High Fidelity Roma 2019

Puntuale come un orologio, alla fine del novembre più piovoso della storia dell’umanità è arrivata l’edizione 2019 del Roma High Fidelity.

La prima domanda che si fa in queste occasioni è com’è andata? In base all’afflusso di pubblico, davvero numeroso nella giornata del sabato, è stato un grande successo. Gli appassionati erano tanti che il solo entrare e uscire dalle salette poste al piano intermedio e a quello superiore è stato quasi sempre un problema. Trovare posto a sedere per un ascolto in condizioni minime di agibilità nemmeno a parlarne. Addirittura, in diversi momenti è risultato difficile muoversi lungo i corridoi.

Se invece mi si chiede riguardo alla qualità sonora media degli impianti esposti, passerei direttamente alla domanda di riserva.

Dovendo riassumere tutto in una sola parola, direi imbarazzante. Potendone aggiungere un’altra, andrei su preoccupante.

L’imbarazzo si deve non solo alle doti sonore medie degli impianti esposti, ma anche e soprattutto alla disinvoltura con cui nelle diverse salette si passavano brani il cui elemento di efficacia maggiore è sembrato quello di porre in evidenza i difetti più marchiani degl’impianti con cui venivano riprodotti. Oltretutto a fronte di un’indifferenza tale, da parte degli espositori, da far sorgere prepotente il dubbio che non si accorgessero della cosa oppure che per mezzo di consumate doti attoriali facessero finta di nulla.

Probabilmente sono io che vedo le cose in maniera sorpassata, e insisto a pensare che, nel momento in cui si affronta una manifestazione di questo tipo, insieme alle spese necessarie per parteciparvi, si cerchi di fare bella figura.

Sembra quasi che la scelta dei brani da utilizzare per la dimostrazione degl’impianti avvenga secondo un criterio casuale o peggio ancora finalizzato all’autolesionismo. Ora, ci può stare che il risultato che si andrà a ottenere nella saletta assegnata possa essere in una certa misura imprevedibile, ma non so fino a che punto i brani coi quali un impianto suona in maniera almeno decente in un qualsiasi ambiente possano dare risultanze del tutto capovolte passando a un altro. Se invece con un dato brano riesce a esprimersi dignitosamente, è da ritenere che possa farlo a prescindere dalle caratteristiche dell’ambiente in cui lo si inserisce. A maggior ragione se questo ha le caratteristiche di assorbenza necessarie, vuoi per la presenza del pubblico, vuoi per il pavimento ricoperto di moquette o per la presenza di tendaggi piuttosto pesanti come nelle salette dell’hotel che ha ospitato la mostra di cui stiamo parlando.

Il dubbio allora è che non si sia eseguita una valutazione preventiva per il comportamento dell’impianto coi brani di cui era prevista la riproduzione. O peggio, che non si sia verificata in anticipo neppure la composizione dell’impianto che s’intendeva esporre. Se questo sia possibile non lo so, ma la sonorità media che ha accomunato la stragrande maggioranza delle salette è stata tale da indurre considerazioni di questo tenore.

La preoccupazione, invece, si articola su due direttrici principali. La prima è che di anno in anno la sonorità media degl’impianti esposti va peggiorando. La seconda è che nella stragrande maggioranza più gl’impianti erano pretenziosi e complessi, più suonavano male. Questo sembrerebbe dare conferma alle mie convinzioni, riguardo alle modalità di allestimento di una qualsiasi catena audio, cosa che in qualche modo dovrebbe lusingarmi.

Invece no, perché avendo innanzitutto a cuore il destino della riproduzione sonora amatoriale nel suo complesso, mi rendo conto che questa tendenza ha ottime probabilità di causare forti effetti negativi. Che senso può avere proporre apparecchiature sempre più costose, le quali all’aumentare del loro costo invece di migliorare le doti sonore del dispositivo di cui entrano a far parte le peggiorano?

E’ anche vero però che ormai vivamo in un mondo capovolto e quindi le considerazioni formulate a partire da un fondamento di qualche logica sono da considerare legate a un’epoca definitivamente tramontata.

Riguardo al progressivo peggioramento della sonorità di edizione in edizione, c’è anche da rilevare che la tendenza legata allo streaming compulsivo ha messo in luce la sua importanza. A questo riguardo, per la prima volta ho potuto ascoltare un suono cartonato provenire da diffusori B&W, oltretutto appartenenti alla serie di vertice. Per quanto inseriti in un impianto audio-video, nonché privi di morsetti d’ingresso e dei relativi cavi di collegamento, quindi presumibilmente attivi e operanti a partire da segnale ricevuto via etere.

Una cosa del genere non l’ho sentita neppure da esemplari da pavimento venduti all’epoca a trecentomila lire la coppia o poco più, appartenenti alle serie 300 che negli anni 90 faceva da livello d’ingresso nel listino del marchio inglese. Avevano anzi una sonorità più che dignitosa ma, difetto irredimibile, dovevano essere collegati a dei cavi e peggio ancora a un impianto in carne ed ossa, imposizioni ormai inaccettabili secondo le ultime direttive del WAF.

Ecco dove ci portano progresso e tecnologia, quantomeno nella loro coniugazione attuale.

Questa tendenza è stata confermata da una coppia di diffusori da 18.000 euro, anch’essi attivi e basati su una triamplificazione, nonché caratterizzati da una sfilza di numeri oltremodo lusinghieri. Purtroppo per il tempo in cui li ho sentiti suonare hanno evidenziato una sonorità talmente stridula da non permettermi di trattenermi più a lungo nella saletta in cui erano esposti. Certo, sono in grado di funzionare senza apparecchiature a monte, a parte un router, e senza cavi a vista, a parte quelli di alimentazione. Quel che ne deriva però è tale da far rinunciare ben volentieri non solo a tutto quello di cui possono fare a meno, ma anche all’ascolto di musica.

Nel listino del costruttore sono appena i secondi dal basso, quasi degli entry level. Si può immaginare il prezzo dei due modelli superiori.

 

Nella stessa saletta era presente anche una specie di soundbar gigante dall’estetica che preferirei non commentare, dal modico prezzo di 21.000 euro circa. A dimostrazione che la crisi economica in cui questo Paese continua a dibattersi senza essere in grado di uscirne fuori, malgrado la prossima si stia già approssimando, è solo per i ceti che colà dove si puote è stato deciso di sacrificare.

Per i meno abbienti c’è un modello inferiore, che se non ricordo male è in listino a soli 17.000 euro.

So perfettamente che è inutile star li a rigirare il coltello nella piaga, ma se persino un sistema basato su amplificazioni Sugden e diffusori Harbeth suonava in maniera parecchio migliorabile, qualcosa di strano effettivamente ci doveva essere. Ritengo improbabile si sia trattato di un qualche sortilegio abbattutosi sulla sede della manifestazione proprio nella data in cui doveva aver luogo, ma poi osservando meglio la foto dell’allestimento in questione, una motivazione almeno parziale salta fuori.

Dalle notizie pervenutemi, oltretutto, sembra che quest’anno non vi siano stati problemi per la tensione di alimentazione.

E’ altrettanto vero, comunque, che se in mancanza di cavi di potenza adeguati un impianto possa non esprimersi al meglio, le sue prestazioni non ne dovrebbero venir mortificate fino a tal punto.

Non ho mai apprezzato i sistemi di altoparlanti ad array, che sono la negazione della sorgente sonora puntiforme, elemento di base della tecnica legata alla riproduzione sonora. Sono caratterizzati da un’altra serie di contrarietà che non è questa la sede per approfondire, ma va detto che almeno per i parametri di base l’impianto dimostrato da Grandi Note è rimasto quasi del tutto esente dai problemi grossolani evidenziatisi in altre sale.

 

Nella stessa sala era presente il giradischi Audiosilente, dotato del nuovo braccio da 12 pollici con canna in carbonio.

Le sale in cui ho trovato una sonorità apprezzabile sono state due. Quella in cui era presente un impianto MBL ha costituito forse la sorpresa maggiore, dato che in genere dall’ascolto degli impianti di quel marchio ero abituato a uscire con impressioni assai meno lusinghiere.

L’altra è quella in cui hanno suonato i diffusori Estelon, cosa che mi ha fatto piacere anche per via delle disavventure patite nella passata edizione dell’altra mostra romana dedicata alla riproduzione sonora.

Dal mio punto di vista, l’elemento di maggiore interesse di questa edizione del Roma High Fidelity è stato dato dalla possibilità di ascoltare i master delle registrazioni binaurali eseguite nei Nightingale Studios per mezzo della stessa macchina con cui sono stati realizzati, un Ampex ATR 102. Era collegato a preamplificatori valvolari dello stesso marchio, a loro volta impiegati nella catena di registrazione, e a cuffie Spirit pilotate dagli amplificatori dedicati.

Purtroppo non è stato possibile coglierne fino in fondo le prerogative, ragguardevoli, per via del rumore di fondo presente in permanenza nella saletta in questione. Non mancherà l’occasione in un prossimo futuro, della quale ovviamente darò resoconto.

Le registrazioni che ho potuto ascoltare erano abbinate ai video eseguiti durante la loro effettuazione. Hanno avuto per protagonisti alcuni grossi calibri della scena jazz nazionale come Luca Mannutza e Max Ionata, Umberto Fiorentino e Claudio Quartarone.

 

Nella saletta Audel si è potuta apprezzare una buona riproduzione jazz, ma nel momento in cui si è passati a Vivaldi i problemi timbrici dei sistemi pilotati da un integrato Electrocompaniet sono apparsi evidenti.

 

La saletta Audiograffiti è stata tra quelle in cui mediante l’abbassamento delle luci si è ricercato un forte effetto scenografico. Ritenendo forse d’influenzare in questo modo le impressioni d’ascolto.

Nella stessa era presente un giradischi  AMG, anch’esso dalla una colorazione alquanto vistosa.

Un accenno è meritato da una postazione del grande salone al piano -1, in cui erano esposte diverse apparecchiature vintage, tra cui un preamplificatore Leak Point One, un amplificatore Dynaco e diversi altri pezzi interessanti.

 

Parecchie sale esponevano giradischi, tra cui un terzetto di redivivi Lenco.

 

Altri tre esemplari, di produzione Acoustic Signature erano esposti insieme a un vasto assortimento di vinili, numerosi dei quali di stampa giapponese. Si tratta di macchine decisamente interessanti, anche se ancora una volta il problema principale è dato dal prezzo. Se per una tavola di rango, sia pure completa di braccio, occorre spendere 20.000 euro, a quanto andrà ad assommare l’impianto destinato a farla suonare in modo appropriato?

 

Per il resto c’è stato parecchio materiale con cui lustrarsi gli occhi, anche se purtroppo non ne è derivato un rendimento sonico all’altezza. Diverse anche le salette in cui campeggiavano registratori a bobine. Qui di seguito quella allestita da Novaudio.

E poi quella di Sophos.

La consueta sfilata di macchine a bobine di The Recorder Man.

 

Nella saletta Centro Musicale campeggiavano due poderosi amplificatori VTL, adibiti al pilotaggio di diffusori TAD. Ne è derivato però un rendimento in larga misura migliorabile.

 

Come al solito l’interesse degli appassionati per i supporti fonografici è stato considerevole.

Nelle sale maggiori, quelle disposte al piano -1, il dispiegamento di forze è stato come al solito ragguardevole. Purtroppo però, i risultati concreti non sono riusciti a giustificare lo sforzo profuso, tranne che in quelle già menzionate. Si sono evidenziati invece problemi notevoli già sui fondamentali.

 

 

 

 

L’impianto maggiore esposto nella sala Di Prinzio.

 

Volendo dotare la propria sala d’ascolto di un angolo delle torture, non solo uditive ma anche corporali, il Roma High Fidelity 2019 si è ancora una volta dimostrato all’altezza di qualsiasi esigenza.

Per quest’edizione è tutto.

 

 

6 thoughts on “High Fidelity Roma 2019

  1. Impeccabile disamina – da parte di un “maestro” del giornalismo hifi – della solita trita e ritrita MOSTRA DEGLI ORRORI messa su alla bell’e meglio dallo Zaini. Mostra degli orrori, perché oggi l’hifi é divenuta proprio questo: estetica TAMARRA e prezzi FUORI DALLA GRAZIA DI DIO. Fermo restando che NESSUNO dei visitatori di tale mostra comprerá MAI quanto esposto. É una mostra autoreferenziale che si AUTORIDICOLIZZA ogni anno di più (io l’ho visitata solo 2 volte al Meliá e mi é bastato a capire…). Ma siamo seri: la cosa più assurda sono i commenti su PEGGIUS CLUB 😉 di coloro che invece di guardare “la luna” guardano il dito del Maestro Checchi che – da grande recensore/appassionato/esperto senza padroni qual é – dice semplicemente le cose come stanno. Pane al pane, vino al vino. SIA MAI! Sul (quel che resta del) forum hifi più seguito dagli appassionati, i commenti (gratuitamente offensivi) puntano il dito contro Claudio Checchi, colpevole di LESA MAESTÀ e giudicato CRITICONE a prescindere. Viene da riderci su a crepapelle, se non che c’é da piangere. Eppure basterebbe poco…. basterebbe un minimo di iniziativa da parte dell’organizzatore. Basterebbe un input da parte dii Zaini, un piccolissimo VADEMECUM di 2 o 3 semplicissime “regolette di base” da seguire pedissequamente, per trasformare IL CIRCO DEGLI ORRORI in un qualcosa di più digeribile, fruibile, ascoltabile. Vabbé, mi fermo qua. Tanto “non c’é peggior sordo…”
    il Puma

    1. Ciao Puma, grazie dell’attenzione e della considerazione.
      Riguardo a quest’ultima, come ho scritto nelle primissime righe del testo dedicato alla mia presentazione, mi sono sempre sentito come un semplice appassionato, prestato alla stampa di settore. Tale di conseguenza è stato il mio atteggiamento. Non tanto secondo l’accezione della maschera pirandelliana, convenzione-imposizione che ho sempre ritenuto inaccettabile e lesiva della dignità umana, ma in quanto convinto che il primo e inalienabile diritto dell’individuo risieda nella libertà del pensiero autonomo e della sua espressione. Questo ha comportato il pagamento di costi enormi a livello personale e professionale, di fronte ai quali non mi sono mai tirato indietro, essendo sempre stato pronto ad assumere la responsabilità e le conseguenze delle mie scelte e delle mie azioni.
      Poi ovviamente c’è sempre qualcuno che per un motivo o per l’altro ti attribuisce anche quelle che non solo non hai compiuto ma neppure ti sarebbe mai passato per l’anticamera, spesso scelte tra quelle di cui è egli stesso il vero e imbattibile specialista.
      Non a caso un noto adagio di antica saggezza popolare c’insegna che a cantare è sempre la gallina che ha fatto l’uovo.
      Come appassionato ormai mi manca poco al mezzo secolo di militanza, lasso di tempo in cui ho avuto modo di vederne e sentirne un po’ di tutti i colori. In larga parte, oltretutto, da un punto di osservazione privilegiato che mi ha permesso di costruirmi un’esperienza e una consapevolezza che da semplice appassionato non so se avrei mai potuto mettere insieme.
      In tutta sincerità non mi sento di condividere la tua attribuzione di responsabilità nei confronti dell’organizzatore. Oltretutto sono diversi anni che allestisce le sue mostre, quindi un minimo di esperienza la deve per forza di cose aver fatta. La sede prescelta può non essere la migliore, ma del resto gli alberghi sono quelli che sono, come pure i loro costi. Soprattutto nascono e sono conformati per soddisfare esigenze che con la riproduzione sonora amatoriale hanno ben poco a che vedere. Prima o poi questo salta fuori, con le conseguenze più evidenti proprio nel momento in cui il successo di pubblico va oltre certi limiti.
      Questo è un aspetto che ho affrontato in uno dei miei resoconti passati: purtroppo non esistono strutture adeguate alle mostre dedicate alla riproduzione sonora e se le si dovesse costruire ex novo i costi sarebbero insostenibili. Basta vedere del resto i prezzi praticati dalle organizzazioni di quelle più blasonate, che a quanto mi si dice non è che non lascino a desiderare, anzi. La sola, vera, grande differenza è che li tutto ha un prezzo, oltremodo salato. Anche la pianta che si mette nella saletta in cui si espone, per non parlare di come si venga guardati dall’alto in basso, specie se la targa del mezzo con cui si arriva denota una certa provenienza.
      Davvero non so fino a che punto l’organizzatore dell’High Fidelity dovrebbe istituire una specie di commissione censoria nei confronti degli espositori, oltretutto stilando un decalogo che già per la sua esistenza suonerebbe come un’offesa nei loro confronti. Poi è possibile che all’atto pratico alcuni di essi ne abbiano bisogno, ma il limite in questi casi ciascuno lo dovrebbe trovare nella propria persona e nelle regole di vita che si è dato. Ferma restando la facoltà dell’organizzatore di non confermare la partecipazione alle edizioni future per quanti dovessero andare troppo oltre.
      Soprattutto, una volta che si è deciso di mettere una legge nero su bianco, occorre anche trovare il modo di farla rispettare, altrimenti ci si espone soltanto alla presa in giro da parte dei suoi stessi destinatari. Poi riguardo alle basi e ai termini su cui lo si possa fare, e più che mai quali dovrebbero essere i requisiti di chi la dovrebbe far rispettare nel concreto, vediamo che si tratta di una strada difficilmente percorribile e irta di difficoltà e trabocchetti.
      Insomma, non so se mettere un carabiniere in ogni saletta, tralasciando le questioni legate al suo reclutamento, sarebbe la soluzione idonea, prima ancora di valutarne la fattibilità.
      Temo che all’atto pratico si finirebbe proprio come in certi forum, in cui sono regolarmente i moderatori stessi a porre in evidenza con i loro atteggiamenti lacune significative a livello culturale e di competenza riguardo a un settore in cui sembrano talvolta essere stati calati sulla base di motivazioni difficili da comprendere. Per non parlare del fatto che, sempre coi loro atteggiamenti, tali figure finiscono col mostrare che il loro vero compito non è quello di moderare, bensì di pungolare il gregge umano all’accettazione supina di dogmi finalizzati a esigenze di carattere economico-commerciale cui mi sembra inutile dedicare altro tempo.
      Per altri versi sembra che in certe sedi non si riesca neppure a capire la realtà stessa di queste mostre e dei resoconti che le riguardano. Per forza di cose le valutazioni espresse dipendono dal brano o dai brani riprodotti nel momento in cui si visita ciascuna saletta. Compito di chi espone è quello di fare in modo che in un qualsiasi momento un visitatore faccia il suo ingresso, si possa fare un’idea dell’impianto ivi allestito, che è suo interesse sia la migliore possibile.
      Se questo non avviene al primo passaggio, se ne può fare un secondo a distanza di qualche ora, ma non è che vi si sia tenuti. Proprio perché un impianto che costa in genere parecchi soldini dovrebbe essere in grado di fare almeno una figura decente un po’ con tutto e senza avere bisogno che gli si conceda una seconda occasione.
      Altri potranno non essere d’accordo ma per me questo è proprio il minimo che si possa richiedere.
      Nello stesso modo, nel momento in cui un impianto dimostra di non essere in grado di rispettare almeno i fondamentali, e peggio questo avviene già nei primi istanti d’ascolto, a cosa potrebbe servire andare oltre, se non per trovarsi di fronte a ulteriori elementi d’inadeguatezza?
      Se poi non si riesce ad arrivare neppure a questo, non può essere un problema di chi fa la propria valutazione. Si accetti serenamente il responso dato dalla saletta, che ciascuno ha tutti gli strumenti per poter valutare. Riproponendosi casomai di prepararsi alla prossima edizione dedicandovi il tempo necessario e curando i diversi aspetti in termini di composizione e messa a punto dell’impianto, e in particolare di scelta dei brani coi quali si possa figurare al meglio delle possibilità.
      A questo proposito vi sono alcuni impedimenti di carattere logistico, che in ogni caso fanno parte del gioco, oltre a vere e proprie leggi non scritte, come quella che dice che una volta spostato dalla propria sede, per ricominciare a suonare in maniera decente un impianto ha bisogno di un certo lasso di tempo.
      Essendo ben noto, nessuno che abbia il minimo senso della realtà andrà a pretendere la perfezione, ma almeno il rispetto dei fondamentali da impianti di costo quasi mai irrisorio lo si ritiene irrinunciabile. Viceversa, se si mette un disco con un violino e suona stridulo in maniera tanto palese, il problema non può essere di chi ascolta e sta usando il proprio tempo allo scopo.
      Va da sé, poi, che nel momento in cui si decide di esercitare il diritto di critica si deve essere pronti a riconoscerlo anche agli altri. I quali in maniera più o meno ortodossa, ed eventualmente a partire da motivazioni pretestuose o perché punti nel vivo, l’andranno a esercitare a loro volta.
      Anche questo ha le sue conseguenze, riguardo innanzitutto a chi decide di assumere determinati atteggiamenti.
      E’ evidente che se si ritiene valido il comportamento di un sistema che malgrado il suo costo non riesce neppure a rispettare i fondamentali, o comunque lo si definisce tale, delle due l’una: o non si è in grado formulare una valutazione neppure a un livello tanto elementare, o altrimenti si sostiene di fatto che malgrado i suoi costi, quel sistema non sia tenuto a uniformarsi neppure ai criteri minimi di una riproduzione timbricamente corretta. Salvo poi lamentarsi nella discussione successiva che il settore, a fronte di un interesse da parte del pubblico testimoniato dall’affluenza stessa alla mostra di cui stiamo parlando, commercialmente è allo sbando.
      E’ altrettanto vero che l’accusa di lesa maestà è quella che viene mossa con la frequenza maggiore nei confronti di chiunque non si adegui ai dettami di chi dirige il Coro Degli Entusiasti a Prescindere. Che non ci gratifica delle sue esibizioni soltanto dalla carta stampata ma anche dai suoi succedanei di foggia più varia.
      Del resto il rapporto genuinamente feticistico che si ha non solo nei confronti della riproduzione sonora amatoriale, o meglio dei dispositivi che la permettono, ma di tutto quanto abbia a che fare con la tecnologia, osservata nel suo procedere e nelle sue conseguenze coi modi e l’abito mentale tipici del fondamentalismo religioso, è cosa ben nota e altrettanto diffusa.
      A questo riguardo l’unica è sperare che quanti alimentano più o meno consapevolmente atteggiamenti simili, e di fatto agiscono a favore della loro diffusione, ne vengano almeno gratificati in qualche misura, dato che se lo facessero solo per la gloria ci sarebbe da farsi più di qualche domanda riguardo alla sua valenza e soprattutto alle cause di un simile modo di fare e alle conseguenze che ne derivano.
      Grazie ancora una volta del tuo contributo e del tuo entusiasmo, nella speranza che voglia condividere anche in futuro le tue valutazioni.

      1. Guarda Claudio, saró sincero: la responsabilità dell’Organizzatore di un evento é omnicomprensiva del contenuto, non del solo contenitore/espositore. Zaini potrebbe – se solo lo volesse – andare a dare 2 input SPECIFICI e RISOLUTIVI per ogni saletta presente. Tali input (non entro nel dettaglio perché non devolvo le mie idee aggratis) riguardano IL PROGRAMMA MUSICALE e un FINE-TUNING PREDITTIVO effettuabile saletta per saletta.

        1. Ciao Pamelo, apprezzo molto la tua sincerità e lo sforzo indirizzato al miglioramento di una realtà rispetto alla quale non ti limiti a esprimere solo una critica.
          Quindi ti rispondo con altrettanta sincerità, che del resto mi è abituale, rilevando che quanto in teoria sembri offrire le migliori garanzia di riuscita, all’atto pratico si rivela sovente assai meno efficace.
          Quanti sarebbero gli espositori pronti ad accettare quello che potrebbe materializzarsi come una limitazione alla possibilità dei loro impianti di esprimere appieno il loro potenziale?
          Temo pochi.
          Per conto mio ritengo che ogni organizzatore dovrebbe pensare innanzitutto a fare il proprio mestiere al meglio possibile, quindi offrendo un ambiente adeguato a costi contenuti, in modo tale che le diverse realtà del settore abbiano uno spazio nel quale le doti del proprio prodotto possano evidenziarsi in piena libertà e soprattutto per quelle che sono. Senza l’assillo di confronti che non solo quasi sempre lasciano il tempo che trovano ma soprattutto sono privi di senso in quanto difficlmente potrebbero partire da un piano di perfetta parità.
          Che peraltro non esiste già in termini di risorse, disponibilità di apparecchiature e potenzialità di spesa.
          Se la realtà del mercato italiano è quella che è, inoltre, la colpa non può essere attribuita a chi s’incarica in sostanza di mettere a disposizione una vetrina, nella quale è compito dell’espositore porre nell’evidenza migliore possibile il proprio prodotto.
          Se questo non avviene o avviene solo in parte, per una serie di motivi sui quali si potrebbe discutere a lungo, ciascuno si farà carico delle proprie responsabilità per quanto gli compete. Non so se qualcuno possa o debba assumersi quelle altrui o intervenire su una realtà che può piacere o meno, ma di certo non può essere modificata per decreto.
          A che titolo, poi.
          Va rilevato poi che un organizzatore poco scrupoloso potrebbe fare parecchio danno innanzitutto a sé stesso, pensando solo al rientro economico che coi tempi che corrono resta comunque una necessità impellente e di conseguenza annacquare progressivamente la propria mostra con prodotti solo parzialmente in tema, o peggio ammenicoli, cianfrusaglie e magari panini con la porchetta.
          Questo non mi sembra avvenga e anzi va dato atto che il tema di queste manifestazioni sia sempre rispettato.
          Dunque ritengo che quanto si possa fare in concreto non vada molto oltre l’offrire il terreno più proficuo ai fini di una crescita del settore che presuppone innanzitutto un cambio di mentalità al momento lungi dal palesarsi. Poi si può discutere su modi e tempi con cui favorire queste cose, che a mio modo di vedere riguardano innanzitutto la possibilità per ognuno di operare affinché il proprio impianto possa esprimere la quota maggiore possibile del suo potenziale a livello sonico.
          Poi come abbiamo imparato nulla va dato per scontato e ogni impianto fa caso a sé stante. Quindi le condizioni più indicate per l’uno potrebbero essere controproducenti per l’altro.
          Imponendo una serie di limiti e steccati, finirebbe come al solito che a prevalere sarebbe il più lesto e il più furbo a insinuarsi tra le pieghe di un regolamento che per forza di cose non può prevedere ogni eventualità. Si andrebbe così ad aggravare una condizione di per sé già poco rosea, ma che non merita di essere penalizzata introducendo elementi tali da causare potenziali ambiguità.
          Come avrai visto ho rimosso l’indirizzo email da te allegato, con un certo azzardo, per evitarti problemi di spam. Se lo riterrai opportuno lo fornirò a quanti ne dovessero fare richiesta.
          Poi se in privato vorrai entrare maggiormente nei particolari della tua proposta, ovviamente non potrà che farmi piacere.
          Grazie e a presto

  2. Ciao Claudio,
    anche io sono stato all’evento nel pomeriggio di domenica. Essendo la mia prima fiera di hifi in assoluto, avevo molte aspettative, le quali però sono state soddisfatte solo in parte. Se da un lato il dispiegamento di impianti e di spazi è stato ragguardevole, i risultati lo erano solo in parte, come da te già menzionato. In particolare mi è capitato di sentire un integrato Mcintosh al primo piano (purtroppo non ricordo il resto della catena) che non ha generato in me impressioni particolarmente favorevoli, mi piace pensare che la causa fosse la mancanza di messa a punto dell’impianto e delle dimensioni modeste della stanza d’ascolto.
    Degno di nota, a mio avviso, è stato lo stand di Zavalinka Records al piano -1, dove un simpatico ragazzo russo si è reso molto disponibile per l’ascolto in cuffia di bobine di loro produzione su un lettore Studer, offrendomi molto gentilmente tale possibilità. Davvero un’esperienza unica per un neofita come me!
    Un saluto e continua così.

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