Esse Quadro L’una 177

Esse Quadro è un marchio che si è affacciato solo da poco nel settore della riproduzione sonora. Il suo fondatore, Salvatore Spatafora, non è solo un appassionato di audio ma ha anche un suo gruppo musicale in cui suona la chitarra.

Salvatore è inoltre titolare di Costruire Audio, azienda che commercializza kit e componenti dedicati alla riproduzione sonora.

Il diffusore L’una 177 fa parte di una serie comprendente anche un altro modello, L’una 146, sempre da piedistallo ma di dimensioni più contenute. Presto a completare la linea prodotti Esse Quadro arriverà anche un sistema da pavimento attualmente in progettazione, che dovrebbe essere a tre vie e mezzo.

Prima di cominciare diamo la parola a Salvatore Spatafora, per sentire da lui stesso le idee e gli scopi che lo hanno guidato nella realizzazione del diffusore. Non è una persona di molte parole, quindi la sua descrizione è stata sintetica.

Mi chiamo Salvatore, classe 1985. Costruisco diffusori da quando ero bambino. Ricordo che la mia prima cassa è nata smontando una radiolina che era andava benissimo: ho tolto l’altoparlante, l’ho messo in una scatola di scarpe e ci ho fatto un buchino perchè… era giusto così. Ricordo che i bassi erano aumentati moltissimo ma il fine corsa di quell’altoparlante di 2″ era veramente immediato. Da li non mi sono più fermato.
Suono da circa 20 anni, quindi la musica fa parte delle mia vita un po’ in tutte le sfumature. Da 4 anni circa ho un attività commerciale per la vendita al dettaglio di componenti audio.
Esse Quadro nasce da un’esigenza, quella di fare diffusori musicali, divertenti da ascoltare e privi di fatica d’ascolto, di bell’aspetto, senza forme troppo esagerate, ma dal design “sportivo”.

Ci metto tutto quello posso: dalle finiture ai componenti non bado a spese. Credo molto nel disaccoppiamento del baffle frontale rispetto al resto del diffusore.

Credo molto anche nelle regolazioni sulla cassa, soprattutto del tweeter: abbiamo fatto molte sedute di ascolto diverse con diversi tipi di pre e finali. L’aspetto che più colpiva la riproduzione nei vari switch era proprio quello legato alle alte frequenze. Cosi ho deciso di proporre il mio “zero”, poi di lasciare al proprietario la scelta finale. Alla fine un ambiente più o meno riflettente, elettroniche e sorgenti più o meno aperte possono sbilanciare il suono del diffusore e di parecchio.

 

L’una 177

Dato che Salvatore vi ha accennato, iniziamo proprio dall’aspetto del diffusore. Lui lo ha definito “sportivo”, secondo me invece è molto ben riuscito e di grande eleganza. L’estetica del 177 denota infatti uno studio accurato e l’impiego di soluzioni decisamente efficaci. Si tratta insomma di un diffusore bello da vedere nella sua vivacità ma ben curato e soprattutto provvisto di un suo senso della misura. Quanto di più lontano, insomma, da certe arlecchinate forse realizzate senza porsi il dubbio dell’esistenza di un limite oltre il quale si finisce nel pacchiano.

Del resto se oggi l’imperativo primario è mettersi in mostra, qualunque cosa può trovare una sua giustificazione, per quanto improbabile.

Delle L’una mi ha colpito innanzitutto la finitura del frontale, di un punto di rosso che trovo molto indovinato, appena tendente allo scuro. La laccatura è realizzata in maniera molto accurata, per una superficie tirata a lucido e senza il minimo accenno alla famigerata buccia d’arancia.

L’artigiano cui si rivolge Esse Quadro per questa lavorazione sa evidentemente il fatto suo.

Non nascondo che ho dovuto penare un po’ al fine di rendere con la maggior precisione possibile il punto di rosso del diffusore, ma l’ho fatto volentieri. Proprio perché una scelta cromaticamente così indovinata merita di essere messa in evidenza nel modo migliore. Mi sembra di essermi avvicinato ad esso con buona approssimazione, sia pure con tutti i limiti del mezzo di diffusione utilizzato.

Come vediamo nell’immagine qui sopra, la laccatura si limita al pannello frontale e a quello posteriore del diffusore. Il resto delle superfici è ricoperto in eco-pelle, scelta senz’altro encomiabile, lievemente goffrata. Questa soluzione non solo è efficace per l’estetica ma offre il suo contributo in termini di qualità sonora.

La scanalatura che corre lungo tutto il perimetro del diffusore separa anche visivamente il pannello frontale dal volume di carico, sottolineando una tra le scelte tecniche che caratterizzano i L’una 177, ossia il disaccoppiamento tra frontale e cabinet.

La realizzazione del mobile si avvale dell’impiego di macchine a controllo numerico, il che conferisce all’insieme doti rimarchevoli di precisione. Allo scopo Salvatore mi ha inviato anche un frontale grezzo, che denota in effetti una lavorazione impeccabile.

Si apprezzano i profili ribassati dedicati ad accogliere le flange degli altoparlanti, ponendole a filo del pannello, dallo spessore di 40 mm, oltre alla mezzaluna che caratterizza ulteriormente l’estetica, da cui prende il nome il diffusore.

Come si vede nella foto d’apertura, la stessa forma è attribuita alla griglia di protezione, tenuta in posizione da un sistema magnetico.

Il diffusore ha in dotazione anche i piedistalli dedicati, dalla realizzazione particolarmente robusta. Sono molto pesanti, a favore della stabilità d’installazione del diffusore, che influisce a sua volta sulle condizioni di emissione. Sono tutti in metallo di spessore notevole, scelta che a dire il vero non mi trova particolarmente d’accordo per via delle risonanze generate da questo materiale. Sinceramente tendo a preferire il legno, anche se potrebbe non essere il più indicato per una realizzazione di tipo industriale.

La base dei piedistalli dispone degli alloggiamenti per i piedini a punta forniti in dotazione.

Non di rado il retro dei diffusori in commercio è alquanto abbandonato a sé stesso, essendo destinato a rimanere nascosto alla visuale. Qui si fa un’eccezione, a iniziare dalla curvatura del pannello ai margini del pozzetto in cui alloggiano i morsetti d’ingresso.  La lieve sagomatura posta in loro corrispondenza è un’altra finezza che testimonia l’attenzione dedicata da Salvatore alle sue creature, anche in merito a dettagli inconsueti.

I morsetti sono di produzione WBT. Malgrado il loro costo sono caratterizzati dalla realizzazione in plastica, non solo per l’impugnatura, ma anche per l’asse filettato interno. Su di esso è praticato un foro decisamente sottile che non permette o quasi l’impiego di semplice cavo spellato.

Su un diffusore di classe simile l’impiego di morsetti sdoppiati per il pilotaggio in bi wiring sarebbe stato raccomandabile, proprio in quanto tale modalità di collegamento permette un incremento evidente per la qualità sonora.

Un’ulteriore particolarità del pannello posteriore riguarda la presenza degli interruttori destinati alla taratura del livello del tweeter. Si tratta di una scelta inusuale, ormai sono pochissimi i diffusori che li adottano. Non credo si sia trattato di un’indecisione in fase di realizzazione e delibera dell’allineamento tra gli altoparlanti, quanto della volontà concreta di rendere più adattabile il diffusore a situazioni diversificate.

Resta comunque il fatto che le parti necessarie allo scopo potrebbero avere effetti negativi percepibili sulla sonorità del diffusore, anche se lasciato in posizione “lineare”. Proprio questo ritengo sia uno dei motivi che hanno indotto la maggior parte dei costruttori a eliminare la presenza di controlli simili, un tempo diffusi.

Prima di passare alla disamina dei diversi elementi realizzativi del diffusore, qualche parola va spesa per il contenitore entro il quale i L’una pervengono al loro possessore. Parlare di imballo in questo caso credo sia riduttivo, trattandosi di casse in legno dalla robustezza più simile a bunker.

Questo è un elemento ulteriore che spiega l’attenzione con cui Salvatore considera ogni elemento delle sue realizzazioni. Qualcosa di impensabile per i diffusori proposti da marchi “commerciali”.

 

Altoparlanti

Gli altoparlanti utilizzati per l’Esse Quadro L’una 177 sono di produzione Scanspeak. Il woofer è un 17 cm di diametro con membrana in polpa di cellulosa. Questo materiale è stato abbandonato a suo tempo in favore di composti sintetici via via più complessi, polipropilene, policarbonato, policarbonio eccetera, per non parlare di quelli metallici, ceramici e aramidici. Ogni volta battendo la grancassa sugli incommensurabili vantaggi che sarebbero derivati da ciascuno di essi nei confronti dei precedenti, irrimediabilmente sorpassati.

Le proprietà di alcuni di quei materiali sono incontestabili. Tuttavia col passare degli anni, il giro è stato completato e ora ci ritroviamo punto e daccapo alla polpa di cellulosa. Ennesimo paradosso di un mondo che ha trovato nella loro produzione seriale la sua attività più prolifica.

Magari oggi la polpa di cellulosa è realizzata e utilizzata secondo modalità più attuali, ma sempre di quello si tratta. Del resto se è stata utilizzata per tanti anni c’è un perché, riguardante la refrattarietà alle risonanze e la sonorità naturale delle membrane realizzate in tal modo. Che per quanto non possano vantare i valori tecnici para-fantascientifici di altri materiali, restano tuttora tra le più indicate per realizzare altoparlanti in possesso di una dote sovente tralasciata, ma che resta la più importante di tutte: quella dell’equilibrio timbrico. Elemento che ha il difetto di non poter essere espresso coi numeri, dal canto loro taroccabili e taroccati nei modi più disparati. Necessita pertanto di verifica diretta da parte del nostro udito.

La storia di questo settore trabocca infatti di diffusori dalle misure inappuntabili che però, non appena gli fai riprodurre un violino o un trombone, magari contemporaneamente, non riescono a celare le loro aberrazioni timbriche o la loro incapacità di restituirne una raffigurazione sufficientemente vitale.

A suo tempo l’abbandono della polpa di cellulosa venne giustificato anche con la difficoltà di ottenere un’adeguata ripetibilità di caratteristiche su produzioni di larga scala. Resta comunque il fatto che un qualsiasi altoparlante, in particolare per quelli a cono, si basa sull’impiego di numero tale di componenti e di variabili da poter causare differenze sensibili tra un esemplare e l’altro, sia pure in apparenza identici.

Questo è uno dei motivi per cui i progettisti di esperienza maggiore sanno perfettamente che quanto si ottiene all’atto pratico può differire parecchio dai risultati teorici derivanti dall’impiego dei programmi di simulazione computerizzata.

 

In un sistema a due vie gli elementi fin qui discussi assumono un’importanza ancora maggiore, proprio perché il woofer è chiamato a ripodurre gran parte della gamma media, se non tutta. Ossia la banda di frequenze di gran lunga più critica.

Se di basse ce ne sono un po’ di più o un po’ di meno, o se la presenza degli acuti assume un rilievo maggiore o minore rispetto a un dato livello, si tratta di elementi che influenzano si la “voce” del diffusore, ma non in maniera determinante.

Invece una gamma centrale scarsamente lineare o poco equilibrata è in grado di rendere inascoltabile anche il diffusore teoricamente migliore di questo mondo. E questo solo per quanto riguarda la timbrica, ossia il livello più elementare e superficiale su cui si gioca la qualità della riproduzione sonora nel suo complesso.

Proprio in quest’ambito, allora, si decide nel concreto la validità del diffusore e di tutto l’impianto a cui dà voce. Ancora una volta non in base a numeri o tracciati privi di relazione con la realtà. In quanto tali ne vanno a raffigurare una aleatoria e priva di relazioni concrete con l’esperienza materiale dell’ascolto, o meglio del tutto contraria rispetto ad essa e dunque ingannevole. L’efficacia del diffusore e del sistema di riproduzione nel suo insieme si determina nel loro utilizzo in sala d’ascolto. Mediante l’analisi da parte del nostro udito di una molteplicità di variabili e di parametri, in continuo evolversi durante lo svolgimento dell’evento sonoro, che non è e non sarà mai assimilabile dai pochi aspetti esaminati staticamente su un banco di misura di laboratorio. Determinati oltretutto, prima ancora che interpretati, secondo criteri ampiamente opinabili,

Il culto dedicato al cosiddetto progresso tecnologico potrebbe suggerire, in maniera per nulla disinteressata, che la pretesa perfezione degli strumenti ideati dall’uomo sia incomparabilmente superiore rispetto a quanto realizzato e fatto evolvere da madre natura nel corso dei millenni. A questo proposito credo si debba innanzitutto tenere conto che qualsiasi dispositivo di origine umana riesce a risolvere un problema solo creandone almeno altri dieci. Tutto quanto esistente in natura, invece, si risolve in essa ed ha una varietà di funzioni diverse che si armonizzano e contribuiscono alla vita di tutto quanto le circonda.

In sostanza, quando l’uomo riuscirà a inventare la ciliegia o il grappolo d’uva, e senza combinare i disastri senza rimedio degli apprendisti stregoni di ieri, di oggi e di domani, si potrà iniziare a riconsiderare la questione.

L’udito dunque, a patto che sia educato nel modo necessario, ed è questo il vero punto centrale della questione, è il giudice ultimo e insindacabile della correttezza e dell’efficacia delle soluzioni scelte per la realizzazione del dispositivo attraverso il quale si esegue la riproduzione dell’evento sonoro.

Se la parte centrale della gamma udibile è quella di maggiore criticità, le scelte che ne influenzano le modalità di riproduzione lo sono altrettanto. A questo dato di fatto l’industria ha risposto con una molteplicità di soluzioni finanche esagerata, non molto attinente con la sostanziale univocità del risultato di cui stava andando alla ricerca.

Questo riconduce per l’ennesima volta alla preminenza di fatto delle esigenze di carattere commerciale, in special modo quelle derivanti dal dover differenziare il proprio prodotto rispetto alla concorrenza, sugli aspetti più legati al contesto tecnico-prestazionale.

Eccoci di fronte allora a una giustificazione plausibile per l’indecisione al riguardo. O meglio, al comportamento sostanzialmente ondivago in seguito al quale ci si è lanciati prima nella diffusione a ritmo incalzante di una serie di soluzioni sempre nuove, cui puntualmente si è attribuita la capacità di poter risolvere magicamente qualsivoglia problema indotto dalle soluzioni del passato, tacciando queste ultime di essere inevitabilmente superate, salvo poi per trovarsi nella necessità di recuperarle

Facendo poi pagare a prezzi generosamente maggiorati quel che 15 o 20 anni prima si era svenduto perché “fuori moda”. Proprio in quanto si era fatto di tutto per consegnarlo, erroneamente, all’immenso magazzino dell’obsolescenza.

In tutto questo processo, il sistema della (dis) informazione specializzata ha infilato in maniera altrettanto sistematica un fallimento dietro l’altro, avendo mancato a ognuno dei suoi compiti basilari con efficacia singolare. Non solo riguardo all’analisi e alla critica ragionata delle soluzioni proposte di volta in volta dall’industria di settore, ovvero i fabbricanti di altoparlanti più ancora che i costruttori di diffusori completi. Ma più che mai nel mettere in una qualche forma di prospettiva non dico tecnica ma almeno storica, il susseguirsi delle diverse soluzioni, le motivazioni addotte alla loro realizzazione e i risultati concreti ottenuti per il loro tramite.

In mancanza di questo elemento fondamentale, si è ridotto il processo inerente l’evoluzione tecnica degli altoparlanti, come di qualsiasi altro dispositivo o apparecchiatura adibita alla riproduzione sonora, a un eterno presente. Che a sua volta è il contesto più efficace ai fini dell’astrazione necessaria a valutare in modo invariabilmente positivo un qualsiasi prodotto su cui la pubblicistica di settore rivolga la sua attenzione, dietro suggerimento disinteressato dei committenti degli spazi pubblicitari.

In questo modo però, essa non ha soltanto rinchiuso i suoi lettori all’interno del recinto costituito appunto dall’eterno presente che ha costruito non si sa quanto consapevolmente, ma ne ha contagiato anche e soprattutto i propri artefici. Che proprio in questo modo hanno finito col ridursi all’incapacità materiale di esprimere una qualsiasi forma di critica, ovvero l’elemento contestato dalla parte più consapevole del pubblico degli appassionati.

Di qui la trasformazione inevitabile in un mero meccanismo di propaganda:  vera e propria cassa di risonanza della quale, guarda a volte l’ironia del destino, le prime vittime sono proprio quanti si sono incaricati del suo funzionamento. Proprio perché si sono sottratti, mediante un meccanismo di sostanziale auto-castrazione, la possibilità non di esprimere ma persino di immaginare una forma di giudizio che non sia rigorosamente a senso unico.

La polpa di cellulosa dunque, sia pure caricata con fibra di carbonio, è il materiale con cui è realizzata la membrana del woofer-mid Scanspeak utilizzato per i L’una 177, appunto da 17 cm di diametro. Questo non sposta di una virgola il discorso fin qui affrontato, e anzi ne costituisce un esempio ulteriore. Dato che il produttore dell’altoparlante ne commercializza anche una versione con membrana realizzata esclusivamente a partire da detto materiale.

Il cestello in metallo pressofuso denota una realizzazione votata più a soddisfare le esigenze meccaniche che non quelle di carattere aerodinamico. Dunque le razze sono massicce e ulteriormente rinforzate da costolature atte a incrementarne la rigidità, favorendo la stabilità anche nel caso delle sollecitazioni elettro-meccaniche più gravose. Per contro il passaggio dell’aria mossa dalla faccia posteriore della membrana non è proprio ottimizzato al massimo, diversamente da quanto si vede fare su altoparlanti di progettazione più attuale o se vogliamo esasperata.

Il magnete è di dimensioni generose, fattore di forza 8,2 Tm, provvisto di foro centrale per il deflusso dell’aria presente all’interno della cavità formata da bobina e parapolvere da un lato e dal gruppo magnetico dall’altro, potenzialmente dannoso ai fini di un movimento dell’equipaggio mobile del tutto libero da impedimenti.

Il gruppo magnetico è realizzato secondo la tecnica di Scanspeak denominata SD. Riguarda la sua conformazione e l’impiego di un anello in rame posizionato in maniera strategica, con lo scopo di migliorare il controllo dell’equipaggio mobile anche durante le escursioni più rilevanti. Ossia quando la bobina tende a uscire dal traferro. L’escursione lineare dell’equipaggio mobile è di +- 6,5 mm e quella massima di +-10 mm.

La bobina è da 42 mm di diametro e avvolta a doppio strato, come tale in grado di sopportare potenze elevate, sia pure a spese di un valore di induttanza maggiore.

La frequenza di risonanza è di 28 Hz, decisamente bassa per un altoparlante di diametro simile, il che lascia immaginare un comportamento efficace anche alle frequenze vicine al limite inferiore dello spettro udibile.

La cerniera è ovviamente in gomma, a basso smorzamento meccanico per compensare almeno in parte il limite maggiore di tale materiale nei confronti di quello schiumoso, caduto in disuso ormai da tempo per la sua tendenza a sgretolarsi nel lungo termine. La sua conformazione è tale da permettere escursioni elevate dell’equipaggio mobile, a favore della quantità d’aria spostata, della tenuta in potenza e dell’estensione verso l’estremo inferiore.

In questo l’altoparlante è coadiuvato dal volume del mobile generoso per un sistema da piedistallo e per l’accordo prescelto in sede di progetto, come si può rilevare semplicemente picchiettando con un polpastrello sulla membrana.

L’impedenza minima è di 6,6 ohm. Si tratta di un valore sufficiente a non porre in soverchie difficoltà le amplificazioni non a loro agio sui carichi particolarmente bassi, che non di rado mettono in evidenza le sonorità più convincenti.

L’area del pistone realizzato dalla membrana del woofer-mid utilizzato è di 145 cmq, per un volume dell’aria spostata di oltre 46 litri, valore che spiega in buona parte le dimensioni generose del mobile adottato.

Il tweeter è a cupola morbida, sempre di produzione Scanspeak. Si tratta di una scelta in linea con la filosofia del diffusore, indirizzato appunto all’ottenimento della maggiore adattabilità alle diverse condizioni d’impiego, piuttosto che di exploit alquanto effimeri su un parametro o l’altro.

 

La cupola in tessuto è senz’altro meno rigida e stabile geometricamente rispetto a materiali più “moderni”, ma allo stesso tempo perdona di più eventuali manchevolezze per la messa a punto, tipiche della stragrande maggioranza degli impianti in circolazione.

Anche a questo particolare si attaglia il discorso fatto in merito alla membrana del woofer.

Sul retro dell’altoparlante è presente la camera di decompressione ormai usuale sui tweeter di progettazione odierna. Il suo compito è quello di linearizzare il comportamento acustico dell’altoparlante, controllandone con maggiore accuratezza la frequenza di risonanza.

 

La bobina mobile del tweeter non è immersa in olio magnetico, soluzione a suo tempo definita all’unanimità come esclusivamente migliorativa per le doti dell’altoparlante che la utilizza.

In realtà la vita c’insegna che ogni medaglia ha il suo rovescio. L’impiego dell’olio magnetico regolarizza effettivamente il comportamento dell’altoparlante, tende a ridurne le distorsioni e lo rende meno esposto agli abusi da rotazione eccessiva della manopola del volume. Allo stesso tempo, però, immergendo la bobina in un fluido viscoso dall’azione smorzante, la si sottopone a una sensibile resistenza meccanica, da cui deriva una riduzione per la sua capacità di movimento, per quella di reagire nel modo più efficace agli impulsi elettrici, soprattutto quelli di entità minore e per la velocità di detto movimento.

Questo può causare sensazioni d’ascolto soggettivamente più gradevoli, in quanto il tweeter viene posto nelle condizioni di smorzare o cancellare del tutto o quasi le proprie pecche e anche quelle degli impianti dalla sonorità più fastidiosa. Ascrivibile tra le altre cose all’utilizzo degli amplificatori dalla CCL esasperatamente verticale, sia pure a spese delle caratteristiche di precisione e dettaglio.

Ecco perché le verifiche eseguite mediante sessioni d’ascolto possono facilmente portare a conclusioni del tutto contrarie alla realtà dei fatti. Specie se condotte in assenza dell’esperienza e della consapevolezza necessarie. E’ inoltre il motivo per cui i tweeter che hanno qualche anno di età tendono sovente a suonare in maniera più convincente di quelli più giovani, quando inseriti in impianti ben messi a punto. In quel caso il fluido presente all’interno del traferro si è asciugato o ha perso buona parte delle sue caratteristiche di viscosità ed esercita un freno più blando sulla corsa della bobina.

La frequenza di risonanza è di soli 500 Hz, valore che sulla carta dovrebbe permettere l’impiego di reti di filtraggio con incrocio posto piuttosto in basso. In realtà si potrebbe osservare la cosa in maniera opposta, dato che proprio l’aumento di impedenza che si verifica in corrispondenza della risonanza tende a porre naturalmente al riparo l’altoparlante da afflussi di energia troppo elevati. Se però tale aumento si presenta a frequenze “troppo” basse, il suo effetto potrebbe non essere sufficiente al riguardo.

 

Mobile e crossover

Il mobile è realizzato con pannelli in medite tagliati con macchine a controllo numerico. Lo spessore del frontale è di ben 40 mm e come ci ha spiegato Salvatore è disaccoppiato del resto del cabinet, in base a una scelta cui è particolarmente affezionato.

Il resto dei pannelli è da 19 mm. In corrispondenza del retro ce n’è uno di rinforzo, su cui sono state praticate delle occhiellature in maniera fin quasi artistica, a testimoniare ulteriormente l’attenzione del costruttore nei confronti di particolari in genere ritenuti inifluenti. La coibentazione interna è blanda, si limita soltanto ad alcune pareti interne ed è effettuata con un materiale dalle capacità di assorbimento relativamente limitate.

Si tratta di scelte piuttosto usuali tra i diffusori reperibili in commercio, con le quali a essere sincero non mi trovo molto d’accordo. Sull’assorbente interno si lesina in genere non per motivi di costi, ma perché si teme che potrebbe andare a discapito della sensibilità del diffusore.

 

Come abbiamo visto in passato è forse l’elemento più critico agli occhi di un qualsiasi costruttore. Il motivo è presto detto: il nostro udito è particolarmente sensibile alle differenze di livello e soprattutto tende ad apprezzare maggiormente quel che suona più forte.

Pertanto, se in una prova di ascolto a confronto tra due o più diffusori come quelle che si eseguono presso i negozi specializzati ce n’è uno che produce una pressione sonora maggiore rispetto agli altri, con ogni probabilità sarà proprio quello a essere scelto dall’acquirente. Al di là delle sue effettive prerogative timbriche, che con il livello di emissione hanno poco a che fare.

I costruttori lo sanno benissimo ed è per questo che cercano di fare in modo che il loro prodotto sia quello che suona più forte di ogni altro concorrente.

Il sistema più sbrigativo si ritiene sia il lesinare sull’assorbente interno. Questo però comporta una serie di effetti collaterali, primo fra tutti l’aumento del rimbombo prodotto dall’emissione della faccia posteriore dell’altoparlante nelle sue riflessioni all’interno del cabinet. I suoi effetti a un ascolto relativamente superficiale, come quello che potrebbe svolgersi in negozio, tendono a passare inosservati. Addirittura, potrebbero essere apprezzati per la maggior quantità percepita di basse frequenze, anche se la loro qualità ne viene ovviamente degradata. Cosa però che quasi certamente si noterà soltanto in seguito, a un esame più approfondito.

 

Un cabinet di L’una 177 privo di assorbente, ripreso nei laboratori del costruttore. Se ne apprezzano ancor meglio i particolari dell’interno. La finitura esterna in questo caso è arancione.

 

Nella mia esperienza personale ho potuto rilevare che anche nel caso di diffusori di grandi dimensioni lasciati completamente vuoti al loro interno, sempre per i soliti motivi di sensibilità, sia pure dopo anni il loro possessore può non accorgersi dei difetti prodotti dal rimbombo presente all’interno del cabinet. Salvo manifestare un’insoddisfazione di fondo.

In effetti, trattandosi di un’emissione che segue molto da vicino quella primaria dell’altoparlante, risulta alquanto difficile riuscire a distinguerla. Ancora una volta si tratta di esperienza e di sensibilità, dato che personalmente ho rilevato la cosa senza difficoltà, quando è stato portato nel mio ambiente. Una volta proceduto all’ispezione interna del cabinet devo dire di essere rimasto sconcertato di come sia possibile che un diffusore di stazza simile, e di tale rinomanza, alto più di un metro e dall’ingombro in pianta tutt’altro che contenuto sia stato lasciato del tutto privo di coibentazione.

Si tende a pensare inoltre che il minore assorbimento comporti un funzionamento più efficace del sistema reflex, proprio perché si lasciano libere le quantità d’aria maggiori di transitare all’interno del tubo di accordo piuttosto che essere assorbite dal materiale posto all’interno.

Una volta eseguita la modifica necessaria, il diffusore preso a esempio non solo è migliorato in maniera inimmaginabile a priori per le sue qualità di emissione sotto qualsiasi parametro, ma ha dato anche l’impressione che della sua sensibilità non si fosse perduto alcunché.

Il motivo è semplice: l’emissione della faccia posteriore dell’altoparlante, nella sua riflessione da parte delle pareti del cabinet viene a trovarsi in condizione di fase e di ritardo del tutto casuali rispetto ad essa e all’emissione frontale. Ne deriva non soltanto un degrado per la precisione dell’emissione stessa, ma un posizionarsi delle emissioni riflesse in maniera ancora una volta del tutto casuale in termini di fase. Ne derivano rinforzi e cancellazioni parziali, in misura variabile, e totali che sono un vero e proprio inferno, come si può immaginare senza difficoltà raffigurandosi le onde sonore che viaggiano, si accavallano e si cancellano in proporzioni perennemente mutevoli, nel loro scontrarsi all’interno del cabinet.

Per avere un esempio materiale della cosa basta andare in spiaggia, preferibilmente in una giornata di mare appena mosso, mettersi a riva e osservare l’arrivo delle onde e il loro ritrarsi. Se non trovano ostacolo si allungano sul bagnasciuga, ma se incontrano l’onda che si ritrae ne vengono smorzate nella loro forza, in proporzioni imprevedibili, e restano molto più indietro.

La differenza è che le onde del mare hanno frequenza sostanzialmente stabile e ne arriva una ogni tanto, la riproduzione sonora invece è fatta di tanti segnali di frequenza diversa che mutano in continuazione. Ne deriva una confusione incredibile: una volta fatto un minimo di ordine al riguardo, il vantaggio in termini di precisione, e  probabilmente anche di sensibilità effettiva, non può che essere evidente.

A dimostrazione di quanto detto fin qui, non di rado si osserva anche un netto incremento dell’estensione verso l’estremo inferiore, particolarmente utile nei diffusori da piedistallo e più in genere in quelli di dimensioni non particolarmente generose.

Il crossover è realizzato mediante reti a 12 dB per ottava. Per il woofer è previsto l’impiego di una bobina con nucleo in ferrite, mentre sulla cella del tweeter ce n’è una in aria libera. I condensatori sono di produzione Jantzen: gli Z Superior, ben conosciuti per le loro doti di musicalità sulla via alta, e i notevolmente più economici Cross Cap su quella inferiore.

 

 

Questa scelta si basa probabilmente sulla concezione che la componentistica in parallelo al segnale sarebbe meno critica nei suoi effetti rispetto a quella in serie. Per quanto mi riguarda preferisco utilizzare condensatori dello stesso tipo indifferentemente dalla loro posizione, in particolare nei diffusori maggiormente contraddistinti da doti di equilibrio. Proprio perché così facendo tale prerogativa viene esaltata.

Anticipando di qualche riga le impressioni d’ascolto i L’una 177 non sembrano aver sofferto particolarmente della cosa, anche se manca la riprova del contrario, ossia di cosa accadrebbe montando i componenti di qualità maggiore anche sul passa basso.

Il crossover è montato direttamente su una base di medite, soluzione forse non particolarmente elegante ma di sicuro più efficace ai fini del trasferimento del segnale rispetto al circuito stampato.

Il cablaggio interno è stato effettuato mediante cavo Van Den Hul CS in rame ricoperto d’argento, scelta alquanto diffusa per i diffusori di classe.

Per gli attenuatori, infine, sono state utilizzate resistenze di tipo Mox, migliori delle ordinarie ceramiche ma forse non del tutto all’altezza della classe e della sonorità del diffusore.

 

In sala d’ascolto

Eccoci giunti al momento fatidico, la verifica della sonorità del diffusore insieme al resto dell’impianto. Forse ai L’una 177 ho fatto un po’ le pulci, ma nel complesso si tratta di un diffusore realizzato con grande cura.

Magari i modelli proposti anche dai costruttori più rinomati potessero riceverne altrettante. Resta il fatto che si può costruire anche il diffusore più curato di questo mondo, ma se poi non suona come dovrebbe è tutta fatica sprecata.

A questo proposito va detto che la produzione di diffusori è di gran lunga la cosa più complessa che esista in campo audio.

Si, ad avvitare un altoparlante su un pannello è capace anche un bambino, poi ci si attacca un filo e qualcosa si sente. Immagino sia proprio questo il motivo per cui l’autocostruzione ha nel campo dei diffusori il suo lato più florido.

Ben altro però è realizzare un diffusore effettivamente capace di fare il suo dovere, fino in fondo.

Questo ovviamente in termini generali, senza riferimenti più o meno velati al sistema in esame.

La personalità timbrica dei L’una 177 è alquanto distante da quella di diffusori monitor. Non si tratta insomma dei diffusori più indicati per fare la radiografia alle registrazioni. La loro sonorità quindi è tendente all’ambrato. Un po’ per l’allineamento prescelto tra gli altoparlanti e in misura almeno pari per le caratteristiche specifiche della gamma alta, derivante dal connubio tra l’altoparlante utilizzato e i componenti della relativa cella del crossover. Ne consegue una timbrica che si potrebbe definire di morbidezza cremosa: magari non farà cadere a terra la mascella in termini di dettaglio e risoluzione, ma è in grado di esprimere le sue doti migliori, facendosi apprezzare non poco, negli ascolti prolungati da parte degli appassionati in possesso dell’esperienza maggiore.

Il comparto centrale è caratterizzato da un equilibrio innegabile, che pone il diffusore nelle condizioni di affrontare senza problemi le registrazioni più critiche sotto questo profilo. Insomma, è difficile cogliere in fallo i L’una con esaltazioni artificiose di una porzione o l’altra dello spettro udibile. Questo li pone nelle condizioni di essere utilizzati efficacemente con la musica eseguita mediante strumenti acustici. Magari non arriveranno a cogliere le tessiture più sottili della loro timbrica, ma allo stesso tempo restano bene alla larga da esasperazioni o solo accentuazioni indebite.

Il che non è assolutamente poco. Soprattutto per un diffusore della sua classe, in cui nel tentativo di colpire l’ascoltatore quanto necessario per indurlo a sborsare somme di un certo rilievo si compiono non poche nefandezze.

Trattandosi di un diffusore da piedistallo ma di dimensioni alquanto generose, offre un buon compromesso nei confronti di un sistema da pavimento per quel che riguarda presenza ed estensione del comparto inferiore. Senza per questo obbligare a sopportare l’ingombro e l’intrusività in ambiente tipica dei sistemi di taglia maggiore. Di conseguenza  non si hanno troppi rimpianti nei loro confronti e nello stesso tempo si possono apprezzare le prerogative di precisione e ricostruzione dell’immagine stereofonica che notoriamente avvantaggiano i diffusori della tipologia cui appartengono i L’una.

La sensibilità non è particolarmente elevata, pur mantenendosi in linea con la media del segmento. Si può immaginare che il pubblico cui si rivolge il diffusore in esame non sia particolarmente interessato a produrre pressioni sonore particolarmente elevate con amplificatori di potenza ridotta. Se lo è, non è questa la scelta più congeniale. I L’una 177 sono indicati per i livelli di riproduzione tipici degli ambienti domestici e per il pilotaggio da parte di amplificatori di potenza almeno intermedia. Si comportano bene anche se sottoposti a potenze più generose, grazie alle caratteristiche degli altoparlanti utilizzati, particolarità non sempre alla portata dei diffusori da piedistallo.

In frangenti simili dimostrano di sapersi districare senza difficoltà e soprattutto evitando di mettere in luce cenni di fatica o di eccessiva compressione. Lo spunto dinamico anzi resta sempre ben evidente. sia pur mantenendosi in linea con la personalità di fondo del sistema, che come abbiamo già rilevato è alquanto più incline alla tranquillità.

A questo punto vorrei spendere qualche altra parola nei confronti della fluidità di emissione dei L’una 177, che dal mio punto di vista è l’elemento più gradevole della loro personalità sonora. Con il prolungarsi dell’ascolto la si apprezza sempre più e ritengo sia in grado di addomesticare anche la sonorità di impianti alquanto nervosi, ai quali potrebbe attribuire caratteristiche tali da renderli meglio accetti ai loro possessori.

Questo ovviamente non equivale a dire che si tratti di un diffusore tendente a sonorità fin troppo paciose. Stanti le già menzionate doti di equilibrio su tutta la gamma udibile, è proprio il loro carattere lievemente abboccato, se mi si passa il termine, ad attribuire alla loro riproduzione una rimarchevole godibilità complessiva piuttosto che sorprendere per il singolo elemento, magari disgiunto dal resto della riproduzione.

Quindi non stiamo parlando di un diffusore da ooohhh e ahhh fin dalle primissime battute, tipologia che poi si rivela inevitabilmente stancante, al punto da richiederne in breve la sostituzione. Piuttosto va a costruire nell’ascoltatore una convinzione sempre crescente nelle sue possibilità con il passare del tempo. Segno distintivo dei diffusori, e delle apparecchiature in senso più generale, in possesso di una sonorità matura e sostanzialmente corretta, che si adatta a utilizzatori dalle medesime prerogative.

Tutto questo fa dei L’una 177 dei diffusori magari non al vertice assoluto delle prestazioni soniche nella loro categoria, ma allo stesso esemplari tra i più indicati per inserirsi in maniera efficace in un’ampia varietà di situazioni diverse. Anche laddove siano collegati a impianti dalla messa a punto migliorabile, come la stragrande maggioranza di quelli di alto rango, quasi sempre installati con criteri per nulla diversi rispetto a catene più economiche. Sono insomma inclini al perdono, piuttosto che all’approccio rigidamente impietoso tipico di numerose alternative della loro fascia di prezzo.

Dico la verità, come mio solito del resto, i L’una 177 non sono “la mia tazza di té”, secondo una tipica espressione anglosassone: le mie preferenze personali sono indirizzate diversamente. Si tratta comunque di diffusori in grado di abbinarsi con l’efficacia maggiore in una casistica di situazioni decisamente ampia. Come tali meritano di essere presi in considerazione dagli appassionati che desiderano sonorità molto gradevoli in un contesto di equilibrio indiscutibile, da ascoltare per ore con immutata piacevolezza grazie a una timbrica raffinata e sostanzialmente corretta.

 

 

 

2 thoughts on “Esse Quadro L’una 177

  1. Ciao Claudio, devo ammettere che quando ho visto la prova di un diffusore da te recensito si è scatenata in me una grossa curiosità. Non tanto per la tipologia del diffusore, ma piuttosto per l’interesse di leggere una recensione diversa da quelle cui gli illustri giornalisti del settore ci hanno abituati. Ed anche stavolta sei stato estremamente puntuale, concentrando la tua attenzione sui punti salienti che possono interessare i lettori. Una frase da te citata mi ha fatto sorridere, e non poco:
    “resta il fatto che si può costruire anche il diffusore più curato di questo mondo, ma se poi non suona come dovrebbe è tutta fatica sprecata”. Forse i numerosi fenomeni della carta stampata e non solo, sembrano essersene dimenticati.
    Di certo, se fossi stato il direttore di una rivista audio, il tuo articolo lo avrei senz’altro scartato per la mancanza di superlativi!!! Il diffusore in oggetto a mio avviso ha un’estetica accattivante e ottimi driver. Farli pubblicare su una rivista indipendente è stata un’idea ottima.
    Claudio ti auguro buon lavoro, in attesa che tu possa recensire il mio sistema audio.
    Giuseppe Carrino

    1. Ciao Giuseppe, è un grande piacere sentirti. Apprezzo moltissimo anche le tue parole nei confronti del mio lavoro. Come ho scritto altrove, quando i direttori si trovano di fronte a un pezzo come questo, affidano direttamente il prodotto a un altro redattore.
      Spero anch’io di poter venire presto a farti visita per ascoltare il tuo impianto, di cui mi sono state raccontate mirabilie. 😉
      Buon lavoro anche a te

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