Un frequentatore piuttosto assiduo del sito, Alberto, ha inviato il commento che segue. Poiché va a toccare una serie di punti tuttaltro che indifferente, a loro volta meritevoli dello spazio più indicato per essere affrontati nel modo opportuno, invece della solita risposta ho deciso di dedicargli un articolo vero e proprio, come faccio di tanto in tanto quando ne ravviso l’opportunità
Vediamo allora cosa ha scritto il nostro amico.
Ciao Claudio,
Come sempre, tanta carne al fuoco in questo articolo! Gli spunti di riflessione sono molti. Personalmente credo che la verità stia nel mezzo: se è vero che un utente medio, di fronte a tanta scelta che offrono le piattaforme di streaming si senta spaesato, è anche vero che ognuno di noi è dotato di raziocinio e, in quanto tale, dovrebbe essere in grado di gestire gli input che vengono dall’esterno. Poi sono d’accordo con te sulla remunerazione vergognosa che tali piattaforme offrono agli artisti, ma chi ci assicura che prima le cose fossero diverse, e che la major di turno distribuisse eticamente i propri introiti? Francamente, ricordo bene i periodi in cui un misero cd costava mediamente 35.000 lire, davvero una fortuna, specie per uno studentello squattrinato quale ero…al sol pensiero di dover acquistare un album senza di fatto conoscerlo mi vengono ancora i brividi, se non altro con lo streaming c’è la possibilità di ascoltarlo e, eventualmente, comprarlo.
Sul fronte invece della personalizzazione e upgrade del sistema, concordo con te, anche se credo siano in pochi ancora a divertirsi in tal modo, quanti utenti ascoltano la propria musica da uno smartphone, magari in metropolitana? E quanti invece come noi si divertono a smanettare col proprio Hi-fi? Nel bene e nel male, i tempi sono questi, vuoi per mancanza di spazio nelle case, vuoi per il fattore waf, vuoi per la presunta “comodità”, vuoi per le tante fregature che il negoziante di turno ci ha rifilato negli anni…
Un saluto
Ciao Alberto,
grazie per il commento.
In tutta sincerità il mio punto di vista è lontano dal tuo, fin dalle premesse.
Massime che avevano valore un tempo, purtroppo non servono più a nulla nel mondo di oggi. Ormai la verità può essere solo quella che si presenta con la dote e le potenzialità più cospicue in termini di denaro sonante.
Tutte le alternative perdenti in quella sorta di asta al rialzo per la decostruzione della realtà e suo rimodellamento a uso e consumo del miglior offerente sono etichettate come faziosità, complottismo, conflitto d’interessi e trovano regolarmente il gruppo di esperti più appropriato che le destituiscono di fondamento con argomenti in apparenza ineccepibili.
D’altro canto il senso della misura non è stato smarrito ma lo si è proprio abolito. Ci si è privati della capacità stessa di esprimere una qualsiasi considerazione non legata al denaro e alla realizzazione di un profitto che, secondo i dettami dell’ultracapitalismo anarcoide a sfondo nihilista che impone il suo dominio assoluto, deve essere la più sostanziosa e rapida. Ma soprattutto svincolata da qualsiasi altro tipo di valutazione accessoria di etica o di opportunità.
Nell’ambito discografico, il passaggio da quel che è stato a quel che è ora è avvenuto mediante il verificarsi delle conseguenze del digitale, che dopo la fase intermedia basata su supporti di capacità e caratteristiche teoriche sempre crescenti, ha infine soppresso almeno in apparenza la necessità stessa del supporto fisico. Per mezzo del combinato disposto indotto dall’eliminazione del supporto dalla disponibilità dei fruitori dell’opera d’arte musicale, ma solo da questa, e delle sue conseguenze primarie, sta provvedendo a eliminare anche la musica, e stavolta per davvero, come descritto nella prima puntata dell’articolo.
Un supporto ci dev’essere comunque, poichè i dati che si ascoltano in forma di file audio vanno pur conservati da qualche parte. Solo che essendo al di là della nostra vista, a proposito del raziocinio di cui si farà ulteriore menzione più avanti, fingiamo che non esista e inneggiamo alla sua abolizione, comportata da liquida e streaming. Obbedendo all’esortazione dei decerebrati pennivendoli di regime, secondo un meccanismo che già di per sè è adeguato a mostrare realtà e valenza di questo sistema, ingannevoli fin dalle premesse per chiunque abbia intenzione di prenderne atto.
L’eliminazione del supporto è tale ma solo dal possesso, e di conseguenza dal controllo, del suo ex proprietario. Pertanto il sistema risponde perfettamente all’agenda del grande riassetto del 2030.
Stilata a favore di chi, forse di noi appartenenti al 99%? Vediamo.
Per allora non si possiederà più nulla, dovendo passare tutto nelle capaci e rapaci mani dei predatori planetari, secondo quello che è il vero e solo fine ultimo del processo conosciuto come globalizzazione. Sono talmente magnanimi, costoro, che ci solleveranno dall’incomodo non più tollerabile di dover badare a quel che possediamo. E senza chiedere nulla in cambio!
Non è magnifico?
Da quel punto in poi tutto quanto sarà necessario alle incombenze della vita di ognuno lo si dovrà prendere in affitto. Pagando ogni volta il corrispettivo dovuto alle società che quegli stessi filantropi hanno già messo in piedi.
All’ora del pranzo però, potremo scegliere in una varietà illimitata di posate, stoviglie e tovagliati per rendere ogni giorno diversi i nostri pasti. Davvero un passo avanti epocale.
Come ogni proprietario dell’abitazione in cui vive sa perfettamente, ed è per questo che la stragrande maggioranza delle persone acquista il tetto che si mette sulla testa invece di prenderlo in affitto, nel lungo termine l’utilizzo di quegli oggetti sarà costato una cifra ben superiore a quella necessaria al loro acquisto, pagata a fondo perduto.
Se l’abitazione, che ha sempre un costo assai rilevante, riteniamo conveniente comperarla, perché mai un bene che al confronto ha un costo trascurabile come i dati audio immagazzinati su un supporto fonografico dovremmo prenderlo in affitto, o meglio pagare per fruire della sua immagine smaterializzata?
Se è vero che il fondo perduto è così conveniente, raccomandabile e moderno da rappresentare l’unica opzione degna di considerazione per la nostra vita di qui a pochi anni, per quale oscuro motivo le banche controllate da quegli stessi figuri continuano invece a esigere beni materiali per l’estinzione dei prestiti che emettono con denaro creato dal nulla, oltretutto caricandoli di interessi cospicui?
Forse che a nostra insaputa si è inaugurato un ennesimo doppio binario, quello riguardante l’interesse delle comunità formate dai normali abitanti del pianeta e quello che invece riguarda le élite dello 0,1%?
La sottrazione del supporto fonografico dal controllo del suo utilizzatore, essendo questa la funzione concreta dello streaming, ha prodotto inoltre una regressione proprio in termini di caratteristiche, sempre teoriche, s’intende, parecchio rilevante.
Per una serie di limitazioni per ora ineludibili, il rateo di trasferimento dati del sistema di riproduzione basato sull’invio dati da remoto resta lontano da quello ottenibile per mezzo del supporto fisico più avanzato. Quando le si potrà scavalcare sarà soltanto immergendo l’umanità in un forno a microonde a cielo aperto, di dimensioni planetarie. Tali che da esso non si potrà più avere scampo. Idea che suggerisce di per sè la concreta ma smisurata follia di chi partorisce deliri simili.
D’altronde i soldi danno alla testa, come ben sapevano i nostri progenitori, che li chiamavano lo sterco del diavolo. Ora non solo lo idolatriamo, attività dai risvolti che acquisiscono sempre maggior evidenza, ma siamo anche costretti a tollerare l’esistenza di una sparuta minoranza che ne ha decisamente troppi. Con le conseguenze che vediamo e peggio stiamo sperimentando sulla nostra pelle. Allo scopo dunque si è provveduto ad aumentare il livello massimo di emissioni elettromagnetiche ammesso da 6 a 61V/m.
Anche questo aspetto, osservato secondo i termini relativi e il significato proprio della parola raziocinio, produce risultati che mi sembrano alquanto interessanti.
Prima ancora di analizzarli, porrei per un istante l’attenzione sulla valenza dei vocaboli, come appunto “streaming”, appartenente alla neolingua, sezione tecnocratese.
Questo genere di lemmi, insieme a tanti altri, ci viene insegnato a usarli così come sono, senza tradurli nella nostra lingua. Proprio al fine di ritrovarci incapaci di comprenderne gli esiti concreti e non di rado caricarli di valori di fatto inesistenti.
Nel momento stesso in cui si riflette sulla loro realtà, che nella fattispecie riguarda la somministrazione di dati da remoto, quindi di spossessamento del fruitore di un bene che in precedenza era nella sua piena disponibilità, si comprendono meglio le conseguenze di quello che in realtà è un vero e proprio cambio di paradigma. La cui finalità primaria è appunto quella di rendere l’individuo dipendente da qualcosa che non ha più la possibilità di controllare in modo alcuno.
Meglio ancora, di far compiere a quello stesso individuo un ulteriore passo verso la revoca totale della sua indipendenza. Sempre secondo l’agenda del grande riassetto del 2030 che con la generosità che notoriamente le contraddistingue, le oligarchie globali hanno messo a punto per tutti noi.
In cambio viene offerto l’agio di attingere a un repertorio propagandato come pressoché infinito. Lo è appunto nell’accezione tipica della propaganda, per il semplice motivo che è tale solo perché il sistema di distribuzione ha la disponibilità di qualcosa realizzato quando le condizioni che lo streaming va a instaurare erano ancora di là da venire. E, come abbiamo visto la volta scorsa, vanno a negare il suo ulteriore sviluppo e ampliamento.
Inoltre, proprio la profferta eseguita dagli stessi che controllano quel sistema e lo pubblicizzano, di dare qualcosa in cambio, sottintende che ve ne sia necessità, stante la consapevolezza che ci sia sottratto qualcosa, il cui valore per ovvi motivi deve essere ben maggiore di quel che ci viene dato indietro. In caso contrario non solo quel cambio non esisterebbe proprio, ma se venisse realmente concesso qualcosa, ce lo farebbero pagare cento volte quel che vale. Proprio in quanto un sistema del genere lo si mette in piedi per guadagnare, e molto, non certo per andare in pareggio o addirittura in perdita fin dal primo istante.
Altrimenti conviene dedicarsi al casinò della finanza globale, senza bisogno di complicarsi a tal punto la vita.
Questo sempre per il discorso del raziocinio, e senza andare a toccare le modalità con cui si utilizza il sistema di ascolto via archivi di dati audio somministrati da remoto. Il saltabeccare tra un brano e l’altro, lasciandolo andare si e no dieci secondi, continuo, estenuante e tale da privare l’ascolto di musica del suo stesso motivo di esistere, indotto da questa modalità di fruizione è talmente diffuso da costringere chiunque sia dotato del minimo di capacità di osservazione a riconoscere che dev’essere qualcosa che ha a che fare con il sistema stesso e vi è legato in modo pressoché indissolubile secondo un rapporto di causa-effetto.
In caso contrario questa pratica sconsiderata non avrebbe mai raggiunto i livelli di diffusione che ci troviamo nostro malgrado a verificare e sulla quale oltretutto vi è sostanziale concordia.
Per come la vedo io, le motivazioni sono le stesse che hanno causato a suo tempo il compulsare sui telecomandi dei televisori, una volta entrati a far parte della dotazione di tali elettrodomestici. Per il loro tramite era fornita la possibilità di fruire di una quantità enormemente accresciuta di canali rispetto alla fase precedente, e senza fatica alcuna, sempre secondo la questione della comodità.
Non mi sembra che alcuno si sia sentito spaesato allora e tantomeno può esserlo oggi. Infatti nessuno parla di quello ma tutti decantano la comodità.
A tale aumento della quantità di canali disponibili non è potuto che corrispondere uno scadere inevitabile della qualità del prodotto trasmesso. Talmente marcato che l’unica possibilità rimanente era appunto quella di cambiare di continuo, alla ricerca di qualcosa che si sapeva già di non poter trovare, segno evidente e inconfondibile di mancata soddisfazione.
Infatti, se ci s’imbatteva in un programma interessante, un bel film o altro, la cui quantità di produzione non può per forza di cose corrispondere all’aumentare a dismisura del numero dei canali idonei alla loro trasmissione, guai a chi lo toccava, quel telecomando.
Nella somministrazione di dati audio da remoto, altrimenti conosciuta come streaming, avviene la stessa identica cosa. Quel sistema è talmente povero, sonicamente, anche se nel suo insieme vorrebbe essere il non plus ultra, da rendere noioso anche il brano che riprodotto per mezzo di altri supporti risulterebbe avvincente e si ascolterebbe non solo quello ma tutto il disco di cui fa parte, fino alla fine.
Non a caso, quando un impianto audio suona veramente bene, riesce a rendere godibile anche la musica che non piace. Proprio in quanto il suo ascolto risulta avvincente al punto tale da produrre quella specie di prodigio.
Lo streaming invece fa l’esatto contrario: t’induce a interrompere comunque l’ascolto, anche di quello che ti piace.
Gran bel risultato, non c’è che dire.
I risvolti di questa realtà a livello di qualità sonora e ancor più culturale, dato che per molto tempo l’ascolto di musica ha significato anche e soprattutto quello, non credo vi sia bisogno di descriverli.
PNL
Il PNL non è il Partito Nazionale dei Lavoratori che tra l’altro non esiste, anche se mai come oggi ve ne sarebbe bisogno, ma un altro elemento che reputo importante. Infatti ha assunto un rilievo pervasivo nella vita della stragrande maggioranza delle persone.
Stiamo parlando della Programmazione Neuro-Linguistica. Vediamo di cosa si tratta e allo scopo partiamo dall’esempio del cane di Pavlov.
Il ricercatore così chiamato, un bel giorno prese un cane e, prima di dargli da mangiare, faceva suonare ogni volta una campanella. Il cane, che è più sveglio di tanti esseri umani e oltretutto essendo privo dell’ausilio del linguaggio deve applicare a fondo le potenzialità cognitive di cui è stato dotato da Madre Natura al fine di comprendere la realtà che lo circonda e rapportarsi con essa e coi suoi simili nel modo migliore, invece di negarla come facciamo noi usando quello strumento, imparò presto ad associare il suono della campanella al ricevere il cibo. Di conseguenza bastava uno squillo affinchè la sua salivazione aumentasse.
A questo proposito va osservata innanzitutto la componente di sadismo portato alle conseguenze estreme, insita nell’effettuazione di questa e tante altre ricerche su animali innocenti. Costretti a pagare sulla loro pelle l’ambizione sfrenata dello scienziato, che non si ferma neppure di fronte all’infierire sofferenze atroci su esseri senzienti, ai quali fa fare poi una fine inenarrabile. Oltretutto per finalità abiette.
Per quale motivo chi non ha rispetto alcuno per gli animali e non esita a sottoporli a torture e sevizie dovrebbe averne per gli esseri umani?
Un esempio crudo ma indicativo riguarda la sperimentazione su ratti appositamente castrati, poi uniti chirurgicamente a ratti femmina e ai quali viene infine impiantato un utero affinché possano partorire. https://www.biorxiv.org/content/10.1101/2021.06.09.447686v1.full
A cosa serva in concreto una sperimentazione del genere è difficile immaginarlo. A meno di voler riconoscere un valore etico fondamentale al tentativo di far partorire il maschio. Idea per forza di cose legata alla presunzione di poter capovolgere la natura e e le sue leggi, sostanziando così nella sua forma più marchiana l’indole propria dello scienziato pazzo. Figura un tempo ben presente nell’immaginario comune ma ormai cancellata da tempo, malgrado sia più attiva e diffusa che mai.
Per il semplice motivo che altrimenti della scienza non si sarebbe potuto fare la neoreligione assoluta e indiscutibile, trasformandola in scientismo e in uno strumento di affermazione di poteri dittatoriali da parte di chiunque intenda attribuirseli.
Ovviamente a patto che appartenga o si associ al gruppo giusto. Poi se la sua figura di studioso risplende al punto di non essere riuscito manco ad aggiudicarsi uno straccio di cattedra universitaria, seppure in una facoltà di serie C, è un particolare privo di qualsivoglia significato.
Anzi, proprio la frustrazione derivante dalla consapevolezza del proprio fallimento, e il conseguente istinto di rivalsa, possono essere ingredienti di buona efficacia ai fini di cui ci stiamo occupando.

Un altro esempio lampante è quello del ministro “della transizione ecologica” Cingolani, il quale ha dichiarato testualmente, in pubblico, che l’uomo è un parassita che non produce nulla. L’inevitabile sottinteso è che pertanto è meglio che scompaia dalla faccia della Terra.
Quale potrà essere il servigio reso alla collettività dal portatore di convinzioni simili una volta messo là dove si trova, proprio in quanto non la vede che come un brulicante insieme di parassiti? Eppure non esita un istante a riscuotere da quelli che ritiene tali, e quindi si prefigge di eliminare, il suo salario oltremodo lucroso e tutto il resto degli agi e delle prebende in vigore per le figure istituzionali di tal calibro.
L’aspetto più singolare tuttavia riguarda il fatto che a questi personaggi non passi manco per l’anticamera di dare in prima persona l’esempio concreto delle “idee” che sostengono e delle loro conseguenze. Si adoperano invece con ogni mezzo affinché siano applicate a tutti gli altri ma non a sé stessi e ai facenti parte della loro congrega.
Forse ritengono che la loro persona, e quelle che insieme a loro fanno parte delle caste baciate dal privilegio, non siano dei parassiti come il resto dei comuni mortali, malgrado conducano un tenore di vita tale da moltiplicare per cento e forse per mille o più i consumi tipici dell’essere umano medio.
Vediamo così che la parola oligarchie è la più indicata per riferirsi a certi personaggi, tale e tanto è l’abisso che separa la considerazione che hanno di sé stessi da quella riservata da costoro per i comuni mortali.
Se qualcuno può spiegarmi le differenze tra questa realtà e quella dei tempi del Re Sole è il benvenuto, dato che io non riesco proprio a vederle. Tranne una: a quei tempi, almeno di Re Sole ce n’era solo uno.
Ecco dove ci portano la tecnologia e il progresso che da essa discende, al nuovo medioevo. Per il semplice motivo che quando il progresso tecnologico, di per sé promotore di massima efficacia per le differenze sociali che va ad approfondire oltre ogni limite, non è temperato da un progresso sociale altrettanto significativo, le conseguenze sono appunto quelle che vediamo: il formarsi di una super-classe di ottimati che proprio mediante il controllo di quelle tecnologie accumulano nelle loro mani un potere così enorme da decidere della vita di tutti gli altri abitanti del pianeta, senza contrapposizioni di sorta.
Volenti o nolenti, lo streaming non solo s’inserisce perfettamente nella traiettoria involutiva che ha portato a questa realtà, ma ne è insieme parte integrante e strumento di attuazione.
Dopo questa carrellata che mi sembra piuttosto eloquente, vediamo come la mente possa essere programmata a piacimento per mezzo di un meccanismo operante a partire da quello dimostrato da Pavlov su quel povero cane che è stato la sua vittima.
Con quel metodo, ossia attraverso la ripetizione a oltranza di stimoli che sono di fatto i concetti che ad essa si vogliono associare, lo stesso risultato lo si può ottenere per mezzo, e ancor meglio, di una qualsiasi parola. Vi si può attribuire un significato a piacere, arrivando di conseguenza al risultato voluto. Nella fattispecie al fine di manipolare il pensiero e il comportamento delle persone, controllandoli di fatto a distanza.
Basta ripetere il giusto numero di volte quella parola, associandovi sempre il significato prestabilito, meglio ancora se combinando insieme suono e immagini, dando poi al tutto il rilievo e la visibilità necessari. Dopo un po’ basta solo menzionarla e il resto viene da sé.
Questo vale anche per la somministrazione di dati audio da remoto, cui si associa sempre e comunque il concetto di comodità.
Mai, invece, si rileva quello che se esiste una somministrazione, per forza di cose ci deve essere un somministratore. Nei confronti del quale, di fatto, se si utilizza quel servizio ci si pone in posizione subalterna. Conferendo per forza di cose a qualcun altro il controllo delle nostre azioni, quindi la capacità di influire su di esse e di indirizzarle nel bene e nel male. Per poi raccoglierle, catalogarle e farne ulteriore commercio e mezzo di ulteriore ampliamento della gamma di attività pilotabili da remoto.
Riguardo alla comodità, va rilevato ancora una volta che a un certo punto, a furia di ripetere il concetto, l’associazione diventa istintiva. Se streaming = comodità, non è un caso che i suoi utilizzatori diano tutti quella giustificazione. Per conseguenza, il maggior numero di persone viene spinto ad avvalersi di quel sistema.
Stare scomodi infatti non piace a nessuno.
Lo stesso criterio vale anche per una serie di altre cose.
Da qualche tempo a questa parte vediamo che il sistema di dominio globale si trova nella necessità di ideare e poi diffondere una serie di vocaboli atti a descrivere, a scopo di demonizzazione, chiunque non si assoggetti passivamente a una narrazione della realtà che non solo è inesistente, ma per come è congegnata fa acqua da tutte le parti.
Di esempi ne abbiamo a bizzeffe, ogni giorno. Non ci vuole un cane da tartufi per scovarli e neppure un intelletto particolare. Più che altro è questione di volontà, quella che proprio attraverso certi dispostivi e le narrazioni che li avvolgono in un alone di leggenda si fa di tutto per annichilire.
Una per tutte, la questione dei cosiddetti UFO. Per oltre settant’anni le agenzie spaziali di tutto il mondo, NASA su tutte, si sono affannate a destituire di qualsiasi fondamento ogni evento che potesse in qualsiasi modo suffragare la loro esistenza. Allo scopo si sono servite di dotti scienziati, divulgatori e demistificatori, i cosiddetti debunkers, di ogni razza, idea politica e credo religioso, con l’irrinunciabile supporto delle migliori penne di regime. Tali soprattutto perchè sanno perfettamente cosa è meglio scrivere o non scrivere, senza che ci sia bisogno che nessuno glielo dica, trovando ogni volta i pretesti migliori a supporto delle loro asserzioni.
Poi, da un certo momento in poi, improvvisamente tali fenomeni sono diventati non soltanto plausibili ma certi, e addirittura oggetto di una campagna planetaria che, per il momento, si limita all’annuncio di notizie sensazionali e di portata storica al riguardo, che dovrebbero essere rese di pubblico dominio da qui a breve.
Non prima naturalmente di aver cambiato nome ai fenomeni in questione, che ora non riguardano più gli UFO, denominazione obsoleta e appunto riportante a un’idea di complottismo, della quale si sono serviti i media allineati appunto per delegittimare ogni opinione non centrata sull’ortodossia, ma UAP, Unidentified Aerial Phenomena.
Ennesima dimostrazione di origini, impieghi e finalità della neolingua, e della PNL, delle quali abbiamo visto qui un esempio evidente.
Ancora una volta, pertanto, la verità non è tale di per sè stessa, ma è un’entità da plasmare a piacimento. In funzione delle opportunità, degli interessi e degli obiettivi che si presentano di volta in volta.
Allo scopo, il linguaggio è un’arma potentissima e di duttilità estrema.
La narrazione rigorosamente falsificata della realtà e le contraddizioni nei suoi confronti così usuali, sono marchiane e per questo ripetute fin quasi all’ossessività. Malgrado ciò la maggioranza delle persone ostenta il non accorgersene, al punto da far sorgere il dubbio che proprio quelle contraddizioni siano insieme metodo di verifica per l’obbedienza individuale e allo stesso tempo meccanismo addestrativo all’abdicazione nei confronti della facoltà di cogliere persino le incongruenze più plateali.
Per chiunque non si assoggetti a queste pratiche di rinuncia volontaria all’impiego della materia grigia abbiamo dunque le parole complottista, negazionista, no-vax, teorico della cospirazione, catastrofista, visionario, disfattista, portatore di interessi personali, anche se questa la si usa meno perché troppo complicata e il gioco riesce più facilmente con una singola parola, meglio ancora se vicino ci si mette un bel no, e così via. Secondo l’ameno dipanarsi di epiteti caricati oltre ogni limite mediante un martellamento ossessivo e implacabile, appunto per far si che chiunque si trovi a essere apostrofato in quel modo non solo divenga bersaglio del discredito peggiore, ma sia trasformato all’istante nel sinonimo stesso del male. E senza nessun bisogno di discutere, verificare la fondatezza e l’attinenza della definizione o soltanto valutare gli argomenti che possano essere apportati dall’individuo lapidato pubblicamente in quel modo.
Basta la parola, come diceva Tino Scotti per il confetto Falqui, che serviva per fare meglio la cacca. Proprio quella di cui il sistema di (dis)informazione plurimediatico ci ricopre giorno per giorno e non penso sia un caso. Chi ne è fatto oggetto è automaticamente un appestato, da evitare per quanto possibile.
Primo perché contagioso e poi non sia mai che la nostra reputazione, nell’immagine che il prossimo si è fatto di essa, possa essere macchiata da certe frequentazioni o solo contatti così poco desiderabili. Pertanto il criminalizzato non va soltanto evitato ed emarginato, ma gli vanno anche negate le cure mediche essenziali, lasciandolo morire. Se possibile tra le sofferenze più atroci, come tanti uligani del covidismo hanno rivendicato rumorosamente durante gli ultimi mesi nei confronti di chiunque abbia azzardato il minimo dubbio sulla narrazione della psico-pandemia, secondo una forma d’isteria dall’esasperazione inedita e essa stessa sintomo della perdita dell’ultimo, residuale barlume di raziocinio.
D’altronde se pandemia vi è stata, come mai siamo tutti quanti vivi e vegeti a parte una percentuale irrisoria, perfettamente rispondente ai tassi naturali di mortalità, che un numero sempre maggiore di fonti definisce oltretutto calcolata con larghissimo eccesso, per mezzo dei metodi ben noti?
Soprattutto, come mai all’ennesima richiesta, il CDC, centro statunitense per il controllo delle malattie, dopo tutto questo tempo non è riuscito ancora a fornire prova concreta dell’esistenza di quel virus, secondo i postulati di Koch?
E ancora, se la pretestuosità di quei metodi era ancor più che marchiana, come mai i numeri che ne sono scaturiti sono stati presi per buoni dalla stragrande maggioranza delle persone?
Gli uligani di cui sopra sono tra l’altro il risultato più tipico della PNL, nel momento in cui si decide di premere un po’ di più il pedale su di essa.

Dunque, qualsiasi cosa non corrisponda al pensiero, all’atteggiamento o agli scopi desiderati e prestabiliti viene gettato in discarica in automatico, insieme al suo portatore, senza bisogno di soffermarsi sui perchè e i percome, sulla giustezza o meno di tale azione e delle valutazioni che ad essa hanno portato, sull’esistenza dei presupposti opportuni e men che meno sulle finalità di chiunque sia così folle da contemplare o peggio diffondere idee non conformi alle uniche oggi ammesse.
Appunto senza bisogno di discutere, è così e basta: è la parola stessa d’altronde a connotare una volta e per tutte, e senza possibilità di recupero, il portatore di punti di vista non perfettamente allineati a quelli obbligatori. Per i quali oltretutto non esiste prescrizione: il complottista, il negazionista, il visionario rimarranno sempre e solo tali.
Che fine faccia, in queste condizioni, la libertà del pensiero e della sua espressione, sancita dalla Costituzione, e vera differenza tra l’essere umano e il resto degli esseri viventi del regno animale e vegetale è un dettaglio su cui non vale la pena di perdere neppure un istante.
Sempre meno persone, del resto, saprebbero cosa farsene di quella libertà. Difficile pertanto comprendere i motivi per cui ci si debba preoccupare di difendere qualcosa di cui sfugge l’impiego, il fine o la semplice utilità.
Perché lambiccarsi il cervello per decidere cosa sia opportuno fare o non fare, quando c’è qualcuno che ce lo dice senza neppure bisogno di chiederglielo, facendoci fare quindi una vita molto più comoda?
Curioso anche che il manifestare dubbi su determinati accadimenti che si sono definiti storici sia oggi un reato, e così si sono fatti rientrare dalla finestra i reati di opinione un tempo messi alla porta, come tale punito dalla legge. Viceversa il tacciare di compiere abitualmente tale azione non lo è e anzi per facilitare le cose si è coniato allo scopo l’ennesimo vocabolo della neolingua, l’impiego del quale sembra da qualche tempo lo sport preferito di tanti italiani. In particolare quelli che passano più tempo di fronte allo schermo televisivo.
Ora, compreso il meccanismo, cosa pensare di chi agisce obbedendovi? Possiamo sostenere che sia ancora nel pieno possesso delle sue facoltà d’intendere e di volere?
E poi che esegua le sue azioni in piena libertà o invece sia di fatto sottoposto a una sorta di controllo a distanza del quale non si rende conto e per di più non ha neppure bisogno di essere utilizzato, da chi ne detiene le leve, dato che una volta innescata la programmazione il cervello di ogni individuo reagisce in automatico secondo il suo dettato?
Infine, perché mai in un sistema sociale come quello in cui viviamo, da un certo punto in poi si è manifestata sempre più l’esigenza, impellente, di servirsi di metodi del genere e allo scopo si è ritenuto necessario coniare un numero sempre maggiore di termini atti alla delegittimazione di chiunque non vi si assoggetti, attribuendovi oltretutto connotazioni e significati via via più infamanti?
Un patto scellerato
Le limitazioni nel trasferimento dati menzionate prima hanno un’importanza assai relativa e direi anzi pressoché nulla, essendo altri gli aspetti su cui il sistema dello streaming punta per conquistare il pubblico. Sono quelli che appunto si vanno a riassumere con il termine di comodità e per forza di cose determinano una condizione tale da trovare nell’immagine d’apertura di questo articolo e di quello precedente l’emblema migliore.
Abbindolato dalle lusinghe e dalle false promesse dello streaming, che non a caso si avvale di un repertorio accumulato in un’epoca in cui le sue esasperazioni e le conseguenze che ne derivano erano inimmaginabili, il pubblico sta stringendo un patto d’acciaio con il suo sodomizzatore, appunto il somministratore del servizio, secondo una nuova edizione adatta alla realtà attuale della cosiddetta sindrome di Stoccolma.
Quella in cui la vittima solidarizza col suo carnefice e lo difende persino, oltre ogni opportunità e fino alle conseguenze ultime. Di esse abbiamo parlato nell’articolo scorso, ossia la distruzione dell’arte musicale e la cancellazione stessa dei motivi per i quali essa ha percorso il suo cammino fin dalla storia antica. Tutto questo all’interno di una realtà legata in maniera indissolubile alla logica capitalista, mediante l’avocazione a sé, nelle funzioni di mero intermediario, di tutto il profitto estraibile dal complessivo inerente l’ideazione, la produzione e la fruizione dell’opera d’arte musicale.
Allo scopo è ridotta alla stregua di un prodotto di rilevanza ancora inferiore a quella dell’usa e getta, attraverso la sua mercificazione eseguita secondo criteri ancora più ottusi e stringenti, ma nel breve termine massimamente profittevoli, rispetto a quel che avveniva in passato.
Il patto che i fornitori del servizio hanno proposto ai fruitori dell’opera è ingannevole e propedeutico alla truffa, secondo l’esito inevitabile nel momento in cui alla crescita dei profitti si decide di far assumere l’andamento iperbolico oggi necessario. E’ tale poiché resta in vigore solo fin quando i secondi pagheranno denaro sonante per ricevere in cambio un bene intangibile, come appunto la somministrazione di dati audio da remoto. A quel fine si spendono somme che a prima vista sembrano convenienti ma nel lungo termine saranno comunque rilevanti. Per restare senza nulla in mano nel momento in cui si smetterà o soltanto non ci si potrà più permettere di pagare certe somme.
A queste condizioni, pertanto, Il fruitore si ritrova alla completa mercé del somministratore del servizio, proprio perché nel momento in cui non potrà più pagare, e quel momento arriverà, siamone certi, resterà con la classica mano davanti e l’altra dietro.
Con ogni probabilità ciò avverrà nel momento in cui si avrà il maggiore bisogno del conforto della musica preferita, ossia in tarda età. Ammesso e non concesso che i ritirati dalla cosiddetta vita attiva siano ancora lasciati sopravvivere, eventualità riguardo alla quale le élite globali e i loro burattini piazzati nei posti di (sotto)potere hanno già dato un avvertimento eloquente quanto macabro, per poi passare in breve all’azione.

Le statistiche della mortalità della pandemia a comando, che finalmente ci si è decisi ad accettare sia stata causata da un intervento umano invece che dal Pipistrello Cattivo, secondo la riedizione moderna e adatta anche agli adulti previamente infantilizzati della favola di Cappuccetto Rosso, sono piuttosto esplicite al riguardo. In particolare quelle suddivise per fascia d’età.
Queste cose ovviamente nessuno le vuol tenere in considerazione. Proprio allo scopo d’altronde serve l’eterno presente nel quale la tecnologia e i media allineati fanno di tutto per tenerci immersi, nell’azione ininterrotta di waterboarding virtuale ma dagli effetti del tutto concreti che eseguono nei nostri confronti. Il suo scopo è quello di confonderci proprio affinché non sia possibile prendere atto della realtà e del suo evolversi.
Si ottiene ciò anche inducendo una percezione del passato diversa da quello che è stato effettivamente, e di fatto modificandolo, come vedremo più avanti.
Quel momento tuttavia arriverà, e magari non sarà neppure in tarda età come ho ipotizzato con un certo ottimismo, ma alquanto prima. Ossia nel momento in cui si perderà il lavoro.
Questo è destinato ad accadere, e con probabilità e frequenza sempre maggiori. A quel punto conduce la traiettoria che si è voluta imprimere alla società in cui viviamo, mediante l’esasperazione oltre ogni avvedutezza e opportunità dei suoi tratti fondamentali. E non potrebbe essere altrimenti: se uno sparuto gruppo di persone deve arricchirsi sempre più, fino e oltre i livelli dell’umanamente concepibile per noi comuni mortali, è evidente che ciò non potrà avvenire altro che a spese di tutto il resto dell’umanità.
Sempre per la questione dei parassiti, che sta così a cuore al ministro Cingolani.
Pertanto le scene che si vedono talvolta in quei film americani dove la famigliola felice vive beata tutte le comodità del modo di vita americano, l’American way of life, per poi trovarsi d’improvviso in mezzo a una strada solo per una coincidenza o una somma di esse, e senza forma alcuna di ammortizzatore sociale o rete parentale in grado di attutire l’impatto col suolo, non è una favola o la sceneggiatura di quelle che un tempo si chiamavano pellicole.
E’ la realtà che ci stanno riservando.
A quel punto ci ritroveremo non solo con un bel pugno di mosche in mano, ma le conseguenze dello streaming andranno a coinvolgere anche l’impianto audio, a suo tempo pagato le somme che ben sappiamo ma del quale non sapremo più cosa fare. Non rimarrà altro che sbarazzarcene, a una frazione irrisoria del suo valore, dato che in assenza del servizio reso a pagamento dal controllore globale della musica registrata, sarà solo un pesante e ingombrante baraccone, privo di quasivoglia utilizzo pratico.
Chi lo acquisterà, a quel prezzo stracciato? Qualcuno ancora in grado di pagare quelle somme. Secondo la logica del togli al povero, che allo scopo è stato impoverito appositamente per favorire il meccanismo di spostamento di ricchezza dal basso verso l’alto, per dare a chi è più ricco di lui.
Ecco dunque nel suo aspetto più evidente il contenuto di raziocinio insito nel ricorso a questo sistema.
Lo streaming pertanto, distruggendo la musica, non può che fare lo stesso anche nei confronti della riproduzione sonora di qualità elevata, che di essa è figlia.
Il patto di cui stiamo parlando, inoltre, non può che andare a discapito totale e definitivo della terza parte in gioco, il fornitore dell’opera. Che non solo si vede corrispondere compensi a dir poco scandalosi, ma proprio per la complice sventatezza del pubblico viene in pratica sottoposto a un ricatto senza vie d’uscita. Dato che per forza di cose, nel medio termine lo streaming è destinato ad acquisire il monopolio totale e definitivo della riproduzione musicale.
Da esso si salveranno solo le isole costituite da quanti avranno messo insieme e poi conservato la loro raccolta di supporto fisico. Proprio per questo i fanciulli petulanti cui ho fatto riferimento nella scorsa puntata li si ammaestra a ripetere, pappagallescamente, che qualsiasi cosa non cali dall’alto per mezzo della rete sia obsoleto in maniera non più tollerabile.
Il vero problema, al riguardo, è che c’è anche qualcuno che gli dà retta.
D’altronde il vuoto pneumatico del loro interiore è spinto a livelli tali che solo aderendo incondizionatamente a quel che di giorno in giorno viene imposto dal moloch della tecnologia e dal falso progresso che di essa è l’idolo, possono credere di avere un motivo di essere.
Per effetto di quel patto, dunque, l’espressione musicale non potrà che essere cancellata, proprio perché il sistema che ne ha assunto il controllo e il dominio non ha alcuna intenzione di condividere alcunché con chicchessia. Appunto secondo le regole della forma di capitalismo attualmente in auge, portata alle conseguenze estreme al punto di disinteressarsi persino dell’opportunità di tenere in vita la pecora che di tanto in tanto le fornisce la lana e il latte da portare al mercato.
A che servirebbe, del resto, nel momento in cui la tecnologia è pronta a sfornare al comando di chi la controlla un nuovo filone di sfruttamento. Esauritosi quello da cui si trae ogni stilla di linfa vitale, non resterà che gettarlo via come uno straccio vecchio e passare al nuovo.
Come sempre tra lo strepito delle grancasse e i peana del sistema di (dis)informazione, riempito appositamente di decerebrati ansiosi di obbedire ai loro signori e padroni.
Dunque vediamo ancora una volta che il capitalismo ingurgita voracemente tutto quanto si trova intorno. Così facendo, si ritroverà un giorno ad aver divorato persino sé stesso. Noi ovviamente quel momento non lo vedremo mai, dato che per allora saremo stati non solo fagocitati, ma i nostri poveri resti saranno stati espulsi da lungo tempo attraverso il suo tubo di scarico.
Per conseguenza, qualunque sia la direzione che si deciderà di far assumere alla tecnologia e al progresso, sempre in funzione della scienza divinizzata che ne è insieme padre e madre, nell’ordinamento triadico Padre-Figlio-Spirito Santo della neoreligione obbligatoria di cui sono i veri feticci, il pubblico seguirà docilmente. Nello stesso identico modo in cui il bigotto pende dalle labbra del prete e il branco di pecore segue il pastore.
Proprio per questo ormai da tempo le masse vengono trattate con modalità eminentemente zootecniche. Noi per loro questo siamo, animali parlanti. O meglio dobbiamo essere tali, proprio affinché si segua senza neppure immaginare di poter opporre un rifiuto la direzione indicata dal bastone, che allo scopo non ha più neppure la necessità di essere mascherato con la carota.
Arrivato a quel punto, caro Alberto, forse ti renderai conto che il dover “acquistare un disco senza neppure poterlo prima sentire” che oggi tanto ti atterrisce ripensando all’immagine distorta del passato che la stessa tecnologia ha ricostruito nella tua mente a suo esclusivo uso e consumo, era il destino migliore cui potessi aspirare.
Ma allora sarà troppo tardi.
Era il destino migliore per il semplice motivo che malgrado non fosse questo miracolo di pariteticità, il sistema di allora era comunque mille volte meno ricattatorio e distruttivo di quello attuale. Proprio in quanto a quell’epoca il paradigma del profitto era assai meno stringente dell’attuale. Avendo il difetto irrecuperabile di non essere abbastanza profittevole secondo il metro di oggi, o meglio essendo privo della necessità di dover essere tale oltre ogni limite di ragionevolezza e opportunità, non aveva neppure il bisogno di devastare lo stesso terreno su cui si reggono le sue fondamenta.
Pertanto, anche se dovevi comprare il disco a scatola chiusa, cosa vera fino a un certo punto dato che le emittenti radiofoniche stavano li apposta per quello, farti ascoltare ciò che avresti potuto voler comprare, e poi c’erano le riviste, il passaparola degli amici, i concerti, quei negozi di dischi che avevano un personale all’altezza del compito riguardante il selezionare e il consigliare. Soprattutto c’era un panorama musicale florido, risultato appunto delle condizioni ambientali entro le quali aveva luogo.
Come mai il rock progressivo, i Santana, i Soft Machine, i Colosseum, i King Crimson, gli Yes, I Gentle Giant, i Van Der Graaf Generator e mille altri gruppi e solisti hanno avuto il loro successo, enorme, e hanno scritto la storia della musica moderna senza nessun bisogno di ascoltare i loro dischi in via preventiva, per assicurarsi che non si trattasse di emerite ciofeche?
Non solo: chi mai pronosticherebbe la realizzazione di uno solo dei capolavori che quei gruppi emettevano a raffica, nell’era dello streaming?
Ecco dove conduce il sistema attualmente in auge: alla cancellazione del passato dalla memoria degli stessi che lo hanno vissuto, per poi riscriverlo secondo le opportunità e gl’interessi che si vogliono imporre. Mentre quel poco che ne rimane viene sovvertito nella sua percezione mediante l’inversione del rapporto causa-effetto.
Non può essere colpa del sistema allora in auge se tu eri un giovane squattrinato. Oggi che non lo sei più, d’altronde, non trovi di meglio che sperperare il tuo denaro a fondo perduto, devolvendolo a favore di chi detiene ricchezze oltre le tue possibilità d’immaginazione e pertanto controlla una quantità di risorse enorme e largamente maggioritaria di quelle presenti su questa terra.
All’epoca pertanto, chiunque lo desiderasse non solo aveva il modo di costruirsi la propria raccolta, ma aveva mille possibilità in più rispetto a oggi e al suo panorama desolante, innanzitutto proprio a livello di creatività e tasso artistico della produzione discografica.
In sostanza, allora si era utilizzatori attivi, consapevoli e non di rado provvisti di un retroterra culturale di spessore consistente. Era del resto la fruizione stessa, nelle forme in cui avveniva, un elemento concorrente al suo costitursi.
Oggi al confronto si è esseri zombificati che procedono intruppati sotto l’occhio vigile del controllore globale, obbedendo docili al suo comando, mentre si ripete in coro lo stesso mantra, la litania che egli stesso ha inculcato in crani preventivamente svuotati, con voce afona e priva di qualsiasi espressività: comodo, scelta infinita – scelta infinita, comodità.
Comperare dischi costava, certo, anche se le cifre reali erano lontane da quanto sostieni e i modi di spendere meno esistevano, volendo.
Se questo comportava dei sacrifici, erano proprio quelli a costruire e rafforzare la passione per la musica, e di conseguenza la consapevolezza con cui se ne affrontava la riproduzione e poi la comprensione.
Oggi invece abbiamo un sistema che fa di tutto per venire a imboccarci. Non lo fa gratis e le conseguenze abbiamo visto quali sono. Inducono soprattutto una condizione d’inerzia e passività tale da portarci a preferire e poi a pretendere la pappa fatta, senza capire nemmeno che se la prepara qualcun altro, ciò avverrà per forza di cose secondo le sue convenienze, non certo le nostre.
Così, ci ritroviamo talmente abituati a lasciare che qualcuno c’imbocchi, che guardiamo con sconcerto l’epoca in cui eravamo capaci di usare forchetta e coltello, domandandoci come diamine facessimo a mangiare da soli, senza nessuno che ci ficcasse a forza un cibo liofilizzato, già masticato e predigerito, fin dentro l’esofago.
Questa passivizzazione forzata del fruitore, tra l’altro, va a rendere ancor più predominante il difetto primario della riproduzione sonora amatoriale, che è appunto quello della passività.
La sua minimizzazione può avvenire in diversi modi, dei quali abbiamo parlato più volte. Il primo è proprio la ricerca in prima persona degli accorgimenti volti a migliorare le condizioni in cui avviene tale fruizione, senza dover passare sotto le forche caudine dell’apertura del portafoglio presso le sedi approvate, l’unica riconosciuta dai media di regime.
Proprio per questo la stampa specializzata li ha sempre trascurati, delegittimati e canzonati: il suo scopo era innanzitutto quello di ridurre alla passività i suoi sventurati lettori, che per subire tale destino pagavano pure.
Tranne ovviamente quando c’era da farci dei soldi sopra, sempre per mezzo della pubblicità palese e prima di essa con quella occulta. Allora certi “accessori” diventavano come per incanto necessari, e con loro la messa a punto dell’impianto. Qualcuno è arrivato persino a coniarci sopra l’apposito neologismo.
La somministrazione di dati da remoto è appunto un elemento di passivizzazione ulteriore, che non può non avere le sue conseguenze. Prima tra le quali appunto di ridurre e poi azzerare la capacità di procacciarsi in autonomia il cibo necessario alla propria mente.
Che anch’essa, in mancanza, proprio perché ingozzata di cibo da cui è stato sottratto ogni nutriente, tende a spegnersi a causa dell’inedia. Da cui la massa dei senza cervello che vediamo aumentare di giorno in giorno.
Per non considerare che l’indurre a basarsi sulla caduta dall’alto per tutto quanto di cui si abbia bisogno è il metodo più rapido ed efficace di produzione dell’inerme e del rammollito.
Come vediamo è esistito un tempo in cui le persone erano molto più indipendenti, senza tralasciare che indipendenza significa libertà. Invece di trarne il dovuto insegnamento lo abbiamo dimenticato, perché ci è stato ordinato o meglio siamo stati indotti a farlo. E poi a dimenticare quella stessa azione un istante dopo averla compiuta.
Chi controlla il presente controlla il passato, chi controlla il passato controlla il futuro. (G. Orwell)
Pertanto, allora avevi un’ottima probabilità che il disco che avevi scelto dopo aver messo da parte il denaro necessario con sacrificio, parola oggi priva di significato per chi è abituato alla pappa fatta che cade dal cielo, pardon, dalla rete, ma elemento di capacità impareggiabile nella costruzione della consapevolezza, e poi ti eri andato a cercare alzando il sedere dal divano, fosse meritevole di ascolto. Proprio per quello lo comperavi.
Oggi invece quello che un sistema di profitto disumano fa di tutto per calcarti fin dentro le orecchie puoi stare sicuro che sia immondizia fatta in serie, già pronta per la discarica cui di fatto si riduce il tuo cervello. Indistinguibile da mille altre cose del tutto identiche ad essa, immerse in un panorama immutabile, dato che è proprio producendo roba simile che guadagna e si assicura di continuare a farlo fin quando il gioco si riuscirà a tenerlo in piedi. Riducendoti inoltre allo stadio larvale, con funzione propedeutica e commendevole ai fini del destino che un branco di pazzi megalomani ha deciso per il resto dell’umanità.
Quel disco che ti eri procurato con fatica aveva buone probabilità di essere valido dal punto di vista artistico, creativo ed evolutivo, proprio perché la prospettiva di allora era legata alla produzione e al miglioramento, non a una devastazione che secondo una realtà semplicemente inimmaginabile venti o trenta anni fa si è trovato il modo di rendere persino più profittevole.
Infatti era proprio per mezzo del valore della singola opera d’arte musicale che il sistema legato alla musica si garantiva la possibilità di andare avanti, invece che attraverso la sua distruzione a fini di profitto e quella delle stesse condizioni che ne causano l’esistenza, come avviene ora.
Tanto è vero che chiunque acquistasse supporti fonografici con un minimo di costrutto, si ritrova oggi ad averne di validi nella loro maggioranza. Riascoltandoli, anzi, ci si rende spesso conto che numerosi tra quelli che non erano piaciuti, in realtà non li si era capiti e oggi trovano il loro motivo d’essere e insieme l’incentivo a compiere un’opera di ricerca, per così dire archeologica, all’interno della nostra stessa collezione. Ricca di piccoli tesori che allora non eravamo in grado di gustare. Se all’epoca li abbiamo pagati, oggi di fatto sono a costo zero.
Quindi è esattamente il contrario di quello che dici, dato che se in quel momento hai speso una certa cifra, risibile secondo il metro attuale, oggi hai un qualcosa che puoi ascoltare ancora e ancora in piena autonomia, senza dover più nulla a nessuno se non complimentarti con te stesso di quell’acquisto.
Soprattutto, lo hai pagato in ragione della sua unità di misura: un disco, un prezzo. Che era ben più basso di quel che sei convinto di ricordare.
Di quei dischi, che lamenti di aver dovuto pagare ma ora ti ritrovi e ne sei PADRONE, ne resta poi una certa quantità, limitata, che proprio non c’è verso di apprezzare. Non è detto che siano peggiori di altri e in ogni caso possiamo osservarli come il pedaggio che siamo stati chiamati a pagare affinché quel sistema potesse tenersi in piedi.
Anche quelli tuttavia hanno una possibilità d’impiego: eventualmente li si può scambiare, con cose che incontrino maggiormente i tuoi gusti. Prova a farlo con un flusso di dati, se ne sei capace, malgrado tutti dicano che è così comodo, duttile ed efficiente.
Lo streaming ti costringe a pagare il canone per intero anche se poi ci ascolti una sola canzone per tutto il mese, magari perché preso da esigenze più pressanti.
Qui si profila l’assurdità del sistema basato sull’abbonamento, massimamente conveniente solo per i prestatori-predatori dei servizi, che del resto l’hanno inventato apposta.
Di conseguenza, oggi il nucleo familiare medio ha una quantità di uscite in abbonamenti, tra telefoni, reti, emittenti TV, streaming musicale eccetera, che il complessivo di quella spesa è la voce di uscita principale, più ancora di mutuo o affitto, cibo, vestiario eccetera.
Per avere in cambio, cosa? Il nulla, o meglio la distruzione di tutto un sistema di produzione e diffusione di eventi culturali e artistici e delle motivazioni per i quali a suo tempo è stato messo in piedi. Cosa che tuttavia resta irrinunciabile e convenientissima agli occhi della sua vittima potenziale.
Non sorprende allora che la pubblicità al riguardo sia martellante. Troppo lucrosa è la posta in gioco per far si che si possa tralasciare di accaparrarsene una fetta, sia pure la più sottile.
Accecati, assordati e per forza di cose soprattutto lobotomizzati (cfr. Area, “Lobotomia”, in “Caution Radiation Area”) da quel bombardamento a tappeto, neppure ci rendiamo più conto di quel che avviene col nostro denaro, reso appositamente elettronico e virtuale proprio affinché si perda la consapevolezza di ciò che si spende, essendo venuta meno l’azione materiale compiuta nel passaggio di denaro dalle nostre mani a quelle di qualcun altro.
Del resto è così comodo il pagamento virtuale… Il problema è che non siamo più in grado di capire per chi lo è nella misura di gran lunga maggiore e quali ne sono le conseguenze.
Siamo accecati e assordati a tal punto che neppure ci rendiamo conto che nell’epoca in cui si è voluto portare il capitalismo alle conseguenze più estreme, nulla può esistere dal prezzo inferiore al suo valore concreto. O meglio, il secondo non potrà essere altro che una frazione infinitesima del primo, dato che tutto il resto deve andare in profitto, a favore di quella catena passiva, parassitaria e pletorica di cui il sig. Cingolani è emissario, il cui scopo è trarre a sé la massima parte dei proventi conseguenti a una qualsiasi azione. Pertanto quello che costa poco o viene fatto passare per estremamente conveniente è pura immondizia. Oppure va a pescare altrove la produzione di profitto che è necessaria e irrinunciabile.
Per dirlo in un modo oggi consueto, se qualcosa ti viene dato gratis, il prodotto sei TU.
Dunque la realtà è che siamo presi per il collo, da una serie d’imbonitori e truffatori legalizzati, insieme ai loro tirapiedi, che ci fanno pagare l’immateriale, ossia il nulla, al prezzo più elevato. Vero bengodi dell’accumulazione capitalistica del quale noi siamo le vittime sacrificali. In un meccanismo talmente perfezionato da averci portato a credere di vivere la migliore delle realtà immaginabili.
E quando qualcuno prova a farci osservare la realtà reagiamo inviperiti, proprio come nei confronti di qualcuno che venga a svegliarci mentre si dorme il più profondo e ristoratore dei sonni. Ecco spiegata l’immagine di apertura della puntata precedente di questo articolo, che è stata scelta apposta.
Questo sistema adotta metodi non dissimili da quelli dello spaccio di sostanze dalle quali si resta poi dipendenti, potenzialmente a vita. Quel che ti vende è anche psicotropo, proprio in quanto ti conduce a eseguire una serie di proiezioni mentali tali da immergerti in una realtà parallela che ha sempre meno a che fare con quella concreta.
Come tale, pertanto, risponde perfettamente alla definizione di sostanza stupefacente.
La prima dose, allora, è gratis: il classico periodo di prova che con grande magnanimità viene concesso dallo spacciatore globale, affinché se ne acquisisca la dipendenza necessaria, sicuro che il giochetto piacerà. Da allora in poi lo pagherai e farai i salti mortali per continuare a farlo, essendone dipendente.
Per forza di cose: se non paghi non ascolti più nulla, essendo stato così previdente da legarti mani e piedi a un sistema che in assenza del balzello a forza del quale avrai finito per pagare somme assai rilevanti, chiuderà il rubinetto. Lasciandoti con un pugno di mosche al primo pagamento mancato, che ancora una volta in maniera paradossale è insieme arma di ricatto e conseguenza inevitabile.
Quindi tanto vale chiudere subito, dato che li prima o poi devi finire, non hai scampo.
Certo, puoi illuderti che non vada a finire in quel modo e allo scopo sarai supportato dalle sirene più suadenti. Ma appunto quello e non altro sarà: una pia illusione.
Dunque il sedicente progresso e la cosiddetta tecnologia si prefiggono l’obiettivo di sostituirci in ogni nostra azione, così che noi si possa dormire tranquilli nel sonno più profondo, indotto per mezzo degli strumenti di cui si avvalgono. Oltretutto nella convinzione di essere perfettamente svegli, mentre invece ci troviamo già ora ridotti allo stato letargico-larvale e sempre più lo saremo in futuro, incapaci non al compimento di una qualsiasi azione, ma al suo stesso concepirla.
Detto questo c’è un altro aspetto, reso evidente dalle tue stesse parole. Se temi di acquistare un disco senza poterlo ascoltare, è perché sai già che sarà una fregatura, condizione alla quale sei stato portato dallo stesso sistema del quale ti schieri a favore, proprio per i motivi che abbiamo elencato finora.
Mettersi dalla sua parte del resto è consigliabile e tutto spinge in suo favore, dato che è in quella direzione che scorre la corrente. Meglio dunque lasciarsi portare in un’abdicazione non si sa quanto volontaria e quanto per questioni di opportunità conformista (altra parola mandata al dimenticatoio per motivi evidenti: il conformismo), all’esercizio del libero arbitrio e del consenso ragionato.
Dunque la comodità di cui tutti parlano non esiste, proprio in quanto dell’essere tenuti per il collo tutto si può dire tranne che sia una condizione confortevole. A meno che non si abbia una lievissima, impercettibile tendenza al masochismo.
La seconda gamba dello streaming è la possibilità di scelta illimitata che ci offre. Ma come abbiamo visto, può esistere solo perché attinge a un repertorio concretizzatosi in una fase storica in cui le condizioni che impone erano di là da venire. O meglio, del tutto inimmaginabili.
Se lo streaming dovesse offrire solo quel che ha prodotto e produrrà in conseguenza delle condizioni che è andato a imporre, per poi distruggere ogni possibilità di alternativa, sarebbe la cosa più povera di questo mondo.
Probabilmente, anzi, non potrebbe proprio esistere.
A parte ciò, quante decine di migliaia di ore al giorno si prevede di dedicare all’ascolto dello streaming, perché vi sia tutta questa necessità di una scelta così sterminata?
Una scelta più che sufficiente alle necessità concrete di un qualsiasi appassionato, inoltre, non era offerta già da qualsiasi rivenditore di supporto fisico adeguatamente fornito?
Dunque, come vediamo i due elementi primari di gradimento del sistema sono pretesti. O meglio veri e propri campioni della pretestuosità. A questo punto sarebbe interessante capire perché vi si faccia riferimento con tanta ostinazione.
Forse perché lo impone la scienza divinizzata dalla neoreligione obbligatoria, mediante i precetti la cui osservanza è ordinata dalla tecnologia e dal progresso che ad essa fanno da Figlio e Spirito Santo?
Per cosa, poi? Arrivare a un dispositivo che di fatto è indistinguibile dalla filodiffusione.
In un film italiano dei primi anni sessanta, “Il successo”, uno di quelli che non si trasmettono più per via del loro inevitabile portato di critica sociale, il protagonista impersonato da Vittorio Gassman a un certo punto dice:” Mio padre: gli dai la televisione e lui t’inventa la radio”.
Naturalmente i sapienti ideatori del sistema in questione sono andati ben oltre un traguardo a suo modo scontato: gli hanno dato l’audio digitale, internet, le reti ad alta velocità di trasmissione e un sistema infallibile nella sua capacità di carpire il consenso e loro t’inventano la filodiffusione.
Come sempre in questi casi, la copia non segue pedissequamente l’originale, così vediamo che c’è una differenza, riguardante l’impiego di sistemi complicatissimi e oltremodo inquinanti per realizzazione pratica dei macchinari necessari e loro gestione, oltretutto costosi.
La filodiffusione invece si serviva di quanto era già e soprattutto era gratis. Era parte integrante del servizio telefonico.
Allora, tutto questo spreco di tecnologia, di superlativi, d’idolatria e di volontà a una gioiosa subordinazione per fare cosa? La replica di un sistema che camminava anche quello lungo i fili del telefono e non aveva bisogno alcuno di tanto ciarpame ipertecnologizzato. La cui ipertecnologizzazione è necessaria soprattutto per nascondere che dietro c’è il nulla.
Altra differenza è che la filodiffusione non aveva nessun bisogno di essere ad alta fedeltà, per quanto esistesse un canale trasmesso in stereofonia, mentre ora invece si pretende di attribuire alla somministrazione di dati audio da remoto l’emblema stesso di qualità sonora.
Ciò avviene talmente a ragione che tutti i sistemi che ho avuto modo di ascoltare, basati su questo tipo di sorgente, ne hanno ricevuto una penalizzazione evidente a tale riguardo.
L’ultimo esempio in ordine di tempo riguarda un impianto che a listino costerebbe più di un appartamento, si sa che i prezzi delle case sono oggi in caduta libera ma solo fin quando la loro proprietà arriverà infine nelle mani giuste. Malgrado ciò ha esibito doti sonore che se non le definisco imbarazzanti è solo per un minimo di solidarietà con il suo possessore.
Ora, con alcuni brani dei quali la schermata fornita dal somministratore specificava trattarsi di brani in formato CD, netta è stato l’impressione di trovarsi di fronte a una sonorità particolarmente somigliante a quella degli MP3 ormai passati di moda, oltretutto dal livello di compressione, ovvero di cancellazione dei dati originari, particolarmente elevato.
Posso dire anzi di aver ascoltato vari MP3 che suonavano molto meglio di quello.
Dopo un primo moto di sorpresa, la realtà appare evidente. Non potendo più agire sul versante della fornitura, dato che meno di così il compenso attribuito all’autore-esecutore del brano non può essere, poiché tanto varrebbe porlo di fronte all’aut-aut del mi prendo il brano e non ti do un bel niente, l’unico elemento di ulteriore miglioramento dell’efficienza nella produzione di profitto da parte di quel sistema è la riduzione del traffico dati. Che per forza di cose ha i suoi costi e con ogni probabilità è una tra le primissime voci di spesa nel bilancio inerente la somministrazione del servizio.
Nulla di più facile, pertanto, che si cerchi in ogni modo di contenerlo, riducendo infine a compresso ciò che in origine non sarebbe tale. Il tutto, naturalmente, a propria insaputa. Magari per mezzo di algoritmi sofisticatissimi, che possono essere eccezionalmente validi nel prendere in giro chi decide di avvalersi di quel sistema, ma non un orecchio minimamente educato.
Non si era detto del resto, a suo tempo, che l’MP3 sarebbe stato indistinguibile dal formato lineare, proprio grazie agli algoritmi sui cui si basa? Per poi tacciare di essere vittima di allucinazioni a sfondo ossessivo chi quelle differenze le sentiva eccome.
Ci pensano infine apparecchiature che probabilmente sono più efficaci di altre, visto appunto il costo degli impianti in questione, nel porre in evidenza quelle che sono le reali caratteristiche del supporto, liquefatto o derivante da somministrazione a distanza che dir si voglia, e soprattutto delle sue pecche.
Ecco dunque un altro modo per far credere di darti il non plus ultra, con tanto di certificazione dei pennivendoli di regime, quando invece si molla la ciofeca delle ciofeche.
Non è così, del resto, che si mettono insieme i grandi patrimoni?
Un’ulteriore differenza è che con la filodiffusione non si poteva comporre a piacimento la scaletta dell’ascolto desiderato. Malgrado ciò il canale dedicato alla musica moderna era spesso caratterizzato da una buona densità di brani interessanti e a volte persino inconsueti. Come tale era mille volte più godibile, oltrechè istruttivo, di quello che si può ascoltare per mezzo dello streaming, secondo le modalità con cui è utilizzato da diversi appassionati.
Soprattutto, non c’era modo di zompettare da un brano all’altro ogni cinque secondi come fanno oggi i sagaci utilizzatori del sistema del futuro.
AI
Questa differenza però è destinata a vita breve, dato che di decidere preventivamente cosa si vuole ascoltare vi è bisogno ancora per poco. Tra non molto infatti ci penserà quel sistema stesso, che già ora sa cosa ci piace meglio di noi stessi. Così arriverà a propinarci cose che non credevamo potessimo apprezzare. Di conseguenza operare una scelta, azione ponderosa e come tale scomodissima, oltreché antiquata e inefficiente, dato che presuppone anche la perdita di tempo e di energie cerebrali necessari allo scopo, non avrà più senso alcuno.
A tutto penserà la cosiddetta intelligenza artificiale, la tanto idolatrata AI, che un branco di utili idioti sta finendo di rifinire per noi.
Quando il sistema lo si sarà finito di mettere in piedi, nulla che necessiti di un meccanismo funzionante almeno in apparenza avverrà al di fuori di esso. E dato che le sue logiche sono stringenti, una volta che sei fuori nulla più sarà in grado di riportarti al suo interno.
Ora naturalmente il Coro Degli Entusiasti a Prescindere, che non canta solo le lodi delle apparecchiature destinate alla riproduzione sonora ma di tutto quanto necessiti di propaganda senza preclusione alcuna, essendo del tutto incapace a operare discriminazioni di sorta in quanto sommamente democratico, gli inni ai destini magnifici e progressivi della cosiddetta AI li canta a squarciagola.
Giustamente, tutti ci credono. Che motivo si avrebbe, del resto, per dubitare di quanto ci viene raccontato con tanta convinzione, oltretutto da personcine così perbene?
E talmente intelligente, l’intelligenza artificiale, da classificare come “posta non sollecitata” le risposte che invio dalla mia casella di posta elettronica a chi mi recapita messaggi, domande o altro, servendosi di indirizzi appartenenti a un particolare dominio. Quello che per una somma di concause va sempre più per la maggiore e con ogni probabilità acquisirà nel prossimo futuro il monopolio del settore.
Naturalmente sui messaggi che segnalano il rifiuto di consegnare il messaggio ci sono tutte le istruzioni necessarie alla risoluzione del problema. Però non portano a nulla, dato che per il loro tramite si arriva a pagine la cui vastità di argomenti non attinenti al caso in questione è tale da scoraggiare la continuazione dell’eventuale lettura, dopo che ci hai perso una buona mezzora alla vana ricerca del caso tuo, e dopo aver utilizzato inutilmente il motore di ricerca interno con le parole che reputi adatte a descrivere il problema, ancora una volta senza risultato alcuno.
Quel sistema del resto è talmente perfetto che un suo malfunzionamento non possa materialmente essere previsto. Oltretutto è così complicato che qualora il malfunzionamento si verificasse, neppure i suoi ideatori saprebbero dove mettere le mani. Per il semplice motivo che come funzioni realmente, non lo sanno nemmeno loro.
A quel punto si viene colti dal dubbio se per caso, e dato che ormai un numero di cose sempre più cospicuo assume una valenza del tutto contraria rispetto al significato suggerito dalla loro denominazione, invece che d’intelligenza, appunto artificiale, non si tratti di qualcosa molto più simile alla deficienza.
Però attenzione: se invece di rispondere a un messaggio ne invio uno di mia sponte a quello stesso indirizzo, per il sistema non risulta più “non sollecitato”. Altro che intelligenza: qui siamo all’idiozia conclamata.
Sperare nella possibilità di interagire con un essere umano cui si possa spiegare l’accaduto, sperando di risolvere, è pura utopia. Magari esiste, solo che è nascosto talmente bene dentro una serie di scatole cinesi fatte in modo che riportino sempre e comunque al via, da risultare inaccessibile. Questa del resto è la prassi delle piattaforme della rete, la cui redditività è legata anche alla riduzione ai minimi termini del personale utilizzato. E di conseguenza a uno sfruttamento che va oltre quello conosciuto un tempo come schiavitù.
Del resto quel personale ha anch’esso le sue colpe, dato il suo pessimo vizio di volere uno stipendio, che per quanto sia ridotto ormai a livelli da fame, ancora non si è preso il coraggio necessario per sostenere che possa essere azzerato o meglio revocato proprio in via di principio.
Ma ci arriveremo, siamone certi, con lo stesso identico modo e criterio con cui si sono imposti la liquida e lo streaming.
Vogliamo mettere la macchina quanto è più comoda? Innanzitutto è tecnologica e frutto del progresso, quindi indiscutibile nella sua virtù teologale. La metti li e funziona sempre, senza chiedere niente. Fino a che non si scassa, ma per allora avrai il nuovo modello che fa cento cose in più e d’altronde ne avrai già ammortizzato il costo mille volte.
Il rottame verrà ritirato e finirà in India o luoghi consimili. dove bambini-schiavi la smonteranno pezzo per pezzo a mani nude, inginocchiati in mezzo al fango per recuperarne le materie prime che abbiano ancora un qualche valore, che così può essere sfruttato fino in fondo.
La macchina non vuole stipendio, non si ammala, non pianta grane, non reclama diritti e non chiede le ferie, che sono una gran strunsata, come diceva il cumenda di “Sapore di mare 2”. Laddove persino il filmetto più vanziniano degli anni ottanta, il decennio dell’impazzimento di massa propedeutico alla sperimentazione dell’epoca che viviamo attualmente e all’acclimatazione con essa, riusciva ad avere un sottostante di critica sociale, a saperlo cogliere.
Tra breve tutto funzionerà per quel tramite, e allora non solo non vi sarà più bisogno della manodopera umana.
Soprattutto ci accorgeremo anche di quanto l’intelligenza artificiale sia idiota. Di un’idiozia oltre l’umano, proprio in quanto frutto di un meccanismo, programmato da utili idioti preparati e selezionati da idioti di rango maggiore affinché realizzino uno scopo che è l’apoteosi, la sublimazione dell’idiozia.
Per il semplice motivo che va a negare il motivo stesso dell’esistenza loro e dei loro consimili. Qui torniamo ancora una volta alla questione del raziocinio. Non sarebbe bastato spararsi un colpo in testa e via, invece di mettere in piedi tutto sto baraccone, che oltretutto costa somme incalcolabili e inquina a dismisura, malgrado si pretenda rientri a pieno titolo nel programma di azzeramento delle fonti inquinanti?
No, perché chi lo ha realizzato materialmente è convinto, poveretto, che sarà risparmiato dagli esiti di sterminio che il suo marchingegno è finalizzato a produrre.
Non essendo più indispensabile la manodopera umana, a che scopo tenere in vita bocche inutili e come tali parassitarie nella visuale del ministro Cingolani?
Che si tratti di idiozia del grado più elevato lo vediamo del resto fin da ora, e senza bisogno d’incorrere in contrattempi farseschi ma indicativi e oltretutto paradossali, proprio per questo irrisolvibili. A mostrare come meglio non si potrebbe che la pretesa intelligenza artificiale e l’idolatria che si esercita a suo favore altro non sono che una forma, appunto, di minorazione mentale acuta a sfondo demenziale. Portata oltretutto alla massima efficacia e alle estreme conseguenze, per la quale non si conoscono cure.
Il suo funzionamento avviene per mezzo di “algoritmi”.
Ma che gran bel parolone, che definizione pomposa e autocelebrativa ripetuta fino allo sfinimento secondo i metodi della PNL, atta come sempre a riempire nel modo migliore la bocca, inibendo pertanto le funzioni cerebrali come qualsiasi definizione appartenente alla neolingua.
Sta a significare meccanismo, calcolo complesso, termini ormai divenuti obsoleti in quanto evocanti una realtà troppo poco tecnologizzata e non imperscrutabile dal comune mortale. Dunque inadatta a segnare nel modo dovuto il baratro, che i libri sacri ordinano debba essere incolmabile, tra chi controlla quella tecnologia e chi invece ne è controllato. E’ legata oltretutto a un passato di laboriosità e concretezza d’azione individuale che è necessario debellare prima di tutto nell’immaginario di chi lo ha vissuto. Dimodoché possa abbandonarsi felice e in tutta comodità al futuro distopico che è già deciso lo conduca all’estinzione.
Quegli “algoritmi”, dicevamo, non sono forse l’emblema stesso della deficienza, dell’inettitudine e della reiterazione meccanicista di azioni prive di fondamento e risultati pratici?
Ecco il motivo di certi paroloni, nascondere il significato concreto di quel che comportano le funzioni cui si riferiscono.
E’ vero o no che gli “algoritmi” dell’intelligenza artificale, nuovo idolo del ventunesimo secolo, nata da, imbottita di e capace d’indurre unicamente deficienza, non sono capaci di altro dall’inviarti sullo schermo del pc e del telefono la pubblicità di cose che hai già comprato e quindi non ti servono più, per il semplice motivo che le hai già?
Al massimo ti fanno vedere che le potevi pagare di meno, convincendoti quindi che ti hanno mollato l’ennesima fregatura, e di conseguenza che il sistema pubblicizzato per il loro tramite è in realtà un imbroglio grossolano. Così che ti senta trattenuto nei confronti di un qualsiasi ulteriore acquisto fin quando non puoi proprio più fare a meno, dato che il prezzo migliore lo potrai vedere solo e soltanto dopo aver concluso il tuo acquisto.
Un modo davvero curioso di sostenere e facilitare il consumo, e di conseguenza il consumismo che è il loro scopo ma è anche il male di cui vieni incolpato quando si tratta di mettere in discussione il tuo stesso diritto all’esistenza, dato che sarebbe la prima fonte d’inquinamento.
Altrimenti ti martellano con la pubblicità del prodotto che hai già guardato per conto tuo sulla sua bella paginetta di internet e quindi sai già tutto al riguardo.
E insistono pure, a oltranza, con un’ostinazione che ci puoi credere solo quando la vedi.
Qualcuno arriva addirittura a pagare per quel servizio, dimostrandosi più deficiente ancora e assurgendo a simbolo dell’idiotizzazione di massa ormai raggiunta in via definitiva. Vero traguardo dell’evoluzione umana.
In queste condizioni di delirio, allora, si evoca con terrore l’epoca in cui si doveva spendere la trentacinquemilalire per comprarsi un disco scelto di testa propria alfine di ascoltare quel che più ti piaceva, invece di farsi imboccare con quello che ha deciso il convento, facendoti credere oltretutto di avere una libertà di scelta impossibile altrimenti.
Il chiamare in causa il commerciante che ti mollava la fregatura infine, è un ultimo pretesto atto a giustificare il passivizzarsi ai somministratori-predatori globali. Invece di imparare a non farsi fregare e soprattutto a rivendicare e poi conquistarsi il diritto a vivere in un modello sociale in cui di mollare la fregatura non ci sia più tutto questo bisogno.
Ancora una volta passivizzazione. Indotta per via tecnologica e spacciata per progresso cui non si sarebbe potuti pervenire altrimenti.
In realtà al termine del ciclo della lira il CD ne costava ventimila, dieci euri di adesso che sono carta straccia. Giustamente, perchè ora si deve spendere molto di più per avere il nulla. Dato che questo è il destino che è stato deciso, almeno in via transitoria, e se ne deve essere felici.
Proprio affinché in esso ci si possa trovare comodi.
Ciao Claudio,
grazie per l’apprezzamento e per aver dedicato un tuo articolo al mio commento, ne sono onorato. Sebbene abbiamo su alcuni punti idee diverse, ciò non implica che non si possa discuterne, finché si portano argomentazioni a sostegno delle proprie tesi, come tu sai fare bene.
Lo scenario da te descritto, devo ammettere, è alquanto inquietante. A tal proposito è di oggi un articolo del Guardian in base al quale, “su iniziativa della Francia alcuni Paesi membri – tra cui l’Italia – intendono approfittare della Brexit per ridurre la presenza di film e serie tv di produzione britannica da piattaforme on demand come Amazon e Netflix perché considerata “sproporzionata””. (Cfr. https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2021/06/21/brexit-vendetta-ue-sui-film-e-le-serie-tv-britanniche_c378586d-1957-4ebc-b8a8-816726bec5c5.html). Sebbene si tratti di materiale audiovisivo e non musicale, il controllo sulle masse mi appare evidente.
Per tornare a noi, uno dei problemi delle nuove uscite musicali è legato sicuramente ai costi di produzione, sono lontani i tempi in cui un artista poteva permettersi di avere una sala prove per mesi, al fine di curare al massimo la propria opera, ora purtroppo, come dici tu, se l’ascoltatore dedica pochi secondi ad un brano per passare al successivo, per quale motivo investire tanto tempo e denaro in una cosa che non verrà apprezzata? Soprattutto per quanto riguarda l’investitore di turno. Non a caso, quando si parla di “novità e ultime uscite”, la gran parte del materiale risale agli anni passati, l’ennesima ristampa, magari a tiratura limitata, mah… cosa ci sia di esclusivo in una ristampa, ancora non mi è chiaro.
Poi per carità, il mondo dell’underground musicale, l’indie, è fortunatamente popolato anche di gruppi meritevoli di attenzione, ma non è sempre facile venirne a conoscenza. Paradossalmente, se ora con la rete c’è modo di sapere tutto, questo tutto è talmente strabordante che non sempre si riesce a trovare qualcosa meritevole di attenzione, magari perché il gestore della piattaforma non ha interesse a concedere il primo piano della piattaforma all’ultimo arrivato. Forse pagando, magari…
Un saluto caro Claudio, continua così, con la tua voce fuori dal coro.
Ciao Alberto,
mi fa piacere che abbia apprezzato l’articolo.
Purtroppo per tutti noi, lo scenario preoccupante non sono io a descriverlo, ma è quanto viene illustrato con dovizia d’informazioni dagli organi di comunicazione dei decisori mondiali. Stiamo parlando dei non eletti da nessuno, come quelli del World Economic Forum, del cui sito internet, e precisamente della pagina che propaganda il grande riassetto e ne descrive le modalità ho inserito l’immagine nella puntata precedente di questo articolo. Non solo, quei progetti trovano una sponda compiacente e pronta a fare l’impossibile anche nelle TV di Stato, che in teoria non sarebbero al servizio di quegli organismi ma di chi paga il canone, obbligatoriamente, nella bolletta della luce. Malgrado ciò fanno da grancassa a quei progetti e iniziative, come tutti noi abbiamo visto nelle scorse settimane, con spot inneggianti al grande riassetto e ai destini magnifici e progressivi che ne deriveranno, trasmessi da tutte le reti Rai.
L’episodio che racconti fa parte della guerra economico-ideologica scatenata dai fautori dell’Unione Europea e dai suoi appartenenti, che poi sono gli stessi del mondialismo e della globalizzazione. Questo conflitto, che sotto diversi aspetti ha avuto conseguenze non dissimili e addirittura peggiori di uno combattuto secondo le modalità tradizionali, ha avuto una nuova recrudescenza con l’uscita dall’Unione della Gran Bretagna. Con grande spirito democratico e nel pieno riconoscimento del diritto dei popoli all’autodeterminazione, il primo obiettivo dell’Unione e dei governi dei paesi che ancora ne fanno parte è dimostrare che non può esistere vita economica, politica e sociale al di fuori di essa. Ancora una volta con un piglio para-religioso, quello del “Non avrai altra Unione al di fuori di me”. A me ricorda anche il “Gott mit uns” degli anni trenta e quaranta del secolo scorso: non a caso diversi osservatori hanno rilevato che di fatto l’UE rassomiglia moltissimo, nei suoi contorni geografici e nelle sue modalità di gestione e direzione, a quella che sarebbe stata l’Europa qualora la Germania avesse vinto la guerra. Come tale la paragonano a una sorta di Quarto Reich.
Per parlare dell’argomento e fare un minimo di chiarezza al riguardo non basterebbero 4, 5 o più articoli di lunghezza pari a quello che stiamo commentando, che già di per sé è circa il doppio di quelli che pubblico abitualmente, e tutti definiscono lunghi in maniera esagerata.
In merito al fatto che racconti, il bello è che non si capisce cosa abbia a che fare con tutto questo l’offerta di aziende private come quelle menzionate e a che titolo e con quali finalità quei paesi s’ingeriscano nella composizione del loro catalogo e dell’offerta che indirizzano al pubblico.
Ennesima dimostrazione dell’oltranzismo tipico degli euro-entusiasti e che il khomeinismo non è un atteggiamento tipico soltanto dei popoli mediorientali di lingua araba e religione musulmana, ma trova adepti anche nelle più alte sfere di quella che si compiace di osservare sé stessa come la parte più civilizzata e avanzata del mondo attuale.
Per il resto, e come mi sembra chiaro già dall’articolo, personalmente identifico la pochezza tecnica e qualitativa dello streaming quale causa primaria delle abitudini tipiche dei suoi utilizzatori. D’altronde con i compensi riconosciuti ai produttori dell’opera distribuita, non si vede proprio come sia possibile realizzare un prodotto tecnicamente valido e al passo coi tempi. Eccoci di fronte a un altro elemento particolarmente significativo che dimostra come lo streaming non uccida soltanto la musica ma anche l’alta fedeltà e per conseguenza inevitabile la passione che tutti noi nutriamo per entrambe.
Non si vede d’altronde in che modo, se questi sono i presupposti, l’arte musicale possa proseguire la sua storia, se le basi materiali che finora ne hanno permesso lo sviluppo e l’evoluzione si decide che devono essere annientate, per i soliti motivi di profitto.
Le ristampe e le tirature limitate non sono altro che la dimostrazione concreta delle condizioni in cui si dibatte l’industria discografica, in seguito alle scelte sciagurate che ha compiuto nel corso degli scorsi decenni. Ora i nodi arrivano al pettine.
Quanto alle potenzialità della rete, come vediamo sono state sostanzialmente disattese, ne ho parlato in “La questione della sintesi”, e alla fine anche questa è diventata veicolo di diffusione del pensiero unico ma non solo: ormai è lo strumento primario della sua affermazione.
Come osservi giustamente, quando c’è la possibilità di mettere così tanta carne al fuoco, quella di valore scarso o nullo finisce con il nascondere, sovrastare e prevalere su quella più meritevole. E’ un meccanismo del quale si approfitta in maniera sempre più smaccata per nascondere ciò che non si desidera pervenga all’attenzione del pubblico, che da parte sua accetta tutto questo passivamente.
Infine, se chi già si è sobbarcato l’onere dell’ideazione e della produzione dell’opera, deve anche pagare affinché sia diffusa invece che essere pagato per essa, siamo per forza di cose agli ultimi giri di giostra.
Un caro saluto anche a te e alla prossima.