventa quello clandestino. Proprio perché in quanto tale ne fa schizzare il prezzo alle stelle e ne rende remunerativo il commercio anche in quantità relativamente contenute.
Dopodiché si provvede da un lato a vietarlo, persino con pene draconiane, criminalizzandone gli utilizzatori, ma dall’altro si lascia libera una precisa categoria di personaggi opportunamente portata alla ribalta e ivi mantenuta, di cantarne l’uso e gli effetti, magnificandoli, con tutto quel che ne consegue a livello popolare.
Tra l’altro una corrente di pensiero non priva di verosimiglianza, spiega che al termine del proibizionismo, che notoriamente ebbe luogo in America dal 1920 al 1933, un intero sistema di indagine, coercizione e punizione che dava lavoro a migliaia di persone, e un potere smisurato a chi si trovava ai suoi vertici, si è trovato da un momento all’altro in mezzo a una strada.
Tolto di mezzo un mostro, pertanto, se n’è dovuto creare un altro, dato che non si poteva certo buttare alle ortiche tutto quel lavoro e il potere che da esso è derivato. Così dalla proibizione degli alcolici si è passati alla criminalizzazione dei derivati della canapa, come sempre adottando le tecniche lessicali più opportune all’ottenimento dei risultati voluti.
Ossia la denominazione di marijuana, di diffondere la quale, demonizzandola, si è incaricato il sistema di disinformazione che gli stessi che a suo tempo hanno acquisto il controllo dell’industria del petrolio, grazie ai profitti incalcolabili realizzati con i combustibili fossili, non hanno avuto difficoltà alcuna ad accaparrarsi, per poi piegarlo ai loro scopi inconfessabili.
Ancora una volta lo si è fatto con l’impiego della menzogna fondata sul discredito, prima di una pianta e poi di tutto quanto, e tutti, potessero ricavarne i benefici che la natura stessa ha fatto in modo da attribuirle, martellando e bombardando con essa fin quando non la si è trasformata in verità al di sopra di qualsiasi discussione o meglio in un tabù, come tale indiscutibile.
Così oltre al resto possiamo vedere nel modo più agevole a che livello di contorsione e perversione possano arrivare la mentalità e in conseguenza l’azione di una specifica tipologia di individui, ammesso e non concesso che chi agisce in modo simile possa essere ancora considerato come facente parte dell’umanità.
Tale e quale in hi-fi
Che quanto detto fin qui possa non essere solo una teoria del complotto lo suggerisce il fatto che nell’ambito della riproduzione sonora le cose sono andate nella stessa identica maniera. Malgrado gli interessi economici in gioco, per quanto cospicui, siano un’inezia in confronto a quelli che ballano sullo stato di salute della popolazione dell’intero pianeta, o anche solo di una sua parte, e sull’industria del petrolio.
A suo tempo, tutto quanto tentasse di ergersi nei confronti della mediocrità imperante nella fase storica nota come medioevo, ossia la condizione atta a produrre i ricavi maggiori per l’industria della riproduzione sonora, è stato definito come esoterico. Sinonimo di arcano, iniziatico, stregonesco, da sciamani.
Si è battuto a tal punto su quel termine che a decenni di distanza molti ancora lo usano, anche e soprattutto quelli che di riproduzione sonora sanno poco o nulla.
Gli basta vedere un impianto o un sistema che nelle sue fattezze differisca da quanto è più abituale, o che nelle sue doti sonore si riveli in grado di issarsi al di sopra della mediocrità, e la parola magica sale immediata alle loro labbra: esoterico.
Anche se loro sono convinti di fare un complimento.
Pensiamo che sia stato coniato per caso, quel termine, ossia come si può chiamare un figlio Sigismondo oppure Asdrubale?
Nello stesso modo, chiunque si azzardi a sostenere cose divergenti da quanto fa più comodo all’industria di settore e all’apparato di propaganda al suo seguito, che può sopravvivere solo fin quando essa produce profitti, è tacciato di ciarlataneria.
Se ci si azzarda a dire che c’è altro oltre alle apparecchiature e al consumismo sfrenato del cambia-cambia che è l’atteggiamento migliore affinché tutto il sistema si procuri i profitti necessari al proprio sostentamento, estraendoli dalle tasche degli appassionati, si è accusati di voler vendere olio di serpente.
Tra l’altro dagli stessi che di tutto quel sistema sono le prime vittime, a loro insaputa.
Proprio come si faceva a fine ottocento e nel primo novecento coi naturopati ante litteram che insistevano a suggerire i rimedi naturali frutto di una sapienza che affondava le sue radici nei secoli e nei millenni, come tali non brevettabili, invece dei preparati di un’industria che guardacaso ha da sempre i margini di profitto di gran lunga più elevati rispetto a ogni altra. E che quindi ha il suo primo obiettivo nell’accumularne sempre di più perché questo le impongono le leggi del sistema in vigore e l’avidità senza limiti di chi la controlla.
Eppure l’industria dell’audio, man mano che passa il tempo, suscita sempre più critiche per i prezzi folli dei prodotti che propone al mercato e per le loro prerogative soniche sempre più povere.
Il che tradotto vuol dire che le sue medicine non solo sono arrivate ormai a costi impossibili ma sono del tutto inefficaci e oberate di effetti avversi.
Gli entusiasti a prescindere operanti nell’ambito di siti e riviste allineati fanno di tutto per convincerci non solo che “tutto va ben, madama la marchesa”, ma che non sia mai andato così bene come al momento attuale.
Eppure il malessere serpeggia, in un numero sempre maggiore di appassionati. Specie quelli che hanno avuto modo di mettere insieme una certa esperienza.
Per fortuna sono controbilanciati sempre più dal ricambio generazionale, che per certuni è provvidenziale, oltretutto formato negli ultimi decenni da persone sprovviste del minimo della cultura di settore.
Questo sempre per gentile intercessione del sistema di (dis)informazione, che se nel passato (remoto) di tanto in tanto cercava di spiegare almeno le questioni di base, oggi si limita esclusivamente a fare pubblicità dissimulata. Ossia le recensioni con cui riempie tutte le pagine lasciate libere dalla pubblicità palese, che in quanto tale è la parte più credibile di quanto va pubblicando, proprio perché si rende riconoscibile per quel che è, senza finzioni.
Questo sistema, con il martellamento che ha eseguito nel corso dei decenni, ha prodotto un retaggio nella maggioranza schiacciante degli appassionati, del tutto priva della concezione fondamentale per un qualsiasi sistema complesso come quello inerente un impianto adibito alla riproduzione sonora, che si rivela ancor più limitativo quando ci si propone di ottenere risultati di un certo rilievo.
E quello che non solo trascura ma rifiuta nella maniera più risoluta di prendere in considerazione il problema della messa a punto. Non a caso si tralascia completamente di eseguirla e a qualsiasi livello. Appunto in funzione di quanto spergiurato dai coristi di regime in servizio permanente effettivo in favore dell’industria, ossia che basti acquistare un prodotto il più possibile costoso, per avere la sicurezza automatica di ascoltare il meglio del meglio.
Inducendo da un lato la filosofia del cambia-cambia come purtroppo il testo di questo messaggio lascia trasparire in modo evidente, e dall’altro contando sull’atteggiamento proprio dell’appassionato, non si sa quanto fisiologico e quanto indotto, da sempre restio ad accettare l’idea che dopo aver speso la barcata di soldi necessaria all’acquisto di un prodotto di gran classe o addirittura di vertice, debba anche caricarsi dell’impegno di metterlo nelle condizioni di esprimere il proprio potenziale.
Dunque cosa si fa: si compra il bel diffusore, amplificatore, giradischi o lettore digitale che costa un occhio della testa, e lo si mette lì. Se suona come ci si aspetta, bene. Altrimenti si comincia a rimuginare fino al momento in cui lo si potrà sostituire, acquistando per forza di cose un oggetto ancora più costoso, ma segnato inevitabilmente dagli stessi identici problemi. Proprio perché l’industria che si dedica alla fabbricazione del prodotto commerciale su scala più o meno ampia deve rispondere sempre alle stesse leggi.
Poi, per una serie di coincidenze, un prodotto può risultare più o meno sensibile nei confronti dei problemi tipici delle condizioni in cui lo si fa operare e questo fa sì che possa apparire più o meno accetto all’udito di un qualsiasi appassionato. Il quale non si rende conto, e nulla fa il sistema di disinformazione per renderlo edotto della cosa, che più il sistema è efficace, dunque sensibile e selettivo nei confronti delle qualità del segnale che gli si fornisce e delle condizioni di contorno in cui lo si fa operare, e più tende a metterne in evidenza le prerogative, per quelle che sono. Buone o cattive.
Come vado ripetendo da decenni, infatti, non è stato ancora inventato, e si può dubitare che ciò avverrà mai, il componente audio capace di allineare la propria funzionalità, e quindi la sonorità che produce, ai problemi delle apparecchiature alle quali viene affiancato di volta in volta, a quelli causati dalle registrazioni ascoltate, di nuovo in funzione della loro capacità di porre in evidenza i limiti del canale di riproduzione utilizzato allo scopo, e infine alle preferenze personali del singolo appassionato.
Dunque, paradossalmente, è il prodotto meno efficace quello che appare in genere di qualità maggiore, proprio perché tende per la sua stessa natura a nascondere i difetti del sistema in cui viene inserito. Non a caso le classifiche di vendita vedono dominare da sempre i prodotti dei marchi più efficaci in questa singolare specialità.
Tutto ciò ovviamente sembrerà vero solo fin quando non si andrà alla ricerca di determinati risultati, in termini di qualità sonora, che per forza di cose certi oggetti non sono in grado di dare, proprio per i loro limiti intrinseci, gli stessi che gli permettono di far apparire efficace ciò che è in realtà è ben lungi dall’essere tale.
Nel caso in cui quei limiti dovessero palesarsi per quello che sono, cosa farà l’appassionato, imbeccato dalla propaganda di settore? Si affiderà ancora una volta al cambia – cambia, convinto in tal modo di risolvere i suoi problemi, quando invece l’unica cosa che otterrà è quella di passare a un oggetto caratterizzato dagli stessi identici problemi, posti però sotto una luce di diversa angolazione, eseguendo in pratica un mero spostamento laterale.
Ovverosia un cambio a livello timbrico, tale da mettere più in evidenza certe cose magari più gradite al proprio orecchio e non così critiche per le condizioni operative del sistema, e meno altre, possibilmente più fastidiose. Come tali daranno l’impressione di essere state mitigate o addirittura di essere scomparse, quando invece sono ancora li, pronte a saltar fuori non appena le condizioni d’impiego diventeranno più stringenti o caratterizzate da esigenze diverse.
Il tutto ovviamente a fronte di una spesa talmente elevata da dover essere tenuta nascosta a mogli, familiari eccetera, per evitare il rischio di crisi domestiche potenzialmente devastanti.
Dal canto loro le mogli, che non sono stupide e spesso anzi la sanno molto più lunga dei loro mariti, ma senza parere, fanno finta di credere alle fandonie ammannite loro. Proprio in quanto sanno perfettamente che in fin dei conti è preferibile un marito che dilapida i denari di famiglia in apparecchiature hi-fi che più sono costose e più si rivelano peggiori, a quello che invece spende in champagne e donnine allegre.
Esperienze personali e leggi universali
Se questa è la realtà occorre fare estrema attenzione a non trasformare gli elementi dettati dalla propria esperienza, per forza di cose formatasi in un ambiente contraddistinto da condizioni specifiche, in una legge universale. Proprio perché condizioni d’impiego diverse, meno stringenti o forse solo più controllate possono dar vita a responsi del tutto opposti rispetto a quelli che si ritengono inoppugnabili, sia pure in buona fede.
Si tratta di un’abitudine propria di molti appassionati, che a torto o a ragione guardano solo il loro orticello. Sono peraltro sono in ottima compagnia, dato che anche un gran numero di redattori e recensori ha dimostrato di non essere in grado di tenersi alla larga dallo stesso errore. Rendendo così ancora più inutili i testi a senso unico che si sono affannati a produrre in favore di fabbricanti, distributori, negozianti ed editori.
C’è poi un altro aspetto a complicare le cose ulteriormente. Riguarda la relativa facilità di cogliere un difetto, una volta che si evidenzia, quando invece la difficoltà di attribuirgli correttamente la sua origine è cosa quantomai difficile e in grado di trarre in inganno anche chi ha un’esperienza considerevole.
Non si contano infatti le volte in cui io stesso ho creduto che un certo problema derivasse da qualcosa per poi accorgermi, tempo dopo, che le sue motivazioni erano ben diverse e spesso all’opposto di quel che avrei immaginato.
Questo senza contare che per tanti appassionati il difetto, anche marchiano, è invece un pregio e viceversa. A quel punto evidentemente sperare in qualsiasi azione migliorativa è del tutto aleatorio. Purtroppo la realtà della maggioranza degli impianti in funzione suffraga quanto appena detto.
A rendere poco aderente il messaggio cui sto rispondendo nei confronti della realtà tratteggiata nell’articolo dedicato agli 802 S2, come del resto in tutti quelli che descrivono la stessa tipologia di operazioni eseguite sui diffusori, c’è un ulteriore elemento, che potrebbe essere il più importante di tutti.
Quando il lavoro di ottimizzazione lo si esegue in un certo modo, rispettando le sue leggi e accettando i suoi costi, i risultati che si ottengono sono tali da rendere l’esemplare ottimizzato un oggetto che, a livello di qualità sonora, non ha più nulla a che vedere con quello da cui trae origine.
Questo non per questioni di timbrica o di allineamento tra gli altoparlanti, le diverse vie o le gamme di frequenza, che se si fanno le cose a dovere rimangono inalterati e acquisiscono persino maggiore coesione. Si tratta peraltro degli aspetti più elementari sui quali si articola la sonorità di un diffusore come di un qualsiasi altro componente audio.
Si palesa invece su tutti i parametri che definiscono la reale qualità sonora dell’oggetto, una volta soddisfatti determinati criteri di base, che con la timbrica e l’allineamento non hanno proprio nulla a che vedere. Proprio perché riguardano coerenza, nitidezza, fluidità, naturalezza, controllo, capacità d’indagine, trasparenza, precisione. Sia pure in un contesto di assenza dei difetti solitamente associati a tali aspetti, dovuti all’essere ottenuti per mezzo di mere alterazioni della timbrica e non per un effettivo miglioramento della qualità di riproduzione.
Questi parametri sono riconosciuti solo a prezzo di difficoltà notevoli, seppure, dalla stragrande maggioranza degli appassionati, proprio perché le apparecchiature in loro possesso e quelle che hanno la possibilità di ascoltare altrove ne sono in larga parte se non del tutto sprovviste.
Ulteriore dimostrazione della povertà del prodotto commerciale, letteralmente impossibilitato ad andare oltre certi limiti. Da un lato per le leggi della produzione su larga scala, cui qualsiasi fabbricante deve ottemperare, se vuole sperare di potersi presentare sul mercato con il necessario in termini di competitività, prima di tutto di prezzo, e diffusione.
Dall’altro perché una serie di elementi, che più passa il tempo e più si scopre essere ampia, in grado di influire in maniera sensibile sulla reale qualità riproduzione, che quindi non sono quelli propedeutici al ci ci – bum bum che va sempre e da sempre per la maggiore ed è tacciato di essere il non plus ultra del desiderabile per un qualsiasi appassionato, sono trascurati dalla produzione commerciale, anche quella più costosa.
Per farci un’idea di quel che avviene, a seguito di determinati interventi, voglio riportare un fatterello avvenuto qualche tempo fa. Il possessore di una coppia di B&W 802 S3 ha portato qui da me i suoi diffusori e li abbiamo ascoltati sul mio impianto. Dopodiché abbiamo collegato una coppia di CDM 1 ottimizzati, nei confronti dei quali gli stessi 802, in condizioni d’origine, non hanno potuto far altro che dimostrare la loro povertà, a livelli persino estremi oltreché inattesi.
Certo, gli 802 suonavano più forte, a parità di rotazione della manopola, il che notoriamente li avvantaggia già in partenza, avevano più bassi e ben più estesi, anche se in misura alquanto inferiore alle attese, ed era evidente che la loro emissione avesse dimensioni d’origine ben maggiori.
Tuttavia non hanno potuto far altro che sfigurare, in tutti i parametri che definiscono la reale qualità dell’ascolto e non i suoi aspetti quantitativi, con una sonorità che al confronto è apparsa grezza, legnosa, statica, priva di vita e se possibile persino di dinamica.
Proprio perché, una volta rimossi determinati elementi, che poi sono quelli su cui l’industria tende a sorvolare, perché celati alla vista e sono invece fondamentali ai fini della qualità di emissione e quindi di riproduzione, le prestazioni del diffusore ne traggono una spinta persino imprevedibile, a priori.
Tantopiù nel momento in cui i componenti a monte dell’impianto sono in grado di fornire ai diffusori un segnale di qualità tale da permettere loro di esprimere una quantità ragionevolmente vicina al meglio del loro potenziale.
E’ chiaro che se invece si pilotano quei diffusori coi catenacci cui abbiamo accennato in precedenza, quelle differenze troveranno difficoltà maggiori nel palesarsi, fino a esserne in buona parte cancellate.
Inutile dire dell’espressione comparsa sul viso del possessore degli 802, che mai e poi mai si sarebbe aspettato un responso a tal punto catastrofico, convinto com’era di possedere il meglio del meglio. Che peraltro a livello di diffusori commerciali è ragionevolmente vicino al vero.
Questo c’insegna che un diffusore ottimizzato non ha talmente più nulla a che vedere con la sua veste d’origine, in termini prestazionali che persino un esemplare valido ma destinato a un’ampia diffusione riesce a ridurre a malpartito un sistema di ben altre pretese ma purtroppo afflitto dai problemi che il suo fabbricante non si è assolutamente preoccupato non dico di risolvere, ma proprio di considerare.
Questo ovviamente all’orecchio di un ascoltatore che non recepisca solo il famigerato ci ci – bum bum, ma sia in grado di comprendere il significato della vera qualità di emissione.
Parola d’ordine: interdisciplinarietà
Quel fabbricante non lo ha fatto un po’ per formazione di quanti si occupano della progettazione, puntata essenzialmente su questioni inerenti l’elettronica e l’acustica. Intese tra l’altro secondo la logica dei compartimenti stagni, che da che mondo è mondo è quello che il sistema didattico ha la capacità d’imprimente con la forza maggiore, irresistibile, in quasi tutti quelli che capitano sotto le sue grinfie.
La riproduzione sonora invece è cosa essenzialmente e profondamente interdisciplinare, ai cui fini entrano in gioco elementi poco considerati o persino imprevedibili. Tenuti in nessun conto dall’industria di settore, che anche volendo ne sarebbe impossibilitata, tranne il far salire alle stelle i costi di produzione, che invece deve cercare sempre e comunque di comprimere all’osso.
Più che mai al giorno d’oggi, in cui le voci di spesa accessorie, ai fini del prezzo del prodotto finito assommano ormai a un valore di 10 o 20 volte superiore rispetto a quello assorbito dal mero costo di produzione.
Come sempre avviene nel mondo reale, più il livello qualitativo della riproduzione sale e più gli elementi collaterali di cui sopra acquisiscono importanza, al punto di segnare la differenza tra un sistema mediocre e uno in grado di produrre sonorità esaltanti.
In questo la riproduzione sonora somiglia parecchio al settore delle corse: di auto, di moto e di qualsiasi altra cosa sia in grado di muoversi. Se si ha un catenaccio, qualsiasi accorgimento sembrerà inutile, anche se in realtà non lo è, proprio perché il numero di problemi che affliggono il suo funzionamento producono effetti di dimensioni tali da rendere poco evidente o per nulla l’apporto di ogni miglioria.
Mano a mano che si procede all’eliminazione di quei difetti, e quindi a togliere di mezzo le palle al piede che inducono con la loro presenza, gl’interventi di cui sopra avranno modo di esprimersi in un contesto meno penalizzato già all’origine e dunque di porre in evidenza migliore i risultati cui possono dar luogo.
Ho fatto questo esempio tante volte e lo faccio di nuovo: se in Formula 1 con un determinato assetto e su un determinato circuito si riesce a partire in prima fila, in assenza dei correttivi necessari alla bisogna, sul circuito successivo e per forza di cose diverso nel suo tracciato, si rischia di partire in fondo allo schieramento, malgrado la macchina sia sempre la stessa. Anzi, proprio per tale motivo.
I correttivi vanno a incidere su aspetti apparentemente insignificanti: il mezzo grado in più o in meno di alettone, il millimetro di altezza da terra, le unità e i decimi percentuali di ripartizione dei pesi e della frenata, l’alleggerimento o il miglioramento di penetrazione infinitesimo e così via.
Elementi del genere sulla nostra auto di serie non cambierebbero la situazione di una virgola, proprio perché quanto di più simile al catenaccio, come del resto tutto quello che esce da una linea di montaggio a intensità elevata. Compresi i componenti degli impianti che i componenti del Coro Degli Entusiasti A Prescindere si dannano a spergiurare siano il meglio del meglio a livello di tutto quanto non sia sovrumano.
Eppure nell’ambito delle corse fanno la differenza: dimostrazione pratica che più si perfezionano le cose e più quel che sembrerebbe ininfluente, a uno sguardo superficiale o poco addentro, assume un’importanza talvolta fondamentale.
Un ulteriore aspetto riguarda l’approccio stesso nei confronti del sistema adibito alla riproduzione sonora. Per le solite esigenze e limitazioni di ordine commerciale e metodologico degli attori operanti in questo settore, siamo spinti a considerare ciascun componente, e più ancora ognuna delle sue parti interne, come un oggetto a sé stante, quando invece va a interagire con gli altri in maniera intima e a volte persino imperscrutabile.
Dunque, in funzione dell’elemento più squisitamente commerciale dell’intera faccenda, siamo portati e abituati a ragionare in termini di sorgente, amplificatore, diffusori e così via, prendendoli come elementi a sé stanti e non come parti di un insieme organico, che dalla stessa coerenza delle sue parti è in grado di ricavare una spinta persino superiore alle caratteristiche proprie dei suoi stessi componenti.
Lo stesso riguardo ai cavi, sempre trascurati quando non detestati e tacciati d’inutilità, come sempre da parte di quelli che hanno gli impianti dalla funzionalità maggiormente paragonabile al catenaccio esemplificato sopra, talmente oberato di problemi che riesce a vanificare senza nessuna difficoltà qualsiasi elemento migliorativo.
Tanto poi a che serve migliorare, se per tanti il difetto è un pregio e il pregio un difetto?
Anche i cavi dunque, quando va bene, li si considera singolarmente, mentre invece fanno parte di un sistema, meglio ancora di un sistema nel sistema che per ottenere determinati risultati deve essere valutato nel suo insieme e quindi realizzato, sotto l’aspetto tecnico, secondo determinati criteri, imprescindibili se si vogliono ottenere certi risultati.
Questo è stato dimostrato un numero decisamente numeroso di volte, ogniqualvolta ci si è cimentati al riguardo, ovviamente con l’impiego di conduttori effettivamente all’altezza del loro compito, cosa da non dare mai per scontata.
Già solo per quel tramite, impianti anche molto costosi ma dal comportamento tipico, ossia senza infamia e senza lode, sia pure nell’assenza di difetti particolarmente gravi, a parte quello di essere costati un occhio della testa per poi dare luogo a risultati tanto privi di qualunque elemento memorabile, hanno visto mutare completamente le loro prerogative. Acquisendo doti sonore e di fascino che non si sarebbero mai e poi mai immaginate solo qualche ora prima.
L’aspetto riguardante i cavi è solo uno tra quelli che entrano in gioco, sebbene tra i più importanti: sono molte altre le questioni collaterali che, soprattutto a partire da certi livelli, riescono a influenzare il comportamento di un impianto in misura ben maggiore rispetto alla qualità e alle caratteristiche dei suoi componenti.
In assenza, ossia quel che avviene per la maggioranza schiacciante degli impianti, soprattutto quelli di dimensioni maggiori, i quali per forza di cose non possono che essere gravati da problemi in proporzione, parlare di rendimento di un componente rispetto all’altro e dei relativi problemi di sonorità non ha proprio verosimiglianza alcuna, dato che non si è ottemperato alle condizioni minime che permettano a un oggetto di evidenziare le differenze nei confronti di un altro, ammesso che esistano.
Mettiamo le cose in condizione di esprimere il loro vero potenziale, e allora potremo costruirci un parere, sia pure limitato alle condizioni d’impiego proprie della fattispecie, che non sia esclusivamente il frutto della somma di difetti e di problemi causati da un’installazione tanto a tirar via. Quella che le fonti di settore, tutte allineate e coperte, garantiscono essere sufficiente e adeguata affinché ogni prodotto possa esprimersi al meglio, quando invece ne viene platealmente affossato.
Come ho detto tante volte, allora, i limiti innanzitutto culturali e concettuali in quegli ambienti sono tali e tanti da fare di quelli che dovrebbero spingere il settore i suoi primi guastatori.
Questo è e i primi a farne le spese sono gli appassionati. Ad essi tuttavia viene delegato il compito di tenere in piedi tutto il sistema, le conseguenze del quale si ritorcono innanzitutto contro di loro.
Proprio questo è il motivo per cui da qualche tempo, ogniqualvolta un marchio più o meno noto va a gambe per aria, si usa dire che “anche gli appassionati hanno le loro colpe”.
La prima, indiscutibilmente, è quella di continuare a seguire in massa quanti si adoperano affinché siano sempre più spremuti, per tenere in piedi un sistema ormai da tempo insostenibile, che a loro dà in cambio sempre di meno e comunque il meno che sia possibile.

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Se non si vedono differenze è perché non ce ne sono, a iniziare dai mandanti.