Gran Galà Roma 2019

Come mia abitudine, ho visitato l’edizione romana del Gran Galà 2019 nella giornata di apertura, a partire dalla tarda mattinata.

Giusto in tempo per assistere alla dimostrazione del master Fonè riguardante la registrazione di alcuni brani eseguiti da Al di Meola, riprodotti a partire da un registratore Nagra. Dopo l’introduzione di Giulio Cesare Ricci, cui si riferisce la foto di apertura, si è passati all’ascolto, che purtroppo si è rivelato alquanto deludente.

Diversamente da quanto accaduto nell’edizione scorsa, quella settembrina in cui i nastri su cui era fissata l’esecuzione di Enzo Pietropaoli hanno svettato nei confronti di quant’altro fosse ascoltabile nelle varie salette, oltretutto contraddistinte da una media sorprendentemente elevata in termini di qualità sonora, stavolta la scintilla non è scoccata.

I motivi non li conosco, fatto sta che che le sensazioni di maggior nitidezza, presenza e vitalità della riproduzione, ossia gli elementi tipici che differenziano un nastro master da un comune supporto fonografico, se riprodotto da un impianto all’altezza della situazione, sono apparse alquanto carenti. Oltretutto stavolta avevo con me un paio di orecchie indipendenti, che da anni hanno dimostrato la loro sensibilità e la capacità di cogliere anche sfumature di sottigliezza considerevole.

Anch’esse però, per bocca del loro possessore, hanno mostrato le stesse perplessità.

Nulla da dire invece sulla qualità artistica dei brani ascoltati, nei quali la cifra stilistica di un esecutore di calibro simile era percettibile senza difficoltà, ma allo stesso tempo tenendo a distanza la reiterazione dei cliché che sovente spingono a pensare di essere di fronte a una parodia che l’artista fa di sé stesso.

 

Una conferma che non è arrivata

Nell’edizione precedente del Gran Galà, si è potuto riscontrare un comun denominatore di qualità sonora decisamente apprezzabile in tutte le salette su cui si articolava la manifestazione, per quali che fossero gl’impianti presenti in ciascuna di esse. Cosa alquanto inusuale.

Personalmente avevo ipotizzato che ciò potesse dipendere dal numero ridotto di salette, e quindi di impianti in funzione, con minor sovraccarico per un impianto di distribuzione dell’energia che per quanto serva un grande albergo certamente non è pensato per gli sforzi connessi con la realtà tipica di una mostra di hi-fi. Tipo di eventi in cui l’espositore più modesto utilizza finali da svariate centinaia di watt, non di rado in Classe A.

Un altro aspetto è dato dall’emissione di disturbi da parte di ogni singola apparecchiatura funzionante, che vanno tutti a scaricarsi sulla rete elettrica, da cui rientrano in circolo andando a influenzare negativamente il funzionamento di tutte le altre.

Stavolta però non è che il numero di impianti in funzione fosse così superiore a quello della scorsa edizione, eppure non è stato possibile riscontrare una sensazione paragonabile di qualità sonora diffusa in maniera uniforme tra le varie salette. A dire il vero, anzi, è stato l’esatto contrario: l’impressione di chiusura, assenza di vitalità, carenza di armonici, non di rado associata anche a sonorità penetranti e fastidiose in determinati passaggi, si è rivelata in maniera tangibile, sia pure in varia misura.

Dunque la spiegazione che mi sono dato nell’edizione dello scorso settembre per la sonorità interessante riscontrabile nelle diverse salette, sembra non aver trovato conferma. Stando le cose in questo modo, se non proprio da rivedere, è da sottoporre quantomeno a una nuova verifica nelle occasioni che verranno.

Il Metaxas Ikarus era esposto nella sala Luxury in cui è avveniuta la dimostrazione dei nastri master Foné

 

Come è stato detto detto più volte in passato, la valutazione della qualità sonora espressa da ogni saletta è strettamente legata al brano che in essa si sta riproducendo nel momento in cui la si visita. Se è “giusto”, le sensazioni saranno probabilmente positive, ma se invece non si abbina nel modo migliore all’impianto oppure non trova in esso un veicolo adeguato per la sua riproposizione, tutto il resto va di conseguenza.

A questo proposito un elemento d’incertezza è dato dalla scelta dei brani riprodotti dai diversi impianti, che trovo sempre alquanto lasciata a una casualità che forse sarebbe meglio evitare. Così può accadere che se si entra in una saletta mentre si sta riproducendo un brano poco indicato, se ne possono ricavare impressioni penalizzanti per l’impianto in funzione, che magari a un supplemento d’indagine eseguito successivamente possono essere smentite in varia misura o anche del tutto.

A volte ho l’impressione che gli espositori tendano fin quasi a una sorta di autolesionismo, riproducendo brani che invece di porre in evidenza le caratteristiche migliori dei loro impianti tendano a rimarcarne soprattutto i difetti.

Vero è che il tempo a disposizione è sempre troppo poco, tuttavia immagino che sarebbe utile trovare il modo di verificare il comportamento dell’impianto in dimostrazione con i dischi che si ha intenzione di utilizzare, effettuando una cernita tale da farlo esprimere nel modo migliore per tutta la durata della mostra.

Da quello che si ascolta, invece, sembra che ciò non avvenga e che sia fin quasi una sorta di casualità o di istinto del momento a guidare le decisioni riguardanti la composizione della scaletta dei brani proposti in molti stand.

Ovvio che se si lasciano al caso aspetti di rilievo determinante per la percezione della qualità sonora, è alquanto probabile che si suscitino nel pubblico, e in particolare in quello più esigente, sensazioni del tutto contrarie rispetto alle motivazioni tipiche per cui si decide di far suonare il proprio impianto in manifestazioni siffatte.

Le caratteristiche della media degli impianti presenti in una mostra come quella di cui sto dando resoconto, sono tali da porre in evidenza gli aspetti più sottili di un qualsiasi programma musicale, come dell’ambiente in cui la riproduzione ha luogo. Questo significa che se da un lato le prerogative più godibili di un brano potranno trovare l’evidenza migliore, lo stesso avverrà nei confronti di eventuali difetti, quale che sia la loro origine.

Per forza di cose verranno messi in luce in modo persino impietoso, proprio in virtù della selettività e delle capacità d’indagine di catene realizzate a partire da componenti dalle prerogative che ormai sono generalmente estremizzate.

Come ripeto spesso, a certi livelli l’hi-fi è come la Formula 1: in un circuito ti qualifichi in prima fila, ma in quello successivo se non si esegue la messa a punto più indicata per le caratteristiche del tracciato, è facile ritrovarsi in fondo allo schieramento senza nemmeno aver capito il perché.

In tutta sincerità mi sembra che questa consapevolezza non sia stato ben introiettata nel settore di nostro interesse, coi risultati che purtroppo non tardano a materializzarsi direi quasi fatalmente. Con presupposti del genere, una mostra finisce per avere esiti del tutto contrari a quelli preventivati, spingendo l’appassionato soprattutto a chiedersi per quale motivo dovrebbe dedicare interesse agli oggetti dimostrati e spendere per essi le somme richieste, invece che porli ai vertici della sua personale scala dei desideri.

 

Girovagando per la mostra

Le stesse sensazioni riscontrate nelle salette che ho visitato per prime, le ho ritrovate sostanzialmente invariate anche nelle altre, con una sostanziale assenza di vitalità dell’informazione riprodotta, piattezza generalizzata e soprattutto incapacità degli impianti a realizzare un’immagine stereofonica che fosse di una qualche verosimiglianza.

Non nascondo che a un certo punto ho avuto il dubbio di essere io a non avere per qualche motivo la capacità di cogliere determinati elementi. Del resto sono reduce da un forte attacco influenzale. Il mio paio d’orecchie di riserva e le valutazioni espresse dagli amici incontrati alla mostra, sostanzialmente equivalenti, farebbero supporre che per mia fortuna il problema fosse altrove.

La sensazione di chiusura, sia pure meno evidente che in altri casi, l’ho rilevata persino nella saletta Audiosilente – Capecci – Culmina, in cui operavano apparecchiature che conosco bene e soprattutto che in altre condizioni hanno dimostrato di essere quanto di più lontano da problemi del genere.

In essa però ho anche avuto la conferma definitiva che il problema non stava nella mia percezione.

Al momento del mio secondo passaggio, si stava procedendo a un intervento volante al crossover dei diffusori, in seguito al quale si è finalmente potuta ascoltare una sonorità all’altezza della situazione e delle prerogative delle apparecchiature ivi in funzione. Come hanno confermato anche le espressioni assunte dal viso degli astanti nel momento in cui tale modifica ha iniziato a evidenzare i suoi effetti.

A quel punto, a livello di timbrica e dettaglio la sonorità era ineccepibile, per quanto la sensazione di buco al centro del fronte stereofonico sia rimasta in buona parte invariata.

Questo d’altronde è stato uno tra gli elementi che è stato possibile riscontrare con una certa regolarità nelle diverse sale della mostra.

Entrando nello stand di Prinzio ho avuto come prima sensazione il piacere destato dall’equilibrio dei diffusori Extrema Voice in esso operanti, dotati di un driver a tromba JBL. Di sicuro questo risultato è stato ottenuto con la cooperazione di sorgenti ed elettroniche incluse nell’impianto. Se vogliamo, questa è stata la prima sensazione confortante dopo una serie di salette che francamente mi hanno deluso, per un motivo o per l’altro.

Quindi posso dire di essermi trattenuto in essa con un certo piacere.

Almeno fino a che è stato fatto ascoltare il brano “The wall” dei Pink Floyd. Personalmente sono il primo assertore della necessità di riprodurre brani più familiari al pubblico, in modo tale che le sensazioni indotte dal loro impatto emozionale si associno a quelle destate dalla sonorità dell’impianto, in funzione del pieno coinvogimento degli ascoltatori.

A patto naturalmente che i brani si prestino allo scopo e soprattutto siano tali da far esprimere l’impianto nel modo migliore.

Invece in questo caso un aumento forse troppo generoso del volume, probabilmente nell’intento di massimizzare il già considerevole impatto del brano, ha causato nei passaggi più ostici una sonorità persino fastidiosa, tale da vanificare quanto di buono espresso fin li dall’impianto in funzione. Davvero un peccato.

La successiva riproduzione di “La canzone di Marinella” di Mina e De Andrè, divenuta ormai un vero e proprio tormentone per audiofili data l’ostinazione con cui viene riproposta, non è stata del tutto convincente. Seppure suonasse in maniera sostanzialmente corretta nei suoi tratti fondamentali, è sembrata mancare nel recupero delle informazioni più sottili, quelle che fanno la differenza tra una riproduzione di buon livello e una di rango superiore.

La saletta Di Prinzio era una tra quelle in cui figuravano due impianti, posti rispettivamente alle estremità dello spazio disponibile. Si tratta di un’abitudine oggi alquanto diffusa, che permette di far ascoltare sonorità diverse nel medesimo stand.

In condizioni simili è noto che l’emissione dei diffusori in funzione fa muovere per simpatia le membrane di quelli in attesa d’impiego, causando interferenze a volte rimarchevoli e quasi mai positive per la percezione qualitativa della riproduzione. A questo proposito un rimedio di una certa efficacia consiste nel porre in corto i morsetti d’ingresso dei diffusori non in funzione, accorgimento che però non sempre viene adottato.

Nel momento del mio secondo passaggio nella saletta Di Prinzio era in funzione l’impianto numero due, che purtroppo non ha suscitato impressioni particolarmente positive nell’impiego dei diffusori a minitorre.

 

Lo stand Audioplus è stato tra quelli in cui le sensazioni di sonorità chiuse ed ovattate sono state tenute meglio a distanza. Nondimeno alcuni passaggi caratterizzati da forti orchestrali, in cui gli archi hanno la predominanza, evidenziavano la difficoltà di mantenere il pieno controllo della situazione. Non è che si voglia infierire, gli sforzi profusi da organizzatori ed espositori meritano comunque il più grande riconoscimento, anche perché in caso contrario non si saprebbe più neppure dove e come ascoltare certe apparecchiature. Nello stesso modo però non si può sottacere quel che si è potuto verificare, oltretutto da impianti che per via dei loro costi s’immaginerebbero ragionevolmente esenti dai problemi tipici di quelli alla portata dei comuni mortali.

Questo dal mio punto di vista spiega che c’è ancora da lavorare, in particolare prendendo in considerazione elementi fin qui trascurati dal prodotto industriale, sia pure di nicchia, proprio perché continuano a condividere le stesse limitazioni con quelli più a buon mercato.

Probabilmente una messa a punto meno esasperata su determinati parametri avrebbe potuto rendere certi aspetti non così evidenti, magari al punto di farli passare inosservati o quasi.

Nel complesso, tuttavia, il sistema descritto è stato tra quelli in grado di porre in evidenza nel modo più esplicito quali siano le prerogative soniche caratteristiche degli impianti di classe superiore dell’era attuale.

Nel salone Lyrics Audio era dispiegata la consueta “force de frappe” che il rivenditore romano porta con sé in occasioni simili. Più che un impianto sembra un arsenale da conflitto termonucleare.

Di sicuro si tratta di una delizia per gli occhi dell’appassionato, che fuori da rassegne del genere difficilmente può avere l’occasione di vedere tutti insieme tanti componenti di gran calibro.

Credo che l’immagine pubblicata sia esplicativa al riguardo; non è un caso che ogniqualvolta mi trovi a visitare gli spazi allestiti da questo espositore in essi sia presente una gran quantità di appassionati.

Osservando la foto acclusa, viene da domandarsi quale sia la spesa necessaria soltanto per i tavolini: molto probabilmente è superiore a quello che un comune mortale spenderebbe durante l’intero arco della sua vita da appassionato.

Della sonorità esibita dall’impianto, tutto si può dire tranne che si tratti di qualcosa tale da passare inosservato. E’ altrettanto vero però che sia festa più per gli occhi che per l’udito. Intendiamoci, le prerogative tipiche dell’impianto di gran classe erano messe in evidenza, anche con una certa generosità. Tuttavia, immaginando sia pure a spanne i costi connessi con un’installazione del genere, la difficoltà di ritrovare doti sonore che con essi abbiano un qualche legame di proporzionalità è sembrato obiettivamente difficile.

Pertanto, quella che sotto certi aspetti è un’esibizione che difficilmente può lasciare indifferenti, trova il suo punto debole proprio nella difficoltà di dare ad essa un significato concreto anche negli ambiti legati agli scopi primari della riproduzione sonora.

Il sospetto che ci fosse qualcosa che non andava in termini generali è stato rafforzato dalla visita nella saletta di Import Audio. In essa era riproposto il medesimo set-up della scorsa edizione della mostra, che personalmente ho apprezzato. Stavolta invece la sonorità era smorta e priva di vitalità, sensazioni oltretutto confermate al mio secondo passaggio. Non chiedetemi come fa lo stesso impianto, installato nello stesso luogo e ascoltato sempre nella prima giornata della rassegna, a suonare in maniera tanto diversa o per meglio dire antitetica, perché non so rispondere. Certo, i brani ascoltati erano diversi e al limite avrebbero potuto esserlo anche i cavi.

Difficile anche pensare a una macumba, ma allora dove sta l’arcano?

E’ altrettanto vero che cose del genere sono capitate altre volte in passato. L’esempio più recente è stato dato dalle salette in cui si esibiva una coppia di Tablette, che nelle due manifestazioni immediatamente precedenti a quella di cui stiamo parlando sono passate dall’imporsi come una delle migliori sonorità della rassegna a qualcosa di molto meno valido, tale da spingere a uscire prematuramente dalla saletta.

Questo dimostra che le incognite cui va incontro chi espone nelle mostre dedicate alle apparecchiature hi-fi possono essere imponderabili. Pertanto, se il dovere di cronaca impone di riportare quel che si è effettivamente rilevato in termini di qualità sonora, nello stesso tempo va riconosciuta agli espositori una capacità di mettersi in discussione meritevole di encomio, oltretutto spendendo somme non indifferenti allo scopo.

Comunque, se qualcuno ha idee che possano spiegare anche in parte le motivazioni di simili testa-coda, sia pure le più inverosimili e strampalate, le esponga e sarà ascoltato.

La vera delusione però è venuta da uno degli impianti di costo maggiore della mostra, dal quale non sono riuscito a cogliere nelle diverse occasioni in cui l’ho ascoltato un qualche elemento di musicalità capace non dico di giustificarne i costi, ma almeno di porre in evidenza almeno qualcuna delle prerogative che dovrebbero distinguere catene di impegno simile.

Sulla base di esperienze del genere, mi chiedo se forse non sarebbe più opportuno presentare un impianto composto da un amplificatore integrato di potenza contenuta, abbinato a diffusori da piedistallo di piccola taglia.

Certo, le sale messe a disposizione dalla struttura che ospita la manifestazione sono tutte di ampia cubatura, ma chissà che non sia un esperimento capace di dare risultati degni d’interesse.

Stavolta Nadir esponeva soltanto in forma statica. L’impegno di Stefano Rosati merita comunque il doveroso supporto, tramite la pubblicazione dell’immagine che ritrae le sue apparecchiature.

 

The Recorder Man stavolta ha portato con sé un numero di registratori minore del solito. Anche solo tre di essi, un Otari, un Revox e uno Studer, fanno una grande figura, come si evince dall’immagine qui di seguito.

 

Per questa edizione del Gran Galà, Il Sito Della Passione Audio ha deciso di assegnare il Trofeo della Disdetta, premio di valenza opinabile andato alla sala Luxury Audio. Proprio quella in cui è stata eseguita la dimostrazione dei master che vedono all’opera Al Di Meola.

Dell’esito della dimostrazione abbiamo già parlato. Nel corso di una visita successiva, si erano evidenziate più o meno le stesse limitazioni. Esse però in un successivo brano di pianoforte stavano trovando una smentita esplicita, dato che la vitalità dello strumento era innegabile, come pure la capacità di riproposizione dei suoi dettagli più minuti. Tutto questo mentre i gestori della sala erano protagonisti di un simpatico siparietto, inerente le discordanze sul volume d’ascolto più indicato. Senza tuttavia che si andasse oltre i limiti del buon gusto quanto a  pressione sonora.

Finalmente potevo apprezzare una delle sonorità più efficaci tra quelle ascoltate fino a quel momento, quando a seguito di un inopinato rumor di mortaretti, uno dei finali si è esibito in una copiosa fumata nerastra, che ha terminato anzitempo la sua vita.

Cose che possono capitare, senza dubbio, e sempre accadono nel momento peggiore, ossia quando le cose sembrano finalmente mettersi nel verso giusto. All’espositore va tutta la simpatia di Il Sito Della Passione Audio, la mia personale e quella delle persone che erano con me, con il più cordiale degli in bocca al lupo per le prossime edizioni della mostra in cui speriamo di incontrarlo di nuovo.

Prima ho parlato di macumbe, scherzando ovviamente, ma a volte lo svolgersi degli eventi si dimostra incredibilmente beffardo.

Chiudiamo questo resoconto con due immagini. Una dedicata al consueto assortimento di supporti fonografici per audiofili proposti da Foné e l’altra al bel giradischi Audiosilente Blackstone, una delle macchine attuali di maggior efficacia a livello assoluto. Frutto degli sforzi e della passione di Simone Lucchetti, al quale inviamo un saluto e il sostegno anche da parte di tutti i veri appassionati di riproduzione sonora.

 

 

Solo un’ultima considerazione: è ormai noto quanto gl’impianti audio più raffinati soffrano di quelli che possono essere definiti problemi di acclimatazione, a seguito del loro spostamento e rimontaggio all’interno dei locali delle rassegne come quella di cui sto raccontando. Questo fa si che la sonorità migliore da parte di ciascuno di essi sia esibita nelle ore immediatamente antecedenti la chiusura della domenica sera.

Per motivi di tempestività di pubblicazione, mi reco a queste rassegne il sabato mattina, regolarmente con risultati poco confortanti. Dalla prossima volta voglio effettuare la mia visita nel pomeriggio della domenica, nella speranza che questo aiuti a cambiare le mie valutazioni, che d’altronde non possono rispecchiare quel che ho ascoltato.

Alla prossima.

 

 

 

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